Novità Di Settembre Parte I. Phil Collins, Robert Plant, Linkin’ Park, Seal, Sharon Corr, Grinderman, Mavis Staples Eccetera

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Dopo la pillola di qualche giorno fa con alcuni aggiornamenti sulle uscite dei primissimi giorni di settembre veniamo alle altre uscite importanti.

Filippo Phil Collins rompe un silenzio che durava da 8 anni, interrotto solo da alcune antologie e live, con il nuovo disco Going Back: devo dire che non ha avuto alcun problema a calarsi in questa nuova prospettiva del mercato che vuole edizioni a iosa di ogni nuovo disco e quindi non si è fatto mancare niente (la sua casa discografica ovviamente).

Si tratta, come da titolo, di un album che raccoglie una nutrita serie di cover che risalgono alla sua adolescenza, soprattutto materiale Motown e Soul in generale con qualche concessione al pop di quegli anni (Goin’ Back di Carole King/Byrds, Some of Your Loving di Dusty Springfield). Questo nella versione standard con 18 brani, poi c’è la versione Deluxe CD+DVD con 25 brani e il DVD con il dietro le scene, ci fa vedere il suo studio di registrazione, la sua casa, durata 90 minuti, avrà una casa grande! Non manca la versione doppio vinile, ma attenzione, questo mancava, c’è anche il cofanetto con 15 7″ (i vecchi 45 giri) per un totale di 30 brani (lato A e B). Quindi per avere la versione con il maggior numero di brani occorre comprare questa versione e avere un giradischi ancora funzionante, anche a 45 giri, complimenti al geniale pensatore! Prezzo oltre i 40 euro.

Questo è il contenuto del Box, per deduzione arrivate al contenuto delle versioni in CD:

1.HEATWAVE / IN MY LONELY ROOM
2.STANDING IN THE SHADOWS / SOMETHING ABOUT YOU
3.GIRL / AIN’T TOO PROUD TO BEG
4.GOING TO A GOGO / TEARS OF A CLOWN
5.NOWHERE TO RUN / JIMMY MACK
6.LOVE IS HERE / YOU KEEP ME HANGING ON
7.AIN’T THAT PECULIAR / TOO BUSY THINKING ABOUT MY BABY
8.TALKING ABOUT MY BABY / YOU’VE BEEN CHEATING
9.PAPA WAS A ROLLING STONE / DON’T LOOK BACK
10.GOING BACK / SOME OF YOUR LOVING
11.BLAME IT ON THE SUN / NEVER DREAMED YOU’D LEAVE
12.UPTIGHT / LOVING YOU IS SWEETER
13.TAKE ME IN YOUR ARMS / TOO MANY FISH IN THE SEA
14.DANCING IN THE STREET / YOU REALLY GOT A HOLD ON ME
15.DO I LOVE YOU / MY GIRL (Live From New York)

Data di uscita dovrebbe essere il 14 settembre.

Anche Robert Plant torna con un nuovo disco che non è l’annunciato secondo capitolo con Alison Krauss ma la rifondazione del suo primo gruppo degli anni ’60, i Band of Joy: della formazione originale non c’è più nessuno, ovviamente, ma sono più che degnamente sostituiti da…Buddy Miller, che oltre a suonare la chitarra co-produce il tutto con T-Bone Burnett, Darrell Scott, altro grande musicista che suona una miriade di strumenti a corda (e che è notevole cantautore anche in proprio, ottimo il doppio A Crooked Road di qualche mese fa), nonché, dulcis in fundo, la grande Patty Griffin che non fa rimpiangere Alison Krauss e che quest’anno ha pubblicato l’ottimo Downtown Church patty-griffin-downtown-church-o-forse-no.html, sempre prodotto da Buddy Miller ( i due, con l’aiuto di Emmylou Harris e Shawn Colvin hanno anche girato gli States come Three Girls and their Buddy, registrando anche una puntata di Soundstage, veramente molto bella e che ho goduto appieno). Il disco di Robert Plant con i Band Of Joy è veramente bello ed uscirà il 14 settembre per la Universal, mi riprometto di tornare a parlarne più diffusamente prima dell’uscita, ma le recensioni, al momento, sono tutte ottime.

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Per gli amanti del rock duro, sempre il 14 settembre, esce il nuovo disco dei Linkin’ Park, A Thousand Suns, co-prodotto con Rick Rubin (che in questo caso viene ricordato come produttore di Metallica, Slayer, Red Hot Chili Peppers ma che ha prodotto anche Johnny Cash, Neil Diamond e le Dixie Chicks, tra mille altri, “Un uomo per tutte le stagioni”). Naturalmente (ormai è un rito) non manca la limited edition con DVD, con il Making Of dell’album. Distribuzione Warner Music.

Stesso giorno, altra casa, sempre la Mute non più EMi ma distribuita in Italia dalla Self, esce il secondo dei Grinderman, Grinderman 2, esatto! Anche qua versione Deluxe che si limita alla confezione, che nella prima tiratura conterrà un libretto di 60 pagine e un poster. Il vinile, viceversa contiene un libretto da 16 pagine e il CD!! Ma per complicare il tutto, la settimana prima uscirà un mix 12″ in vinile rosso, Heathen Child che contiene una collaborazione con Robert Fripp dei King Crimson, inedita nell’album Ma allora ditemelo che mi in…zzo come l’automobilista di Gioele Dix!

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Sempre il 14 settembre (giornata ricca) sono attesi anche il nuovo Seal, 6 Committment e il primo album solista di Sharon Corr (la sorella violinista del gruppo irlandese), intititolato Dream Of You. Entrambi distribuzione Warner e senza versioni “strane”.

Per la Anti/Epitaph/Self esce anche il nuovo, atteso album di Mavis Staples You’re Not Alone, prodotto da Jett Tweedy dei Wilco, che ha anche scritto due nuovi brani per l’occasione. Non mancano cover di Randy Newman, John Fogerty e babbo Pop Staples, oltre ad una versione del traditional In Christ There Is No East or West che ricordo in una strepitosa versione strumentale di John Fahey.

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Altre uscite di metà mese. Il nuovo Blackmore’s Night, Autumn Sky, il primo per la propria etichetta Spineform, distribuzione Universal… non manca naturalmente la moglie di Blackmore, Candice Night, anche perchè se no dovrebbero cambiare nome (ho fatto la battuta!, dico sempre, non vorrei che si offenda qualche fan).

Jamey Johnson è un ottimo cantautore country (ma di quello di qualità) e questo The Guitar Song, di cui si dice un gran bene, è il suo terzo album, un doppio, diviso in White Album e Black Album, 25 canzoni registrate negli studi di Jimmy Buffett. Disco country dell’anno?

Eccola di nuovo! Nina Hagen con un nuovo album, Personal Jesus (negli altri paesi europei è già uscito da un mesetto): c’è il brano dei Depeche Mode, ma anche Gospel e Blues Tradizionale oltre che una versione di All You Fascists Bound To Lose di Woody Guthrie, per un disco che non finisce mai di stupire.

Per oggi potrebbe bastare anche se mi sono dimenticato di citare il nuovo Jerry Lee Lewis Mean Old Man che esce la settimana prossima, il 7 settembre, stranamente in due versioni, una da 10 e una da 18 brani(proprio mentre sto scrivendo il post mi dicono che il 7 uscirà solo la versione normale, la digipack deluxe settimana dopo), entrambe singole non è chiaro a chi sia destinata quella con 8 brani in meno? Misteri della discografia. Sono della partita Ronnie Wood, Eric Clapton, James Burton, Mick Jagger e Keith Richards, ma in brani diversi. E ancora Tim McGraw, Jon Brion, Slash, Kid Rock, Sheryl Crow, Merle Haggard, Shelby Lynne, Gillian Welch, Solomon Burke, Ringo Starr, John Mayer, John Fogerty, Willie Nelson, Mavis Staples, Robbie Robertson e Nils Lofgren. E quanti ce ne sono! Veramente per tutti i gusti. E pare che sia molto bello. 71 anni ma non molla, prodotto dal batterista Jim Keltner esce per la Verve/Universal.

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Il meglio del resto del mese alla prossima!

Bruno Conti

Disco Misterioso? Roy Orbison – The Last Concert

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Roy Orbison – The Last Concert – December 4 1988 – Eagle/Edel

Mistero perché, si chiederà l’attento lettore?

Intanto per le misteriose vie della discografia, perché esce nel 22° anniversario dalla sua scomparsa? Mah!

Negli Stati Uniti era peraltro uscito lo scorso anno e solo per il dowload era disponibile dal 2008 ma di non facile reperibilità: tre uscite, tre incassi, foto di copertina leggermente diverse in ogni edizione e i fans comprano e scuciono.

Anche mettersi d’accordo su luogo dove si è tenuto il concerto? Il Cd dice Cincinnati, altri dicono Akron, Ohio, altri ancora, pare chi c’era afferma che la località fosse Highland Heights, Ohio in un teatro, non oso chiedere il nome per non avere altre sette versioni.

Il concerto è sicuramente di importanza storica in quanto Roy Orbison sarebbe morto solo due giorni dopo all’età di 52 anni. Quindi quelli che ne magnificano la voce (e hanno ragione) ma poi dicono “perfino nei suoi ultimi giorni”, dicono delle fregnacce visto che non era certo un anziano (Paul McCartney, Brian Wilson e perfino Mick Jagger per non parlare di Pinetop Perkins, 97 anni, cosa dovrebbero dire?).

Altro particolare negativo è il tipo di mixaggio, fatto da un rimbambito (soprattutto nei primi brani), con la voce delle coriste in primo piano che spesso copre quella di Orbison, la batteria e le tastiere invadenti. Capisco che questa registrazione non era destinata, probabilmente, ad essere pubblicata, ma si poteva fare meglio con la tecnologia disponibile.

Se dei suoi contemporanei Presley, Cash, Lewis e Perkins si è detto che erano il Million Dollar Quartet, lui, che pure incideva per la Sun records i suoi 250.000 dollari forse non li valeva? Certo che sì!

Una delle più straordinarie voci della storia del Rock’N’Roll, in possesso di una estensione di quattro ottave, ideale per le sue ballate strappalacrime ma in grado anche di cantare pezzi scatenati come pochi altri.

Ai tempi della sua morte stava vivendo una seconda giovinezza, dopo anni di tragedie, prima con i Traveling Wilburys (Dylan, Petty, Harrison e Lynne) e poi con l’album Mistery Girl che conteneva pezzi scritti in collaborazione con U2, Costello e Jeff Lynne che l’aveva fatto conoscere anche alle nuove generazioni.

Ma tutto era (ri)cominciato con quello straordinario concerto e DVD (e CD) chiamato A Black and White Night, dove alcuni dei massimi luminari della musica rock gli rendono omaggio con grande deferenza e partecipazione: ripresi appunto in bianco e nero, ci sono Jackson Browne, T-Bone Burnett, Elvis Costello, Kd Lang, Bonnie Raitt, Jd Souther, Bruce Springsteen, Tom Waits e Jennifer Warnes, disposti a suonare anche il campanello di casa pur di partecipare alla serata.

E questo, nel formato che preferite: CD, Dvd, Bluray, Vhs è il concerto da avere. Se volete una raccolta, la doppia Essential Roy Orbison della Bmg/sony potrebbe andare bene. Oppure se siete più “ricchi”, anche di spirito, il Box Quadruplo The Soul Of Rock and Roll della Legacy Sony con 107 brani non dovrebbe mancare in una discoteca che si rispetti. Questi 3 sono i dischi da 5 stellette, poi ci sono una miriade di altri a partire a ritroso da quelli citati.

E questo? Nella seconda parte, misteriosamente, la qualità sonora migliora nettamente e Roy Orbison sconfigge anche le invadenti coriste in una micidiale versione di Crying, con alcuni acuti incredibili che ne certificano la straordinaria potenza vocale. Ma anche le versioni di Ooby Dooby, il suo primo successo, un R&R reso con una grinta da giovinetto e il gruppo finalmente al suo servizio che gira a mille con chitarrista e pianista che si guadagnano lo stipendio ma anche il batterista. In precedenza in Mean Woman Blues dove il chitarrista rilascia un notevole assolo, sale e scende con la voce dal falsetto al suo famoso marchio di fabbrica, quel minaccioso “Rrrrrrrrrrrrr” che scatena le folle.

A proposito di folle, secondo me anche gli applausi sono fasulli, presi da un altro concerto ed aggiunti ad arte, suonano “strani”, da grande spazio e non da teatro, magari sbaglio. Blue Bayou sarebbe un grande brano, ma le coriste e il pianista, qui alle prese con una tastiera elettronica fanno del loro meglio per rovinarlo, come fanno nell’uno-due iniziale di Only The Lonely, Leah, dove sono veramente insopportabili anche per i problemi tecnici di cui sopra. Non male Candyman, con un’armonica pimpante suonata dallo stesso Orbison e molto buona la  conclusiva Oh, Pretty Woman dove il leggendario Rrrrrrrrrr si scatena di nuovo in tutta la sua potenza.

Ma la seconda parte è comunque tutta all’altezza dellìa sua fama: Go, Go, Go (Down The Line) è ancora dello scatenato Rock and Roll, It’s Over è un’altra della sua melodrammatiche ballate (che tanto hanno influenzato lo Springsteen degli esordi), anche se quella tastiera sarebbe da eliminare in una esplosione termonucleare insieme alla coriste, ma che voce ragazzi!

Ottime anche la breve Working The man e la deliziosa Lana. Secondo chi c’era inspiegabile l’assenza di Running Scared che chiudeva il concerto. Solo per fans e ammiratori (che è più o meno la stessa cosa). Allora diciamo, soprattutto per collezionisti instancabili.

Bruno Conti

La Montagna Ha Partorito Un Topolino? Brian Wilson Reimagines Gershwin

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Brian Wilson – Reimagines Gershwin – Disney Records/EMI

Sulla carta, per molti se non per tutti, questo disco poteva essere un Trionfo oppure un Disastro e invece non è nessuno dei due. Brian Wilson si è limitato a fare quello che dice il titolo dell’abum “Brian Wilson Reimmagina Gershwin” ed essendo quel grande musicista che è l’immaginazione certo non gli manca.

Naturalmente il risultato finale è un disco di Brian Wilson: il contemporaneo e l’autore di questa operazione è lui quindi mi sembra piuttosto logico che l’album sembri, sia un disco di Wilson. Le melodie originali sono di George Gershwin (con l’aiuto del fratello Ira per i testi, e qui i “fratelli” sono importanti) ma gli arrangiamenti e l’intrepretazione sono totalmente del nostro amico. D’altronde nei Beach Boys lui era il Genio, l’autore dei brani, l’Immaginatore ma non era certo la voce solista, a questo pensavano soprattutto Mike Love e il fratello Carl Wilson, con le dovute eccezioni come la stupenda Caroline No oppure parte di Good Vibrations oltre alle famose ed inimitabili armonie vocali corali.

Quindi chi si aspettava ( e c’è gente che si lamenta) un disco di “standard” cantato alla Frank Sinatra o alla Fitzgerald/Armstrong ha sbagliato obiettivo, ma, sorpresa, almeno per il sottoscritto, il risultato finale è sorprendentemente piacevole.

Non è un capolavoro, alcuni brani non sono fantastici, altri non sono totalmente nelle sue corde ma Wilson fa un lavoro globalmente più che positivo. Anche la tanta strombazzata collaborazione postuma tra Gershwin e Wilson in effetti vede la firma anche di Scott Bennett, uno dei membri più importanti dell’ultimo gruppo di Brian, quello che ha rivisto e completato Smile e che lo accompagna nei concerti dal vivo.

Partiamo proprio da uno di questi due brani nuovi, The Like In I Love You: la canzone è un prodotto tipico di Wilson, solare ed orecchiabile (fin troppo) con un sound che richiama in certi momenti quello del suo dirimpettaio di oltreoceano e coetaneo Paul MCCartney, ricorda vagamente Ebony and Ivory (d’altronde son bassisti entrambi, e il basso è molto marcato nel brano e Brian Wilson non molto tempo fa è entrato anche nella “tana del nemico” registrando una puntata della trasmissione della BBC Live At Abbey Road, qualcosa magari gli sarà rimasto attaccato). Per onestà, gli arrangiamenti vocali e il feel globale del brano sono inequivocabilmente di Wilson.

Summertime è un dei brani che non decollano: Wilson non ha una voce memorabile e quindi non può vincere sul piano dell’interpretazione, ma in questo caso non lo rivisita alla Janis Joplin o alla Eva Cassidy, per non scomodare i grandi del jazz, ma si limita a fare il suo compitino che nella reinterpretazione di Gershwin è sempre meglio che so di Madonna, Sting o Michael Bublé. E’ quell’uso particolare delle voci, marchio di fabbrica della famiglia Wilson, cugini compresi.

In I Loves You Porgy, la sua voce di eterno ragazzino (anche se gli anni sono quasi 70) dona un’aria sbarazzina e senza tempo a questo brano che già ce l’ha di suo e piace di più.

Una cosa che non tutti hanno notato è che il disco esce su etichetta Walt Disney Records: Brian Wilson regala un sottile omaggio a Topolino e soci nella versione strumentale di I Got Plenty O’ Nuttin’ che unisce un cincinino della marcetta di Topolino con le atmosfere dei Beach Boys e una simpatica armonica che guida le operazioni.

It Ain’t Necessarily So, bluesata ed intensa, meglio della versione disco dei Bronski Beat, ma non è nelle sue corde (vocali) mentre ‘S Wonderful in versione samba è leggera e piacevole come una giornata di sole su una spiaggia della California o di Ipanema, deliziosamente inconsistente.

They Can’t Take That Away From Me è puro suono Beach Boys, con quei coretti irresistibili e una spuzzatina di classici Disney. Love Is Here To Stay è una ballata senza tempo, potrebbe essere stata scritta anche negli anni ’50 o ’60 quando Gershwin non c’era più da una vita (è morto nel 1939), ma non risente della patina del tempo, romantica e da sala da ballo, è forse quella dove la mano di Wilson si nota meno.

I’ve Got A Crush On You in chiave doo-wop è una trovata geniale dalla mente inesauribile del vecchio “Ragazzo” mentre dopo l’intro inconfondibile I Got Rhythm si trasferisce sulle spiagge della California per un trattamento Surf ringiovanente (o invecchiante, a seconda dei punti di vista). In questi due brani ed in generale in tutto l’album la voce di Brian Wilson ha ritrovato una sorprendente sicurezza e freschezza, canta meglio che ai tempi d’oro.

Anche Someone To Watch Over Me riceve questo trattamento “leggero” che si inserisce nel progetto globale del disco. Nothing But Love è l’altro inedito dell’album, un altro brano tipico della penna di Wilson avrebbe trovato spazio, come brano minore ma non troppo, in qualsiasi disco della discografia dei Beach Boys.

Rimane Rhapsody in Blue, posta in apertura e chiusura del disco: si narrava di una versione accapella di questa composizione e l’idea aveva fatto aumentare la salivazione a molti, in effetti si tratta di due brevi frammenti intorno al minuto ciascuno dove la voce di tanti Brian Wilson intona il famoso tema ma purtroppo finisce subito,

In conclusione, giudizio critico: voto 7 (e non di stima), il Ragazzo (di spiaggia) ha studiato e si è applicato, potrebbe fare meglio ma ha counuque reso la stagione estiva più piacevole per quella quarantina di minuti. Il disco sarà nei negozi italiani il 7 settembre (in America è uscito il 17 agosto), quindi affrettatevi se volete godere degli ultimi raggi di piacere. Della serie Geni A Confronto, match pari.

Bruno Conti

Springsteeniani Di Tutto Il Mondo! The Promise: The Darkness On The Edge Of Town Story

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Bruce Springsteen – The Promise: The Darkness On The Edge Of Town Story Columbia 3CD/3DVD o 3CD/3 Bluray -2LP- 2CD

Allora da ieri è ufficiale il 16 novembre uscirà la tanto sospirata edizione Deluxe di Darkness On The Edge Of Town. Sarebbe dovuta uscire nel 2008 per festeggiare il 30° Anniversario dall’uscita del disco originale ma festeggoamo anche il 32esimo, che ci frega.

L’affare si ingrossa, dopo la versione CD + 2 DVD di Born To Run (e in seguito il concerto all’Hammersmith Odeon di Londra è uscito anche a parte come doppio CD), questa volta siamo a un sestuplo, con oltre sei ore di materiale video e un doppio CD The Promise che raccoglie le outtakes e i brani inediti e uscirà anche a parte come disco a sé stante,

Le dimensioni dell’opera sono notevoli anche perchè in quegli anni (ma questo sempre) Bruce Springsteen, per i noti problemi legali con i suoi ex managers registrava come un ossesso e quindi la quantità di brani poi non usciti sul disco originale è notevole, sia come quantità che come qualità.

Tremo già (ma godo internamente) al pensiero di quello che potranno fare con The River che già era doppio all’origine e si sa che di inediti ce ne sono a bizzeffe dai bootlegs che circolano ma sentirli rimasterizzati per benino e con la giustà qualità è un’altra storia. Ma in generale per Springsteen si potrebbe fare come è stato fatto per alcuni autori di classica, Mozart o Bach, senza irreverenza, una bella Springsteen Edition, un cofanetto di 100 CD e avanzerebbe pure qualcosa, ma bando alle ciance, tracklisting dei dischi è d’uopo.

CD 1: REMASTERED ‘DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN’
1. Badlands
2. Adam Raised A Cain
3. Something In The Night
4. Candy’s Room
5. Racing In The Street
6. The Promised Land
7. Factory
8. Streets Of Fire
9. Prove It All Night
10. Darkness On The Edge Of Town

CD 2: THE PROMISE (DISC 1)
1. Racing In The Street (’78)
2. Gotta Get That Feeling
3. Outside Looking In
4. Someday (We’ll Be Together)
5. One Way Street
6. Because The Night
7. Wrong Side Of The Street
8. The Brokenhearted
9. Rendezvous
10. Candy’s Boy

CD 3: THE PROMISE (DISC 2)
1. Save My Love
2. Ain’t Good Enough For You
3. Fire
4. Spanish Eyes
5. It’s A Shame
6. Come On (Let’s Go Tonight)
7. Talk To Me
8. The Little Things (My Baby Does)
9. Breakaway
10. The Promise
11. City Of Night

E questi sono “solo” i CD, poi abbiamo i DVD: il primo “The Promise: The Making of Darkness On The Edge Of Town” diretto da Thom Zimmy, vincitore di Grammy e Emmy Awards traccia la storia che dal periodo 1976-1978 e la “guerra” tra Jon Landau e Mike Appel, il manager precedente, oltre a prove, sessioni di registrazioni in studio e interviste con tutti i protagonisti della vicenda. Sarà presentato in anteprima al  Toronto Film Festival del 14 settembre con la presenza di Springsteen. Quindi se avete intenzione di fare un giretto in Canada, siete avvisati. Poi sarà tramesso dalla HBO il 7 ottobre ma purtroppo questo a noi non interessa.

Gli altri DVD!

DVD 2: DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN (PARAMOUNT THEATER, ASBURY PARK, NJ, 2009)
1. Badlands
2. Adam Raised A Cain
3. Something In The Night
4. Candy’s Room
5. Racing In The Street
6. The Promised Land
7. Factory
8. Streets Of Fire
9. Prove It All Night
10. Darkness On The Edge Of Town

THRILL HILL VAULT (1976-1978)
1. Save My Love (Holmdel, NJ 76)
2. Candy’s Boy (Holmdel, NJ 76)
3. Something In The Night (Red Bank, NJ 76)
4. Don’t Look Back (NYC 78)
5. Ain’t Good Enough For You (NYC 78)
6. The Promise (NYC 78)
7. Candy’s Room Demo (NYC 78)
8. Badlands (Phoenix 78)
9. The Promised Land (Phoenix 78)
10. Prove It All Night (Phoenix 78)
11. Born To Run (Phoenix 78)
12. Rosalita (Come Out Tonight) (Phoenix 78)

DVD 3: HOUSTON ’78 BOOTLEG: HOUSE CUT
1. Badlands
2. Streets Of Fire
3. It’s Hard To Be A Saint In The City
4. Darkness On The Edge Of Town
5. Spirit In The Night
6. Independence Day
7. The Promised Land
8. Prove It All Night
9. Racing In The Street
10. Thunder Road
11. Jungleland
12. The Ties That Bind
13. Santa Claus Is Comin’ To Town
14. The Fever
15. Fire
16. Candy’s Room
17. Because The Night
18. Point Blank
19. She’s The One
20. Backstreets
21. Rosalita (Come Out Tonight)
22. Born To Run
23. Detroit Medley
24. Tenth Avenue Freeze-Out
25. You Can’t Sit Down
26. Quarter To Three

Il terzo DVD praticamente contiene quello che gli spettatori presenti al concerto di Houston vedevano sugli schermi della sala.

Adesso si tratta di resistere meno di tre mesi e poi fans e non potranno godere come ricci ascoltando l’edizione definitiva di uno dei più belli di Bruce Springsteen. Ma ce n’é qualcuno non bello? (Forse sì).

Nell’attesa…

e anche…

Bruno Conti

Giovani Talenti Crescono 2. Caitlin Rose – Own Side Now

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Caitlin Rose – Own Side Now – Names records

Come promesso eccoci qua a parlare di un altro debutto assai sfizioso. Come nel caso di Dylan LeBlanc siamo nel settore country e dintorni ma anche se il disco di Caitlin Rose è stato registrato in quel di Nashville siamo fortunamente ben lontani sia dal country più bieco che dal “pop country” adolescenziale di Taylor Swift, forse a causa della produzione a cura dell’ottimo Mark Nevers dei Lambchop.

L’età resta un mistero, varia dai 21 ai 23 anni (a giudicare dalle foto anche meno) a seconda delle fonti ma la voce è già “adulta”, cristallina e squillante, piena di coloriture che si erano già potute apprezzare nel primo EP Dead Flowers pubblicato all’inizio dell’anno. I primi paragoni, addirittura con Patsy Cline e una Stevie Nicks più country si sono sprecati, io aggiungerei la Linda Ronstadt dei dorati anni ’70 e tra i contemporanei la deliziosa Jenny Lewis da sola o con i Rilo Kiley (a proposito sta per uscire un disco nuovo come Jenny and Johnny).

Tornando a questo Own Side Now devo dire che i giudizi sono stati quasi unanimente positivi o molto positivi salvo che per il mio amato Mojo (che ultimamente comincia a perdere i colpi) che ha parlato di “opportunità sprecata”, ma mi sa che l’hanno sprecata loro. Gli altri in breve hanno così votato (poi dico il mio parere e i brani più interessanti): “La 21enne con la voce cristallina come una campana difficilmente sbaglia un passo” Uncut, 4 stellette, ” Il suo debutto supera abbondantemente le aspettative. Materiale affascinante” Q, 4 stellette, “La vulnerabilità nella voce di Caitlin suona vera come il rumore di una monetina inserita in un vecchio jukebox”, NME, 8/10. Disco della settimana per Sunday Times, Evening Standard, Independent, disco del giorno per la BBC e quattro stellette come piovesse per quasi tutti i giornali inglesi. In America non è ancora uscito.

Io non posso che accodarmi. Il disco è delizioso, le pedal steel ci sono e si sentono, come nell’iniziale Learnin’ to ride, unita a mandolini, chitarre acustiche a go-go, belle armonie vocali e quell’aria country indolente che solo chi ha classe sa instillare in un brano.

La voce è effettivamente molto matura per i suoi anni e mette il suo stampo su tutti i brani, come nella dolce Own Side dove il suono ricorda appunto quello della citata Patsy Cline, ma anche Linda Ronstadt, Maria Muldaur e Karla Bonoff che ad inizio anni ’70 proponevano questo stile che pescava dalla canzone d’auore, dal rock e dal country classico, ma anche dal suono weastcoastiano e californiano.

Un’altra che fa questo stile ai giorni nostri è la sopraffina Shelby Lynne, For The Rabbits avrebbe fatto il suo figurone in un disco dedicato a Dusty Springfield con il suo stacco di chitarra molto anni ’70, quell’organo vintage, gli archi e la voce disincantata e potente di Caitlin Rose che porge ogni nota con classe innata. watch?v=FeDcB5Q_Auk

Shangai Cigarettes ha un piglio country-rock quasi aggressivo e rocca e rolla con gusto con una seconda voce maschile di supporto che aggiunge vigore al sound e con una sequenza di brevi assoli di chitarra da parte dell’ottimo gruppo di musicisti che la accompagna.

New York City ha quel sapore classico anni ’40 – ’50 che trasudava anche da canzoni senza tempo come Midnight at the Oasis di Maria Muldaur mentre Spare me con pedal steel, armonica e chitarre twangy ha quell’atmosfera molto alla Nitty Gritty, quel country-rock senza tempo e un pizzico di swing alla Dire Straits, in ogni caso una piccola perla di equilibri sonori sempre cantata con quella voce superbamente naturale, non costruita.

Things change è un altro esempio di questo fare musica adulta che può piacere anche alle nuove generazioni riproponendo brani dove la qualità delle composizione va a braccetto con l’esecuzione vocale, precisa e perfetta e con arrangiamenti sempre diversi e complessi pur in una “falsa” semplicità di fondo, questa è pop music ma nel senso più nobile di “popolare”.

Il reparto cover è affidato ad una ripresa del brano That’s Alright dei Fleetwood Mac di Stevie Nicks che diventa un pezzo country-rock nello stile degli Eagles dei primi tempi mentre Sinful Wishing Well sembra addirittura quasi una di quelle ballate malinconiche dal repertorio di Lucinda Williams o Mary Chapin Carpenter.

La conclusione è affidata a Coming Up che dopo un inizio acustico e tranquillo con la classica pedal steel “piangente” improvvisamente si anima e si trasforma in una sorta di rvisitazione della vecchia Revolution dei Beatles, ma la #4 quella country dell’album Bianco, con tanto di chitarra elettrica con distorsore che non sentivo da quei tempi e la stessa atmosfera sonora.

Lo so è bieco, ma l’hanno detto in tanti fatelo dire anche a me, “Una nuova Rosa è sbocciata!”

Bruno Conti

Un Altro “Trovatello” – David Gray – Foundling

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David Gray – Foundling – Polydor 2CD Edition

Sono ancora indeciso. Come sapete molti dividono la carriera di David Gray, il musicisista nato a Sale nel Chesire (esatto, come il gatto) ma che ha vissuto a lungo in Galles, in due o addirittura tre parti.

La prima, quella più da folk-singer quasi acustico, quando era sotto contratto per la EMI (OK Hut/Virgin e poi EMI!) ed ha pubblicato i primi 3 album A Century Ends, Flesh e Sell, sell, sell, quando non lo conosceva quasi nessuno, era un artista di culto e quindi, in un certo senso, la sua musica ti apparteneva di più. Quasi, farei anch’io parte della categoria.

Quasi, perché la seconda parte è quella che inizia con White Ladder, che è sì l’album che ha venduto uno zillione di copie ma è anche, in un certo senso, il suo disco più bello (meglio, quello con le canzoni migliori), quello dove la cover di Say hello, wave goodbye dei Sof Cell sembra una traccia perduta di Astral Weeks di Van Morrison e va a braccetto con l’hit single Babylon e con la “scoperta” di un uso discreto dell’elettronica rispetto al suono più spartano e acustico dei primi album. Oltre a tutto il disco nella prima uscita del 1998 era stato un flop incredibile, poi ripubblicato dalla Warner quei suoi sette milioni di copie li ha venduti.

La seconda fase è proseguita con altri due album di studio pubblicati con la Warner (più quel Lost Song 1995-1998 che raccoglieva materiale inedito ed era forse il migliore del periodo). Ma i critici, che sono delle “brutte bestie” non gli hanno perdonato il successo e le recensioni hanno iniziato a diventare meno positive (forse anche perché, obiettivamente, i dischi erano meno belli, parola di critico “brutta bestia”!), anche se i due Video dal vivo erano molto belli.

Terminata la seconda fase con Life in Slow Motion, l’ultimo per il gruppo Warner, e dopo una pausa durata 4 anni, nel settembre 2009 David Gray ha pubblicato il nuovo disco Draw The Line, il primo per la Polydor, con il solito compendio di special editions varie.

Non è passato neppure un anno ed ora esce questo Foundling che inizialmente doveva essere una sorta di ripubblicazione dell’album precedente con l’aggiunta di B-Sides e alcuni brani inediti, ma quando hanno iniziato a circolare le prime voci ai fans e non hanno cominciato a a “girare le balle”, perché sarebbe stata la quarta versione del CD, dopo quella con il dischetto bonus del concerto dal vivo al London Roadhouse, quella per iTunes con Second Halo bonus inclusa (e questa sta diventando una consuetudine fastidiosa, anche se capisco che ognuno tira acqua al proprio mulino) e quella normale.

Cambio in corso d’opera e il nuovo album esce con versione “speciale” (poteva mancare?) inclusa dove sono raccolte le outtakes dal disco precedente. Strano, perchè dalle parole di Gray, un po’ tutto il nuovo disco dovrebbe essere una sorta di Megaouttake gigantesca: tutti i brani sarebbero stati registrati nel corso delle stesse sessioni di Draw The Line, nei ritagli di tempo e con gli stessi musicisti, anche se, sempre a detta di David Gray, questo avrebbe dovuto essere, almeno nelle intenzioni una sorta di album solo, più acustico ed intimista.

Il risultato finale, al vostro recensore, almeno nel tipo di sound sembra abbastanza simile ai precedenti, Neil MacColl alla chitarra (nonché fratellastro della scomparsa Kirsty e figlio di Ewan, e autore di un ottimo Two in coppia con la misconosciuta Kathryn Williams) e Rob Malone al basso e contrabbasso sono i soliti fedelissimi accompagnatori di David Gray, assieme a un folto gruppo di tastieristi, chitarristi, batteristi ed addetti al programming alla faccia del disco intimista.

Ma non è una critica perché ci sono comunque parecchi episodi che hanno effettivamente un suono più scarno e raccolto e, globalmente, l’album mi sembra migliore del precedente, ma perché ci sono canzoni migliori, più belle.

Partiamo dal mezzo una volta tanto, Holding On mi sembra una canzone bellissima, malinconica, introdotta dal pianoforte e con gli strumenti che entrano di volta in volta mi sembra un brano degno del repertorio del miglior John Martyn, una ruvida ballata d’amore cantata con grande partecipazione da Gray che sfodera la voce delle grande occasioni. Ottime anche l’iniziale Only The Wine, con l’inconfondibile voce rauca di David Gray in evidenza, un brano dal tempo inconsuetamente brillante, estivo direi e l’intensa Foundling, tipica del repertorio del nostro amico ma con un desueto harmonium, strumento tipico del folk britannico (almeno così sembra) a fare da base alla musica, mentre una chitarra elettrica disegna delle linee melodiche essenziali e contrabbasso e batteria sono piuttosto indaffarati. La pianistica Forgetting, quasi sussurrata non mi entusiasma.

Non così la successiva Gossamer Thread altro brano che si inserisce d’autorità tra le cose migliori scritte da Gray, cantata con superba serenità quasi con nonchalance e senza traccia della finta “sofferenza” di molti nuovi cantautori che si macerano a comando, questo brano ricorda il Vam Morrison felice e sereno del periodo Californiano, quando era giovane, bello e sposato anche lui.

I brani contenuti nel primo CD sono 11 più otto tracce nel secondo dischetto (che sarà l’edizione pubblicata anche in Italia) che dovrebbero essere gli “scarti” del disco precedente, ma, attenzione, con grande scorno di David Gray, che pare non abbia gradito molto, il singolo è un brano appunto tratto dal secondo Cd A Moment Changes Everything, una canzone che il nostro amico dice di avere scritto alcuni anni fa su commissione per un torneo di calcio ma non rappresentativa del resto del disco. Sarà anche così ma questo brano, in effetti solare, trascinante e pop come poche cose scitte dal cantante gallese potrebbe essere il cavallo di Troia per questo album e portarlo ancora una volta al grande successo nonostante le previsioni pessimistiche di Gray stesso che lo vede destinato a scomparire nell’oscurità in breve tempo.

Cito ancora velocemente In God’s Name (For Bryan Pt.1) e We Could Fall In Love Again, melodica ballata con tanto di assolo di sax nella parte centrale, tra i brani che mi sono piaciuti parecchio (ma ce ne sono altri) e pur permanendo l’incertezza espressa all’inizio sarei portato ad un giudizio positivo per questo Foundling, non un capolavoro ma un buon disco, con parecchie belle canzoni che sono quelle che fanno la differenza.

Per gli amanti delle statistiche che sono tanti, più di quello che si pensa, il disco è andato direttamente al 9° posto delle classifiche USA, con Mellencamp 10° con No better than this e, udite, udite, Ray LaMontagne con God Willin’ addiritura al terzo posto davanti agli Iron Maiden. In Inghilterra solo 18° con gli Iron Maiden al 1°

Bruno Conti

Prossime Uscite Discografiche. Un Paio Di Informazioni Veloci Su David Gray, Ryan Bingham E Queens Of The Stone Age

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In attesa della prossima “ondata” di Anticipazioni sulle uscite future (non ho avuto tempo) alcune veloci precisazioni su argomenti già trattati.

Il disco di David Gray, uscito in Inghilterra e States nei giorni di Ferragosto e che non aveva ancora una data di uscita sul mercato nostrano sarà pubblicato nella versione doppia limited dalla Universal il 14 settembre (bene). Sono in ritardo ma comunque recensione in arrivo.

Ryan Binghham Junky Star, data di uscita confermata il 7 settembre, sarà il disco del mese e in copertina sul Buscadero di settembre.

Forse non ne avevamo parlato ma rimedio alla dimenticanza: la ristampa del secondo disco dei Queens Of The Stone Age, Rated R, uscito in origine nel 2000 e ora ripubblicato in versione doppia Deluxe con un secondo CD con 5 inediti e 10 brani dal vivo, sarà nei negozi italiani da martedì 31 agosto. Ristampa del mese su Mojo, 5 stellette e Q, 4 stellette, nonché 4 stellette e ottimi giudizi anche su Uncut. Se non lo avete forse sarebbe il caso di farci un pensierino e anche se l’avete già, “purtroppo” (gia piango per il mio portafoglio) 15 brani in più lo rendono assai papabile.

Confermo l’uscita di John Mellencamp No Better Than This per il 31 agosto e anche quella del fantastico Dream Attic di Richard Thompson nella versione doppia limited con il bonus disc di demos magari anche prima del 31 agosto.

Per le altre news ci sentiamo nei prossimi giorni.

Bruno Conti

Giovani Talenti Crescono 1 – Dylan LeBlanc – Paupers Field

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Dylan LeBlanc – Paupers Field – Rough Trade

Ammetto che sono stato incuriosito dal nome (e dal cognome). O la mamma era un fan della serie televisiva 90210 Beverly Hills (che iniziava proprio nel 1990, anno di nascita di LeBlanc e aveva tra i suoi personaggi un Dylan) oppure il padre amava Bob Dylan. Propenderei per la seconda ipotesi visto che anche nel caso di questo giovan(issimo) musicista trattasi di Figlio di… Anche lui è un figlio dei Muscle Shoals, come Patterson Hood leader dei Drive-by-Truckers è figlio del grande bassista David Hood, Dylan LeBlanc è il figlio di James LeBlanc, cantante e chitarrista, autore di parecchi successi country per altri artisti, nativo di Shreveport, Louisiana.

Con un nome e un cognome così impegnativi il nostro amico ha avuto anche una recensione molto positiva, da 4 stellette, nella rubrica dei debutti della rivista Uncut ed è questo il motivo che mi ha incuriosito. Talento vero o ennesima sòla? Visto che dall’età di 7 anni nei Fame Studios di Rick Hall lo crescevano a pane, chitarra e musica, i risultati poi si sono visti!

Può un ragazzo di 20 anni appena compiuti registrare un album che tratta degli argomenti della vita con la abilità e la competenza che vengono dall’esperienza? Evidentemente sì, visto che l’ha fatto.

Mi sembra che il riferimento maggiore possa essere il Ryan Adams dell’album di debutto Heartbreaker (che però aveva avuto una lunga militanza nei Whiskeytown), perchè, ebbene sì, di country, country rock, perfino country got soul stiamo parlando, e della più bell’acqua.

L’attacco di Low con la pedal steel di Wayne Bridge (un Burrito Brother di seconda generazione) subito in grande evidenza ti catapulta nei primi anni ’70, quelli di Gram Parsons e del country-rock degli albori, ma la vena malinconica del brano potrebbe far pensare anche al Neil Young più intimista o al Townes Van Zandt meno acustico degli inizi, mica riferimenti da poco ma la qualità e la stoffa ci sono, la voce sembra essere quella di “uno vissuto”, le sue biografie già narrano di sesso, droga e Rock’n’roll ma ci vuole poco a costruirle per un buon Ufficio Stampa.

La musica è comunque buona, If Time Was For Wasting, con la solita pedal steel che “piange” le sue note, affiancata da banjo e mandolino e una sezione ritmica più pimpante sembra più movimentata.Lui è pure belloccio, potrebbe avere le ragazzine ai suoi piedi, take a look!

Ma è nei momenti più intimi, quasi narcotici, nelle ballate che trattano i dispiaceri dell’amore che il nostro amico eccelle. Quasi a mettere un suggello di qualità, nel terzo brano If The Creek Don’t Rise (sul titolo ci torniamo fra un attimo) le armonie vocali sono di Emmylou Harris e nobilitano ulteriormente un brano che è già intenso di suo, con il testo che recita “qualcuno mi ricordi di non ricordarmi di te”, tutto molto, molto buono. Il titolo dicevamo: è lo stesso di un brano e dell’intero ultimo, ottimo, album di Ray LaMontagne ma non c’entrano nulla sono due cose completamente diverse. Quindi non essendo americano e già faticando a comprendere l’inglese ho scoperto che si tratta di un modo di dire – God willin’ and if the Creek don’t rise – con Creek maiuscolo perchè si riferisce ad una Tribù indiana, vorrebbe dire “A dio piacendo e se i Creek non ci si metteranno di mezzo”, ovvero se nessuno cerca di ostacolare le tue azioni con l’aiuto della provvidenza, in parole povere.

Torniamo alla musica, finito l’intermezzo culturale. Tuesday Night Rain, sempre titoli allegri e pedal steel in evidenza (è lo strumento principe di questo disco) sembra quasi un outtake da Desperado degli Eagles con la voce di Dylan LeBlanc che si avvicina molto a quella di Don Henley come pure le atmosfere sonore del brano, tra picchi e vallate di suono che rimane sempre brillante nella sua gentilezza.

Emma Hartley, quasi sussurrata e con un violoncello e degli archi che si aggiungono alla pedal steel d’ordinanza ci rimanda al genere “cantautore soffererente” molto frequentato dalle ultime generazioni dei musicisti ex-Alternative rock, non memorabile. Ain’t Too Good at losing è un’altra variazione del genere ma più riuscita e meglio arrangiata, sofferta senza cadere nel melodrammatico, sul come soffrire d’amore, ma con classe per carità.

Changing Of The Seasons, cantata in un leggero falsetto è quasi allegra in confronto al resto dell’album, un country-rock vagamente alla Everybody’s Talkin’ dell’Uomo Da Marciapede.

Ricorderei ancora 5Th Avenue Bar, una bella prova da cantautore acustico puro senza influenze country con un leggero arrangiamento di archi e un cantato molto naturale, con la sua bella voce in evidenza, malinconica il giusto. Non male anche il valzerone On With The Night e la lunga Coyote Creek che mi ha ricordato certi episodi elettroacustici, anche nella voce, di Stephen Stills (se citiamo sempre solo Neil Young poi magari si offende). Last but not least (ormai è un classico) l’eccellente Death Of outlaw Billy John, una storia di amore e crimini ai margini del vecchio West con un arrangiamento minimale a base di banjo e chitarra acustica arricchito da piccoli tocchi sonori e da una interpretazione misurata. Visto che le abbiamo citate tutte, No Kind Of Forgiveness, sta giusto a cavallo tra il Ryan Adams più riflessivo e il più volte citato Neil Young, la pedal steel non manca neppure questa volta a fianco di un pianoforte delicato e il falsetto di Dylan LeBlanc ci sta proprio a fagiolo!

Si farà (non nel senso che pensano i più maliziosi), per il momento, effettivamente, uno dei migliori esordi dell’anno. Nei prossimi giorni vi parlerò di Caitlin Rose, un’altra giovanissima (ecco il motivo dell’1 nel titolo del post) di sicuro valore che, come dire, non ama l’electro-dance: ce ne sono a bizzeffe, basterebbe avere il tempo e lo spazio per parlare di tutti. Io, nel mio piccolo, ci provo.

Bruno Conti

Ma Allora Esiste Ancora! Sufjan Stevens – All Delighted People

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Sufjan Stevens – All Delighted People EP – Asthmatic Kitty Records Download 5 US Dollars

Ogni decade produce uno o più musicisti che forse non si possono considerare dei “Grandi” ma che sicuramente sono degli Artigiani con la A Maiuscola, di quelli di lusso, che forse hanno il difetto di produrre troppo e di disperdere la loro arte. Dei nomi che mi vengono in mente sono Todd Rundgren nel periodo a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70 oppure Andy Partridge degli Xtc nella decade successiva, fine ’70 + anni ’80, giusto per citarne un paio ma ce ne sono altri.

Sufjan Stevens mi sembra un altro personaggio degno di nota: un nativo di Detroit di 35 anni, ha studiato anche a NYC dove attualmente vive. Ma questo ci interessa relativamente. La mia esclamazione di gioia nel titolo del post fa riferimento alla sua produzione (o mancanza di produzione) degli ultimi anni. Un disco di canzoni natalizie (peraltro delizoso) nel 2006 e sempre nello stesso anno era uscito The Avalanche, che era un disco di outtakes e extra dal precedente, ottimo Illinois dell’anno precedente, che nelle intenzioni del nostro amico doveva far parte di un gigantesco progetto dedicato alla pubblicazione di un disco per ogni stato degli USA. Quello era il secondo dopo l’altrettanto buono Michigan (si inizia da casa) del 2003. Ora che il Bluff è stato chiamato (in un’intervista di fine 2009 ha ammesso che era una trovata pubblicitaria) e forse una vita intera non sarebbe bastata, avrebbe potuto dedicarsi ad altro. E infatti l’ha fatto: prima un disco Run Rabbit Run che rivisita in chiave cameristica il vecchio Enjoy Your Rabbit e poi il megaprogetto BQE con Cd, DVD, proiezioni, prodotti multimediali, un’operazione di musica classica contemporanea che aldilà delle proporzioni gigantesche mi sembra che a livello qualitativo abbia prodotto un topolino, a me non è piaciuta, a ognuno il suo, Stevens fa della fantastica musica pop (magari mista a arrangiamenti classici geniali) ma della mediocre musica classica.

Siamo arrivati al 2010 e non c’erano segnali di vita dal pianeta Sufjan Stevens (si sapeva che stava incidendo un nuovo album, ma stop) quando improvvisamente un paio di giorni fa è apparso in rete un nuovo EP per il download, All Delighted People (io non amo questo tipo di prodotti ma è gia il secondo che scarico in pochi giorni dopo quello della Natalie Merchant, d’altronde se ti piace un artista si fa il sacrificio), prezzo contenuto 5 dollari, 8 brani.

Solo che essendo Stevens quello che è, cioe un musicista “eccessivo” nei suoi comportamenti musicali, l’EP dura la bellezza di 60 minuti e passa (più di molti suoi album) e contiene due brani eccezionali All Delighted People (una sua variazione sul tema dell’Apocalisse, il nostro amico è un personaggio religioso, ma non bigotto e i temi biblici e natalizi fanno spesso parte della sua produzione discografica), in due versioni, una di quasi dodici minuti, fantastica, “esagerata”, arrangiata per coro e orchestra ma con una base rock e una seconda versione definita “classic rock” più contenuta, si fa per dire. Sufian Stevens suona chitarra, basso, banjo, sitar, piano, xilophono, vibrafono, corno inglese, oboe, flauto, batteria, credo che se avesse potuto avrebbe suonato anche le parti degli archi e cantato le parte corali (una alla volta, con pazienza come fa di solito): il risultato è notevole anche perchè a un certo punto si è accorto (o glielo hanno fatto notare) che la sua composizione aveva delle notevoli analogie con un altro brano e allora ha deciso di incorporarlo nel suo brano, non farne un cover attenzione, infatti quando su un crescendo orchestrale strepitoso a un certo punto il nostro amico canta “Hello Darkness My Old Friend I’ve Come to Talk With You Again” ti ritrovi a dire, ma questa la conosco, in effetti è proprio The Sounds Of Silence di Simon & Garfunkel ma inserita come un tutt’uno inestricabile nella maestosa composizione originale di Sufjan Stevens. La seconda versione, quella più rock. dura “solo” 8 minuti e si conclude su uno stranissimo assolo di chitarra elettrica suonata sempre dall’onnipresente Stevens. Non pago di tutto ciò, l’ultimo brano Djohariah è uno strumentale di quei 17 minuti introdotto da un assolo di chitarra elettrica stranissimo che dura quasi la metà del brano sempre su una base con cori, fiati vari, una sezione ritmica ed una atmosfera che potrebbe ricordare il sound dei primi dischi di Isaac Hayes, con quelle lunghissime introduzioni strumentali arrangiate divinamente, solo che lì poi entrava il vocione di Isaac che cantava “walk on By”, questa se posso azzardare è una sorta di versione per bianchi. Gli altri 5 brani, belli ma molto più scarni, acustici, illustrano il suo lato più intimista, quasi alla Nick Drake, sempre valido ma meno impegnativo.

Per chiudere la “discussione” su Sandy Denny senza né morti né feriti (scherzo!) ma per chiarire il mio pensiero (rispondo in questo post per comodità e celerità): il mio “rimprovero ” alla Island e quindi alla Universal (io lì qualche amico ce l’ho e non mi ameranno) e alle Majors in generale era riferita alla loro politica delle ristampe. Lo so che sono passati anni dal box in vinile, ma nel frattempo sono uscite le versioni normali, quelle remastered, quelle deluxe, i cofanetti, le antologie con inediti e comunque tutto il materiale contenuto anche nei vari Box pubblicati da altre etichette era licenziato sempre dalla Island/Universal che lo “vendeva” ad altri salvo poi ripubblicarlo per la ennesima volta.

Domanda al mio interlocutore che vedete nei “Commenti” sulla destra? Se il numero totale dei brani inediti era di circa 60, mi dici che hai verificato e mi fido, non era meglio fare un bel cofanetto triplo o quadruplo solo con gli inediti? Che so “The Unreleased Sandy Denny”, troppo facile per una major!

Per concludere, a proposito di major e, guarda caso, sempre Universal, l’uscita del Cd di John Mellencamp No better Than This è stata ri-anticipata al 31 agosto per il mercato italiano, fine della telenovela, si spera!

Dimentico sempre qualcosa! Qui c’è il link se volete ascoltare il download CD di Sufjan Stevens prima di un eventuale acquisto, è bellissimo, comunque verficate (pare che uscirà anche in CD fisico e vinile, prossimamente) http://sufjanstevens.bandcamp.com/

Bruno Conti

Meglio Di Così E’ Difficile! Richard Thompson – Dream Attic

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Richard Thompson – Dream Attic – Proper/Ird – Shout Factory

Devo dire di avere una particolare predilezione per Richard Thompson, lo considero uno dei dieci musicisti più importanti e influenti della storia della musica rock (magari in un tutt’uno con Sandy Denny e i Fairport Convention in una sorta di ideale trilogia), ma anche uno dei migliori 10 chitarristi di tutti i tempi (e qui, come nel precedente caso, non sono il solo): se Jimi Hendrix, come detto più volte, è fuori concorso, poi viene il trio degli ex Yardbirds, Clapton, Beck e Page, poi forse Stevie Ray Vaughan e magari Keith Richards e Chuck Berry come riff masters, ma tra gli iconoclasti sicuramente citerei Peter Green (che però ha avuto solo tre anni di grande attività) e Richard Thompson, il più continuo ma anche il più “unico”. watch?v=E3biCVTKwRQ

Proprio negli ultimi anni gli è scoppiata nuovamente questa voglia di suonare la chitarra elettrica come, e meglio di musicisti che hanno la metà dei suoi anni, con una verve ed una inventiva incredibili. Mi é capitato di vederlo un paio di anni fa al Teatro Manzoni di Milano, nel mese di maggio del 2008 (confesso che era uno di quelli che, per vari motivi, non avevo mai visto dal vivo) e ricordo che quasi tutti i presenti, alla fine di alcuni assoli, raccoglievano le loro mascelle che erano cadute al suolo per lo stupore, alcune sono ancora lì.

Facezie a parte quest’anno gli hanno assegnato il Mojo 2010 Les Paul Award e in ogni classifica viene quasi sempre inserito tra i top 20 della chitarra elettrica (ma anche all’acustica è tra i migliori in assoluto) nei vari Poll, anche se lui stesso ha dichiarato che gli fa molto piacere anche se non capisce perché in queste classifiche spesso ci sia Slash ma quasi mai Les Paul. Nel 2010 ha anche realizzato l’annuale edizione del Meltdown Festival invitando i musicisti che più ammira, per esempio nella serata dedicata alla chitarra, James Burton (il chitarrista di Ricky Nelson, Elvis Presley e Emmylou Harris), Dennis Coffey della Motown e il chitarrista dei Ventures. Ma c’è stato anche un tributo a Kate McGarrigle che ha visto la famiglia Thompson sul palco al completo, Richard e Linda di nuovo insieme dopo quasi trenta anni. Sempre quest’anno ha fatto anche un tour acustico con Loudon Wainwright III, simpaticamente chiamato Rich And Loud, ha ripreso il suo vecchio spettacolo 1000 Years Of Popular Music, dove, a richiesta, esegue qualsiasi brano, da Sumer Sicumen Is dell’anno 1000 a Oops I did it again di Britney Spears. Ha anche lanciato un nuovo progetto di pop cameristico chiamato Cabaret Of Souls. E in tutto questo fervere di attività ha anche trovato il tempo per incidere un nuovo album, Dream Attic, dal vivo alla Great American Music Hall di San Francisco, ma attenzione, tutto di materiale inedito, 13 nuove canzoni, uno dei migliori della sua carriera.

Non male per un 61enne che è stato considerato dal LA Times “il migliore cantautore rock dopo Bob Dylan e il miglior chitarrista elettrico dai tempi di Jimi Hendrix”. (non per nulla uno dei suoi dischi degli anni ’70 si chiama “(guitar, vocal)” Ma quello che fa rabbia è che tutto questo a destinato solo ad una ristretta cerchia di appassionati sparsi per il mondo. Riuscirà questo nuovo Dream Attic a rovesciare la situazione? Ne dubito, ma almeno a livello critico, ad una decina di giorni dall’uscita dell’album che avverrà il 31 agosto, il giudizio più scarso che ha avuto è stato 4 stellette e molti non ne hanno ancora parlato a causa della pausa estiva, per esempio in Italia, e allora parliamone!

Un ultimo cosa prima di dedicarci alla disamina del nuovo album: se qualcuno, incuriosito dall’impressionante CV di Richard Thompson volesse approfondire la materia, per cominciare potrebbe provare alcune delle antologie che costellano la sua discografia, magari l’ultima del 2009, Walking On A Wire, un box quadruplo pubblicato dalla Shout factory, o quello quintuplo della Free Reed, RT – The Life and Music of Richard Thompson o magari quello triplo della Hannibal, Watching the dark ma comunque anche se partite da uno qualsiasi dei dischi della sua discografia è difficile che vi sbagliate, magari questo stesso Dream Attic, uno dei migliori in assoluto.

Si diceva, registrato dal vivo, ma nella prima tiratura, su entrambi i lati dell’Oceano, allegato al CD ce ne sarà un secondo che comprende i demo delle 13 canzoni. Qualche incontentabile (o Tafazzi della situazione) ha detto che se deve trovare un piccolo difetto nel disco è l’eccessiva lunghezza media dei brani. Ma Benedetto Uomo, come direbbe qualcuno di nostra conoscenza, è proprio lì il suo bello, fai un disco di canzoni nuove dal vivo proprio per preservare l’immediatezza e l’improvvisazione delle esecuzioni in concerto e poi cosa fai? Tagli gli assoli? Oltre a tutto una serie fantastica di assoli, Richard Thompson appare in forma strepitosa e ne inanella una serie incredibile, uno più bello dell’altro e arriva all’acme proprio con quello veramente impressionante contenuto nell’ultimo brano If Love Whispers Your Name.

Ma tutto parte alla grande dal primo secondo: gli strumenti entrano una alla volta, prima la batteria travolgente di Michael Jerome, poi la chitarra di Richard Thompson i cui meriti sono già stati ampiamente illustrati, poi il basso avvolgente e grintoso di Taras Prodaniuk (e che ha il suo daffare per fare dimenticare il suo predecessore Danny Thompson, e ci riesce), infine il sax di Pete Zorn e il violino del nuovo arrivato Joel Zifkin, il brano si chiama Money Shuffle ed è uno strepitoso, arguto, caustico, divertente attacco a quei manager gentiluomini di Wall Street che un paio di anni fa hanno scatenato l’Iradiddio in giro per il mondo, l’attacco è leggendario: “Amo i gatti e i bambini piccoli/Non riuscite a vedere il tipo che sono/E i vostri soldi sono al sicuro con me/Non avete mai incontrato un uomo così onesto…”. E poi dovete fare il Money Shuffle e a questo punto Thompson esplode un assolo pieno di veleno e adrenalina (in sintonia con l’incazzatura che pervade la canzone) che vira quasi fino alla psichedelia pura mentre il suono per certi versi ricorda i primi Roxy Music, con sax e chitarra che si caricano a vicenda e il violino che aggiunge spessore agli arrangiamenti e siamo solo all’inizio. Questo brano fa il paio con Dad’s gonna kill me uno straordinario attacco alla guerra attraverso i pensieri di un soldato in Iraq, che illuminava il precedente, ottimo Sweet Warrior.

Among the gorse, Among the Grey riprende il tema della ballata ispirata dalla grande tradizione del folk britannico, rivista attraverso l’ottica della musica di Thompson, che attinge dalla grande tradizione della canzone popolare inglese e poi la fa sua in un modo unico ed inconfondibile: il nostro amico è uno dei pochi che è una scuola a sé, non assomiglia a nessuno, “E’ Richard Thompson, e basta”. Una stupenda, malinconica “air”, che anche per la presenza del violino ricorda certi episodi dei primi Fairport Convention. Già sulle note conclusive del brano una minacciosa chitarra elettrica ci introduce alla successiva Haul Me Up dove i ritmi sono nuovamente incalzanti, quasi R&R, con i coretti dei musicisti che rispondono al cantato di Richard, il violino di Zifkin che prepara il terreno per l’assolo di Thompson che emette una valanga di note dalla sua chitarra che sembra quasi un violino per la velocità dell’eecuzione, magistrale ancora una volta. Burning man è l’unico brano “normale” del disco, una canzone rifllessiva ed atmosferica, nel canone classico del repertorio del nostro amico, ma ci ha abituato troppo bene, quello che per altri sarebbe straordinario per lui è quasi ordinaria amministrazione, comunque l’interplay tra chitarra e violino è sempre notevole.

Here Comes Geordie è un altro dei momenti topici del disco: per il testi (ma anche la musica, lo vediamo tra un attimo), a detta di molti una neppure tanto velata critica al modus vivendi di un noto personaggio della musica internazionale, ma alcuni riferimenti restringono di molto il nome del “colpevole”, Geordie è un nativo di quell’area della Gran Bretagna che gravita intorno a Newcastle-on-Tyne e Gordon Sumner (Stinghi per gli Elio e le Storie Tese) è nato in un sobborgo della città e poi il testo recita così: “Ecco che arriva Geordie nel suo aereo privato, Deve salvare il mondo ancora una volta, Per quanto virtuoso possa essere, Ha tagliato una foresta per salvare un albero”, naturalmente il brano in inglese ha le sue belle rime. Richard Thompson ha negato strenuamente ma il dubbio rimane. Il brano ha il tempo di una allegra giga, con chitarra, violino e flauto in evidenza e ancora una volta ci riporta ai fasti dei vecchi Fairport. Demons in her dancing shoes è un altro brano fantastico, su un groove funky-folk della sezione ritmica, ci porta ai vecchi tempi della Londra che fu e ci racconta una divertente storia su delle scarpe ballerine e la sua proprietaria che sono l’occasione per estrarre un ennesimo micidiale assolo reiterato in due parti con sax e violino a fiancheggiare la sua chitarra veramente ispirata.

Crimescene un brano intenso sullo scorrere del tempo e la difficile “arte” del sapere invecchiare, scorre su un continuo alternarsi di crescendi e rallentamenti della musica e sul cantato partecipe di Thompson, qualcuno l’ha avvicinato a certi brani più complessi e viscerali dei Radiohead ma forse potrebbe essere vero il contrario, visto che il diritto di primogenitura di certi brani spetta di diritto a questo grande musicista. Manco a dirlo l’assolo di chitarra nella parte centrale è da antologia, semplicemente e miracolosamente fantastico aggiunge ulteriore spessore al brano. Big Sun Falling In The River dimostra che Richard non ha perso la capacità di saper scrivere anche brani più semplici, con una melodia che ti rimane in mente, una costruzione meno complessa, chiamiamola musica pop, di livelli siderali rispetto alla produzione media che circola ma quasi “orecchiabile”, sicuramente molto piacevole e poi “quella chitarra”!

Stumble On è una ulteriore variazione sulla sua visione della vita, malinconica e quasi pensierosa, diversa da altri momenti più spensierati ed ironici, ma sempre brillanti, qui Thompson è quasi meditativo nel testo e nella musica ma in un modo che lo eleva sulla quasi totalità dei suoi colleghi e contemporanei (e non), qui la chitarra si trattiene un poco ma…

Nella successiva Sidney Wells che è una delle sue infinite variazioni sul tema della murder song, il fantasma (e siamo in tema) dei vecchi Fairport e della sua opera in generale, si materializza ancora una volta, su un ritmo vivace, quasi da giga rock, prima il sax dell’ottimo Zorn poi il violino di Zifkin preparano il terreno per un ulteriore, incredibile, dimostrazione del virtuosismo chitarristico di Richard Thompson che strapazza la sua chitarra ai limiti della realtà in un assolo che scatena il tripudio del pubblico presente, incredulo e deliziato da questo chitarrista più unico che raro.

A Brother Slips Away è una magnifica elegia per un amico che non c’è più, una canzone che molti vorrebbero venisse suonata al proprio funerale (il più tardi possibile), sentita e compartecipe come poche altre ne ho sentite, una grande canzone. Bad Again è un altro di quei brani ribaldi ed arguti che fanno parte del suo Dna (tranquilla e ironica nella versione demo acustica, puro rock and roll nella versione dal vivo).

Finirei con un abusato Last But Not Least, il disco si conclude con la già citata If Love Whispers Your Name che tanto per reiterare i termini abusati è la classica “ciliegina sulla torta”. Semplicemente magnifica, un crescendo inesorabile e inarrestabile che ti travolge in un finale che rievoca i fasti degli incredibili duetti con Dave Swarbrick ai tempi di Liege And Lief, proprio così bello!

Tra poco nei negozi e nei vostri lettori, questo, per me, è veramente il disco dell’anno, credo che sarà difficile farne di più belli. Scusate se mi sono dilungato ma ne valeva la pena!

Bruno Conti