Signore E Signori: Il Disco Dell’Estate 2020! Jimmy Buffett – Life On The Flip Side

jimmy buffett life on the flipside

Jimmy Buffett – Life On The Flip Side – Mailboat CD

Jimmy Buffett è un personaggio abbastanza unico nel panorama musicale americano: originario dell’Alabama (ma nato in Mississippi), cantautore di stampo classico dichiaratamente ispirato a James Taylor, ha sviluppato fin dai primi anni una passione per i suoni ed i ritmi delle isole caraibiche, creando un sound gioioso e solare in cui le steel drums hanno una parte determinante e perfezionando una lunga serie di album perfetti da ascoltare durante i mesi estivi, con canzoni dai testi spesso ironici ispirati al dolce far niente ed alla fuga dalla dura realtà quotidiana. Il suo songbook è ricco di classici del calibro di Margaritaville, Volcano, One Particular Harbour, Cheeseburger In Paradise, Fins, Come Monday, Changes In Latitudes, Changes In Attitudes e molti altri, ed anche le sue esibizioni dal vivo sono famose, con decine di migliaia di fans presenti ad ogni concerto (noti come “Parrotheads”): tutto ciò ha reso il nostro molto più popolare in America che dalle nostre parti, ed infatti in Europa (Parigi a parte) non viene praticamente mai. Negli ultimi anni Buffett ha parecchio diradato la sua produzione discografica, con un solo album pubblicato nella decade appena trascorsa (a parte il natalizio ‘Tis The SeaSon del 2016 https://discoclub.myblog.it/2016/11/30/caraibi-tradizione-due-modi-diversi-celebrare-il-natale-jimmy-buffett-tis-the-seasonloretta-lynn-white-christmas-blue/ ), l’ottimo Songs From St. Somewhere che era il seguito dell’altrettanto valido Buffet Hotel del 2009.

Life On The Flip Side segna quindi il più che gradito ritorno di Jimmy, e fin dalla confezione esterna (un elegante slipcase che contiene il CD in digipak ed un libretto di ben 62 pagine con foto, testi ed esaurienti note brano per brano) si capisce che il nostro ha fatto le cose in grande. Il layout mi ricorda parecchio quello di Fruitcakes, disco del 1994 che non a caso è per il sottoscritto il suo migliore in assoluto (insieme a Last Mango In Paris del 1985 e License To Chill del 2004), e la cosa di cui però mi compiaccio maggiormente è che, una volta ascoltato l’album, posso affermare di avere tra le mani uno dei lavori più belli di Buffett, e di certo il suo migliore dallo stesso License To Chill in poi. Jimmy è accompagnato come sempre dalla Coral Reefer Band, un formidabile ensemble di ben 12 tra musicisti e coristi (tra i quali spiccano i chitarristi e songwriters per conto proprio Mac McAnally e Will Kimbrough, il tastierista e direttore musicale Michael Utley, lo steel drummer Robert Greenidge e la fantastica sezione ritmica formata da Jim Mayer al basso, Roger Guth alla batteria ed Eric Darken alle percussioni), ma quello che rende Life On The Flip Side un gradino sopra altri lavori di Buffett è proprio l’eccellente qualità delle 14 canzoni, con il nostro responsabile da solo o con altri (soprattutto Kimbrough e McAnally) di un buon 80% del totale; come ulteriore ciliegina abbiamo il coinvolgimento di Lukas Nelson in un pezzo e, in ben tre canzoni, del noto cantautore irlandese Paul Brady, il quale mostra un’insolita vena gioiosa e “vacanziera”.

Inizio splendido proprio con uno dei brani che vede Brady collaborare sia alla scrittura che ai cori: Down At The Lah De Dah è un irresistibile pezzo country caraibico e solare tra i più belli e diretti mai pubblicati da Jimmy, una vera gioia per le orecchie con uno di quei motivi che non escono più dalla testa. Avvio strepitoso, sentire per credere. Who Gets To Live Like This vede la partecipazione di Nelson alla stesura del pezzo (ed ai cori), per una gradevole canzone di stampo reggae e con una linea melodica rilassata e godibile tipica di Jimmy (non manca l’assolo di steel drums); con The Devil I Know “sconfiniamo” in una ballroom texana, per un country’n’roll tutto ritmo e godimento sonoro, con il leader che mostra di divertirsi non poco (e noi con lui), mentre The Slow Lane è un’ariosa ballata con la slide che dona un sapore southern anche se l’elemento reggae non tarda a manifestarsi, un cocktail da gustare tutto d’un fiato. Cussin’ Island non cambia registro, siamo sempre in spiaggia con un margarita in mano ed una palma a farci ombra, Oceans Of Time (secondo brano di Brady, già noto nella versione del suo autore) è invece una splendida ballata lenta di stampo country, suono pieno e melodia avvolgente, tra le più belle del CD. La cadenzata Hey, That’s My Wave, caratterizzata da un ottimo refrain corale, fa tornare la voglia di prendere un volo per le Bahamas (la canzone è dedicata alla memoria di Dick Dale, e non manca un assolo chitarristico di stampo surf).

The World Is What You Make It è il terzo brano di Brady (risalente al 1995), con Paul stesso che duetta assieme a Jimmy e la Coral Reefer Band a fornire un background decisamente rock con le chitarre in primo piano, mentre la divertente Half Drunk ha un raffinato arrangiamento laidback dal sapore dixieland, un tipo di sound in cui il nostro si muove con classe ed eleganza. Mailbox Money è un country-rock elettrico e coinvolgente con un altro di quei ritornelli che non si staccano dalle orecchie, al contrario di Slack Tide che è una deliziosa ballad guidata dalla chitarra acustica e dal pianoforte, un brano che fa emergere il Buffett cantautore “serio”, non di certo inferiore a quello festaiolo. Il CD volge al termine, ma c’è ancora tempo per una doppia full immersion nei ritmi e colori delle isole del Mar dei Caraibi (la bellissima Live, Like It’s Your Last Day, vero riassunto in un titolo della filosofia di vita buffettiana, e la spassosa e trascinante 15 Cuban Minutes) e per il finale intimo e toccante di Book On The Shelf, intensa ballata nobilitata da una fisarmonica sullo sfondo nella quale il nostro dichiara di non avere ancora voglia di appendere la chitarra al chiodo. E questa è una gran bella notizia, perché soprattutto in questi momenti difficili c’è sempre più bisogno di dischi come Life On The Flip Side, in grado di farci trascorrere un’oretta di piacevole spensieratezza.

Marco Verdi

“Gallina Vecchia” Fa Sempre Un Buon Brodo. Paul Brady – Unfinished Business

paul brady unfinished business

Paul Brady – Unfinished Business – Proper Records

A distanza di circa sette anni dall’acclamato Hooba Dooba (10), e a due dallo splendido concerto di materiale d’archivio dal vivo The Vicar St.Sessions Vol. 1 (15), recensito puntualmente su questo blog http://discoclub.myblog.it/2015/07/12/irlandesi-che-serate-amici-vecchi-nuovi-paul-brady-the-vicar-st-sessions-vol-1-with-mark-knopfler-van-morrison-sinead-oconnor-bonnie-raitt-mary-black-eccetera/ , torna il songwriter nord-irlandese Paul Brady che prima nei Johnstons e poi nei Planxty (in sostituzione di Christy Moore, ma senza incider nulla) si è poi costruito nel corso dei cinque decenni successivi una buona carriera da solista iniziata dal folk, e poi in seguito sfociata nella svolta rock, a partire dal “seminale” e bellissimo Hard Station (81). Per questo Unfinished Business (quindicesimo album da solista) registrato nello Studio di Brady a Dublino, Paul ha suonato lui stesso la maggior parte degli strumenti, sfornando nove brani nuovi di cui cinque scritti con l’amica cantautrice Sharon Vaughn (ha lavorato con Willie Nelson, Waylon Jennings, Dolly Parton, Kenny Rogers, e altri), tre con il poeta Paul Muldoon (premio Pulitzer per la poesia), e uno con Ralph Murphy (produttore tra gli altri degli April Wine e altri artisti canadesi), più due canzoni di stampo tradizionale, Lord Thomas And Fair Ellender di Mike Seeger, e The Cocks Are Crowing del bardo Eddie Butcher, con buona parte dei brani accompagnati ai cori dalla brava Vaughn.

Unfinished Business si apre con la title track, un brano che inizia con un pianoforte tintinnante, dal ritmo lento e raffinato, accompagnato da una sorta di quartetto soft-jazz, a cui fa seguito il suono più moderno di una gioiosa I Love You But You Love Him, mentre gli echi del miglior Van Morrison si appalesano nella meravigliosa Something To Change, con abbondanza di fiati e coretti “soul”, e una “moderna diversità” si percepisce in Say You Don’t Mean, con un testo molto critico di Muldoon. Con la splendida Oceans Of Time si ritorna alle sue classiche ballate d’amore (con un ritornello “assassino” cantato in duetto con Sharon), e che si adatta perfettamente alla voce di Paul, per poi cambiare ritmo sulle note rarefatte di una chitarra jazz con Harvest Time, ritornare per una volta alle sonorità degli esordi folk dei primi anni con il tradizionale The Cocks Are Crowing ,un brano che Paul canta da decenni dal vivo, e sorprendere l’ascoltatore con una divertente e leggermente “dylaniana” I Like How You Think. Ci si avvia alla parte finale con la melodia popolare di Maybe Tomorrow, dove flauto, fisarmonica e mandolino dettano il ritmo ed echi nostalgici dell’Irlanda, mentre ammalia una dolce ballata di paese come Once In A Lifetime (scritta con Ralph Murphy), e per chiudere ecco “la perfezione” del tradizionale Lord Thomas And Fair Ellender, tutto basato su una chitarra melodica e l’armonica, con in sottofondo le note di un mandolino (come fossero suonate in un qualsiasi Pub irlandese).

Questo signore ha festeggiato il 70° compleanno all’inizio di quest’anno, e la sua carriera è stata costellata da collaborazioni con artisti del calibro di Tina Turner, Bonnie Raitt, David Crosby, per citarne alcuni su tutti, ricevendo l’apprezzamento anche di un certo Bob Dylan per il suo “songwriting” raffinato, che lo conferma come uno degli artisti più popolari della musica irlandese, un cantautore di razza, un vocalist ancora brillante, con una storia alle spalle, e che con questo Unfinished Business dimostra ancora una volta di avere classe, fantasia e di essere in grado di fare ancora eccellente musica, caratteristiche che gli hanno fatto guadagnare nel tempo schiere di ammiratori in tutto il mondo. A parere di chi scrive, i dischi di Paul Brady sono stati sempre come dei grandi viaggi, da scoprire ed esplorare, ma una volta scoperti potrebbe esserci là fuori un intero mondo di potenziali viaggiatori pronti ad ascoltare questo brillante musicista irlandese.

Tino Montanari

Ancora Irlandesi. Che Serate, Con Amici Vecchi E Nuovi! Paul Brady – The Vicar St. Sessions Vol. 1 (With Mark Knopfler, Van Morrison, Sinead O’Connor, Bonnie Raitt, Mary Black, Maura O’Connell, Moya Brennan, Ecc.)

paul brady vicar st, sessions vol.1

Paul Brady – The Vicar St. Sessions Vol. 1 – Proper Records  

Ci sono i misteri di “Fatima”, e anche i misteri delle industrie discografiche. Quattordici anni fa il cantante irlandese Paul Brady (mi ero già occupato di lui in occasione dell’ultimo Dancer In The Fire, una doppia antologia http://discoclub.myblog.it/2012/05/28/uno-degli-ultimi-bardi-irlandesi-p/), ha suonato per 23 serate consecutive al leggendario Vicar Steet Bar % Club di Dublino ( dove lo scorso anno ho avuto la fortuna di assistere ad un concerto di Christy Moore), con la presenza di numerosi ospiti e amici che ogni sera si alternavano sul palco a cantare con Paul brani del loro repertorio. Ora, una prima selezione di queste canzoni registrate in quel “tour de force” musicale prendono forma, e vengono raggruppate, in questo The Vicar St. Sessions Vol.1 (con la promessa di ulteriori volumi a seguire), dove Brady, anche alla chitarra, sale sul palco del magico locale dublinese accompagnato dalla sua meravigliosa band, composta dal polistrumentista Steve Fletcher alle tastiere, percussioni, basso e voce, Jennifer Maidman alle chitarre acustiche e elettriche, Liam Genockey alla batteria e la brava Leslie Dowdall alla percussioni e armonie vocali, per un “set” virtuale composto da tredici brani (di cui 9 sono “covers”) che danno vita ad un concerto coinvolgente.

Come consuetudine Paul inizia i suoi concerti con I Want You To Want Me (la trovate in Spirits Colliding (95), eseguita, come al solito, al livello di gente come Richard Thompson e John Martyn, per poi far salire sul palco Mark Knopfler per Baloney Again (pescata da Sailing To Philadelphia) con la suo inconfondibile voce e tocco di chitarra, andando poi a ripescare un vecchio brano come The Soul Commotion da Primitive Dance (87) e una sempre commovente Believe In Me tratta da Oh What A World (00), qui riproposta in stile à la Van Morrison, per poi lasciare il palco al duo Gavin Friday e Maurice Seltzer che trasformano la sua bellissima Nobody Knows in un brano crepuscolare che viaggia dalle parti di Lou Reed o Nick Cave, la splendida voce a “cappella” di Sinead O’Connor in In This Heart, e un Van Morrison accolto calorosamente dal pubblico, che canta in duetto con Paul la sua celeberrima Irish Heartbeat (dall’album con i Chieftains), dove il buon Van mi sembra meno svogliato di alcune altre occasioni https://www.youtube.com/watch?v=kbfjVwKxkB4 , anzi, in gran forma!

Si riparte con la classe cristallina di Bonnie Raitt che omaggia Paul con un duetto in Not The Only One (da un album straordinario come Full Moon (86), dove si trovano altre “perle” come Helpless Heart e Steel Claw (portata al successo da Tina Turner), passando poi a Curtis Stigers che presenta la sua Don’t Goi Far (scritta con la brava Beth Nielsen Chapman), il pop melodico (senza fare troppi danni) di Ronan Keating in The Long Goodbye (sempre da Oh What A World), il toccante racconto di un’altra grande artista irlandese Eleanor McEvoy Last Seen October 9th (in memoria di una ragazza scomparsa), il ritorno della Raitt sempre in coppia con Brady nella bluesy The World Is What You Make (da The Paul Brady Songbook (02), andando poi a chiudere il concerto con una stratosferica versione di Forever Young di Dylan, cantata da Paul con un trio di meravigliose voci femminili irlandesi come Mary Black, Maura O’Connell e Moya Brennan dei Clannad (tanto per fare un paragone noi abbiamo avuto e possiamo proporre il Trio Lescano!). Giù il sipario. Per Il momento!

Pur non avendo mai raggiunto le vette della popolarità di altri artisti, Irlanda esclusa (nonostante 16 album al suo attivo e diverse collaborazioni), le sue canzoni godono di grande prestigio, e sono state cantate da una vasta gamma di artisti nel corso degli ultimi quattro decenni, tra cui ricordo Mark Knopfler, Eric Clapton, Joe Cocker, Carole King, Bonnie Raitt, Tina Turner, Mary Black, Maura O’Connell, Trisha Yearwood e molti altri che hanno incluso sue composizioni nel proprio repertorio. Ci sono grande speranze che queste Vicar Street Sessions ottengano il riconoscimento che meritano (certificato dai 17.000 biglietti venduti ai tempi per tutte le serate della serie), e facciano scoprire finalmente, a chi non lo conosce, uno degli artisti più apprezzati e di successo della Emerald Island, un autore dal talento eccezionale che nelle sue esibizioni dal vivo (sia da solo come con la band al completo), trasmette allo spettatore la sensazione di partecipare ad una serata affascinante!

Tino Montanari

Novità Di Aprile Parte Ia. Zac Brown Band, 10,000 Maniacs, Eaves, Paul Brady, Joan Armatrading, Rory Gallagher, Bill Fay

zac brown band jekyll + hyde

Solito appuntamento con il riepilogo delle novità discografiche più interessanti di fine mese, quelle di cui non si è parlato o si parlerà nei giorni a venire con Post specifici, o di cui vi avevo dato conto con netto anticipo, per esempio le versioni doppie e triple della raccolta del periodo Warner di Eric Clapton, Forever Man, peraltro priva di inediti e rarità, o il box da 9 CD The Island Years dedicato agli Spooky Tooth, e ancora al nuovo Great Lake Swimmers, A Forest Of Arms, tutti e tre in uscita il prossimo 28 aprile. Questa volta niente Live radiofonici, ma comunque moltissime altre uscite notevoli, partendo da quelle previste per martedì prossimo e poi andando a ritroso, le altre, uscite in precedenza, comunque ci saranno varie parti dedicate all’argomento, quindi direi di partire.

Sul finire dello scorso anno vi avevo parlato della raccolta di successi della Zac Brown Band http://discoclub.myblog.it/2014/12/14/country-zac-brown-band-greatest-hits-so-far/, ora la band della Georgia torna con un nuovo album di studio Jekyll + Hyde, il sesto disco di studio del gruppo (compresi i due pubblicati a livello indipendente), il primo che esce per la nuova etichetta Republic del gruppo Universal: sono ben 16 brani, dove oltre ai soliti country e southern della band ci sono anche aperture verso rock e blues, grazie alla presenza come ospiti di Chris Cornell e Sara Bareilles, collaborazioni a livello di canzoni con Al Anderson, Keb’ Mo’, Darrel Scott, Rich Robinson, Amos Lee, Roger Waters (ebbene sì), oltre ad una cover, Dress Blues, dal primo disco solista di Jason Isbell https://www.youtube.com/watch?v=uJbCAtyUl3Q. Il disco, ad un primo ascolto veloce, pare notevole, a conferma del livello qualitativo raggiunto dal gruppo sudista, senza mai sfiorare il capolavoro riescono a fondere musica da classifica, quindi anche canzoni orecchiabili, con materiale più ricco di sostanza, anche se la dimensione live rimane il loro contesto migliore.

10.000 maniacs twice told tales

Come tutti sapranno Natalie Merchant non fa più parte dei 10.000 Maniacs dal lontano 1993, lasciando con il botto dopo l’ottimo MTV Unplugged, ma John Lombardo ha continuato con gli altri componenti originali della band, aggiungendo la cantante Mary Ramsey, molto simile vocalmente a Natalie, che poi nel corso degli anni ha lasciato ed è ritornata nel gruppo più volte, come pure Lombardo https://www.youtube.com/watch?v=USsA0ngKAoM . Ora sono presenti entrambi in questo nuovo Twice Told Tales che esce per la Cleopatra (non sempre sinonimo di qualità certa per chi scrive) e l’idea alla base del progetto è intrigante, un disco dedicato alla musica celtica ed irlandese, soprattutto brani tradizionali classici, ma c’è anche una cover di The Song Of Wandering Aengus, il brano di Christy Moore che musicava un poema di W.B. Yeats; il CD è molto piacevole, sembra quasi che il gruppo abbia sempre fatto questo tipo di musica, niente di trascendentale ma molto godibile https://www.youtube.com/watch?v=VBoQC0WVSB4

eaves what green feels like

Come avrete notato, sul Blog, oltre ad occuparci di “classici” del presente e del passato, siamo sempre alla ricerca di nomi nuovi ed intriganti da segnalarvi, i cosiddetti “carbonari”. Questa volta è il turno di tale Eaves, al secolo Joseph Lyons, un cantautore inglese, che dopo un primo EP passato abbastanza sotto silenzio, esordisce per la Heavenly con questo What Green Feels Like, un disco dove i paragoni con Nick Drake (e anche la famiglia Buckley), che spesso la stampa inglese usa a sproposito, sono del tutto giustificati https://www.youtube.com/watch?v=ton5dpJvNGs . Atmosfere malinconiche e tipicamente britanniche, con arrangiamenti di chitarra acustica che poi si aprono all’improvviso https://www.youtube.com/watch?v=EplthGATqCQ, una voce che assomiglia a tratti in modo impressionante a quella di Nick, una manciata di belle canzoni: vado sulla fiducia, perché ne ho sentite solo tre finora, che mi paiono assai intriganti, questa Timber, pianistica, ha dei tocchi anche alla Neil Young https://www.youtube.com/watch?v=Sw_qvDx4xMI. Giudicate voi, ma si sembra molto interessante.

paul brady vicar st, sessions vol.1

Un altro cantautore, Paul Brady,  tipico prodotto delle isole britanniche, Irlanda del Nord per la precisione, i cui dischi non sempre sono stati all’altezza della sua reputazione (veniva considerato una sorta di Jackson Browne europeo ma ogni tanto, se mi passate il termine, ha la tendenza a Christopher Crossizzarsi), ma che, di tanto in tanto, ci regala dei dischi interessanti ed intriganti. Il nuovo CD per la Proper, The Vicar St. Sessions Vol.1, sembra uno di questi casi: brani estratti da una serie di ben 23 consecutive serate, tenute nell’ottobre del 2001, da Paul Brady per celebrare la sua musica (e non solo), con una serie impressionante di ospiti, che in questo primo capitolo rispondono ai nomi di Mark Knopfler, Bonnie Raitt, Gavin Friday & Maurice Seltzer, Sinead O’Connor, Van Morrison (presente con una sontuosa Irish Hearbeat, ma come potete sentire nel filmato, ne hanno cantato altre due che speriamo appariranno nel volume 2 https://www.youtube.com/watch?v=kbfjVwKxkB4), Eleanor McEvoy, Curtis Stigers e Ronan Keating (non tutti sono perfetti). Nel secondo volume dovrebbero apparire anche Maura O’Connell, Moya Brennan dei Clannad, Mary Black, Brian Kennedy e molti altri. Comunque il signore è bravo anche di suo, e scrive bellissime canzoni, oltre ad avere una voce assai particolare ed espressiva https://www.youtube.com/watch?v=OqYmiqv7Sqw

joan armatrading whatever's for us

Un paio di ristampe tanto per gradire: la prima, a cura della Esoteric, è la ripubblicazione del primo disco di Joan Armatrading (scittto con Pam Nestor), uscito nel lontano 1972 per la A&M/Cube e poi in CD, solo brevemente negli anni ’80/’90, ma irreperibile da anni, molto bello, assai vicino come atmosfere sonore al primo Elton John, di cui usava molti degli stessi musicisti e comunque la Armatrading, negli anni ’70, non ha sbagliato un disco, uno più bello dell’altro, per una delle più grandi cantautrici espresse dalla scena britannica. Sentire please https://www.youtube.com/watch?v=IatLVlThV-E, https://www.youtube.com/watch?v=dN7uX8bpKVk e https://www.youtube.com/watch?v=QQw13bWtMws. Solo un piccolo assaggio.

rory gallagher irishman in new york

In effetti questa non è una ristampa, ma un “nuovo” album inedito dal vivo di Rory Gallagher, un doppio CD Live intitolato Irishman In New York, pubblicato dalla Rockbeat e non dalla Capo o dalla Eagle che ultimamente stanno ristampando il materiale dei suoi archivi. Si tratta di un raro concerto registrato nell’ottobre del 1979 a New York al My Father’s Place, per un broadcast radiofonico (ottima incisione), con il classico trio insieme a Gerry McAvoy e Ted McKenna, una vera forza della natura, senti che roba https://www.youtube.com, /watch?v=lQRvhJMQvxs

bill fay who is the sender

Per concludere la prima parte della prima parte (se mi scusate il bisticcio) nuovo album per un altro personaggio più unico che raro. Bill Fay, nel 2012 tornava, dopo 40 anni di oblivio, con un nuovo album http://discoclub.myblog.it/2012/08/13/il-ritorno-di-un-genio-bill-fay-life-is-people/ che ne confermava lo status di “leggenda della musica” folk alternativa. Ora, tre anni dopo, non lascia, ma raddoppia, con un nuovo CD, altrettanto affascinante, dal titolo Who Is The Sender?, etichetta Dead Oceans, quindi non di facile reperibilità https://www.youtube.com/watch?v=8cJWoox3l7Q. A giudicare da queste anticipazioni ha colpito ancora nel segno https://www.youtube.com/watch?v=TjAdWEptHQ4 e https://www.youtube.com/watch?v=K5gtT0CACnI

Per il  momento è tutto, a presto.

Bruno Conti

Uno Degli Ultimi “Bardi” Irlandesi – Paul Brady – Dancer In The Fire

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Dancer In The Fire – A Paul Brady AnthologyProper Records/Ird 2012 – 2 CD

Paul Brady, irlandese di razza, è un songwriter amatissimo dai colleghi e dagli appassionati, ma purtroppo non ha mai avuto i riscontri che si meriterebbe. Paul, nato nel 1947 a Strabane (contea di Tyrone , Irlanda del Nord), con una più che quarantennale carriera alle spalle, ha esordito nel gruppo dei Johnstons nel lontano 1967, per poi passare dopo qualche anno nello storico gruppo dei Planxty in sostituzione di Christy Moore, ma la formazione si scioglie prima di incidere qualsiasi cosa. Di quella esperienza gli resta l’amicizia con Andy Irvine, insieme al quale dà vita a un duo di breve durata documentato dallo splendido lavoro omonimo del 1976, ma decisivo per il prosieguo della sua carriera. Nel ’78 ha fatto il suo esordio solista con Welcome Here Kind Stranger, un album di Folk acclamato dalla critica, per poi diventare un musicista Rock a tutto tondo, iniziando da Hard Station (1981) un buon album di ballate elettriche.

Da quel momento, sino ad oggi, ha realizzato quindici dischi, alcuni di buon livello, altri meno riusciti, dove ha dimostrato una buona attitudine alla composizione. Brady scrive ballate morbide e sofisticate, tra Jackson Browne e Van Morrison, senza avere la forza melodica del primo o la genialità del secondo, ma i suoi lavori sono comunque onesti e sopra la media. I migliori della sua produzione passata (a parte i due già citati), sono Trick Or Treat (91), Songs & Crazy Dreams (92) e Spirits Colliding (95), mentre dalla produzione più recente sono da segnalare il Live The Liberty Tapes Missing (2003 ma registrato nel ‘78), e Say What You Feel (2005).  

Dopo due anni di silenzio e una carriera discografica costellata di grandi gratificazioni personali (Tina Turner, Bonnie Raitt, Joe Cocker, Carlos Santana, Cher, Dolores Keane e Maura O’Connell lo hanno fatto conoscere al grande pubblico, registrando alcune versioni di vecchie e nuove canzoni), si ripresenta sulla scena musicale con questa doppia “compilation”, dove pesca dal suo copioso “songbook” (oltre 140 canzoni), i suoi brani preferiti, Demos, B-Sides e alcune rarità di valore. Nel primo CD si trova per esempio The Hawana Way un singolo inciso nel 2003, scritto dal nostro dopo un viaggio a Cuba, mentre You Win Again è una cover di un brano di Hank Williams, personaggio da sempre amato da Paul. Paddy’s Green Shamrock Shore è un remix di un brano tradizionale riarrangiato con Andy Irvine, tratto dal suo primo album solista. Sail, Sail On scritta con Sharon Vaughn esce da una session in quel di Nashville con gente come Kenny Malone e Viktor Krauss (fratello della più famosa e brava Alison). Chiude una pianistica Dancer In The Fire composta in un tour in Olanda e Belgio, con gli Steely Dan nel cuore. Meravigliosa.

Apre il secondo CD il remix di The Long Goodbye una canzone scritta con Ronan Keating (sì proprio lui), portata al successo in America da Brooks & Dunn , mentre trovo con piacere una nuova versione di Steel Claw, un brano reso celebre dalla Turner in Private Dancer (84)

Duncan And Brady è una B-Side di un tradizionale arrangiato con chitarre elettriche, acustiche e pianoforte, mentre I Am A Youth That’s Inclined To Ramble riunisce dopo tanto tempo Paul Brady con Andy Irvine e Donal Lunny. Si chiude alla grande con Smile brano composto con il cantautore americano Dillon O’Brian, e una Believe In Me scritta con la sua musa ispiratrice Carole King.

Nell’insieme, la bellezza delle canzoni, l’approccio soffuso e naturale dei nuovi arrangiamenti, e anche il fatto che costi come un singolo, rendono Dancer In The Fire A Paul Brady Anthology un piccolo miracolo di gusto e di passione, e fanno di Paul Brady un menestrello che continua a raccogliere grande rispetto da artisti di oggi come Glen Hansard, Eleanor McEvoy e Shawn Colvin (di cui è in uscita il nuovo lavoro), un grande autore tutto da riscoprire.

 Tino Montanari