E’ Solo Country! Little Willies – For The Good Times

little willies.jpg

 

 

 

 

 

 

 

The Little Willies – For The Good Times – EMI Parlophone/Capitol

Di solito si usa dire “non solo country” ma nel caso del nuovo disco dei Little Willies For The Good Times si deve proprio usare il termine con fierezza, come era già stato peraltro per il precedente omonimo album del 2006.

Come nel caso del primo anche l’opera seconda del gruppo ha avuto una lunga gestazione. Il lavoro di “preparazione” è iniziato già tre anni fa (e infatti già da un po’ di anni le suonavano dal vivo), nelle pieghe della carriera solista e delle altre collaborazioni di Norah Jones, ma si tratta di un lavoro di gruppo, la newyorkese di nascita ma cresciuta in Texas con il country nelle orecchie, è una delle pedine del gruppo, importante, come pianista e principale vocalist ma divide la leadership con Richard Julian, l’altro ottimo cantante del gruppo e con l’asso delle chitarre Jim Campilongo di cui ho recensito Orange, l’album del 2010, per il Buscadero. Il quarto componente è Lee Alexander, bassista ed ex fidanzato della Jones con cui è rimasto un ottimo rapporto di lavoro e dietro la batteria siede Dan Rieser. Il primo album aveva avuto un moderato successo di vendita arrivando al 10° posto delle classifiche country ed al 48° di quelle generali, ma buoni riscontri di critica.

Direi che anche questo For The Good Times potrebbe ripeterne le gesta. E’ il primo disco “importante” dell’anno e potrebbe godere dell’effetto sorpresa nelle vendite. La struttura è più o meno quella del predecessore: sono 12 brani, meno di quaranta minuti di musica, tutte cover meno il brano strumentale di Campilongo Tommy Rockwood ed è ovviamente destinato agli estimatori del country. Lento, veloce, swingato, ballate, romantico o tagliente, sempre di country parliamo, quindi uomo avvisato…

Si apre con le armonizzazioni del duo Jones e Julian nel brano I Worship You scritto da Ralph Stanley poi si passa per il country swing delle parti cantate alternativamente dai due vocalist con Campilongo che si dà da fare alle chitarre e Richard Julian che in questo brano ha una voce che mi ricorda moltissimo quella del Lyle Lovett dei primi anni. Remember Me è un valzerone country scritto da Scott Wiseman e cantato con la sua tipica allure dalla Jones che duetta, il pianoforte in evidenza con la baritone guitar di Campilongo mentre Julian si occupa delle armonie vocali.

Diesel Smoke, Dangerous Curves accelera decisamente i tempi sulle note di una lap steel con Richard Julian che guida il gruppo e la brava Norah che “vampeggia” da par suo, un bravo divertente e ben eseguito dai Little Willies nella loro interezza di gruppo. Lovesick Blues è uno dei cavalli di battaglia di Hank Williams che però non l’aveva scritta, in ogni caso rimane uno degli standard della musica country e una delle canzoni più famose sul “mal d’amore” ed è cantata all’unisono dai due vocalist con rispetto ed amore per l’argomento trattato, una piccola delizia come sempre. Dello strumentale Tommy Rockwood si è detto ed è l’occasione per ascoltare Jim Campilongo, uno dei virtuosi della chitarra “country”, novello James Burton o Albert Lee, anche la Jones si “diverte” al piano.

Fist City di Loretta Lynn stranamente (o no?) è uno dei brani più rockeggianti dell’album, si fa per dire, e la nostra amica Norah la canta proprio bene. Non poteva mancare l’omaggio all’amico e “maestro” Willie Nelson e Richard Julian, con la sua vocalità pigra e sorniona, nuovamente alla Lovett, rende piena giustizia ad un brano come il melanconico Permanently Lonely, una delle chicche del disco, la Jones armonizza da par suo per rendere il favore.

Fowl Heat In the Prowl, dice la Jones in un’intervista, le è stata consigliata dalla mamma (il papà come quasi tutti sanno è Ravi Shankar) ed era nella colonna sonora di In The Heat Of the Night (per noi italiani “La Calda Notte Dell’Ispettore Tibbs); scritta da Quincy Jones non è forse propriamente country ma è un bello slow d’atmosfera cantato a due voci. Un altro dei brani migliori del CD è Wide Open Road una tipica canzone boom chika boom di Johnny Cash cantata da Lyl…, scusate, da Richard Julian (mi scappa, la tonalità e la voce sono molti simili, è inteso come un complimento e poi a fine febbraio esce il nuovo disco di Lyle Lovett, Release Me) mentre la Jones armonizza e Campilongo si diverte alla chitarra.

Una bellissima ballatona, che dà il titolo all’album, è For The Good Times, scritta da Kris Kristoffersson e cantata con grande pathos da Norah Jones che si identifica moltissimo nel brano, altra chicca! If You’ve Got The Money I’ve Got The Time è un frizzante country-swing scritto da Lefty Frizzell e cantato con particolare verve dai due “Willies”, Lee Alexander slappa il basso di gusto e tutto il gruppo si diverte. Conclusione con un altro dei classici della country music, una delle canzoni più belle del repertorio di Dolly Parton e ripresa negli anni da moltissimi artisti, anche i White Stripes ne hanno fatto una cover, questa, cantata con grande intensità dalla Jones è una delle migliori.

Il disco non è male, anzi direi buono, ma è ovviamente country, molto country, inteso nel senso più nobile del genere. Non dite che non vi avevo avvertito. Esce il 10 gennaio negli States ed Europa e il 31 in Italia (boh, misteri?).

Bruno Conti

Dal Belgio, Con “Classe”, Vaya Con Dios – Comme On Est Venu…

Una breve premessa del Blogger. Per usare una citazione colta (e una frase famosissima) di Voltaire: “Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte, perché tu possa continuare ad esprimerle”. Magari fino alla morte proprio no ma, pur non essendo d’accordo completamente sui contenuti (ammetto che canta bene!), pubblico questo contributo!

vaya con dios.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Vaya Con Dios – Comme On Est Venu… Festival Edition – Sony Music 2010 (2 CD)

Non è un disco recente lo premetto subito, ma è talmente bello per il sottoscritto, che per una volta provo a contraddire la “legge di Bruno” (solo lavori nuovi o di imminente uscita). Il contendere  riguarda l’ultimo lavoro di questo gruppo musicale belga fondato nel 1986 da Dani Klein, una voce femminile magnifica che può cantare di tutto (dai canti delle mondine a Desafinado di Jobim). Tra i successi internazionali dei Vaya Con Dios si ricordano Just A Friend of Mine (numero uno in Olanda nel 1990), Nah Neh Nah, Don’t Cry for Louie, Puerto Rico, Johnny e Don’t Break My Heart, che in buonissima parte vengono eseguiti nel CD dal vivo contenuto come bonus in questa doppia Festival Edition, con nuovi arrangiamenti rispetto agli originali, il tutto registrato al Teatro Viage di Bruxelles il 24 Aprile del 2010.

Nelle 13 tracce del disco in studio, l’unico totalmente in francese della loro disc ografia Comme On Est Venu…, spicca una cover di Leo Ferré Vingt Ans, mentre nella dolce ballata Il Restera Toujours troviamo all’armonica come ospite il grande Toots Thielemans. Il primo CD si chiude con un brano strumentale Charly’s Song, giocato sulle note di piano e contrabbasso, la cui suadente melodia ci trasporta nei piano bar parigini.

Ma veniamo al disco dal vivo, quello più interessante. Accompagna Dani un gruppo di musicisti con le palle (scusate il termine), tra i quali Francis Perez alle chitarre, il “nostro” Salvatore La Rocca al basso, William Lecomte al piano, Hans Van Oosterhout alla batteria, Tim De Conghe tromba e percussioni, Red Gjeci al violino, e cosa non trascurabile, il Coro Locale della città belga. Il concerto, che è cantato in francese, parte con un sibilo di tromba con A En Mourir Pas a ritmo di bossanova, seguita da uno dei cavalli di battaglia del gruppo Puerto Rico sviluppata su un ritmo “caraibico”, che mi porta mentalmente verso quei lidi.

Una jazzata La Vie C’est Pas du Gateau dimostra la versatilità della Klein, e a seguire una cover di Johnny scritta dal chitarrista Les Paul (da un brano del quale prende nome il gruppo), fatta in stile “bohèmienne” à la Edith Piaf di cui era anche celebre la versione francese. Un arpeggio di chitarra introduce una incantevole La Pirogue De L’Exode dove il violino di Gjeci in sottofondo disegna note degne di menzione, come pure nella seguente ballata Il Restera Toujours che ricorda il grande Aznavour. Comme On Est Venu dall’impronta “soul” è eseguita in pregevole duetto con tale Defi J.  (non conosco, ma è bravo), mentre What’s a Woman l’unico brano in inglese, con una tromba “assassina” che segue il cantato di Dani, è una delle tante canzoni che vale il prezzo del biglietto. Chiude un concerto splendido forse il brano più conosciuto dei Vaya Con Dios, quel Nah Neh Nah che ha fatto ballare una miriade di persone e che in questa occasione viene riletto in stile “gipsy music” .

In totale questo gruppo “minore” ha venduto più di 7 milioni di album e 3 milioni di singoli, e ancora oggi rimane popolare in gran parte d’Europa, quindi chi li vuole conoscere o riscoprire, sarà pienamente ripagato, ne vale la pena. Astenersi i perditempo.!

Tino Montanari 

Questa Mi Mancava! Celtic Pink Floyd.

celtic pink floyd.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Celtic Pink Floyd – Celtic Pink Floyd – Vented Irish Records

“Questo le mancava” per Cyndi Lauper e “Questa mancava” per le 100 Greatest Guitar Songs di Rolling Stone, come titoli di Post li avevo già usati, ma “Questa mi mancava” in effetti non lo avevo mai utilizzato, e decisamente i Celtic Pink Floyd mancavano dai miei ascolti e sul Blog (e non credo in Italia qualcuno ne abbia mai parlato). Come vi dicevo in altri Post sono in quel periodo dell’anno in cui vado al recupero di album inconsueti ma validi che per vari motivi avevo tralasciato nel corso del 2011, in attesa di passare alle novità 2012. Ho già sentito il nuovo Ani DiFranco Which Side Are You On, che uscirà il 16 gennaio e mi sembra un Signor Disco!

Ma torniamo ai Celtic Pink Floyd! Il nome del gruppo e titolo del loro primo album omonimo dice un po’ tutto o quasi: intanto non “dice” che sono di Los Angeles, sono metà di mille, nove per l’esattezza, sono guidati dai due fratelli Damon e Brian Stout, che sono i leader del gruppo, arrangiatori e quelli che hanno avuto l’idea di unire le loro due passioni, Pink Floyd e musica celtica. Non dice che il tipo di sound è più orientato verso sonorità celtic rock, quindi a fianco di Uileann Pipes, Whistles, Bodhran, Fiddles, Mandolin, Accordion, Dulcimer e altri strumenti tipici della musica celtica come i Bones (ovvero le “ossa”, utilizzate come piccole percussioni) ci sono anche chitarre elettriche, acustiche e una sezione ritmica con basso e batteria, più Celtic Rock Pink Floyd in definitiva.

Il risultato, se non è innovativo, è molto piacevole, quattro vocalists, due uomini e due donne che si alternano alla guida dei vari brani contribuiscono al fascino del progetto, il fatto che le canzoni siano belle una importanza ce l’avrà? Ma direi proprio di sì!

E quindi scorrono i tempi di giga di Another Brick In The Wall (part 2), con violini, flautini, fisarmoniche, cornamuse,i citati Bodrhan e Bones con il loro “clang” inconfondibile (non è il CD difettoso) che si inseguono a velocità supersoniche con basso, batteria e chitarre elettriche e il canto corale. O Wish You Were Here che è una perfetta “aria” celtica nella sua tipica vena malinconica cantata con piglio sicuro  dalle due voci femminili (Marian Tomas Griffin e Laura Solter) e che senza discostarsi troppo dall’arrangiamento classico aggiunge il fascino della strumentazione celtica, con flautini, mandolini, dulcimer e cornamuse che si ritagliano ampi spazi strumentali nel tessuto sonoro del brano, veramente una bella versione.

Non male anche una piacevole e fedele rilettura di Comfortably Numb con uno dei vocalist, Sam Morrison o Michael Kelly, non so dirvi chi, non li riconosco, ma forse entrambi, comunque una versione molto Gilmouriana con il violino e flautini vari si sostituiscono nel finale alla solista di Gilmour con ottimi risultati. Hey You che è il terzo brano su quattro estratto finora da The Wall, viaggia su sonorità simili con maggiore spazio alla fisarmonica e una presenza più marcata della chitarra elettrica di Bob Boulding. La solista è uno degli ingredienti fondamentali in un brano come Money e anche in questa versione non manca, si parte a tempo di giga ma poi il brano riassume la sua melodia inconfondibile, una bella slide e le due voci femminili sono gli ingredienti aggiunti in questa versione che dopo vari interventi degli strumenti acustici approda alla sua parte centrale elettrica immancabile e al tipico crescendo finale.

The Fletcher Memorial Home da Final Cut non è uno dei brani più conosciuti del loro repertorio ma ben si adatta al trattamento melodico che ne danno i Celtic Pink Floyd con una bella voce femminile che si libra sulla strumentazione acustica in un sound che potrebbe ricordare i Solas e Karen Casey che il gruppo cita tra le proprio influenze, un notevole assolo della solista di Boulding timbra la parte centrale più rock del brano, notevole. One Of These Days da Meddle è un altro dei brani migliori di questo CD, le atmosfere incalzanti e sfuggenti dell’originale ben si adattano alla commistione tra rock e musica celtica e il risultato è assai riuscito. Brain Damage è uno dei brani più evocativi di Dark Side Of The Moon e la sua struttura semplice ma epica al tempo stesso ben si adatta ancora una volta a queste riscritture elettroacustiche. Mother, un ulteriore estratto da The Wall che evidentemente è il loro album preferito dei Pink Floyd (e si capisce anche dalla copertina del CD) si trasforma in una sorta di ballata country-folk, le idee per gli arrangiamenti non mancano al gruppo di Los Angeles, Eagles meets Pink Floyd meets Celtic Music, bello!

Young Lust cantata da una delle due voci femminili è sempre tratta da The Wall ma mi convince meno, forse perché già l’originale non mi entusiasmava. On The Turning Away è l’unico brano degli “ultimi” Floyd quelli senza Waters ed ha quelle caratteristiche, ancora una volta, da aria celtica. La conclusione, con una frenetica intro da giga e poi il suo tipico tempo incalzante è affidata a Run Like Hell un ennesimo brano tratto da The Wall, ma questo è uno dei brani più belli del doppio album e quindi ci sta bene per concludere questo inconsueto progetto della band americana. Non so se ci saranno seguiti, in caso contrario dovranno cambiare nome. Nell’attesa buona ricerca, tenete conto che è uscito ad aprile solo negli Stati Uniti per una etichetta indipendente e quindi reperibilità scarsina.

Oggi doppia razione ancora una volta.

Bruno Conti

La Prima Ristampa Dell’Anno. Elvis Presley – Elvis Country Legacy Edition

elvis presley elvis country legacy edition.jpg

 

 

 

 

 

 

Elvis Presley – Elvis Country – 2 CD Sony Legacy

Come sapete, a Gennaio, l’8 per la precisione, ogni anno ricorre l’anniversario per il compleanno di Elvis Presley e spesso la sua casa discografica ne approfitta per ricordarlo. Quest’anno, tra il 2 e il 3 gennaio, Statu Uniti ed Europa (ma il 17 Gennaio per il mercato italiano) è in uscita questo ulteriore capitolo della serie delle ristampe Legacy in doppio CD della discografia di Elvis. E per prendere due piccioni con una fava è anche il 40° aniversario dell’uscita dell’album originale.

A Elvis Country è stato unito anche l’album successivo Love Letters From Elvis che sarebbe stato pubblicato nel giugno 1971 ma era stato inciso nelle stesse sessions a Nashville nell’estate del 1970. Si tratta di due albums eccellenti che proseguono la rinascita musicale di Presley che avveniva in quel periodo. Il CD esce al prezzo speciale di un singolo album e conterrà 6 bonus tracks rispetto agli album originali, ecco la tracklist completa:

Disc 1: Elvis Country
1. Snowbird
2. Tomorrow Never Comes
3. Little Cabin On The Hill
4. Whole Lot-ta Shakin’ Goin’ On
5. Funny How Time Slips Away
6. I Really Don’t Want To Know
7. There Goes My Everything
8. It’s Your Baby, You Rock It
9. The Fool
10. Faded Love
11. I Washed My Hands In Muddy Water
12. Make The World Go Away

Bonus Tracks:
13. I Was Born About Ten Thousand Years Ago
14. A Hundred Years From Now (Studio Jam)
15. Where Did They Go, Lord

Disc 2: Love Letters From Elvis
1. Love Letters
2. When I’m Over You
3. If I Were You
4. Got My Mojo Working/Keep Your Hands Off Of It
5. Heart Of Rome
6. Only Believe
7. This Is Our Dance
8. Cindy, Cindy
9. I’ll Never Know
10. It Ain’t No Big Thing (But It’s Growing)
11. Life

Bonus Tracks:
12. The Sound Of Your Cry
13. Sylvia
14. Rags To Riches   

Per la precisione, nella stessa occasione era stato registrato anche Elvis: That’s The Way It Is e le prime 3 bonus erano già presenti nella ristampa del 2004. E l’Elvis Country originale uscì proprio il 2 gennaio del 1971!

Per rimanere in ambito, il secondo disco di un artista (un gruppo in questo caso) “importante” dell’anno sarà sempre un album country, ovvero il nuovo disco dei Little Willies di Norah Jones, si chiama For The Good Times, esce per la EMI/Parlophone il 10 gennaio e ne parliamo nei prossimi giorni. 

Bruno Conti

Dopo Jonathan Wilson Continua La “Rivincita” Della Psichedelia? Dalla Svezia The Amazing – Gentle Stream

The-Amazing.jpg

 

 

 

 

 

 

 

The Amazing – Gentle Stream – Subliminal Sound

Una “psichedelia” gentile e affiancata dal folk-rock e dai suoni della West Coast con più di un pizzico di progressive rock (anche se Stoccolma è nella Svezia orientale che già di suo è ad est), ma almeno idealmente le coordinate di The Amazing (non hanno false modestie fin dal nome del gruppo) sono quelle. Molto in comune anche con il quasi omonimo album di Jonathan Wilson che da qualche mese sta allietando i miei ascolti e che finalmente posso citare come punto di riferimento “moderno” per identificare un tipo di musica senza dover necessariamente ricorrere a nomi che vengono dal passato (ma aspettate un attimo che arrivano)!

Intanto, per la cronaca, il gruppo è già al terzo disco, un album completo e un mini negli ultimi due anni, entrambi decisamente belli ma questo è il loro migliore. E hanno anche un gruppo collaterale da cui provengono due quarti dei componenti, gli ottimi Dungen con una militanza di una decina di anni sulla scena musicale svedese, fautori di un rock leggermente più estremo, con propaggini di jazz-rock, progressive e vaghe tracce hendrixiane che si uniscono ai suoni più morbidi di questo Gentle Stream. I due sono il batterista Johan Holmegard e soprattutto il chitarrista Reine Fiske, il vero asso nella manica di entrambe le formazioni e, solo nel caso degli Amazing il cantautore Christoffer Gunrup, con una voce morbida e melliflua come poche. Devo ammettere che dalla Svezia non vengono solo gli Abba o i Cardigans, i Roxette e Yngvie Malmsteen o se proprio vogliamo anche gli Ark ma in passato da lì è venuto un artista di culto come Bo Hansson autore nei “mitici” anni ’70 (per parafrasare il buon Gianni Minà) di una serie di album strumentali che musicalmente hanno più di un punto in comune con questo album (se volete investigare vi consiglierei due dischi bellissimi come Lord Of The Rings e Magicians Hat vere fucine di idee e continui cambiamenti sonori all’interno di strutture molto trasversali, ma anche gli altri album meritano). 

Ma veniamo a questo Gentle Stream, colpevolmente accantonato (ma come diceva il maestro Manzi, “Non è mai troppo tardi”) e che invece si segnala come uno dei dischi più interessanti di questo 2011 appena concluso: derivativo come pochi, ma se è fatto così bene, non si può non accettare. Ora vi colpirò con un’orgia di citazioni (musicali) perché uno non si può trattenere, ascoltando questo disco ti fioriscono spontanee!

A partire dall’inizale Gentle Stream quasi 7 minuti di pura magia sonora, che affianca il già citato Jonathan Wilson nella ripresa di sonorità uscite dalla Laurel Canyon di inizio anni ’70 e dalla West Coast tutta, quindi il Crosby di If I Could Only Remember My Name, l’opera tutta del Neil Young in vena di morbide jam chitarristiche, i Pink Floyd di quegli anni, Quicksilver, Mad River con la chitarra elettrica meravigliosamente inventiva di Friske che si libra come un novello Cipollina o Garcia oltre a Stills e Young nelle loro cavalcate più geniali. E il resto del gruppo non è da meno, con due batteristi mai scontati nel loro agile drumming.

E come non ricordare il Nick Drake di Bryter Layter nelle dolci evoluzioni da paesaggi autunnali della deliziosa Flashlight, tra folk, Canterbury sound dei primi Caravan (la batteria jazzata e l’uso del flauto), e poi nel finale con l’entrata del sax anche i King Crimson più sognanti (ma non scordiamoci McDonald & Giles, grandissimo disco).

International Hair riprende ed amplia queste tematiche folk (vogliamo dire Fairport, John Martyn e Incredible String Band e i Pink Floyd più pastorali?). E diciamolo! Delicate voci femminili di supporto si incrociano con la voce di Gunrup per creare dei punti di contatto anche con i primi Radiohead di Thom Yorke, mentre le tastiere peraltro sempre presenti anche nei brani precedenti cuciono il sound con una presenza discreta ma molto efficace e le chitarre si insinuano nelle pieghe del sound con un lavoro sottile e di fino di gran classe, sempre senza dimenticare il notevole lavoro delle percussioni.

Ancora suoni cesellati tra folk e gentile psichedelia nell’incantato rock progressivo di The Fog che può ricordare (almeno a chi scrive) i primi Genesis di Trespass e Nursery Cryme (senza la voce di Gabriel, Ok, non si può avere tutto dalla vita!). Poi tornano le cascate di chitarre in Gone, altro eccellente esempio di come la West Coast di quegli anni si può fondere con il meglio del sound britannico della stessa epoca attraverso la riproposizione sonora degli Amazing, il risultato chiamatelo come volete a me verrebbe in mente “buona musica”!

Dogs (nonostante il nome) è decisamente Meddle o Atom Heart Mother dei Pink Floyd suonata da CSNY sotto la direzione di Jerry Garcia o, se vi capiterà di sentirli, dei passaggi del Bo Hansson sopracitato, con organo, chitarre e le batterie che costruiscono un tappeto sonoro perfetto per le “estatiche” vocalità di Gunrup prima di esplodere in una jam strumentale finale di rara efficacia. I due minuti di Assumptions tra fade-in e fade-out finscono prima che tu te ne accorga e sono uno specie di intramuscolo prima di inoltrarti negli ampi spazi della conclusiva When The Colours Change ancora a cavallo tra progressive, psichedelia e improvvisazione pura con la voce che galleggia tra chitarre e tastiere, se volete possiamo ricordare tra i contemporanei anche certe cose dei Sigur Ros più ispirati. Nomi e citazioni (certe, probabile e inconsce) ve ne ho sparate a raffica e forse vi ho stordito (guardatevi e ascoltatevi i video però!) ma l’importante è che il risultato finale con tutte queste analogie sicuramente presenti è assolutamente valido per i propri meriti e quindi vi consiglio questo Gentle Stream di cuore. Si fatica un po’ a trovarlo ma vale la ricerca!

Bruno Conti

A “Due Passi” Da New York E Dalle Profondità Dell’America From Ithaca Jennie Stearns – Blurry Edges

jennie stearns blurry edges.jpg

 

 

 

 

 

 

Jennie Lowe Stearns & The Fire Choir – Blurry Edges – BMI Records 2011

Non c’era bisogno di una conferma dopo Mourning Dove Song e Sing Desire (i dischi che l’hanno rivelata dopo l’esordio di Angel With Broken Wings), ma questo suo quinto album di studio a proprio nome fa brillare ancora di più il talento di questa cantautrice di Ithaca, NY. Probabilmente questo nuovo lavoro non è superiore ai precedenti, ma ha il pregio di evidenziare ulteriormente le capacità della Stearns, fornendo nuovi elementi che arricchiscono sotto il profilo qualitativo la discografia. Dopo i primi passi compiuti nei Donna The Buffalo, Jennie si è lanciata in una carriera solista che se finora è stata povera di riscontri commerciali, le ha procurato i favori degli addetti ai lavori, e la possibilità di esibirsi come spalla di più affermati colleghi come Peter Case, Slobberbone, Natalie Merchant, Cowboy Junkies, suonando nei locali di mezza America.
 

 

Una voce tra Lucinda Williams e Gillian Welch (ma mi ricorda anche Carla Torgerson dei grandi Walkabouts), la Stearns spazia in territori tra folk e cantautorato moderno, tenendo ben presente la tradizione americana, con una strumentazione parca e mai invadente, la voce quieta e impostata a raccontare le sue storie. La sua band attuale non comprende più il marito (il reverendo Rich Stearns), ma validi musicisti tra i quali Michael Stark (che è anche produttore) al pianoforte, Matt Saccuccimorano (chissà che origini avrà?) alla batteria, Brian Dozoretz al basso, Joe Novelli alla chitarra classica, e la graziosa Emily Arin al controcanto.

Undici canzoni, quasi un’ora di musica: Shadow on the Lake è una canzone calda, in cui la vocalità di Jennie dà spazio alla melodia, Pale Blue Parka è molto fluida, con un tempo di marcetta, mentre Lose Control è introspettiva, con una interpretazione gentile e quasi sussurrata con l’accompagnamento di un pianoforte. Si prosegue con l’atmosfera sognante di Frida, su un tessuto sonoro vagamente da piano-bar, quasi jazzato, mentre Grasp è dolce e delicata con incisivi interventi della chitarra elettrica. Light of Day ha un motivo facilmente memorizzabile e un arrangiamento country oriented, Under Water prosegue con il medesimo tempo di base, con la chitarra che crea dei contrappunti gradevoli, ma su tutto la voce di Jennie, qui splendidamente doppiata dalla Arin. In From the Cold è una folk song pura e cristallina, Silver Lining inizia con le chitarre che spargono note, poi entra la voce quasi “mitchelliana” della nostra amica. Thieves, con un piano ammaliante, va ascoltata in religioso silenzio, mentre la conclusiva Blurry Edges è una ballata dolce e malinconica accompagnata da un delicato tocco di tastiere, poi entra la ritmica e c’è un richiamo velato ai Donna The Buffalo. Splendida !

Istruzioni per l’uso: distendersi sulla poltrona preferita, abbassare le luci, premere il tasto “play” del lettore CD e lasciarsi trasportare dalla voce vellutata di Jennie Lowe in Stearns, per un acquisto davvero obbligato per tutti gli amanti che apprezzano la buona musica, e qui abbonda. Buon Anno !

Tino Montanari

P.s NDB. Ma c’è l’avrà ancora il suo negozio di dischi a Ithaca? Un Bruno interessato! Come regalo guardatevi questo concerto completo dei Donna The Buffalo con Jennie Stearns ospite in un brano.

A me ricorda qualcosa anche di Rickie Lee Jones, meno jazzata.