Un Album Maledetto? Danger Mouse & Sparklehorse – Dark Night Of The Soul

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Danger Mouse & Sparklehorse Present Dark Night Of The Soul

Devo ammettere di non essere uno dei più grandi fan dell’opera omnia di Brian Burton (aka Danger Mouse) ma, di tanto in tanto, le sue produzioni mi hanno prima incuriosito e poi interessato: per i due o tre che non lo sanno Danger Mouse è quello di Crazy, uno dei singoli di maggior successo dell’ultima decade ma ha anche collaborato con Sparklehorse, Gorillaz, The Good, The Bad & The Queen, Black Keys (compreso l’ultimo, eccellente, Brothers), Beck e Broken Bells tra gli altri, quindi vari nomi interessanti e validi.

Questo progetto Dark Night Of The Soul prende lo spunto da un poema omonimo scritto nel 16° secolo da San Giovanni della Croce, un mistico spagnolo che ha voluto rappresentare questa “Notte oscura dell’anima” come quella fase, nella vita spirituale di una persona, in cui la solitudine e la desolazione prevalgono sugli altri sentimenti, ovviamente sotto forma di metafora e relativamente soprattutto al Cristianesimo (per chi vuole approfondire, ovviamente ci sono molti testi al riguardo).

L’idea alla base di questa rappresentazione è di Mark Linkous, il non dimenticato leader degli Sparklehorse, scomparso suicida nel marzo di quest’anno, dopo una vita segnata da molte tragedie personali e caratterizzata dalle conseguenze di una overdose avuta nel 1996 in una camera di albergo che lo ha lasciato su una sedia a rotelle per alcuni mesi e poi con seri problemi alle gambe per il resto della sua vita. Un altro dei partecipanti a questo album, Vic Chesnutt, è morto suicida a Natale dello scorso anno dopo una vita visssuta in circostanze più o meno analoghe a quelle di Linkous.

Per questo nel titolo ho accennato ad una sorta di “maledizione” che ha colpito questo disco; in effetti l’album sarebbe dovuto uscire (è uscito, in parte!) lo scorso anno come una sorta di progetto multimediale con la partecipazione di David Lynch, autore delle foto nel libro di 100 pagine e “cantante” in un paio di brani di questa miniopera.

Linkous, per motivi personali, non ha voluto apparire come cantante in questo CD e quindi una serie di amici e ammiratori della sua opera si è alternato nei vari brani.

Devo dire che, prima di sentirlo, ero piuttosto scettico su questa operazione invece mi devo ricredere, il disco è molto bello, “strano” ma non più di tanto e la rivista inglese Mojo lo ha eletto disco del mese nel numero in edicola questo mese non senza motivo: si tratta di un album intenso, molto vario ( e non poteva essere diversamente visto il numero dei partecipanti coinvolti), ma con una sua logica.

Molti dei partecipanti che sono stati scelti per rappresentare i brani di Mark Linkous hanno delle attitudini vocali non lontane da quelle dell’autore ma non è sempre così: Danger Mouse si limita a imporre quella patina di “modernità” nel filtraggio delle voci, nell’uso moderato dell’elettronica e di effetti “statici” qua e là, ma la sua produzione è molto misurata nell’insieme.

E così ascoltiamo, nell’iniziale Revenge, Wayne Coyne dei Flaming Lips, in un brano caratterizzato da una ritmica esuberante vagamente reminiscente del Lennon di Plastic Ono Band o dei Pink Floyd dei mid-seventies, un leggero falsetto, una voce filtrata dall’eco e pochi altri effetti per una bella ballata, semplice e immediata che è uno dei brani migliori dell’album che ha altre vette ma parte bene.

Just War è cantata da Gruff Rhys dei Super Furry Animals con sonorità quasi beatlesiane, lievemente “psichedeliche”, dolci e ondeggianti, molto “serene, suono che rimane molto simile anche nella successiva Jaykub cantata da Jason Lytle dei Grandaddy, questo psyco-pop molto avvolgente e con melodie vocali espansive e assai curate, tra tastiere vintage, chitarre elettriche e “moderna” elettronica vince in questa sua sorprendente semplicità. Il trittico iniziale è molto “positivo” e vincente.

Non sono un ammiratore di Julian Casablancas ma devo ammettere che la sua prestazione è più che adeguata nel rock elettronico della “svelta” Little Girl che ci regala anche un convenzionale e pungente assolo di chitarra elettrica in puro stile rock ma con venature wave fine anni ’70. Black Francis dei Pixies e Iggy Pop fanno loro stessi e ci regalano i momenti più “duri” di questa raccolta: Angel’s Harp è un brano quasi alla Nirvana o Pixies se preferite, con chitarre tirate, ritmica violenta e cantato quasi grunge, mentre quello di Iggy Pop, Pain è un omaggio alla sua produzione Bowiana anni ’70 ma anche alle sonorità di certi gruppi inglesi anni ’70 (secondo alcuni assomiglia moltissimo a Shot By Both Sides dei Magazine, un brano del catalogo EMI che potrebbe essere all’origine del contenzioso tra la casa discografica e Danger Mouse), comunque rimane una delle migliori performances degli ultimi tempi dell’Iguana.

Star Eyes è il primo contributo di David Lynch, un’altra piccola variazione sul tema neo-psichedelico dell’album, con la voce filtrata del regista che potrebbe essere di chiunque tanto è irroconoscibile, non memorabile ma neppure malvagio. Everytime I’m With You cantata ancora da Lytle è una più sofferta rappresentazione dello stile di Linkous, mentre Insane Lullaby cantata da Jason Mercer degli Shins (e dei Broken Bells) è una sorta di ninna-nanna futuribile molto carica nelle sonorità costruite dal produttore Danger Mouse.

Daddy’s Gone, un duetto tra Linkous e Nina Persson dei Cardigans, vagamente country e nuovamente beatlesiana al contempo, è un’altra piccola perla pop con archi esuberanti e quella scrittura più leggera che ha sempre caratterizzato lo stile di Linkous nei dischi degli Sparklehorse.

Una sospirosa e francamente irriconoscibile, tanto è filtrata la sua voce, Suzanne Vega, contribuisce al brano con il titolo più intrigante del disco, The Man Who Played God, non tra le più riuscite del disco devo dire. Grim Augury con la voce sgraziata e inconfondibile di Vic Chesnutt che aggiunge al fascino insalubre del brano un significato recondito postumo e Dark Night Of The Soul ancora “cantata” da un filtratissimo Lynch concludono su una nota pessimistica questa opera postuma nata dalla collaborazione di Danger Mouse e Mark Linkous.

Una operazione strana e inconsueta ma affascinante, da domani nei negozi.

Volendo, potete sentire, prima di decidere l’eventuale acquisto, l’intero album in stream qui NPR’s stream of the album

Bruno Conti

Delizie Pop Estive Canadesi. Sarah Harmer – Oh Little Fire

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Sarah Harmer – Oh Little Farmer – Zoe/Rounder/Universal

A quel pop del titolo potete aggiungere senza timore folk, country e rock e avrete un’idea di quello che vi aspetta e se già la conoscete non insisto ulteriormente. Per i novizi vorrei citare come punti di riferimento ma non necessariamente di ispirazione e in ordine sparso, Suzanne Vega, Feist, Laura Veirs, ma anche i connazionali canadesi Blue Rodeo e Bruce Cockburn con cui Sarah Harmer ha collaborato.

Al sottoscritto ricorda, come approccio musicale, se non come voce e genere completamente, la bravissima Aimee Mann con cui condivide un inizio carriera all’interno di un gruppo, nel caso della Mann i ‘Til Tuesday (dove era la regina glamour del pop statunitense anni ’80, poi quanto diversa la carriera solista, per i meno attenti Aimee Mann è quella della colonna sonora di Magnolia e di tanti altri dischi bellissimi) mentre per Sarah Harmer parliamo dei meno conosciuti Weeping Tile che hanno pubblicato un paio di dischi negli anni ’90.

Vi dico ciò perché questo Oh Little Fire segna un spostamento (o un ritorno) ad atmosfere più leggiadre e pop dopo il folk dell’album I’m A Mountain del 2005 che aveva avuto ottimi riscontri critici. Questa pausa di cinque anni è stata usata per l’altra grande passione della Harmer, l’amore per l’ecologia ambientale per la quale svolge varie campagne di sensibilizzazione nel nativo Canada e in giro per il mondo.

Il richiamo per la musica è stato comunque irresistible e questo disco è comunque un piccolo gioiellino di pop cantautorale (l’ho detto ancora, lo so) misto a testi ricercati e alle altre influenze di cui vi dicevo.

Il suono è molto fresco ed estivo, adatto alla stagione in cui vede la luce il disco: le iniziali The Thief e Captive, con la collaborazione delle voci  e tastiere dell’amica canadese Julia Fader e con la produzione di Gavin Brown che ha tra i suoi clienti anche i Metric (il cui cantante James Shaw peraltro appare nel disco come ospite), sono molto poppy ma deliziose e potrebbero addirittura allietare le onde radio della nostra estate, soprattutto Captive che ha un ritornello inesorabile nella sua leggera piacevolezza (avete presente  1 2 3 4 di Leslie Feist, canadese pure lei).

Dopo la pausa folk di New Loneliness, sussurrata nel miglior Suzanne Vega style della prima ora si torna ai babà sonori, forse troppo leggeri e zuccherosi ma piacciono anche delle pause più leggere nella musica che ascolto, One Match è puro pop ma perfetto e preciso, con il suo stacchetto di chitarra elettrica nella parte centrale, le armonie vocali delicate e le pause e ripartenze, difficile fare delle canzoni pop migliori. Nella successiva Careless ci si avvicina molto. Washington, con il suo cantato strascicato e i ritmi country-rock non sfigurerebbe in un disco di Neil Young (altra influenza) o dei Blue Rodeo (spesso compagni di avventure) con le sue belle chitarre aperte e un organo insinuante.

Late Bloomer ricorda ancora quelle atmosfere tra pop e rock che ti risucchiano nelle loro armonie senza tempo e la voce della Harmer, spesso coadiuvata da una seconda voce femminile , è una piccola delizia sonora, sicura e leggera come poche nel panorama attuale. Per The City non posso che ripetere quanto detto per il brano precedente, forse potrei aggiungere che mi ricorda anche la deliziosa Carlene Carter (figlia di Johnny Cash e moglie di Nick Lowe, uno che di pop se ne intendeva) ma anche la Mary Chapin Carpenter meno country, quelle voci vispe e brillanti.

Un’altra che ha una voce molto bella,  Neko Case, si presenta all’appello per registrare un duetto Silverado, che è un piccolo capolavoro di equilibri vocali e sonori, con le due voci che si rincorrono e si sovrappongono su un tappeto country con tanto di pedal steel, magnifica canzone. The Marble In Your Eye è un’altra delizia in salsa folk-rock con un ritornello circolare e una musica che ti abbraccia e ti coccola delicatamente.

La conclusione è affidata a It Will Sail altro piacevole esempio di folk pop acustico colorato da un intermezzo di tromba quasi alla Bacharach, troppo? Va bene facciamo alla Herb Alpert.

A me piace parecchio, spero che delizierà i vostri viaggi e le vostre serate estive (ma anche il resto dell’anno).

Bruno Conti

Master Of Telecaster! Ronnie Earl – Spread The Love

 

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Ronnie Earl and the Broadcasters – Spread the love – Stony Plain Records

Se John Hiatt ha fatto un disco che si chiamava Master of disaster, Ronnie Earl ne potrebbe ben farne uno intitolato Master of Telecaster, ma per il momento accontentiamoci, si fa per dire, di questo Spread the love!

Diavolo di un Ronnie Earl, anche stavolta mi ha fregato! L’uomo è inesorabile, ogni paio d’anni esce un suo nuovo album, tu lo ascolti e dici: “mi sembra uguale a quello precedente”, poi lo riascolti e pensi, però, non male. Lo riascolti una terza volta e ti comincia a entrare sottopelle, perché sarà anche la stessa musica ma è fatta veramente bene, suonata con una tecnica e un feeling unici, tanto che già al primo ascolto sai che si tratta di lui.

L’album precedente, l’ottimo Living In The Light aveva introdotto delle piccole novità sotto forma di alcuni brani cantati dove si alternavano alcuni talenti emergenti e l’amico Kim Wilson, questa volta ritorno al classico per Ronnie Earl.

Ho un Cd promo senza nessuna informazione per cui non vi so dare molte notizie, vado a naso e ascolto e devo dire che quello che sento mi piace: il nostro amico è come un gusto di gelato, quello vostro preferito, sempre uguale ma quanto ti piace, ogni volta è una goduria assicurata, non ti stanchi mai.

Se vi dovessi dire quale è il mio disco preferito di Ronnie Earl non vi saprei dire quale,vi direi l’ultimo forse, perché ogni volta cambia e non ti stanca mai.

Anche stavolta c’è lo shuffle iniziale, Backstroke, con la consueta accoppiata organo/chitarra che ricorda i grandi del passato,in particolare l’autore Albert Collins c’è il brano per sola chitarra elettrica e basso, Blues For Dr. Donna, millimetrico nella sua precisione tecnica e nel controllo del suono, c’è il brano Chitlins Con Carne uno strumentale jazzato di Kenny Burrell che è stato suonato da molti grandi chitarristi, la versione più famosa è, forse, quella di Stevie Ray Vaughan sull’album The Sky is Crying, questa rivaleggia con quella cover per nitidezza del suono e destrezza tecnica.

Cristo Redentor era un vecchio brano di Harvey Mandel, geniale chitarrista dei Canned Heat e autore di una serie di dischi strumentali molto meditativi nei primi anni ’70: Ronnie Earl mantiene quello spirito di serenità totale che aleggiava nei solchi originali, una compostezza mai scalfita dai dubbi. Happy è un vivace brano dalle sonorità latineggianti dove l’organo tanto mi ha ricordato il Gregg Rolie dei brani strumentali dei Santana dei primi album, semplice ma affascinante, poi entra la chitarra di Earl, più misurata e meno esuberante di quella di Carlos ma sempre molto lirica e l’atmosfera ricorda molto quella di brani come Samba Pa Ti o Song For The Wind con quel crescendo inesorabile ma allo stesso tempo orecchiabile.

Patience è un altro lento dall’andatura molto serena e spirituale, tipico del repertorio di Ronnie, con un misurato utilizzo del vibrato e con l’organo che doppia la chitarra con grande maestosità, fino all’inevitabile e superbo crescendo finale che ti sommerge sotto un mare di note.
Miracle è un’altra variazione sul tema, quei lenti che tanto ricordano il vecchio Roy Buchanan e il già citato Santana, con la chitarra che costruisce le sue geometrie sonore con assoluta naturalezza senza forzature ma con una maestria tecnica superba, un assolo di quelli che ti lasciano con la mascella a terra.

Spann’s Groove è un sentito omaggio al grande pianista nero Otis Spann, uno dei maestri del blues e per lunghi anni nella band di Muddy Waters, ma collaboratore a ripetizione anche con i Fleetwood Mac di Peter Green: quindi questa volta un brano dal chiaro impianto bluesato con la chitarra di Earle impegnata a duellare con un piano molto vivace. Senza soluzione di continuità si ritorna ad un altro di quei lunghi brani lenti che caratterizzano questo album (ma in generale la discografia di Ronnie Earl): il brano in questione si chiama Skyman, scritta in tributo al grande Duane Allman è una ulteriore variazione sul tema, questa volta col piano a duettare con la chitarra.

L’album si chiude con un quartetto di brani più blues oriented già dal titolo: Blues For Slim uno slow blues molto vivace, Tommy’s Midnight Blues più rilassata e in un punta di dita, Blues For Jackie Robinson di nuovo solo per chitarra e basso e la conclusiva Blues For Bill, di nuovo uno shuffle con organo e chitarra sugli scudi.
Sapete tutto, l’unica cosa che manca è la pazienza, il disco esce il 24 agosto.

Bruno Conti

Non Solo Blues. La Svizzera Colpisce Ancora. Napoleon Washington – Mud and Grace

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NAPOLEON WASHINGTON
Mud & Grace
Dixiefrog records/Ird
***
Non ho ancora capito se questo disco mi piace o no, ma propenderei per il sì. L’ho sentito alcune volte ma non sono riuscito a farmene un’idea precisa per cui vi riferisco le mie impressioni.
Terzo disco per questo signore Napoleon Washongton, svizzero, di La-Chaux-de-Fonds, chitarrista dallo stile inconsueto, cantante ancora più non convenzionale, un momento sembra un Prince Blues con un falsetto particolare il momento successivo Tom Waits o Willy De Ville con una voce grave e profonda, bel personaggio anche…

Suona una National Guitar dal corpo d’acciaio con una tecnica misurata e minimale, il massimo risultato con il minimo sforzo, un sound molto “economico” ma efficace.
Si parte dalle atmosfere sognanti, quasi tribali, affascinanti, dell’iniziale Come Down, Blues un brano “quasi” strumentale, con un breve passaggio sussurrato che aggiunge fascino a questa inconsueta visione del blues che si reitera nella “misteriosa” Ashes from ashes dove il cantato oscilla tra il sussurro e questo falsetto vagamente Princiano, il tutto su una base strumentale molto scarna ma complessa al tempo stesso con Washington che si divide tra l’acustica slide e un’elettrica essenziale.
In Blue Curls of Smoke sfodera una voce a metà tra Tom Waits e un bluesman primigenio aprendo anche verso territori più melodici, watch?v=e0FglxIh3C8 vagamente paludosi, nel senso di Lousiana, ma sempre inconsueti e spiazzanti, pur rimanendo una musica fruibile e anche godibile.
Mud and Grace è un altro esempio dello stile minimale che pervade questo album, percussioni ridotte all’osso, delle chitarre che si rincorrono, quella voce vagamente inquietante e ritmi spezzati.
The day I get To Monroe distilla ancora di più il suono, la voce acquista una nuova “urgenza”, questo desiderio di arrivare all’essenza del blues, ma non solo.
Salt Water dall’ambientazione vagamente gospel, potrebbe davvero essere una traccia perduta dell’opera di Tom Waits. Peephole dawn, una voce disperata, un piano e un contrabbasso e la solita National accarezzata con languore dal nostro amico aggiunge fascino ulteriore a questo strano progetto.
Perché ho parlato di progetto? In effetti il CD ha un libretto molto corposo con una grafica assai elaborata e risponde all’altra passione di Napoleon Washington che ha reso disponibile sul suo sito anche una versione grafica in movimento con le liriche e i disegni che acquistano vita e possono essere manipolati dal “lettore”.
L’unica cover è quella di un bellissimo brano di Zachary Richard, Big River riletto in versione cantautorale, solo voce e piano, molto bella! Un altro momento molto raccolto è quello offerto nella piccola perla acustica intitolata The Top Of The Shelf.
Write Yourself A Letter è un bel blues quasi tradizionale mentre My Love Is Like A Tree è una ulteriore variazione acustica di questo “strano” personaggio sul tema del blues e dei suoi dintorni.
Chiude Some Say They Have To, dove tra clarinetti e marimbe, aleggia questa benevola pazzia sonora.

Vedete voi, mi sembra che meriti

Bruno Conti

Nel Frattempo. Joe Pug

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Vi ho già parlato in un paio di occasioni di Joe Pug, eccellente cantautore originario di Chicago (il 28 novembre dello scorso anno e il 27 gennaio del 2010): “nel frattempo” il 16 febbraio è uscito il suo primo album Messenger che ha goduto di recensioni più che buone in tutto il mondo, confermando quello status tremendo di “Nuovo Dylan” che il sottoscritto, come altri, aveva collegato alla sua musica.

Non era un atto di cattiveria pura come legargli una pietra al collo, gettarlo in acqua e dirgli “E adesso nuota”, ma quasi, visti i precedenti anche illustri. Voleva essere un augurio e un auspicio visto che il talento c’è ed è indubbio, solo una indicazione per lettori ed appassionati di musica.

Mi sono anche iscritto alla newsletter del suo sito che è peraltro molto discreta, non invasiva e viene inviata solo se ha qualche informazione da darvi, circa una volta al mese.

L’ultima è del 29 giugno e informa che nel suo tour americano, dove è accompagnato dal suo gruppo The Hundred Mile Band, per aumentare le speculazioni dylaniane, si è aggiunto alla formazione il mitico Rayland “Bucky” Baxter, pedal steel guitar, mandolino e violino e compagno di mille avventure con Bob Dylan nel Never Ending Tour.

Presenta anche una nuova canzone Burn And Shine e relativo video, girato al Dolan’s Warehouse di Limerick in Irlanda, dove il brano ha fatto il suo esordio.

Ma, ed è la parte che più mi interessa, c’è anche un breve paragrafo intitolato Department of the Illogical che non traduco visto che si capisce chiaramente, dove ci informa e si chiede il perché (e anche noi ce lo chiediamo): dal prossimo mese iTunes renderà disponibile l’EP In The Meantime. Una cosa che non ha senso, aggiunge, visto che detto EP è disponibile per il dowload gratuito sul suo sito da circa un anno.

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Dato che il giochetto In The Meantime/Nel Frattempo è stato svelato vi ricordo di nuovo l’indirizzo del suo sito, anzi vi do il link diretto per scaricare l’EP http://www.joepugmusic.com/2009/06/new-in-the-meantime-ep-available-free/.

Ripeto, si tratta di una newsletter discreta e non fastidiosa che contiene solo buona musica, qualche video e tante notizie, quindi…

Bruno Conti

Per Chi Ama La Pop Music Di Classe…Crowded House – Intriguer

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Crowded House – Intriguer – Mercury/Fantasy/Universal

In effetti il titolo completo del Post avrebbe dovuto essere “Per chi ama la musica pop di classe ma non è un modaiolo!”, ovvero “si può sentire anche se non è il disco del giorno, della settimana e del mese e loro, lui, i Crowded House, sono in giro da quasi venticinque anni”

Venticinque anni e questo è solo il settimo album (antologie e live escluse): ma la storia si fa molto più lunga se risaliamo agli Split Enz che sono già in circolazione dalla prima età degli anni ’70 ma erano più una creatura di Tim Finn, il fratello maggiore di Neil Finn, più orientati verso un rock progressivo sempre percorso da grandi aperture melodiche, ma questa è un’altra storia.

Comunque i Crowded House nascono dalle ceneri degli Split Enz, con Tim Finn e il batterista Paul Hester (morto suicida nel 2005) membri fondatori a cui si sarebbero poi aggiunti il bassista Nick Seymour e il secondo chitarrista e tastierista Mark Hart. Sembrano dettagli ma i nomi sono importanti, se nei Beatles al posto di Lennon & McCartney ci fossero stati, che so, gli italo-americani Calogero Stropparelli e Peppino Lomedico non sarebbe stata la stessa cosa, siamo d’accordo.

Perchè mi tiri fuori i Beatles proprio adesso? Non sarà mica perché i Crowded House sono stati spesso definiti i Beatles Down Under e il loro leader è considerato una sorta di gemello di Paul McCartney tenuto in embrione criogenico alla nascita e gettato una decina di anni dopo in Nuova Zelanda? Sì, è proprio per quello!

Questo nuovo album li riporta, quasi, ai fasti del passato dopo l’album di transizione Time On Earth che doveva essere un album solo di Tim Finn e poi è uscito con il marchio Crowded House. Nel frattempo Finn ha pubblicato quello stupendo doppio album intitolato Seven Worlds Collide dove ha collaborato con moltissimi musicisti ma, soprattutto, credo con Jeff Tweedy e i suoi Wilco.

Mi stupisce che nessuna recensione abbiamo colto questa analogia, considerando che il produttore dell’album è quel Jim Scott che ha prodotto il progetto 7 Worlds Collide e l’ultimo omonimo album dei Wilco, inserendo nel sound della band quelle sonorità più moderne e ricercate, quasi futuribili che hanno arricchito le ultime produzioni della band di Tweedy senza snaturare troppo l’anima melodica, Beatlesiana (lato Mccartney) di Finn.

Non solo, al disco collaborano anche Lisa Germano, al violino e alle armonie nella delicata e complessa al tempo stesso Archer’s Arrow, ma anche il chitarrista, compositore e a lungo collaboratore di Aimee Mann, Jon Brion che appare nella bellissima Twice if You’re Lucky un luminoso esempio di perfezione pop, da sempre uno dei neppure troppo reconditi desideri di Neil Finn, un instancabile cesellatore di melodie al contempo dense e stratificate e leggere e godibilissime, il pop perfetto che tanto si ricerca dai tempi di Beatles e Beach Boys.

Si diceva di questa patina di sound più “contemporaneo” che fa capolino qui e là nei brani di questo Intriguer: l’iniziale Saturday Sun, il singolo (se si può usare ancora come definizione) con sintetizzatori, bassi trattati, vocoder! e altre moderne diavolerie si fonde con il gusto innato per la melodia di Finn e le improvvise impennate vocali alla McCartney condite da un muro di chitarre acustiche e elettriche che si fondono con le tastiere.

Amsterdam è una malinconica ballata dove la voce di Finn è doppiata da una voce femminile (la moglie Sharon?)e impreziosita da un breve assolo di chitarra che richiama le sonorità dei Wilco, mentre Either Side Of This World è un altro delizioso esempio di quella ricerca della perfetta pop song (che nel passato ha prodotto Weather With You e Don’t Dream It’s Over, in Italia più nota come Alta marea del buon Venditti), qui, su un tempo vagamente di samba ma che ricorda anche Love Is in The Air dell’australiano John Paul Young, Neil Finn ricrea ( e cita) le atmosfere di quei vecchi successi, Antonello prendi nota.

Falling Dove ha degli agganci iniziali con il Paul Simon solista ma poi prendono il sopravvento quegli omaggi stilistici inconfondibili a Paul McCartney ma quello più ispirato e ricercatore di sonorità complesse stemperati nella grande classe del nostro amico Kiwi.

Isolation fluttua tra le atmosfere sognanti degli australiani Church con richiami alla Via Lattea e la solita voce femminile che rende il tutto etereo e delicato, fino all’ingresso di una chitarra elettrica che si fa sempre più aggressiva fino alla coda psichedelica del duetto di soliste con il figlio Liam che di nuovo ricorda i già citati Wilco. Anche Inside Out avrebbe fatto la sua bella figura nella seconda facciata di Abbey Road! (ma sempre con Tweedy e soci nei dintorni (musicali).

Per i più attenti c’è anche una versione Deluxe con DVD aggiunto con otto brani dal vivo in studio (simpaticamente chiamati Upstairs At Home, visto che sono stati registrati negli studi contenuti nella casa di Neil Finn), due dal vivo alla Auckland Town Hall e il video per Saturday Sun, che vedete qua sotto, o se preferite dal vivo da Jools Holland watch?v=esP6uVVwQ-c

Bruno Conti

Prima E Dopo La Cura. Delaney & Bonnie – On Tour With Eric Clapton

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Delaney & Bonnie – On Tour With Eric Clapton Deluxe Edition – Box 4 CD Rhino Handmade 27-07-2010

Come vi avevo accennato nel post dedicato alle novità di luglio tra i tanti dischi presi in considerazione uscirà anche questo cofanetto commemorativo per i 40 anni dall’uscita di questo disco: la data originaria era il giugno 1970.

Il disco era uscito come un singolo album, otto pezzi per una durata totale di circa 42 minuti e comprendeva solo una parte del concerto tenuto il 7 dicembre del 1969 alle Fairfield Halls di Croydon, nel Regno Unito, anzi, alcuni brani tratti dai due concerti tenuti in quel giorno.

La storia dice che Clapton aveva sentito parlare di Delaney & Bonnie, una sorta di rock & soul revue da alcuni amici americani e li aveva voluti a tutti i costi come gruppo di apertura per il tour del suo nuovo gruppo, i Blind Faith.

in seguito si era talmente innamorato della musica di questo gruppo da volerlo fare suo, e poi ci riuscirà (li considerava musicisti nettamente superiori musicalmente ai Blind Faith, avete presente Clapton, Steve Winwood, Ginger Baker e Rick Grech? Ma questo faceva parte della sindrome da Hendrix di Clapton! Da “Clapton is God” all’avvento del mancino di Seattle che aveva scatenato una sorta di complesso di inferiorità in Eric, ma di Jimi ce n’era uno solo e veniva da un’altra galassia),questa passione era nata quasi contemporaneamente alla quella per la Band, per cui nutriva una sorta di venerazione. Non essendo potuto entrare nella Band, e qui è rimasta famosa una frase di Robbie Robertson (che è diventato poi un suo grande amico) che, laconicamente, ad una velata richiesta di “Manolenta” di entrare nel gruppo, rispose “We don’t jam”.

Nell’inverno del 1969 Delaney & Bonnie che tecnicamente erano una sorta di revue quindi un gruppo dall’organico libero e fluttuante si presentano per un breve tour della Gran Bretagna con una nuova formazione e che formazione. Oltre ai coniugi Delaney & Bonnie Bramlett (che avevano già pubblicato un paio di abum, Home e Accept No Substitute, entrambi nel 1969) ci sono dei musicisti, effettivamente fantastici, Carl Radle e Jim Gordon sono la sezione ritmica, Bobby Whitlock è uno dei tastieristi, l’altro è Leon Russell, una sezione di fiati con Bobby Keys e Jim Price, esatto quelli che poi suoneranno per tantissimi anni con i Rolling Stones. Chi altri? Rita Coolidge è la seconda voce femminile. Ah dimenticavo gli altri chitarristi! Di Eric Clapton abbiamo detto, ma c’erano anche Dave Mason dei Traffic e un tale Angelo Misterioso, per motivi contrattuali ma all’anagrafe noto come George Harrison.

Proprio Harrison, con Clapton, era stato uno dei principali fautori della venuta del gruppo in Inghilterra, anzi gli aveva pure fatto firmare un contratto per la Apple, peccato che contemporaneamente ne avessero uno anche con la Elektra, che, devo dire, non fu molto contenta. Infatti poi il disco dal vivo uscì per la Atco che era l’etichetta americana di Clapton.

Il box della Rhino Handmade che uscirà a breve ed è prenotabile solo sul loro sito delaney-bonnie-on-tour-with-eric-clapton-deluxe-edition, contiene 52 brani rispetto agli otto della versione originale, costa una sproposito (circa 80 dollari più le spese di spedizione) ed è destinato ai famosi “pirla” Mouriniani che ricomprano sempre le stesse cose (ma non solo come chi legge questo Blog avrà notato): quindi anche il sottoscritto ha fatto il suo bell’ordine e attende fiducioso l’arrivo del manufatto, ho anche preparato il mio bel tappeto con la scritta Welcome per il postino.

Quando arriva, poi ne riparliamo con dovizia di particolari anche se la cosa che salta all’occhio subito è che il programma dei 4 concerti è, più o meno sempre lo stesso, quindi i brani sono ripetuti sui 4 CD più volte anche se, come hanno detto vari grandi musicisti, nessuno esegue lo stesso brano due volte allo stesso modo. Magari sarà il caso di ascoltarli in giorni diversi per avere sempre nuove, piacevoli sensazioni.

Per concludere volevo rispondere a Matteo che ha messo un commento sul Post dedicato a Drake. Ovviamente il titolo del post poneva una domanda retorica, so benissimo, purtroppo ( e ho sentito ahimé), chi sia tale Drake! Visto che l’ironia è una delle poche armi rimaste ho usato quella. Francamente, se hai letto altri post del Blog, avrai notato che di Vasco Rossi e Ligabue non me ne può fregare di meno, ma messo di fronte ad una scelta tra loro e Drake saprei chi scegliere. Drake, ovviamente! Non sapevo facesse il gelataio.

Bruno Conti

Non Si Può Fare Meglio Di Così! John Mellencamp – No Better Than This

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John Mellencamp – No Better Than This – Rounder/Universal 17-08-2010 USA – 24-08-2010 Italia

Prima di parlare del disco una precisazione sulla copertina: il “beato fra le donne” immortalato sulla cover del CD da mamma Elaine è il quarto figlio di Mellencamp, Hud (che era il ragazzino sulla copertina di Trouble No More del 2003) che si gode la bella compagnia, d’altronde No Better Than This.

Questo è il secondo album consecutivo di studio di Mellencamp prodotto da T-Bone Burnett dopo Life, Death, Love And Freedom ed è un signor disco! Però, c’è un però… non è sicuramente un disco facile, quando verrà il momento di ascoltarlo per tutti voi tra un mesetto e mezzo (un Bruno recensore sadico) il primo e forse anche il secondo ascolto potrebbero risultare alquanto ostici agli amanti del Mellencamp rocker ruspante per quanto già in passato le “radici” della musica americana hanno fatto spesso capolino nei suoi dischi.

Non temete, perseverate e, spero, sarete premiati dall’ascolto di un disco sicuramente di notevoli qualità.

La genesi del disco risale all’incirca ad un anno fa (qualcosina di più) quando Mellencamp partecipa al tour 2009, in alcune date, di Bob Dylan (esperienza che ripeterà quest’anno): la vicinanza con Mr. Dylan ( e Willie Nelson, c’era anche lui, peraltro soci fondatori con Neil Young del Farm Aid) ha risvegliato nel nostro amico il desiderio di risalire alle fonti della musica popolare americana, quella delle origini, il country, folk e blues degli anni ’30 e ’40 e il rock’n’roll e rockabilly degli anni ’50.

Se il tuo socio di avventura è T-Bone Burnett è ovvio che la cosa verrà portata fino alle estreme conseguenze: apparecchiature vintage, luoghi “storici” che hanno fatto la storia della musica, sonorità il più possibile vicine alle “fonti”, registrato in Mono e poi riprocessato da Burnett per gli impianti moderni. La grande differenza la fanno le canzoni: i tredici brani sono tutti originali scritti da Mellencamp per l’occasione, nessuna cover ma un’impronta musicale il più possibile vicina a quella dei grandi del passato.

Le tre locations prescelte per registrare l’album sono la First African Baptist Church a Savannah (la prima chiesa americana fondata da Neri americani addirittura prima della Rivoluzione quando i suoi componenti erano ancora tutti schiavi), i mitici Sun Studios di di Memphis, Tennesse, quelli di Sam Phillips, da dove tutto il R&R ha avuto le sue origini, quelli di Elvis Presley, Carl Perkins, Johnny Cash e Jerry Lee Lewis, il Million Dollar Quartet, che sono stati riadattati per l’occasione utilizando i segni originali che Phillips utilizzava per i suoi protetti, una croce per terra qui per il cantante, un’altra lì per la sezione ritmica, l’ultima laggiù per il chitarrista. Per finire la stanza 414 del Gunter Hotel di San Antonio, Texas dove nel novembre del 1936 Robert Johnson registrò i suoi primi nastri per la Brunswick Records.

Il brano scritto per questa registrazione si chiama Right Behind Me, “Proprio Dietro Di Me” e vi lascio immaginare chi è proprio dietro di voi! Maybe The Devil?

Non contenti di tutto ciò Mellencamp e Burnett sono partiti per questo breve tour degli studi americani muniti di un registratore Ampex a bobine del 1955. Il risultato, ovviamente, è un disco dal suono antico, arcaico, antiquato, ancestrale qualcosa che inizia con la A, ah ecco mi è venuto in mente, Primigenio direi. Come i vecchi vinili di quegli anni ma senza il rumore della statica.

In alcuni brani, per esempio Thinking About You, ma anche altri John Mellencamp assomiglia in modo impressionante al primo Dylan, e lo intendo come un complimento e come pietra di paragone per apprezzare questo disco: dimenticate il “solito” Mellencamp per una volta e pensate a Dylan ma anche al Johnny Cash degli anni ’50, il contrabbassista che propelle i brani che hanno una sezione ritmica è quello originale di Cash, David Roe.

Già che siamo in argomento una citazione per gli ottimi musicisti che suonano in questo No better than this, un misto tra la band abituale di Mellencamp e quelli che usa di solito T-Bone Burnett: oltre al citato Roe, allo stesso Mellencamp alla chitarra acustica, un trio di chitarristi sia all’elettrica che all’acustica, Andy York, Marc Ribot e lo stesso T-Bone Burnett, la batteria e le percussioni sono affidate all’ottimo Jay Bellerose. Infine al violino, per esempio proprio nella già citata Right Behind Me la bravissima Miriam Sturm dalla band del Coguaro (lo so che s’incazza, per questo epiteto e per gli orsi di Pippo Baudo).

Tredici brani in tutto, registrati lo scorso anno in alcuni brevi pause del tour con Dylan: c’è il divertente rockabilly (ma rigorosamente primigenio) di No One Cares About Me, oltre 6 minuti che “sicuramente” saranno trasmessi da tutte le radio americane, il singolo ufficiale No Better Than This che è il brano che pur nella sua veste austera è quello che più si avvicina al suono classico à la Mellencamp, qualcuno ha detto Rock and roll? Esatto!

Ma anche l’iniziale Save Some Time To Dream che se devo dire mi sembra qualcosa debba al riff classico di Sweet Jane, rallentato all’ennesima potenza ma rimane il fascino di quel riff inconfondibile, ma molto bello anche il testo che ci dice che nonostante nessuno si curi di lui (o del narratore della canzone) lui avanti lo stesso per la sua strada e continua a credere nell’amore.

Anche il malinconico valzerone country Don’t Forget About Me ci riporta al Mellencamp raffinato storyteller di “beautiful losers”. Each Days Of Sorrow con il suo contrabbasso slappato è un bel blues anni ’50 ai primordi dell’imminente contaminazione tra le due musiche del diavolo, blues e rock and roll.

Easter Eve ci riporta al primo Dylan ma anche al suo maestro Woody Guthrie, il folk da cui sono nati tutti i grandi cantautori americani della prima generazione e così pure la successiva Clumsy Old World che mi ricorda anche molto uno dei tanti “nuovi Dylan” che si sono avvicendati negli anni sino a diventare il “vecchio John Prine”, parafrasando un vecchio titolo si potrebbe dire “It’s Only Folk Music But I Like It”.

Perseverare, gente, perseverare.

Questa è la prima versione di Save Some To Dream che anche Mellencamp ha messo sul suo sito, ce ne sarebbe un’altra di qualità sonora migliore registrata al Farm Aid dello scorso anno e una stupenda, con vista nuche del pubblico, ma vada per questa.

Bruno Conti

Abbiamo Fatto 30 Facciamo 31! Continua La Saga di E L & P

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Emerson, Lake & Powell – The Sprocket Sessions – An Official Bootleg – Lemon Records

Visto che sono entrato nel gorgo, per completare la trilogia dei post a loro dedicati, in questi giorni in Inghilterra è uscito anche questo cd che contiene la registrazione di un concerto del 1986 di Emerson, Lake e, attenzione!, Powell.

Le informazioni dicono newly re-mastered e con nuove note e commenti di Greg Lake e “rare” foto! Di solito trattasi di fregatura, ma mai dire mai, magari è interessante. Tanto per completare i movimenti discografici del magico trio. Escono più dischi che ai tempi d’oro. Sempre per il famoso “teorema” di Mourinho dovete decidere voi se essere “pirla” o meno.

Oggi post breve, non ho avuto tempo, domani, giuro, recensione nuovo Mellencamp, che peraltro esce nella seconda metà di agosto. Confermo, disco non “facile” ma molto bello.

Bruno Conti

Controllato! Emerson Lake & Palmer – A Time And A Place

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Emerson, Lake and Palmer – A Time And A Place – Shout Factory 4 CD Box Set

Ritiro Tutto! Controllato e prutroppo sono cattive notizie per gli appassionati di Emerson, Lake & Palmer!

Nel senso che vi tocca cacciare fuori altri soldi per l’acquisto di questo Box: infatti il cofanetto (che tramite il servizio mailorder della Shout è già disponibile da un paio di mesi) è veramente ottimo. La qualità sonora è nettamente superiore ai quattro volumi della serie The Original Bootleg Series From The Manticore Vaults dove il suono era veramente pessimo, tipo bootlegs ma di quelli scarsi.

In questo caso i primi tre CD del cofanetto contengono Soundboard Recordings (quindi direttamente dal mixer) ottimamente rimasterizzate e inedite in gran parte (qualcosina in Europa tipo i brani della isola di Wight era uscito), mentre il quarto, intitolato This Boot’s For You – A Fan’s View contiene effettivamente registrazioni fatte dai fan, però di ottima qualità rispetto a quelle delle Bootleg Series.

Quindi son c… amari e dovete mettere mano ai portafogli. Per ulteriori verifiche questa è la tracklist completa

DISC ONE: The Early ’70s

1. The Barbarian Recorded at the Isle of Wight Festival, Isle Of Wight, UK on August 29, 1970

2. Take A Pebble
Recorded at Beat Club, Bremen, Germany on November 26, 1970

3. Ballad Of Blue
Recorded at the Lyceum Ballroom, London, UK on December 9, 1970

4. High Level Fugue
Recorded at the Lyceum Ballroom, London, UK on December 9, 1970

5. Hoedown
Recorded at the Mar Y Sol Festival, Veja Baja, San Juan, Puerto Rico on April 2, 1972

6. Still… You Turn Me On
Recorded at the Civic Center, Tulsa, OK on March 7, 1974

7. Lucky Man
Recorded at the Civic Center, Tulsa, OK on March 7, 1974

8. Karn Evil 9 (1st, 2nd & 3rd Impressions)
Recorded at the Anaheim Convention Center, Anaheim, CA on February 2, 1974

DISC TWO: The Late ’70s

1. Peter Gunn Theme
Recorded at the Coliseum, Wheeling, WV on November 18, 1977

2. Pictures At An Exhibition
Recorded at the Mid-South Coliseum, Memphis, TN on November 20, 1977, Late Show

3. Tiger In A Spotlight
Recorded at the Coliseum, Wheeling, WV on November 18, 1977

4. Maple Leaf Rag
Recorded at the Coliseum, Wheeling, WV on November 18, 1977

5. Tank
Recorded at the Nassau Coliseum, Uniondale, NY on February 9, 1978

6. Drum Solo
Recorded at the Nassau Coliseum, Uniondale, NY on February 9, 1978

7. The Enemy God Dances With The Black Spirits
Recorded at the Nassau Coliseum, Uniondale, NY on February 9, 1978

8. Watching Over You
Recorded at the Coliseum, Wheeling, WV on November 18, 1977

9. Pirates
Recorded at the Mid-South Coliseum, Memphis, TN on November 20, 1977, Late Show

10. Tarkus
Recorded at the Nassau Coliseum, Uniondale, NY on February 9, 1978

11. Show Me The Way To Go Home
Recorded at the Mid-South Coliseum, Memphis, TN on November 20, 1977, Late Show

DISC THREE: The ’90s

1. Knife Edge
Recorded at the Wiltern Theater, Los Angeles, CA on March 17, 1993

2. Paper Blood
Recorded at the Obras Stadium, Buenos Aires, Argentina on April 5, 1993

3. Black Moon
Recorded at the Waterloo Village Concert Field, Stanhope, NJ on July 31, 1992

4. Creole Dance
Recorded at the Estadio, Santiago, Chile on April 1, 1993

5. From The Beginning
Recorded at the Spodek, Katowice, Poland on June 22, 1997

6. Honky Tonk Train Blues
Recorded at the Universal Amphitheater, Los Angeles, CA on September 25, 1997

7. Affairs Of The Heart
Recorded at the Waterloo Village Concert Field, Stanhope, NJ on July 31, 1992

8. Touch And Go
Recorded at the Wiltern Theater, Los Angeles, CA on March 17, 1993

9. A Time And A Place
Recorded at the Casino Ballroom, Hampton Beach, VA on August 1, 1998

10. Bitches Crystal
Recorded at the Universal Amphitheater, Los Angeles, CA on September 25, 1997

11. Instrumental Jam
Recorded at the Obras Stadium, Buenos Aires, Argentina on April 5, 1993

12. Fanfare For The Common Man – America – Rondo
Recorded at the Obras Stadium, Buenos Aires, Argentina on April 5, 1993

DISC FOUR: This Boot’s For You – A Fan’s View

1. Introduction
Recorded at the Hollywood Bowl, Los Angeles, CA on July 19, 1971

2. The Endless Enigma
Recorded at the Long Beach Arena, Long Beach, CA on July 28, 1972

3. Abaddon’s Bolero
Recorded at the Town Hall, Louisville, KY on April 21, 1972

4. Jeremy Bender – The Sheriff
Recorded at the Olympiahalle, Munich, Germany on April 24, 1973

5. Toccata (includes Drum Solo)
Recorded at Friedrich-Ebert-Halle, Ludwingshaven, Germany on April 10, 1973

6. Jerusalem
Recorded at the Henry Lewit Arena, Wichita, KS on March 26, 1974

7. Nutrocker
Recorded at the Boston Gardens, Boston, MA on July 12, 1977

8. C’est La Vie
Recorded at the Boston Gardens, Boston, MA on July 12, 1977

9. Piano Concerto #1 3rd Movement
Recorded at the Veteran’s Memorial Auditorium, Des Moines, IA on June 12, 1977

10. Closer To Believing
Recorded at the Veteran’s Memorial Auditorium, Des Moines, IA on June 12, 1977

11. Close To Home
Recorded at the Warfield Theater, San Francisco, CA on March 14, 1993

12. I Believe In Father Christmas
Recorded at the Beacon Theater, New York, NY on November 17, 1993

Esce il 20 luglio negli States per la Shout Factory. Tra l’altro mi dicono che le ristampe degli album ufficiali degli E L & P fatte dalla stessa etichetta hanno un suono fantastico nettamente superiore alle rimasterizzazioni europee, so di darvi un dispiacere ma fateci un pensierino.

Bruno Conti