Un Cantautore Dai Molti Fans Di “Lusso”, E Parecchi Sono Nel Disco! Jeff Black – Plow Through The Mystic

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Jeff Black – Plow Through The Mystic – Lotos Nile Music 2011

Atteso ritorno del cantautore-pianista (merce rara al giorno d’oggi) Jeff Black, nativo del Missouri, giunto al quinto disco in oltre 13 anni di carriera. Jeff ha iniziato a lavorare in quel di Nashville facendo il “turnista” nelle band di vari “countrymen”, tra cui Iris DeMent, quindi ha cominciato a scrivere canzoni per altri artisti Waylon Jennings (The Carnival Song), Jo-El Sonnier (Never Did Say Goodbye), The Blackhawk (That’s Just About Right), riscuotendo un discreto successo che lo ha portato in seguito ad essere ben considerato anche da celebrate “star” come Alison Krauss, Dierks Bentley oltre al mandolinista Sam Bush che troviamo puntualmente anche in questo lavoro. Il nostro amico ha esordito nel 1998 con Birmingham Road, poi ha dovuto attendere diversi anni per ritrovare un contratto discografico, giunto nel 2003 con la meritevole Blue Rose che ha pubblicato “l’elettrico” Honey and Salt, seguito nello stesso anno da una compilation B-Sides and Confessions Vol.1, inciso con una scarna strumentazione, ma composto da grandi canzoni, per arrivare allo splendido Tin Lily del 2005.

Plow Through The Mystic si avvale di musicisti del calibro di Jerry Douglas alle chitarre e lap steel, Sam Bush ovviamente al mandolino, Kenny Wright alla batteria, Matraca Berg e le più famose Kim Richey e Gretchen Peters (interprete di un bellissimo disco con Tom Russell) ai cori, e lo stesso Black che suona di tutto, dal pianoforte, al banjo e alle tastiere, il tutto per circa un’ora di musica dove Jeff con la sua voce, un piano che segna le melodie, chitarre per lo più acustiche, ogni tanto la sezione ritmica, sa scrivere canzoni profonde, in cui passione e cuore sono in perfetta simbiosi.

L’iniziale Walking Home mischia la canzone d’autore Americana con una melodia lenta tipica di Black, mentre la seguente Sorry cattura subito, impreziosita dal controcanto delle tre “Ladies”. Immigrant Song è un brano recitativo con la chitarra acustica che dialoga con la voce di Jeff,  nella seguente Cure entra in scena il mandolino di Sam Bush per l’unico brano in forma strumentale. Sam è ancora protagonista in una accorata Virgil’s Blues, mentre Wounded Heart è più “normale” e si ascolta con piacere, ma non va oltre. Il livello si alza con il brano che dà il titolo al CD, una Plow Through the Mystic lenta ed introspettiva, che ci consegna il cantautore nella sua versione più intima. Anche la seguente New Love Song è sulla stessa linea con il piano protagonista, mentre il mandolino di Sam ritorna in Making The Day, ballata acustica e leggiadra. Waiting è un brano dotato di una bella melodia, in un ambito prettamente cantautorale, e anche What I Would Not Do è una canzone ben cantata, notturna e pianistica. Il piano è ancora protagonista in Run e Ravanna, le due composizioni che chiudono degnamente un disco onesto, dai sapori antichi.

Jeff Black è un songwriter da preservare come i “panda”, scrive canzoni che richiamano alla mente Greg Brown, Bill Morrissey e il compianto Townes Van Zandt, e i suoi testi sono tra i più belli in circolazione. Plow Through The Mystic è un disco che emoziona e affascina, e Black conferma di essere un autore vero, per chi lo conosce sapete già cosa fare, per i “neofiti” dovete prendere il CD con dolcezza, adagiarlo nel lettore e lasciare che vi conquisti.

Tino Montanari

P.S. *E se cogliete anche degli echi del Tom Waits giovane non state sognando!

*NDB

Novità Di Gennaio 2012 Parte I. Ani DiFranco. Maccabees, Laura Gibson, Guided By Voices,Van Morrison, Roger Creager, Cory Morrow, Kathleen Edwards

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Con l’inizio dell’anno e dopo la pausa natalizia nelle uscite discografiche ripartiamo con le “buone abitudini”, ovvero la rubrica dedicata alle Anticipazioni (che da quello che vedo nelle statistiche dei contatti mi risulta la più gradita dai lettori del Blog): alcune tipo Little Willies, Alex Chilton, Elvis Presley hanno avuto un Post ad hoc, altri titoli li sto recuperando con recensioni apposite giorno dopo giorno, per cui iniziamo.

L’amico Van Morrison, del quale in questi giorni, a sua insaputa sicuramente, è stato pubblicato dalla fantomatica IMV Blueline questo Live On Air, non so se sarà molto contento (conoscendone la fama direi proprio di no). Di cosa si tratta? Di un bel concerto, perchè è bello, discretamente inciso, “semiufficiale”, registrato nel 1973, di difficile reperibilità (in teoria è già uscito). In questo caso più che il sistema “San Tommaso – Provare per credere!” ho vestito i panni dello Sherlock Holmes, non versione Robert Downey Jr., vecchia maniera, e questo è quello che è risultato. Si tratta dei primi 12 brani (quindi manco tutto il concerto), registrato al Rainbow Theater di Londra il 24 luglio del 1973, quindi il tour e i concerti dai quali è stato tratto It’s Too Late To Stop Now. E mandato in onda dalla BBC il 27 maggio del 1974 nell’ambito del glorioso programma televisivo Old Grey Whistle Test con l’audio mono in televisione e stereo in radio. Mancano gli ultimi tre brani del concerto I Paid The Price, Saint Dominic’s Preview e Gloria ed è uscito come bootleg in molte versioni, completo, nel corso degli anni. Alcuni brani, incisi peggio in questa versione ovviamente, sono gli stessi che appaiono nel doppio ufficiale che è assolutamente indispensabile in qualsiasi discoteca che si rispetti! Elementare (ma non troppo) Watson!

Laura Gibson è una cantautrice americana al terzo album, questo La Grande, distribuito dalla City Slang e con ottime recensioni di NME, Q, Mojo e Rolling Stone. Viene dall’area di Portland, Oregon e quindi dal giro Decemberists (due sono presenti nel CD) e Laura Veirs, ma ci sono anche musicisti dei Dodos, Joey Burns dei Calexico e la clarinettista Jilly Coykendall. Genere, vogliamo dire alternative folk? Disco interessante comunque, uscito il 10 gennaio.

Nuovo album per i Maccabees Given To the Wild, etichetta Fiction/Universal. Questo è il loro terzo disco, come genere, anche se incidono per una major, si usa dire indie rock. Se non si offendono li definirei dei Coldplay più energici (ma non troppo) influenzati anche, dicono loro, da Stone Roses, Kate Bush e David Bowie, molto piacevoli ma anche raffinati. Il disco in Inghilterra è uscito la scorsa settimana e dovrebbe esordire, secondo le proiezioni, al n.1 delle classifiche britanniche scalzando dalla vetta dopo molto tempo quello di Adele, mentre da noi verrà distribuito martedì 17 gennaio.

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Quello con il pavone è il nuovo, ottimo, album di Ani DiFranco, si chiama Which Side Are You On? dal titolo del famoso brano degli anni ’30, reso celebre da Pete Seeger, che appare con il suo banjo all’inizio della versione di Ani. Tra gli altri ospiti, un paio di Neville Brothers, il sassofonista Skerik, la sua compagna di etichetta Anais Mitchell (il cui nuovo album, apparirà verso metà febbraio), il chitarrista Adam Levy (Norah Jones, Tracy Chapman e Amos Lee tra i musicisti che hanno usufruito  dei suoi servizi). E una pattuglia di fiati provenienti da Galactic, Bonerama e Rebirth Brass Band, tutti di New Orleans che è la nuova città della DiFranco. Il disco, come avrete letto in molte recensioni anticipate, è decisamente bello, per cui mi aggiungerò al coro anch’io nei prossimi giorni. Esce il 17 gennaio su etichetta Righteous Babe.

Il nuovo Kathleen Edwards Voyageur, etichetta Zoe/Rounder/Universal esce: il 17 gennaio negli States, il 24 gennaio in Europa e il 31 in Italia. In questo caso, contrariamente a quello che potete avere letto (e.g. recensioni negative), dissento, mi sembra un disco molto bello. E’ il quarto disco della cantautrice americana, il primo dopo la separazione dall’ex marito e collaboratore musicale Collin Crips. Quindi, come lei stessa ha detto potrebbe essere il suo “Divorce Album” ma allo stesso tempo è anche il primo dove appare il suo compagno, di vita e di musica, Justin Vernon aka Bon Iver. Da quello che ho sentito, il disco mi pare molto bello (e in questo caso avendolo sentito tutto e bene, confermo). Oltre a Vernon ci sono tra gli ospiti il connazionale Canadese Jim Bryson e Norah Jones. Recensione completa a giorni, nel frattempo se volete verificare di persona first-listen-kathleen-edwards-voyageur

La terza copertina, quella astratta/futurista che vedete ad inizio paragrafo, è quella del nuovo album dei Guided By Voices di Robert Pollard che dopo 15 anni si riuniscono nella formazione originale per pubblicare un nuovo album. Si chiama Let’s Go Eat The Factory esce autodistribuito in USA e su etichetta Fire in Europa sempre il 17 gennaio. Sono 21 brani ma come sapete il gruppo di Pollard è “strano”, per cui si va dai 34 secondi ai 4 minuti. Nel frattempo, solo tra il 2004 e il 2011 Robert Pollard aveva pubblicato 13 album solisti. Sentiremo.

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Per finire questa prima emissione un paio di countryman: per la “mitica” serie Live At Billy Bob’s Texas esce un CD+DVD dedicato a Cory Morrow. Il texano è sempre tra i migliori a mischiare country e rock, quindi per chi ama il genere, consigliato. Per Roger Creager potremmo usare le stesse parole, texano mischia country e rock anche con belle ballate, il disco è in studio, si chiama Surrender esce per la Fun All Wrong Records/Thirty Tigers sempre il 17 gennaio come il precedente.

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Postilla. Esce la settimana prossima anche il nuovo disco de I Luf, come vedete si chiama I Luf cantano Guccini, devo aggiungere altro? L’Avvelenata, Eskimo, Auschwitz, Dio è Morto, Il Vecchio ed il Bambino, Bologna, Canzone Per Un’Amica Dario Canossi e co. le fanno, le altre scopritele da soli.

Bruno Conti

E Alla Fine Ne Rimase Uno (Il Chitarrista)! Savoy Brown – Voodoo Moon

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Savoy Brown – Voodoo Moon – Ruf Records CD o LP   

Ero pronto alla ennesima delusione con questo nuovo album dei Savoy Brown, Voodoo Moon, evidentemente dopo oltre 45 anni di onorata carriera il vecchio fuoco del gruppo sembrava essersi spento. Specialmente negli ultimi 15 anni, da quando Kim Simmonds, l’unico membro originale del gruppo sin dalla fondazione, aveva assunto anche il ruolo di cantante (lascia stare Kim!) i dischi si erano succeduti sempre più mosci, routinari e non è che anche gli anni ’80 e ’90 fossero stati così proficui a livello qualitativo. Per cui mi ero avvicinato a questo album senza particolari aspettative e invece… Non siamo di fronte ad un capolavoro, ma sarà il passaggio ad una casa come la Ruf che conosce l’argomento Blues e dintorni come le proprie tasche, sarà la nuova formazione, comunque il risultato finale non è da buttare, anzi, di tanto il tanto, il vecchio “fuoco” che li aveva portati ad essere una delle formazioni più importanti del cosiddetto British Blues Revival si riaccende. Non siamo ai livelli dei primi album come Getting To Point o Blue Matter ma ci avviciniamo al sound più rock di ottimi album come Street Corner Talking e Hellbound Train, il loro più grande successo negli States.

Non dimentichiamo che in questa formazione, negli anni, sono transitati personaggi come Lonesome Dave (Peverett) e Roger Earl che poi avrebbero fondato i Foghat, il pianista Bob Hall e vari musicisti che hanno incrociato la loro carriera anche con Fleetwood Mac, Chicken Shack e il Mighty Baby e Chilli Willi Martin Stone per citarne alcuni. Kim Simmonds dice nelle note del libretto che le canzoni di questo Voodoo Moon sono le migliori che scrive dai primi anni ’70 e probabilmente ha ragione! Ma nel frattempo cosa è successo? Sorvoliamo e concentriamoci su questo album.
Un’altra ragione di trepidazione c’è stata, di primo acchito, quando ho letto i nomi dei nuovi componenti del gruppo: Joe Whiting, la voce solista, un veterano della scena rock americana che non avevo mai incrociato nei miei ascolti che suona anche il sax (poco per fortuna) e la sezione ritmica Pat De Salvo, basso e Garnett Grimm, batteria, tutti mai sentiti, ma devo dire bravi. Soprattutto il cantante, Whiting, che ha una bella voce (non so perché mi ha ricordato la tonalità di Mal dei Primitives, mi è venuta così) adatta al drive rock & blues dell’eccellente brano iniziale Shockwaves con la chitarra di Simmonds in evidenza e il brillante pianino del membro aggiunto Andy Rudy a dargli man forte. Ma anche le atmosfere più ricercate alla Fleewood Mac (periodo blues, obviously) di Natural Man con il lavoro di coloritura del sax che non rompe più di tanto e l’organo che si insinua tra le pieghe del pezzo e gli dà quasi sonorità da swamp rock della Louisiana e gli assoli di Kim Simmonds fluidi ed inventivi rinverdiscono i fasti del passato di quello che si può considerare l’unica “vecchia gloria” del gruppo ma ancora in grande spolvero.

Too Much Money è il brano che, anche per la presenza di un piano elettrico, ha il sound più commerciale e un tantino scontato ma redento dal solito buon lavoro della chitarra e la slide e il groove boogie blues di She’s Got The Heat unito al cantato pimpante di Whiting risollevano subito le sorti del CD. Look At The Sun parte bene ma poi si ammoscia con il cantato di Simmonds (te lo ripeto Kim, lascia perdere, non avevi cantato per 30 anni, ci sarà stato un motivo!), anche il sax più presente non aiuta il brano. Ottimo, forse il migliore del lotto, 24/7, un brano strumentale (sarà un caso?) che profuma di southern rock e con la band che gira alla grande seguendo le evoluzioni della chitarra del leader. Round and round senza infamia e senza lode ancora con il cantato alla camomilla di Simmonds. Tutt’altro discorso per le atmosfere nuovamente brillanti della title-track Voodoo Moon che costruisce un bel crescendo che mi ha ricordato a momenti il riff alla All Along the Watchtower del classico di Dylan-Hendrix. Meet The Blues Head On, nonostante il titolo, è forse il brano più vicino al classico suono rock americano dei Savoy Brown  anni ’70, non male anche se non particolarmente memorabile.

Quindi per concludere, più luci che ombre e dicono che il gruppo dal vivo abbia ancora un bel tiro per cui, senza strapparvi i capelli dall’entusiasmo, potete farci un pensierino se vi piace il genere.

Bruno Conti   

Un Altro Secreto (Ben Custodito) Del Rock Americano – The Buddaheads – Wish I Had Everything I Want

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The Buddaheads – Wish I Had Everything I Want – Wilshire Park Entertainment

Questo è un disco “strano” ma veramente bello di rock, quello classico Americano degli anni ’70, quando non c’erano regole o etichette, se volevi fare un disco con brani rock-blues, country, psichedelici, prendevi e lo facevi. Pensate, per avere un’idea, ai primi Dire Straits se Mark Knopfler fosse vissuto in America, poi di colpo vi trovate ad ascoltare il Robben Ford più ispirato e in un battibaleno ecco gli Eagles più rock, ma anche quelli country. E il bello è che si tratta sempre di lui, Alan Mirikitani aka BB Chung King, un musicista di origini asiatiche (i Buddaheads erano gli immigrati che arrivavano negli Stati Uniti dall’Asia dopo la II guerra mondiale) ma che vive ed opera in California nell’area di Burbank dove ha anche uno studio di registrazione.

Un vero virtuoso della chitarra in cui mi ero imbattuto la prima volta recensendo per il Busca il disco di Mick Stover e poi ho approfondito la sua conoscenza nelle vesti di BB Chung King quando è più blues oriented o con questi Buddaheads che sono più eclettici. Inutile dire che i dischi non sono per nulla facili da trovare (non è neppure chiaro quanti ne ha fatti, vista la miriade di alter ego, direi almeno cinque o sei) ma Mirikitani è un “manico” di quelli che stupiscono, un buon autore, un cantante di notevole appeal, un musicista completo quindi e anche se le fonti di ispirazione sono le più disparate il risultato finale per quanto derivativo (e chi se ne frega), soprattutto in questo CD, probabilmente il migliore della sua carriera, è veramente eccellente.

Oltre 70 minuti di musica dove si passa dal rock californiano primi anni ’70 di 123 Old John dove la chitarra di Mirikitani interagisce con l’ottima slide di Randy Mitchell per una serie di assoli che scorrono fluidi e godibili come i Dire Straits degli esordi, citati prima e nello stesso tempo è anche una bella canzone con una struttura solida e belle armonie vocali. Blink Of An Eye è un altro esempio della facilità di scrittura di Mirikitani, un classico country-rock westcoastiano di nuovo con doppia chitarra in azione. Goin’ Out Of My Mind, con i fiati sincopati e l’organo di Jim Pugh in evidenza è solido blues-soul alla Robert Cray dei giorni migliori  e la chitarra è sempre scintillante. Tattoo Girl farebbe il suo figurone in qualsiasi disco di Robben Ford, di nuovo in accoppiata con la slide di Mitchell, il buon Alan dimostra ancora una volta perché è considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione. E nello slow Mountain Of Blues stende tutti con un brano che mi ha ricordato il miglior Ronnie Earl, e in più canta pure bene.

Poi, improvvisamente, ti ritrovi con le atmosfere country di This Love Of Mine, ma è un attimo e si ritorna al rock grintoso di Head First Into The Wall con la chitarra “cattiva” di Mirikitani (ogni volta devo controllare se ho scritto bene il nome!) in primo piano. A questo punto sei lì tutto attizzato con la tua air guitar e ti parte una sequenza di ballate country dolci e melodiche che non ti aspetteresti: You And Me, No Part Of It, She’ll Never Know e Jack Of All Trades, una più bella dell’altra che nemmeno gli Eagles dei tempi migliori e sembra di essere in un altro disco, impressione stranissima ma non si può negare che è musica di grande qualità.

A questo punto avevo estratto lo Stetson quando ti parte un funky-blues psichedelico alla Jimi Hendrix, Evil che ti stende di nuovo, nella parte centrale Mirikitani strapazza la sua chitarra ed estrae delle sonorità incredibili dalla solista, e “diciamolo” come avrebbe detto l’ex ministro La Russa/Fiorello, che è un disco pieno di sorprese, nel senso letterale delle parole! Trailer Queen avreste potuto trovarla su Desperado o su qualche disco di Rick Roberts e Wish I Had Everything I Want su qualche disco della Steve Miller Band dei tempi d’oro,  per concludere con una Psychedelic Highway, un brano strumentale che si presenta da solo, con slide e solista di nuovo in grande spolvero. Musica da autostrada in macchina, da casa, da cuffie, dove volete ma ascoltatela perché questo tipo è veramente bravo! Forse i fans della prima ora non apprezzeranno la svolta meno rock-blues rispetto ai dischi precedenti, ma al sottoscritto è piaciuto parecchio. Caldamente consigliato.

Bruno Conti 

Dall’America Via Europa Due Ottime Voci! Parsons & Thibaud – Transcontinental Voices

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 Parsons Thibaud – Transcontinental Voices – Blue Rose Records 2011

Joseph Parsons songwriter di Filadelfia e Todd Thibaud originario di Boston (ed ex leader dei Courage Brothers), da tempo attivi sul mercato tedesco e dopo varie collaborazioni in tour, hanno deciso di sfornare questo lavoro a quattro mani (il loro secondo in coppia), per circa quaranta minuti di buona musica. I nostri “compagni di merende” si sono divisi equamente i dieci brani del dischetto, e il suono è un crocevia tra rock e radici, con influenze country e folk, ed è godibile dalla prima all’ultima nota, e non fa che confermare il loro percorso artistico, sviluppato negli anni. Accompagnano Joseph & Todd validi musicisti tra i quali Matt Muir alla batteria e percussioni, e Pete Donnelly al basso e organo, due che fanno sentire il loro peso, e si amalgamano brillantemente al “sound” impastato di chitarre acustiche e elettriche.

Thibaud, bella voce, è anche compositore prolifico ed interessante, come dimostra l’iniziale Hands of Love, seguita da una ballata cantata da Parsons The Natural Way lenta e profonda. L’alternanza nella firma dei brani continua con una deliziosa Broken Sparrow, eseguita da Todd in stile pettyano
mentre Gaze ricorda il mai dimenticato Roy Orbison. So Unkind è un brano cantato a due voci, con un ritornello che si memorizza facilmente, mentre la successiva Drowning di derivazione dylaniana, mette in risalto la voce di Joseph. I’m Right Here è senza alcun dubbio il brano migliore del lotto, una ballata di ampio respiro, cantata dai due “pards” in modo intenso e poetico. Si riparte con Float con una bella armonica (lo stesso Todd) in evidenza, mentre All That I Can Do è leggera e innocua. Chiude il CD un’altra ballata di spessore Loaded Guns di Parsons, che dimostra di essere un ottimo cantautore “intimista”, che sussurra alla vita attraverso le sue canzoni in forma emozionale.

Per concludere un dischetto fresco e sorprendente, con sonorità tipicamente americane, un lavoro ben suonato, dove tra ballate che profumano di California e un suono basato su forme “roots”,  Parsons & Thibaud, anche se non sono diventati Bruce Springsteen, John Mellencamp o Tom Petty, si sono ritagliati una onesta carriera, allietata da un seguito di culto in Europa e in particolare in Germania.

Tino Montanari

I “Primi Passi” Di Dana Fuchs. La Ristampa Di Lonely For A Lifetime!

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The Dana Fuchs Band – Lonely For A Lifetime – Antler King Records 

Dana Fuchs è sicuramente una delle poche cantanti rock attuali in grado di competere con i grandi del passato. A livello di voce, attitudine, passione, magari non sempre per il repertorio e come tutti i grandi vocalist il meglio di sé lo dà dal vivo. Quindi, se dovete comprare un suo solo CD ( o DVD) vi indirizzo senza esitazioni sul magnifico, ancorché di non facile reperibilità, Live In NYC del 2008, album pubblicato sulla scia della sua “scoperta” da parte della regista americana Julie Taymor che l’aveva voluta nella parte di Sadie nell’immaginifico film Across The Universe costruito attorno alle musiche dei Beatles.

Ovviamente la nostra amica non era apparsa dal nulla, all’improvviso, ma si era costruita una reputazione attraverso una serie di infuocati concerti soprattutto nell’area di New York e aveva già pubblicato un primo disco, questo Lonely For A Lifetime, uscito in origine nel 2003 ma già fuori produzione da oltre sette anni. In questo disco si trova gran parte del materiale originale scritto dalla Fuchs con il suo chitarrista e mentore Jon Diamond  e che costituiva il “cuore” delle sue esibizioni Live. La sua discografia si è arricchita lo scorso anno con il secondo album in studio Love To Beg (una-voce-straordinaria-il-disco-un-po-meno-dana-fuchs-love-t.html) ulteriore fucina di materiale per i concerti dal vivo.

Ma veniamo a questa ristampa. L’unica differenza rispetto al disco originale è la foto di copertina che da bianco a nero diventa di un colore sbiadito, per il resto è pari pari il vecchio CD che ha i pregi (molti) e i difetti (pochi) dell’altro album di studio. Ci sono alcune canzoni notevoli a partire dal granitico riff & roll dell’iniziale Lonely For A Lifetime che è puro Stones sound in versione femminile meglio di quanto mai riuscirà a fare la pur brava Sheryl Crow, è semplicemente una questione di voce e poi anche la chitarra di Diamond che si sdoppia tra la ritmica alla Richards e la slide alla Mick Taylor è ulteriore valore aggiunto, anche la co-produzione dell’ottimo Kenny Aaronson bassista con mille formazioni statunitensi è solida e basica ma efficace.

L’hard ballad Strung Out, con un bel organo di sottofondo è diventata uno dei suoi cavalli di battaglia nei concerti. Ottimo anche il classico rock americano di Fading Away con retrogusti soul e blues, come sempre nella sua musica. La delicata ma allo stesso tempo vibrante Songbird (Fly me to sleep) dedicata alla sorella morta per suicidio è un altro ottimo esempio del suo amore per la musica di Janis Joplin, che insieme a Robert Plant e Otis Redding costituisce la sua “santa” Trinità. Anche del country “malato” alla Stones per la musica delle radici di Tell Me (I’m Not Drinking) impreziosito dal dobro di Kenny Aaronson e un pianino insinuante affidato a Chris Palmaro che negli altri brani si occupa dell’organo. Alla batteria c’è Ethan Eubanks, così li abbiamo citati tutti. Nel frattempo, dopo vari avvicendamenti, per il nuovo tour, il batterista della band della Fuchs è diventato un italiano, tale Piero Pierelli, che la brava Dana nel Blog del suo sito dice provenire dalla minuscola cittadina di Luca, sic. Sarebbe Lucca, che era una delle più importanti città toscane da tempo immemorabile, quando in America c’erano ancora solo bufali e coyotes, ma si sa che la storia non è il loro forte, ma la musica rock sì!

E infatti il buon Pierelli è stato indottrinato a cappuccini e brioches per diventare un ibrido di John Bonham, Mitch Mitchell, Charlie Watts e Buddy Rich, e lui ci prova! Tornando al disco Bible Belt è un country-rockabilly ricco di gospel degno del miglior Elvis mentre Bad Seed scatena l’ormone Zeppeliniano e l’urlo alla Plant della Fuchs (che dal vivo fa una strepitosa Whole Lotta Love, se volete la potete vedere in un filmato del Rockpalast o in vari altri su YouTube). Dopo una raffinata I Know You Know che illustra anche il suo lato più gentile c’è una strepitosa Hiding From Your Love che sta a Dana Fuchs come With A Little Help From My Friends sta a Joe Cocker, un brano che tra “picchi e vallate” ovvero crescendi e pause, illustra quanto di meglio il rock è in grado di regalare quando è in mano a qualcuno che sa cantare come pochi, sentire e convertirsi.

La conclusione è affidata a Sad Salvation, solo voce e chitarra acustica che parrebbe la nuova direzione della musica di Dana che nel suo Blog annuncia il prossimo completamento di un futuro album acustico Broken Down, si vedrà. Per il momento, se lo trovate, gustatevi questo eccellente Lonely For A Lifetime, bel disco e grande voce!

Bruno Conti

I Migliori Dischi Del 2011 Appendice II. Buscadero E Addetti Ai Lavori.

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Mancava all’appello, causa leggero ritardo nella data di uscita, ma ecco anche i migliori dischi del 2011 del Buscadero, ovvero Poll 2011.

Disco dell’anno

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The Decemberists – The King Is Dead 15 voti

Immediati Inseguitori

(NDB in questa la classifica la cifre corrispondono!)

Ry Cooder – Pull Up Some Dust And Sit Down 13 voti

Lucinda Williams – Blessed 12 voti

Fleet Foxes – Helplessness Blues 10 voti

Gillian Welch – The Harrow And The Harvest 10 voti

Wilco – The Whole Love 10 voti

Ryan Adams – Ashes And Fire 9 voti

(I primi de) Gli Altri

Lou Reed & Metallica – Lulu 7 voti

Guy Clark – Songs And Stories 6 voti

James Maddock – Live At Rockwood Music Hall 6 voti

Come al solito, se volete leggere le altre posizioni e i voti dei Redattori (tutti meno la mia, perché già la sapete) vi comprate il giornale. Nel titolo del Post mi sono un po’ allargato con “addetti ai lavori”, un effetti un Addetto Ai Lavori! Visto che quest’anno il Buscadero non ha pubblicato le “preferenze” di musicisti, discografici e amici ne ho contattato uno io come rappresentante ideale trattandosi oltre che di addetto ai lavori per conto della Universal anche di un amico ed un appassionato di musica nonché destinatario dei miei strali quando le uscite italiane ritardano rispetto a quelle internazionali, per esempio la compilation Chimes Of Freedom The Songs Of Bob Dylan Honoring 50 Years Of Amnesty International, annunciata per il 31 gennaio slitta al 7 febbraio (e la colpa è sua, scherzo!). Se ci fate caso, pur essendo parte del gioco, è stato onesto e non ha infierito con prodotti della “sua famiglia”, solo il giusto! Già che c’ero ho inserito un paio di video dei brani tratti dai “Capolavori”!

(NDB* anche se ha “ciccato” proprio il titolo di un “suo disco”, come nella Settimana Enigmistica, Cerca l’errore).

Claudio Magnani 2011 In Music

2011, alcuni buoni album, senza le vette degli anni che furono.

o    ROCK:

o    1. JJ GREY & MOFRO / BRIGHTER DAYS
2. PAUL SIMON / BE BEAUTIFUL OR SO WHAT
3. DAVE ALVIN / ELEVEN ELEVEN
4. JONATHAN WILSON / GENTLE SPIRIT
5. GILLIAN WELCH / THE HARROW AND THE HARVEST
6. TOM WAITS / BAD AS ME
7. ADAM COHEN / LIKE A MAN
8. JOE HENRY / REVERIE
9. MATTHEW’S SOUTHERN COMFORT / KIND OF NEW
10. WILCO / THE WHOLE LOVE

o    ITALIANI:

o    VINICIO CAPOSSELA / MARINAI, PROFETI & BALENE
IVANO FOSSATI / DECADANCING

o    JAZZ:

o    1. MSMW / IN CASE THE WORLD CHANGES ITS MIND
2. JOHN ZORN / AT THE GATES OF PARADISE
3. ERIK FRIEDLANDER / BONEBRIDGE
4. GIACOMO GATES / THE REVOLUTION WILL BE JAZZ
5. ELIANE ELIAS / LIGHT MY FIRE

o    ARCHIVI, non in ordine, questi sono veri capolavori…

o    DEREK & THE DOMINOS / LAYLA (UNIVERSAL)
WHO / QUADROPHENIA (UNIVERSAL)
GENE CLARK / WHITE LIGHT (SUNDAZED)
BOBBY CHARLES / BOBBY CHARLES (RHINO HANDMADE)
BEAU BRUMMELS / BRADLEY’S BARN (RHINO HANDMADE)
DONOVAN / SUNSHINE SUPERMAN (SONY LEGACY)
KATE & ANNA MCGARRIGLE / TELL MY SISTER (NONESUCH)
ARTISTI VARI / DELTA SWAMP ROCK (SOUL JAZZ RECORDS)
BEACH BOYS / THE SMILE SESSIONS (EMI)
MARVIN GAYE / WHAT’S GOING ON (UNIVERSAL)

·         Cool runnings…

Claudio

Avrei anche contattato qualcun altro, vediamo se risponde, in caso pubblico!

Bruno Conti

Archivi Che Passione! Johnny Winter E Hot Tuna – Setlist The Very Best of…Live

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Johnny Winter –  Setlist The Very Best Of Johnny Winter Live– Sony Legacy
Hot Tuna – Setlist The Very Best of Hot Tuna Live – Sony Legacy

Che passione per gli archivi, quella sviluppata negli ultimi anni dalle case discografiche, ma un po’ anche “che palle”! Da quando si sono accorte che il settore delle ristampe è uno dei pochi che tira nel mercato attuale, anche le majors (oltre alle benemerite etichette specializzate) si sono lanciate con box set, versioni Deluxe e antologie come piovesse. E tu, compra che ti ricompra, ti ritrovi ad acquistare sempre lo stesso materiale per gli inediti, le outtakes o le confezioni a seconda del tuo grado di feticismo. E non ci sarebbe nulla di male, in fondo gli appassionati è quello che hanno sempre fatto ma bisogna stare attenti a non tirare troppo la corda perché poi finiscono i soldi e anche la pazienza dei diretti interessati.

Per esempio, la Sony Legacy ha iniziato a pubblicare una nuova serie che si chiama Setlist The Very Best Of e nella prima, numerosa, emissione ci sono parecchi titoli che sarebbero potenzialmente interessanti: prendiamo questi due, Johnny Winter e gli Hot Tuna, l’idea di base è molto buona, scegliere il meglio dalle esibizioni dal vivo tratte dai cataloghi Sony, Columbia, Epic ed altre etichette del gruppo e creare una sorta di compilation indirizzata ai neofiti ed in questo senso le raccolte funzionano ma poi qualcuno si è detto, “perché non inserire qualche inedito o rarità?”  Ma non sempre!

Per esempio il volume dedicato a Winter, al di là della eccellente qualità sonora e dei contenuti non ha inediti, ci sono tre brani tratti da Second Winter, due da Captured Live e tre da Johnny Winter And Live. Oltre ad alcune, chiamiamole, rarità: un brano tratto da The Woodstock Experience e tre dal fantastico Live At The Fillmore East 10/3/1970 edito lo scorso anno dalla Collector’s Choice su licenza della Sony che sarebbe il caso di avere nella sua totalità. Se vi “accontentate” di questo CD avrete comunque un concerto dal vivo “virtuale” magnifico con versioni da sballo, tra le altre, di Good Mornin’ Little School Girl, Johnny B Goode, It’s My Own Fault, Jumpin’ Jack Flash e Mean Town Blues, con e senza Rick Derringer e comunque tutte e dodici registrate tra il 1969 e il 1975 quando Johnny Winter era una vera forza della natura. L’unica cosa inedita sono le note del libretto firmate dal “collega” Bob Margolin.

Il caso degli Hot Tuna è diverso, qui, per fortuna o purtroppo, perché toccherebbe comprare, ci sono quattro brani inediti e pure interessanti. In questo caso si segue l’ordine cronologico e a fianco di ben cinque brani tratti dal “mitico”  Hot Tuna (ma per il sottoscritto il migliore rimane di gran lunga Burgers, il classico disco perfetto), il primo album acustico registrato nel settembre del 1969 alla New Orleans House di Berkeley, California ne troviamo tre provenienti da Double Dose ristampato un paio di anni fa nella versione completa in doppio CD dalla Wounded Bird. Dal famoso album prodotto da Felix Pappalardi abbiamo l’occasione di ascoltare, tra gli altri, una bellissima versione di Watch The North Wind Rise, forse l’unico brano sopra la media tratto da Hoppkorv. E comunque Jorma Kaukonen, sempre parere personale, il meglio lo raggiunge quando si esibisce alla chitarra elettrica memore dei suoi trascorsi nei Jefferson Airplane e assistito dal pulsare irrefrenabile del basso di Jack Casady, uno dei migliori di sempre allo strumento. Tra i quattro inediti una notevole I See The Light, solo Kaukonen e Casady (ma bastano e avanzano) dal vivo al Winterland nel 1973 per un brano che ricorda molto il gruppo madre, Keep Your Lamps Trimmed and Burning, Fillmore West 1971 presenta la formazione con Papa John Creach al violino e Sammy Piazza alla batteria, divertente e scanzonata rilettura del classico del Rev. Gary Davis. Non male anche Been So Long e Hit Single #9, entrambe registrate a New York nel 1974 dalla formazione in trio con Bob Steeler alla batteria, la classica formula tra rock, blues e un tocco di psichedelia, la versione elettrica degli Hot Tuna, niente folk ma chitarra solista a manetta anche con wah-wah nel secondo brano.

Quindi due ristampe, per diversi motivi, entrambe meritevoli di un ottimo voto.

Bruno Conti

Un Altro Grande Talento Che Non C’é Più! Sean Costello – At His Best Live

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Sean Costello – At His Best Live  – Landslide Records

Ultimamente mi è capitato spesso di occuparmi di “artisti che non ci sono più!”, Lester Butler e i suoi 13 (un-vero-peccato-ma-non-e-mai-troppo-tardi-13-featuring-leste.html) , Jeff Healey (un-adeguato-testamento-sonoro-jeff-healey-band-full-circle.html), ma anche Gary Moore (un-ultimo-saluto-gary-moore-live-at-montreux-2010.html) e a parte Healey si tratta di musicisti che ci hanno lasciato per problemi legati ad alcol o droga. Anche Sean Costello se ne è andato per una overdose, nel 2008, il 16 aprile, un giorno prima del suo compleanno. Avrebbe compiuto 29 anni! Un vero peccato, perché si trattava di un vero talento, di cui mi ero occupato per il Buscadero recensendo (se non ricordo male) un paio di suoi dischi.

Uno dei migliori chitarristi della sua generazione e, caso raro, anche un eccellente cantante, con un voce ora calda e suadente, nel repertorio vicino a soul e R&B, più rauca e vissuta quando si dedicava al Blues, forse l’unico a cui potrei avvicinarlo, di quelli ancora in circolazione, sia come stile e passione per i due generi, sia per le qualità vocali (ma Costello cantava anche meglio) direi che sia l’ottimo Tommy Castro. Nativo di Philadelphia ma cresciuto a Atlanta, Georgia (come ricorda lo speaker nell’intro al 1° brano), Sean ha iniziato la sua carriera discografica da giovanissimo, un altro enfant prodige che ha pubblicato il suo primo disco, Call The Cops, a 16 anni. Ma la fama è arrivata con la partecipazione, come chitarra solista, a Just Won’t Burn di Susan Tedeschi, con la quale, band al seguito, ha condiviso i palchi americani per un breve periodo facendo la giusta gavetta. Dal 2000 sono usciti altri 4 album a nome proprio, tutti molto buoni, che sono culminati nel 2008 con la pubblicazione del migliore di tutti, We Can Get Together, un disco veramente bello che fondeva le sue varie passioni, soul, blues e rock, unite ad una tecnica chitarristica eccezionale e una voce veramente coinvolgente.

E arriviamo a questo At His Best Live, che raccoglie materiale registrato nel corso della sua intera carriera, alternando brani di buona qualità sonora ad altri più ruspanti a livello sound, ma sempre notevoli per l’intensità della musica dal vivo. Si dice sempre che il meglio dei grandi musicisti (se c’è talento) si ascolta dal vivo e anche in questo caso non veniamo delusi. Dalla partenza Blues con il fulminante brano strumentale San-Ho-zay di Freddie King registrato nel 2000 passando per lo slow Blue Shadows (uno di quelli con suono “ruspante) registrato al locale di Buddy Guy a Chicago nel 2002 e nel quale lo spirito del titolare si impadronisce di Costello per un blues veramente torrido. E ancora, una formidabile T-Bone Boogie, registrata in Florida nel 2007, per non dire di una All Your Love di Magic Sam che fa rivivere lo stile del grande Bluesman di Chicago e dei suoi dischi per la Cobra e la Delmark. Ma c’è spazio per il funky di I get a feeling, uno dei cavalli di battaglia di Johnny Guitar Watson e l’errebi fantastico di Check It Out di Bobby Womack propelso da un giro di basso micidiale e in cui la voce di Sean Costello acquista coloriture “black” impressionanti e la chitarra scorre fluida e ricca di inventiva.

Bellissima anche Can I Change My Mind dove c’è spazio pure per l’organo di Matt Wauchope nell’accompagnare la voce super confidente di Costello. Suono ai limiti della decenza in You’re Killing My Love in cui Sean si cimenta con il repertorio di Mike Bloomfield, ma la chitarra viaggia alla grande. Stesso discorso per Reconsider Me, suono scarso ma grande performance. A Doing My Own Thing di Johnnie Taylor (altra passione mai nascosta) applica un trattamento alla Steve Marriott dei tempi d’oro degli Humble Pie, di cui ricorda moltissimo la voce, rock-blues ad altissima gradazione.

The Hucklebuck un duetto chitarra-organo pimpante può ricordare anche il sound di Ronnie Earl o Robillard a dimostrazione della sua ecletticità. Motor Head Baby è un altro brano di Johnny Guitar Watson notevole, peccato per il suono. Bellissima anche Hold On This Time un brano Stax scritto da Homer Banks per Johnnie Taylor, e qui si gode. The Battle Is Over But The War Goes On (che titolo!) non la ricordavo, ma siamo di nuovo in territori rock-blues con la chitarra tiratissima. Merita anche Peace Of Mind di Robert Ward dove anche il gruppo pompa alla grande dietro a voce e chitarra assatanate di Sean Costello. Si conclude con una Lucille ricca di energia. Se questo doveva essere il suo testamento sonoro dal vivo direi che, scontati i problemi tecnici di alcuni brani, ci ha lasciato della grande musica e il titolo del disco, per una volta, è conforme ai contenuti.

Bruno Conti 

Ma Allora Ditelo! Big Brother And The Holding Company Featuring Janis Joplin – Live At The Carousel Ballroom 1968

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Big Brother And The Holding Company Featuring Janis Joplin – Live At Carousel Ballroom – Sony Legacy 13-03-2012

Ma ditelo allora, prima mi annunciano una ennesima nuova versione espansa di Pearl e poi, a sorpresa, questo concerto inedito di Janis Joplin (giustamente perplessa nella foto che apre il Post)) registrato al Carousel Ballroom di San Francisco il 23 giugno del 1968 e che uscirà per la Sony Legacy il 13 marzo di quest’anno. Per i meno avvezzi ai tempi passati il Carousel Ballroom è quello che poi sarebbe diventato il famoso Fillmore West di Bill Graham.

Il CD esce a marzo perché esattamente un anno fa (quasi, il 12 marzo) moriva in Australia (dove si era trasferito) il famoso tecnico del suono, quel Owsley “Bear” Stanley che ha legato indissolubilmente il proprio nome con i Grateful Dead e con la scena di San Francisco, vi ricordate History Of The Dead Vol.1 Bear’s Choice? Ovviamente era lui! Comunque prima di morire aveva fatto in tempo a completare la masterizzazione di questo leggendario (ed inedito) concerto che lui stesso aveva registrato a quei tempi. Dopo il Live At Winterland ’68 il secondo tassello che si aggiunge alla esigua discografia dal vivo, concerti completi, di una delle più grandi voci rock della storia (la più grande?) e anche di un gruppo, Big Brother and The Holding Company, che nelle giuste serate era una forza della natura come la sua cantante! Ascolteremo…Per il momento questa è la tracklist completa:

1. Combination Of The Two
2. I Need A Man To Love
3. Flower In The Sun
4. Light Is Faster Than Sound
5. Summertime
6. Catch Me Daddy
7. It’s A Deal
8. Call On Me
9. Jam – I’m Mad
10. Piece Of My Heart
11. Coo Coo
12. Ball & Chain
13. Down On Me

Bonus Track:

14. Call On Me (Saturday Show – June 22, 1968)

Naturalmente come bootleg esisteva, non si sfugge, ma averlo “ufficiale” è un’altra cosa! O no?

Bruno Conti