Un “Bluesman” E Un Uomo Fortunato! Popa Chubby – I’m Feelin’ Lucky The Blues According To Popa Chubby

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Popa Chubby – I’m Feelin’ Lucky The Blues According To Popa Chubby – 2 CD Dixiefrog
Popa Chubby festeggia 25 anni di carriera (ufficiale, perché come dimostra il dischetto allegato nella versione europea di questo CD c’è stato anche un periodo pre-Chubbian) tornando sotto l’egida della Dixiefrog nel vecchio continente, mentre in America uscirà per la Cleopatra Records, con un’altra copertina https://www.youtube.com/watch?v=q_VHUjCw3pM . Discograficamente parlando l’esordio, con due album indipendenti, e con l’ottimo Booty And The Beast per la Columbia, avviene intorno a metà anni ’90, ma il primo utilizzo dello pseudonimo viene fatto risalire al 1989, prima il nostro amico era semplicemente Ted Horowitz (e lo è tuttora) e il suo raggio d’azione musicale includeva una serie di band e collaborazioni con amici di infanzia e di scuola nell’area newyorkese, Brooklyn in particolare, che dalla new wave e dal punk Post CBGB si spingeva fino all’hip hop e ad altri esperimenti musicali, contenuti nel dischetto bonus di questo album, di cui alla fine. Poi Popa è stato travolto dall’amore per il Blues, il rock’n’roll e il mito Hendrix e le sue scelte sono cambiate drasticamente, portando a una lunghissima serie di album che lo hanno fatto conoscere come uno dei chitarristi più interessanti dell’ultimo quarto di secolo.

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Dopo un periodo di appannamento, gli ultimi due album per la Provogue, Back To New York City e, soprattutto, Universal Breakdown Blues http://discoclub.myblog.it/2013/04/19/piovono-chitarristi-3-anteprima/ , avevano segnato un suo ritorno alla miglior forma, ora confermata, anche se non completamente, dall’uscita di questo I’m Feelin’ Lucky, The Blues According To Popa Chubby, che fin dal titolo la dice lunga sull’approccio musicale dell’omone newyorkese. Blues sicuramente, ma anche tanto rock come dimostrano le sinuose spire di una Three Little Words che su un ritmo quasi santaneggiante, sostenuto dalle tastiere dell’ottimo Dave Keys (nomen omen), permette al nostro di occuparsi subito con profitto della sua chitarra, qui in modalità wah-wah, non selvaggio ma raffinato. La title-track, I’m Feelin’ Lucky,  nelle parole del suo autore, è “baddass funk”, e ascoltandola non è difficile capire perché, ritmi sincopati, tra James Brown e il rock, a cura di Francesco Beccaro, al basso e Chris Reddan, alla batteria, solito wah-wah, sorta di appendice immancabile alla chitarra del nostro, con soli pungenti e coinvolgenti https://www.youtube.com/watch?v=W4yAU22QTgc .

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Primo ospite, l’eccellente Mike Zito, sempre più lanciato, per un duetto/duello nella poderosa Rock On Bluesman, uno slow blues di quelli tiratissimi ed intensi, con le chitarre che si inseguono alla grande, con le voci dei due protagonisti che si dividono anche la parte cantata del brano, veramente bello, una sorta di “northern rock”, se mi posso permettere, vista la provenienza del buon Ted https://www.youtube.com/watch?v=PQerjkjbDIU . One Leg At A Time viaggia a tempo di un divertente R&R, da sempre tra le musiche care al Chubby https://www.youtube.com/watch?v=PFniWEQ-r5o , mentre per la classica Rollin’ And Tumblin’, dal groove quasi allmaniano, viene sfoderato l’immancabile bottleneck, e Horowitz appare anche in ottima forma vocale https://www.youtube.com/watch?v=-RqJ7DmF-g4&list=PLuKtKAhCWyrZ3_mCFnFsLKCRUwPKmd_2i&index=10 . Come To Me è l’altro duetto al calor bianco, con la concittadina Dana Fuchs, una che di rock e di blues se ne intende, e grazie alla sua voce potentissima si va sempre più imponendo come una delle rare cantanti contemporanee in grado di competere con le grandi del passato, senza esagerare i due, grazie ad un’ottima chimica umana, ci regalano una bella canzone di classico stampo rock con venature soul, sentire per credere; Save Your Own Life è un bel mid-tempo di stampo 70’s con l’organo a regalare quel sapore retrò del vecchio hard rock, mentre la chitarra macina note.

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I’m A Pitbull (Nothing But Love) è una simpatica canzoncina dedicata da Popa Chubby a questa razza di cani dall’aspetto fiero ma dall’animo gentile e servizievole, almeno nel giudizio basato sulla frequentazione giornaliera del suo “miglior amico”! Too Much Information è uno dei brani migliori di questo album, una sorta di ballata elettroacustica dalla ritmica raffinata, che fa da preludio ad un altro rock moderato, ma dalle interessanti aperture chitarristiche, come The Way It Is, che conclude un buon album, magari non eccelso, con due o tre punte di eccellenza. Nel secondo CD troviamo brani del giovane Ted Horowitz, tre a nome Bloodclot, band tra heavy e punk anni ’80 e new wave-rock, tipico dell’epoca, i Noxcuse, sinceramente non memorabili, con il nostro spesso al basso e non particolarmente distinguibile, lo strano esperimento di I Can’t Fix you, un demo molto rudimentale, il “beat poet rock” con i City Opus e Joe Labelle, le prime avvisaglie del futuro Popa Chubby nella rudimentale I’m Giving Up e nella lunga Steef Jam, i due brani più interessanti anche se non indispensabili, e il rap a tempo di hip-hop con gli Street Docs in Popa Chubby Is An Old Ass Man, visto che è gratis accettiamo, ma francamente se ne poteva fare a meno.

Bruno Conti

Piovono Chitarristi 3. Anteprima Popa Chubby – Universal Breakdown Blues

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Popa Chubby – Universal Breakdown Blues – Mascot/Provogue 23-04-2013

Continua il ritorno di Popa Chubby! O meglio, non è che Ted Horowitz se ne fosse mai andato, ma i suoi ultimi dischi non erano sempre il massimo, fino al precedente Back To New York City che già mostrava la voglia del buon Popa di tornare al suo credo: Blues, ancora blues (rock), un po’ di Jimi e tanta chitarra. Il passaggio ad una nuova casa discografica indubbiamente ha giovato, ma questo Universal Breakdown Blues lo ribadisce e ci presenta un musicista decisamente provato dai problemi familiari che lo hanno interessato di recente, ma che proprio attraverso la musica esorcizza i suoi dispiaceri e li sublima in una serie di brani che lo riavvicinano agli standard qualitativi di inizio carriera, ai tempi di Booty And The Beast per intenderci. Suonato e cantato con grande partecipazione, questo nuovo album si avvale di una serie di brani che, senza cedimenti, ci riportano al chitarrista che abbiamo conosciuto ed amato ai primi tempi (e che comunque ha sempre saputo tenere fede alla sua fama, sia pure con qualche cedimento anche evidente qui e là).

Un brano emblematico di questo ritorno alla miglior forma è la cover di Somewhere Over The Rainbow, una versione che se la batte con quella di Jeff Beck come migliore ripresa strumentale del classico del Mago di Oz, vibrante e giocata su un lavoro di fino di toni e volumi dimostra la tecnica raffinata allo strumento di questo signore, che mette sul piatto anche una grinta e una carica poderose in questa esibizione registrata, presumo, dal vivo (non so dove e quando, perché non ho le note del CD, ma ad un certo punto si sentono degli applausi di puro entusiasmo, nel finale del pezzo). E non è che la versione di Beck scherzasse come intensità. Ma già dall’apertura con una I Don’t Want Nobody, bluesatissima in puro stile SRV, si capisce che questa volta non si fanno prigionieri o si concedono tregue, la voce e la chitarra sono quelle delle grandi occasioni (musicali), la ritmica è vivace e pimpante, l’organo Hammond sullo sfondo è perfetto nelle sue coloriture, grande partenza. I Ain’t Giving Up è una dichiarazione di intenti di fronte alle difficoltà della vita di tutti i giorni, una ballata tra soul e blues con la solista di Horowitz che inchioda un breve assolo tra i più sentiti della sua carriera, fluido e lirico, come poche altre volte, mentre la parte cantata, con delle belle armonie vocali in puro stile soul, è tra le più convincenti. Universal Breakdown Blues è un rock-blues hendrixiano, con pedale wah-wah a manetta, sentito mille volte ma quando è ben suonato ti prende sempre e qui Popa Chubby è nel suo elemento, come pure nella cover di Rock Me Baby, altro tour de force costruito sulla versione del mancino di Seattle, con qualche deviazione verso i territori cari allo Stevie Ray texano, altro praticante della setta degli adoratori dell’Hendrix più blues.

A proposito di blues, slow blues per favore, ce n’è uno straordinario, come The Peoples Blues, in questo nuovo album, otto minuti e un torrente di note che ti colpisce in piena faccia come un treno lanciato verso la sua meta,ma che non dimentica la lezione di BB King, tante note ma non troppe. Anche in brani più rilassati come 69 Dollars, la musica e la chitarra scorrono fluide come raramente si ascolta nel genere, grande controllo e gran classe. I Need A Lil’ Mojo è un piacevole funky-rock vagamente New Orleans style, mentre Danger Man è un altro breve episodio ad alta concentrazione wah-wah, a dimostrazione che anche i brani “meno riusciti” sono comunque di buona qualità e la chitarra è in ogni caso all’altezza delle aspettative. Take Me Back To Amsterdam (Reefer Smokin’ Man) con slide d’ordinanza in evidenza è un altro omaggio alle radici blues della nostra “personcina”, che ha anche rinunciato alla parte di Shrek in un musical di Broadway per dedicarsi alla musica che ama di più. Al limite la può infarcire con qualche ulteriore influenza, riff tra Stones, R&R e ZZ Top, come in The Finger Bangin’ Boogie o nuovamente “selvaggio” come nella tirata conclusione di Mindbender. Per chi ama il genere una boccata di aria fresca, quel tipo di disco dove i vari elementi, già sentiti e risentiti, si incastrano alla perfezione e alla fine ti ritrovi con quella espressione un po’ da pirla di quando ascolti qualcosa che non pensavi potesse piacerti ancora una volta, però, non è male…

Bruno Conti

Il Ritorno Della “Personcina”! Lance Lopez – Handmade Music

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Lance Lopez – Handmade Music (Ltd. Edit.) – MIG Made in Germany

Il nostro amico Lance Lopez, di cui mi ero già occupato lo scorso anno in occasione dell’uscita del CD Salvation From Sundown che conteneva anche un bel DVD registrato al Rockpalast lance%20lopez, fa dell’onesto rock-blues, che mischia lo stile del Texas divenuto sua terra di elezione, con il rock “energico” dei grandi chitarristi inglesi ed in particolare della triade Clapton-Beck & Page. Quindi  cosa ottenete se unite il southern rock-blues degli ZZ Top al suono di Stevie Ray Vaughan e Johnny Winter, ci spalmate una abbondantissima dose di Jimi Hendrix (il suo vero idolo assoluto) affidate il tutto alle abili mani di Jim Gaines il suo produttore di fiducia (quello di Santana, Steve Miller Band, Thorogood, il John Lee Hooker di The Healer), poi vi recate a registrare nei leggendari Ardent Studios di Memphis (per Lopez il luogo dove gli ZZ Top hanno registrato Sharp Dressed Man, Thorogood Bad To the Bone e Jimmy Page ha mixato Led Zeppelin III)?

Probabilmente otterrete questo Handmade Music che unisce il boogie fervido del trio texano nell’iniziale Come Back Home cantato con una voce rauca e ruvida che mi ha ricordato, non so perché, forse a causa di una somiglianza non fortuita, il Popa Chubby più ruspante. Sound e assoli di chitarra di gran fattura che ritornano anche nella successiva Hard Time e poi si stemperano in una gustosa hard rock ballad di notevole appeal come Let Go dove chitarre acustiche e organo e la produzione professionale di Gaines allargano lo spettro sonoro del disco. Visto che il trucco ha funzionato una volta viene ripetuto, con successo, anche nella successiva Dream Away, un altro ottimo esempio di lunga ballata in crescendo che proviene dal miglior southern rock d’annata. Ma lo stile preferito è quel rock-blues intriso di boogie con una solida sezione ritmica nelle mani del bassista Chris Gipson e del batterista Jimmy Dereta, di solito lo chiamiamo power trio e non ci si sbaglia mai, non sarà originale, sentito mille volte, ma se ci affidiamo a un buon manico come Lance Lopez e con una produzione professionale nelle mani di Gaines, brani come Get Out and Walk e Your Love hano un perché, specialmente se uno apprezza il genere.

Non sempre tutto funziona, Travelling Riverside Blues sarà pure il famoso brano di Robert Johnson che suonavano anche gli Zeppelin ad inizio carriera, ma in questa versione abbastanza anonima potrebbe essere Crossroads o Walkin’ Blues, il riff più o meno è quello. Letters con il suo organo aggiunto ed una maggiore verve, potrebbe essere un pezzo d’annata della Steve Miller Band o di Clapton, niente di trascendentale fino all’orgia hendrixiana di wah-wah nella parte centrale che ci rende il sorriso. Non male anche l’ottimo strumentale Vaya Con Dios dove si lavora molto di toni e di finezza sulla chitarra con Lopez che mette di nuovo in mostra le sue indubbie qualità tecniche. E che dire della cover di Black Cat Moan il celebre brano di Don Nix che faceva il suo bel figurone nell’album di Beck, Bogert & Appice? Fa la sua “porca figura” anche in questo Handmade Music come un dovuto omaggio al Jeff Beck rocker! Le due tracce bonus alla fine (nella versione limited da 12 pezzi) sono una leggera ma piacevole versione di Can(t) You Feel It? un brano scritto dallo scomparso Dan Hartman ma lo faceva anche, se non ricordo male (ho controllato, c’è), Johnny Winter in Still Alive And Well e proprio in Zona Cesarini un gagliardo slow blues Lowdown Ways che ritorna alle radici della musica di Lance Lopez e chiude in gloria quello che si può definire un buon album, nel suo genere, ovvero file under blues-rock!

Una curiosità finale: chissà se nel tour con Winter sfoggia ancora quel bel completino alla Zorro che aveva nel filmato del Rockpalast?   

Bruno Conti

Ben Ritrovato! Popa Chubby – Back To New York City

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Popa Chubby – Back To New York City –Mascot/Provogue – 18-10-2011

Questa volta Ted Horowitz ha cercato a fondo dentro di sè per ritrovare il Popa Chubby che c’è in lui (e ce n’è tanto!) e dopo una serie di dischi francamente deludenti (alcuni recensiti anche dal qui presente) ha estratto dalla bombetta un disco degno della sua fama. Già il titolo era una promessa, Back To New York City, ma questa volta anche il contenuto è assolutamente all’altezza delle aspettative per uno dei migliori chitarristi rock-blues in circolazione. Dagli esordi discografici ad inizio anni ’90 fino al triplo album dedicato a Jimi Hendrix, Electric Chubbyland, il nostro amico, tra alti e bassi, raramente aveva sbagliato un colpo e, in ogni caso, dal vivo la sua musica era rimasta viva e vibrante ma nei dischi in studio mancava quel quid che fa scattare la lode.

Negli undici brani che compongono questo nuovo album, nove originali e due cover di pregio, la qualità rimane elevata quasi costantemente e le idee, gli arrangiamenti e le esecuzioni sono nuovamente fresche e vivaci in modo palpabile, anche se ovviamente non ci dobbiamo aspettare innovazioni particolari. Il disco piace (almeno a chi scrive) già al primo ascolto e dal primo brano, una poderosa ed hendrixiana fino al midollo Back To New York City, accompagnato dai soliti Aj Pappas al basso e Dan Hickey alla batteria più il tastierista Dave Keyes, Popa Chubby inizia a creare la “solita” sequenza di assoli inventivi e tecnicamente sempre ricercati con una ritrovata voglia di fare del sano rock-blues per i suoi fans sparsi per il mondo. She Loves Everybody But Me è un torrido Texas boogie che riprende temi cari allo scomparso SRV di cui il “Chubby” è stato uno dei candidati alla successione come miglior “guitar slinger in town”, e la chitarra viaggia che è un piacere. Pound Of Flesh (saranno i suoi) è uno dei brani più belli dell’album, su un ritmo agile e variegato, con degli interventi mirati di organo, la band costruisce un arrangiamento che ricorda i migliori Cream, quelli di White Room, con continue rullate alla Ginger Baker e repentini cambi di tempo e la chitarra di Popa Chubby che assume tonalità inconsuete, il tutto sfocia poi in un inaspettato intervento all’acustica quasi in modalità flamenco, molto bello.

Warrior God è un’altra scorribanda chitarristica in “aria” ZZTop con la sezione ritmica che picchia di gusto e riff e assoli (anche con wah-wah) che si susseguono nella migliore tradizione del rock-blues di qualità. La prima cover è una bella versione di The Future di Leonard Cohen dove il vocione di Popa Chubby ben si adatta alla visione apocalittica della canzone, che oltre a tutto non viene stravolta più di tanto, solo punteggiata dalla solista ricorrente che ricorda per certi versi la versione di First We Take Manhattan che appariva in Famous Blue Raincoat di Jennifer Warnes con Stevie Ray Vaughan e Robben Ford alle chitarre e il “repent” ripetuto risuona assolutamente sincero. It’s About You è un altro brano che si rifà alla lezione imparata con Tom Dowd (il produttore di Clapton, Allman Brothers e Derek & the Dominos) ai tempi di Booty And The Beast e il nuovo batterista Hickey con il suo stile più tecnico ben si accoppia alla varietà degli arrangiamenti. Ottima anche A Love That Will Not That Die con delle belle aperture melodiche. Per Keep Your Woodpile Dry sfodera anche una inconsueta slide mentre anche Stand Before The Sun beneficia del ritrovato vigore con un organo insinuante tra le pieghe quasi prog del brano. She Made Me Beg For It è forse l’unico brano non memorabile, un funkettino piacevole mentre la conclusione è affidata all’altra cover, dal repertorio di Johann Sebastian Bach la rilettura di Jesus Joy Of Man’s Desire che è da tempo uno dei punti di forza del suo concerto e viene fissata in studio per i posteri.

Ben ritrovato, Popa! Recensione un po’ in anticipo, esce il 18 ottobre p.v.

Bruno Conti

Chitarristi, Questi Sconosciuti! Neal Black & The Healers – Sometimes The Truth

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Neal Black & The Healers – Sometimes The Truth – Dixiefrog/Ird

Mi sono già occupato di Neal Black in passato (nulla di minaccioso, semplicemente ho recensito alcuni suoi dischi). Texano di San Antonio ha registrato sei dischi (tutti per la DixieFrog), questo dovrebbe essere il settimo: i primi due (a inizio anni ’90) furono trattati particolarmente bene da Rolling Stone con resoconti da 4 stellette e la sua candidatura alla poltrona lasciata vacante da Stevie Ray Vaughan, come tanti prima, durante e dopo. La sua musica è un misto di Texas Blues-rock, atmosfere vagamente roots e intrise di swamp rock e voodoo, la voce roca e vissuta, sempre più segnata dalle intemperie della vita e una notevole abilità alla chitarre, acustiche, elettriche e resonator oltre che che a SRV lo avvicina al compianto John Campbell (un musicista poco noto al grande pubblico ma assai considerato dai colleghi musicisti e da noi appassionati).

Questo album, registrato tra New York e la Francia, è un ulteriore capitolo della sua saga musicale: si apre sulle atmosfere minacciose dell’iniziale New York City Blues, appunto un blues elettroacustico e con la partecipazione di Popa Chubby che duetta alla voce con lui e si occupa della chitarra acustica, un altro compagno di etichetta Nico Wayne Toussaint aggiunge il suono della sua armonica mentre Black si destreggia da par suo alla slide. Già da Lie To Be Loved (firmata come tutto l’album dallo stesso Black) il suono si fa più pressante e chitarristico con la solista di Black che disegna notevoli assoli e la ritmica che si destreggia abilmente tra ritmi boogie e passaggi più jazzati, sottolineati anche dalle tastiere di Mike Lattrell.

Nei brani registrati a New York, Black utilizza la sezione ritmica di Popa Chubby, il bassista AJ Pappas e il batterista Steve Holley, mentre lo stesso Popa è anche l’ingegnere del suono (non il produttore). Negli altri brani sono con lui i soliti Healers, Kim Yarbrough al basso e Vincent Daune alla batteria. Gustate la loro abilità nell’ottima Mississippi Doctor un altro di quei brani più vicini al suono voodoo di New Orleans che al suono texano, con la chitarra anche wah-wah di Black che si misura ancora con l’armonica di Nico Wayne Toussaint. Holiday Inn In Heaven sempre tra cimiteri e altre amenità del genere, è un altro brano lento di atmosfera con acustiche e slide sugli scudi mentre Chicken Shack Cognac è uno spiritato strumentale un po’ alla Albert Lee (tra country e rock) con la solista di Neal Black che duetta con un altro compagno di etichetta, l’ottimo Fred Chapellier, epigono del grande Roy Buchanan.

Yesterday’s Promises Tomorrow è il classico slow blues che non può mancare e la successiva Love And Money, il primo di una serie di duetti vocali e strumentali con Popa Chubby (che mi sembra tornato pimpante dopo una serie di dischi appannati e svogliati) che scalda la sua chitarra come ai tempi migliori ben coadiuvando il solismo brillante e variegato di Black. Gringo Bring Me Your Guns, con tanto di accordion è una bella border song ricca di pathos e buoni sentimenti. Buda, Texas Boogie come da titolo è un’altra scatenata sarabanda strumentale di chitarre tra la slide di Black e la solista di Popa Chubby, come viaggiano ragazzi! Left her in Dallas è un’altra bella slow blues ballad ancora con la presenza “massiccia” del buon Popa. Sometimes The Truth inizia come un brano di Tom Waits (anche la voce bassa e “spezzata” di Black contribuisce alla suggestione) e poi si evolve in una nuova e sinuosa visita alle paludi della Lousiana con l’armonica di Toussaint pronta alla bisogna.

Gli ultimi due brani vedono la presenza di un altro compagno di etichetta, Mason Casey che si disimpegna all’armonica e anche alla voce nel classico Goodbye Baby dal repertorio di Elmore James e l’unica cover presente, occasione immancabile per duettare ancora con Chapellier. Si conclude con lo strumentale Justified Suspicion, dove Casey e Popa Chubby hanno ancora ampio spazio a fianco della chitarra slide del titolare e al piano di Lattrell, per un finale raffinato e particolare che conferma la versatilità di questo ottimo musicista!

Bruno Conti

Un Paio Di Informazioni Utili – Hendrix Tribute Concert Con Popa Chubby E Nuovo Album Postumo di Solomon Burke

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Era un po’ di tempo che non mi dedicavo al Non Tutti Sanno Che… ma visto che oggi ho avuto un paio di informazioni interessanti da condividere, pubblico volentieri.

Partiamo con l’Hendrix Tribute Tour che dopo una prima apparizione estiva arriva anche a Milano (con un nuovo cast di musicisti) il 22 novembre 2010 al Teatro Ciak (prezzi 22.00 – 27.50). Si tratta di quello spettacolo itinerante che in giro per il mondo rende omaggio alla musica di Jimi Hendrix interpretata da musicisti di tutte le estrazioni musicali ma che hanno un unico Credo, amare l’opera del grandissimo Jimi. L’headliner della data italiana è il grande Popa Chubby (e non mi riferisco assolutamente alle dimensioni), uno dei migliori chitarristi in ambito rock-blues nel panorama mondiale. Per essere sincero gli ultimi album non mi hanno entusiamato (ma se siete anche lettori del Buscadero potete trovare molte mie recensioni del passato dedicate al musicista newyokese dove ne ho tessuto, giustamente, le lodi), chiusa parentesi anche figurativamente, occorre dire che però dal vivo rimane una vera forza della natura ed è anche titolare di uno spettacolare triplo CD Electric Chubbyland interamente dedicato alla rivisitazione del repertorio del mancino di Seattle, che sarebbe questo che vedete qua sotto (il CD).

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Se non lo conoscete ma siete appassionati della musica di Hendrix vi consiglio seriamente di farci un pensierino perchè ne vale le pena (esiste anche un DVD Popa Chubby Plays Jimi Hendrix At The File 7 sempre sullo stesso argomento).

Ma contrariamente a quanto evidentemente pensano gli organizzatori della serata non ci sarà solo Popa Chubby (ve lo dico perché avendo acquistato il biglietto riporta solo il nome di Popa Chubby) ma saranno presenti anche Tolo Marton, lo “storico” (senza offesa) chitarrista trevigiano, uno dei migliori interpreti della chitarra rock-blues in Italia, grande virtuoso dello strumento, non mancherà anche Vic Vergeat uno dei massimi cultori del power-trio internazionale già leader nei tempi che furono degli svizzeri Toad (ma lui è nato a Domodossola) e, last but not least, come dicono quelli che parlano bene l’inglese, Danny Bryant, chitarrista di provenienza britannica anche lui grande axemen forse il più orientato verso il Blues ma nei sette album che compongono la sua eccellente discografia (anche lui trattato da chi scrive sul Busca) capace di furori e tributi Hendrixiani. Che dire? Intervenite numerosi!

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Passando ad un altro argomento che riguarda una fresca dipartita, quella di Solomon Burke, volevo anticiparvi l’uscita per la Universal il 16 novembre del nuovo album Hold On Tight e riferirvi che non si tratta della solita operazione di sciacallaggio che spesso si scatena alla morte di un personaggio famoso. Il CD in questione doveva già uscire in questo periodo e il viaggio di Burke ad Amsterdam sarebbe servito proprio per il lancio di questo nuovo album registrato proprio in Olanda con i De Dijk, che sono un gruppo locale di qui il buon Solomon si era innamorato e aveva voluto registrare un album con loro. In pratica le canzoni dei De Dijk sono state tradotte dall’olandese in inglese e ri-registrate per l’occasione con la non trascurabile aggiunta della straordinaria voce di Solomon Burke, per l’occasione il grande soulman ha anche composto un nuovo brano Text Me che resterà il suo canto del cigno. Non manca un ospite di nome, un suo grande fan, che lo ha voluto spesso nella sua trasmissione Later with Jools Holland, il pianista britannico appare nel brano What A Woman. Siccome vedo delle faccine furbe ( e informate) vi segnalo che il disco in Olanda è già uscito il 1° ottobre, la data di cui sopra si riferisce al mercato italiano. E questo è  la canzone in questione watch?v=uVwKawBbcno, la voce è ancora incredibile rendendo più triste la sua recente dipartita quando era in piena attività. Eccolo sul palco (la qualità video non è fantastica, ma chissenefrega) con i De Dijk in una struggente Don’t Give Up On Me e in una trascinante Everybody Needs Somebody To Love. So Long Solomon!

E’ tutto anche per oggi.

Bruno Conti