La Fuga Verso Il Freddo Nord Continua … Chris Mills And The Distant Stars – Alexandria

chris mills alexandria

Chris Mills & The Distant Stars – Alexandria – Loud Romantic Records

Cantautore di talento Chris Mills (nato e vissuto a Chicago), è un altro di quelli affascinato dal Nord Europa (la compagnia si ingrossa dopo Eric Andersen, Chip Taylor, Kreg Viesselman e vari altri), in questo caso Oslo, per trovare nuove motivazioni e idee per incidere e dare alle stampe il suo settimo album Alexandria (in oltre quindici anni di carriera). Dopo aver esordito con due EP Chris Mills Plays And Sings (96) e Nobody’s Favorite (97), incide l’ottimo Every Night Fight For You Life (98), http://www.youtube.com/watch?v=abmLI9CEUAo seguiti negli anni sempre da buoni lavori come Kiss It Goodbye (00), The Silver Line (02), The Wall To Wall Sessions (05), il sottovalutato Living In The Aftermath (08), e dall’antologia The Heavy Years 2000-2010, a completamento di un percorso musicale ricco di grandi recensioni, ma con poche vendite http://www.youtube.com/watch?v=-B06F7jpKgE .

chris mills heavy years

Il buon Chris (figlio di un militare e cresciuto tra gli Usa e la Germania), ha saputo spostare visibilmente nel tempo il suo modo di fare musica, in quanto se inizialmente ha abbracciato un certo folk rock, poi ha mutato il suo stile in un pop-rock più essenziale, fino ad arrivare in questo nuovo album a coniugare rock e melodia http://www.youtube.com/watch?v=VVb4-V4Zfao , con un suono che è figlio di due maestri di questa tipologia sonora come David Gray e Ryan Adams.

chris mills 1

Alexandria è stato in gran parte concepito in Scandinaviae registrato a Chicago nei Wall To WallStudios, sotto la produzione di Christer Knutsen (pianista scoperto da Chris in un Pub di Oslo) e dello stesso Mills: un lavoro intensamente personale e ambizioso, che si avvale dell’apporto della sua attuale band, composta, come detto, dal pianista e chitarrista Christer Knutsen, e da Konrad Meissner alla batteria, Ryan Hembrey al basso, ampliata dalla viola di Denise Stillwell, dal cello di Eleanor Norton e dalle violiniste Jean Cook e Claudia Chopek, tutte brave e belle (che non è fondamentale, ma aiuta).

Chris_Mills@DC9

Subito, a partire dalla traccia iniziale Wild Places, diciamo che le parti di pianoforte di Knutsen costituiscono la spina dorsale dell’album, e si evidenziano in canzoni come Rubicon http://www.youtube.com/watch?v=0Qw8kw6XuEM e Castaways http://www.youtube.com/watch?v=Ee-oaFoWhGY  che riportano le lancette del tempo ai tempi di Kiss It Goodbye, mentre la title track Alexandria è una travolgente pop song dal motivo intrigante, orchestrata al punto giusto e cantata con trasporto. In Blooms ci sono anche delle armonie “Costelliane”, mentre la seguente The Sweet Hereafter, nuovamente pianistica e molto romantica, narrata da Chris con la sua voce struggente, fa da preludio ad una perfetta moderna “country song” come la fluida e ben strutturata Helpless Bells. Si chiude il disco con l’introversa elettroacustica Quiet Corners, brano potente e deciso, e con una  ballata orchestrale come When We Were Young, sicuramente il punto più alto del lavoro, che certifica il grande senso della melodia e dell’architettura sonora di Chris Mills.

chris mills 2

Nove canzoni, nove brani di grande qualità, che rendono questo disco (soprattutto per chi scrive, avendo seguito Mills dagli esordi) decisamente bello e spero sorprendente per chi non lo conosce, una musica intensa, servita da una voce piuttosto roca, molto personale, dove percussioni, chitarre, strumenti a corda e il magnifico pianoforte di Knutsen contribuiscono a fare di Alexandria il biglietto da visita più convincente per Chris Mills e i suoi The Distant Stars. Bisogna solo ascoltarlo a lungo e con cura, se lo merita http://www.youtube.com/watch?v=Dpk3NH4SdKk !

Tino Montanari

Nel “Nido” Del Blues! Joe Louis Walker – Hornet’s Nest

joe louis walker hornet's nest

Joe Louis Walker – Hornet’s Nest – Alligator/Ird 25-02-2014

Prendete uno che suona la chitarra come una via di mezzo tra Hendrix e Stevie Ray Vaughan (sentire per credere l’iniziale Hornet’s Nest), con il “tocco” di Clapton e la crudezza di un Buddy Guy, senza dimenticare lo sconfinato amore per il Blues di uno come Michael Bloomfield, che a San Francisco, dalla fine degli anni ’60 fino alla morte, è stato, oltre che il suo co-inquilino, una sorta di mentore per il giovane Joe Louis Walker. Se aggiungete una voce che neanche il miglior Robert Cray, otteniamo un musicista che sa maneggiare rock, blues, soul e R&B, con un tocco di gospel, con la classe dei migliori e in più una “ferocia” che ha pochi riscontri nell’attuale panorama del blues nero http://www.youtube.com/watch?v=d79xn_XaQ_0 . Se poi affidiamo un tale fenomeno nelle mani di un produttore capace (nonché ottimo batterista ed autore) come Tom Hambridge, colui che ha guidato le recenti avventure di Guy, Cotton, Thorogood, e il precedente Hellfire dello stesso Walker http://discoclub.myblog.it/2012/02/01/uno-dei-migliori-bluesmen-in-circolazione-joe-louis-walker-h/ , non vi resta che schiacciare il tasto Play e godervi una cinquantina di minuti di ottima musica.

https://www.youtube.com/watch?v=8SlyZyg7xHE

Joe, discograficamente parlando ha iniziato abbastanza tardi, nel 1986, quando aveva già 37 anni, ma poi ha recuperato abbondantemente, pubblicando da allora qualcosa come 25 album, compreso questo Hornet’s nest, che è il suo secondo per la Alligator. Non vi racconterò frottole parlandovi di seconde o terze giovinezze, perché i dischi di Walker sono sempre stati, qualitativamente parlando, di valore elevato, qualcuno superiore agli altri, e quest’ultimo rientra nella categoria, ma tutti piuttosto buoni http://www.youtube.com/watch?v=bZ0RnIq-o60#t=33 . Nella tana di questo “calabrone” si sono calati anche alcuni ottimi musicisti, quelli utilizzati abitualmente da Hambridge: l’ineffabile Reese Wynans alle tastiere, che è il trait d’union con SRV, Tommy McDonald al basso e il secondo chitarrista Rob McNelley, oltre a Tom stesso, alla batteria. In All I wanted to go c’è la “nuova” Muscle Shoals Horn Section, guidata da Jim Horn al sax. Il tutto è stato registrato ai Sound Stage Studios di Nashvile, con un autentico e moderno suono sudista.

https://www.youtube.com/watch?v=0mb94JWIsD0

Detto della robustissima title-track posta all’inizio del CD, con le due chitarre che si sfidano con una cattiveria inusitata, mentre il resto della band, Wynans in testa, è indaffaratissima, anche il resto del disco ha un sound energico, come era stato per il precedente Hellfire, un po’ un marchio di fabbrica di Hambridge. La fiatistica All I Wanted To Go, ha un substrato R&B che l’avvicina al Cray più pimpante, ancora con l’organo di Wynans co-protagonista. L’ode al blues di Chicago As The Sun Goes Down, dall’andatura più lenta e maestosa, ha quel suono di chitarra lancinante che è tipico di Walker e discende dalla teoria dei grandi chitarristi elettrici della storia delle 12 battute. Stick a fork in me è un brano più normale, quasi di routine per il nostro, anche se in molti dischi di cosiddetti “fenomeni” della chitarra farebbe fuoco e fiamme, ascoltatevi che assolino ti cava dal cilindro. Don’t Let Go, la prima cover, è un bellissimo rock and roll, scritto da Jesse Stone, l’autore di Flip, Flop And Fly e di Shake, Rattle and Roll, eseguita come se invece che ai Sound Stage fossimo ai Sun Studios, e con lo spirito di Elvis che aleggia nell’aria, con i coristi di Walker che replicano lo stile dei Jordanaires (ma in effetti sono loro, Ray Walker e Curtis Young) con ottimi risultati. Love Enough sembra un brano di Clapton quando riprende un pezzo di Robert Johnson, con quel tipo di scansione ritmica ed approccio sonoro elettrico, mentre l’assolo alla slide è assolutamente delizioso.

https://www.youtube.com/watch?v=lQIIm0lwKq0

Ramblin’ Soul è il miglior brano dell’album, ancora con le due chitarre arrapate e soprattutto una lunga parte strumentale che ricorda i migliori Stones blues dell’era di Mick Taylor. Dico questo non a caso perché il pezzo successivo, la seconda cover, Ride on, baby, porta la firma Jagger/Richards, anche se questo brano che appariva su Flowers, ed era stato eseguito per primo da Chris Farlowe, non è particolarmente conosciuto. Bella versione però, sembra un brano del miglior Southside Johnny, con la sua andatura caracollante e springsteeniana. Soul City, l’ultima cover, porta la firma di Kid Andersen, il chitarrista norvegese dei Nighcats, ed è un ottimo esempio di funky rock, tra l’Hendrix dei Band Of Gypsys e Sly Stone, con una serie di assolo che vanno nella stratosfera della chitarra. Che è nuovamente protagonista nel poderoso slow blues, ancora con slide, che porta il nome di I’m Gonna Walk Onstage, non posso che confermare, questo suona! Not In Kansas Anymore, a riprova di quello spirito rockista evocato più volte, sembra un brano degli Who dei primi anni ’70, i migliori. E se, come si suole dire, tutti i salmi finiscono in gloria, quale migliore modo di concludere se non con un bel gospel come Keep The Faith, che ci permette di gustare la voce vellutata di Joe Louis Walker (e l’organo Hammond di Wynans e i Jordanaires) in tutto il suo splendore. 

Bruno Conti

Una Bella “Signora” Mexicana, E Pure Brava! Patricia Vonne – Rattle My Cage

patricia vonne rattle my cage

Patricia Vonne – Rattle My Cage – Bandolera Records

Tra i tantissimi personaggi di Sin City, il film noir di Robert Rodriguez, c’era pure lei, nel personaggio di Dallas, avvenente e misteriosa autista. La “topona”, al secolo risponde al nome di Patricia Vonne (una vaga somiglianza con la nostra Sabrina Salerno), ma lei non è altri che la sorella di Robert, che l’ha coinvolta in diverse sue avventure (vedi Desperado e  Four Rooms), anche se la grande passione di Patricia è la musica.

patricia vonne 1

Nata a San Antonio (città di confine tra Stati Uniti e Messico), da padre di origine messicana e madre spagnola, proviene da una famiglia numerosa (ben nove fra fratelli e sorelle), Patricia impara ad amare la musica, dalle canzoni folk latine, suonate dai genitori musicisti e dai dischi di buon rock dei fratelli. A 19 anni si trasferisce a New York per coltivare il sogno (di tanti) di lavorare nel mondo dello spettacolo (ballerina e modella), e nella “Grande Mela” si ferma per ben dieci anni prima di tornare ad Austin, Texas, e ritornare alle sue radici culturali e musicali e pubblicare il suo primo album omonimo Patricia Vonne (03) a cui negli anni seguiranno Guitars And Castanets (05), Firebird (07), Worth It (10), tutti con una musica tra country, rock e sonorità latine, con influenze che vanno dal flamenco al tex-mex e un cantato a cavallo tra inglese e spagnolo. Come detto, parallelamente a quella di cantante (si esibisce a fianco di artisti come Los Lobos, Tito & Tarantula, Chris Isaak, Alejandro Escovedo, Joe Ely e tanti altri http://www.youtube.com/watch?v=kbpc8Kw-_mA ), intraprende una carriera di attrice e una sua canzone Traeme Paz http://www.youtube.com/watch?v=mYkxLhYR9Gc , viene inclusa nella colonna sonora del film “C’era una volta in Messico” con la bella e brava Salma Hayek.

patricia vonne firebird

Il “sound” di Rattle My Cage è tendenzialmente e curiosamente bilanciato fra roots-rock e influenze del tex-mex più aggressivo, supportato dalla sua fidata band composta dal marito Robert LaRoche (ex leader dei The Sighs) alle chitarre, Scott Garber al basso, Dony Wynn alla batteria, David Perales al violino e ospiti di valore, da Bukka Allen alla fisarmonica, a Ian McLagan e Michael Ramos alle tastiere, Johnny Reno al sax, assemblati dal produttore e ingegnere del suono Carl Thiel, per dieci tracce scritte con autori importanti come Alejandro Escovedo, Doyle Bramball, Rosie Flores, Alex Ruiz, Peter Kingsbery, Michael Martin e il fratello Robert Rodriguez.

patricia vonne live

Il disco potrebbe essere diviso in due parti, la prima con un robusto rock elettrico a partire dalla title track Rattle My Cage http://www.youtube.com/watch?v=aliEtpnGoCI  (dove sembra di risentire i mai dimenticati Del Fuegos), una Dark Mile che si prenota per il prossimo film di Quentin Tarantino http://www.youtube.com/watch?v=BSQhrkjFJLA , a cui segue Ravage Your Heart che tiene alta la tensione http://www.youtube.com/watch?v=dkRlj-XGkM8 , mentre Que Maravilla è cantata in spagnolo, per poi passare a una This Cat’s In The Doghouse che non ha niente a che fare con quanto ascoltato finora, un disimpegnato rock and roll elettrico con una robusta sezione fiati. La seconda parte, introdotta dalla ballata pianistica Bitter Need  (dove vengono evocate Fiona Apple e Regina Spektor), è fortemente influenzata da canzoni latine a partire dal flamenco di Dulce Refugio, il boogie tex-mex di Paris Trance e un brano come Tequiloros fortemente di tradizione messicana, e chiudere con lo strumentale Mexicali De Chispa, scritta con il fratello Robert, che riporta alla mente le atmosfere classiche alla “spaghetti western”.

patricia vonne live 2

Patricia Vonne Rodriguez (per chi scrive) è una cantautrice assolutamente intrigante, ha una voce grintosa, molto personale (e compone da sola o in coppia tutti i brani dell’album in questione), canta molto bene e la musica che propone viene identificata generalmente come energico roots-rock, ma l’influenza dei suoni che provengono dal “border” (tex-mex e flamenco) e il cantato che si alterna tra inglese e spagnolo, sprigiona indubbiamente un certo fascino.

mag_austinmonthly_newspage

Giusto per capirci: se amate la musica di Joe Ely, Los Lobos, Tito & Tarantula con i quali Pat ha diviso spesso il palco, se amate il cinema di Rodriguez e Tarantino con i quali divide famiglia e set, o se siete semplicemente curiosi, Rattle My Cage è il disco giusto, e una Tequila o una birra ghiacciata vi aiuteranno in questo viaggio attraverso il confine fra Texas e Messico.

Tino Montanari

Una Grande Tradizione Viene Nuovamente Onorata! The Allman Brothers Band – Play All Night: Live At The Beacon Theatre 1992

allman brothers band play all nightallman brothers live at great woods

Allman Brothers Band – Play All Night: Live At The Beacon Theatre 1992 – 2 CD Epic/Sony Legacy

Allman Brothers Band – Live At Great Woods – DVD Sony Music entrambi in uscita il 18-02-2014

Quest’anno gli Allman Brothers festeggiano 45 anni di attività, probabilmente la grande occasione sarà l’uscita del megabox con l’integrale dei concerti al Fillmore East che dovrebbe uscire a primavera inoltrata, ma già fin d’ora partono le celebrazioni. A marzo, come tutti gli anni, ci sarà la serie di concerti al Beacon Theatre di New York, ormai una tradizione che ha sostituito il vecchio “rito” che veniva eseguito al Fillmore, che ha chiuso da parecchi anni. Proprio per questo la Sony Legacy, il 18 febbraio, pubblicherà questo doppio Play All Night: Live At The Beacon Theatre 1992, che è la testimonianza delle due serate (il meglio) tenutesi il 10 e 11 marzo del 1992, il primo anno in cui veniva inaugurata una abitudine che si è poi consolidata negli anni ed espansa fino a durare per dieci date, come sarà anche nel 2014, con molti ospiti che si alternano nei diversi concerti. Parte di quei concerti, insieme ad altri estratti, presi dagli anni successivi, era uscita come An Evening With The Allman Brothers, First Set (1992) e Second Set (1994)entrambi ancora reperibili, a fatica: si tratta della versione della Allman Brothers Band quando c’erano ancora in formazione Dickey Betts (carattere e abitudini di m…, dicono), con Warren Haynes e Allen Woody, che da lì a poco avrebbero formato i Gov’t Mule, la sezione ritmica con Butch Trucks e Jaimoe, aumentati da Marc Quinones alle percussioni, e naturalmente Gregg Allman all’organo e voce (di cui viene annunciato un nuovo disco solista in uscita nel 2014). Secondo molti la migliore formazione dai tempi di Duane Allman, come testimoniano gli ottimi album in studio di quel periodo e anche i due live citati http://www.youtube.com/watch?v=PFjY1RXtK0o .

allman brothers first setallman brothers second set

Naturalmente anche l’attuale formazione con Derek Trucks è spaziale, ma forse Haynes e Betts si integravano meglio, ma è proprio per cercare dei piccoli cavili; purtroppo a fine anno, come forse avrete letto, entrambi, Trucks Haynes, hanno annunciato che lasceranno la band! Il DVD che vedete effigiato a fianco del doppio CD è, viceversa, una occasione perduta, Live At Great Woods, registrato nel 1991, era già uscito in DVD nel 1997, e durava 51 minuti, dicansi cinquantuno, praticamente una presa per il culo (la VHS ai tempi era più lunga): la nuova edizione quanto dura? Uguale http://www.youtube.com/watch?v=GJ6pS6wl-yg !

Torniamo un attimo al doppio Play All Night, questa è la track list completa dei 2 CD:

DISC 1

1.   Statesboro Blues  7:00
2.   You Don’t Love Me  6:38
3.   End Of The Line  5:45
4.   Blue Sky  7:34
5.   Nobody Knows  13:20
6.   Low Down Dirty Mean  7:20
7.   Seven Turns  4:41
8.   Midnight Rider  3:20
9.   Come On In My Kitchen  6:02

DISC 2

1.   Guitar Intro / Hoochie Coochie Man  10:01
2.   Jessica  10:01
3.   Get On With Your Life  8:18
4.   In Memory Of Elizabeth Reed  20:58
5.   Revival  5:46
6.   Dreams  11:20
7.   Whipping Post  11:36

Il tutto dovrebbe essere (sarà) pubblicato a prezzo speciale: spero che troveremo un “volontario” per una recensione più completa sul Blog, in caso contrario, queste sono le informazioni principali.

Bruno Conti

Ricominciamo Pure, Con Un Gruppo Di Irlandesi “Malati” D’America! Bap Kennedy – Let’s Start Again

bap kennedy let's start again

Bap Kennedy – Let’s Start Again – Proper/Ird 2 CD Deluxe Edition

Come sembrerebbe suggerire il titolo, questo Let’s Start Again (sesto album di materiale originale, dicono quelli che parlano bene, ma se ne ha anche fatto uno, Hillbilly Shakespeare, che erano tutte cover di Hank Williams, a casa mia sono sette) potrebbe essere una ennesima ripartenza per la carriera di Bap Kennedy, con tutto che ultimamente, dopo una carriera di alti e bassi, le cose sembrano andare piuttosto bene per il musicista irlandese. L’ultimo album, The Sailor’s Revenge, prodotto da Mark Knopfler e di cui trovate la recensione sul Blog (http://discoclub.myblog.it/2012/02/14/dall-energia-del-frutteto-alla-vendetta-del-marinaio-bap-ken/), insieme alle note biografiche e ad un breve excursus sulla discografia (l’unica cosa che posso aggiungere, ad integrazione, è che il fratello è Brian Kennedy, altro bravo musicista, collaboratore in passato di Van Morrison, ma musicalmente abbastanza lontano dallo stile del nostro), aveva avuto ottime recensioni e un discreto riscontro di vendite, sempre nell’ambito di una piccola label di successo come è la Proper. Per questo nuovo album Bap ha preferito circondarsi dei musicisti della sua band, qualche ospite, ma nessuno dal nome eclatante, bravi però, ovviamente l’immancabile moglie Brenda Boyd Kennedy, che oltre a suonare il basso e occuparsi delle armonie vocali, ha anche realizzato la foto della copertina del CD. Il tutto è stato registrato in Irlanda del Nord, con il co-produttore abituale e vecchio pard, Mudd Wallace (quando non ci sono in ballo amici famosi!) e il risultato è, stranamente, il disco con il suono più americano, o se preferite “Americana”, della carriera di Kennedy, quasi nessuna traccia delle melodie celtiche e irlandesi che apparivano in Sailor’s Revenge , un sound comunque molto rootsy, per una decina di belle canzoni che confermano il talento dell’ex Energy Orchard.

https://www.youtube.com/watch?v=qEfSAYotVdQ

L’ho ascoltato parecchie volte, è un po’ di tempo che ci giro attorno come ascolti, e, parere personale, mi sembra un filo inferiore al suo predecessore, che forse era più malinconico e maestoso (ma secondo altri questo Let’s Start Again è invece migliore dell’album del 2012, punti di vista rispettabili): diciamo che il disco si riavvicina musicalmente agli esordi solisti di Domestic Blues, il disco prodotto da Steve Earle ( il nostro Martin ha sempre avuto delle ottime frequentazioni, anche con Van Morrison, col quale ha firmato un brano in passato, oltre ad essere entrambi di Belfast). Le prime due canzoni hanno un sound che per certi versi mi ha ricordato (rispettabili anche le mie impressioni?), chissà perché, tra i tanti, il Bob Dylan degli anni ’70, soprattutto la seconda, Revelation Blues, che con il suo violino insinuante (John Fitzpatrick), ricorda i ghirigori di Scarlet Rivera in Desire, anche se la voce di Bap è ovviamente diversa da quella di Bob, ma il ritmo incalzante, i tocchi di mandolino e pedal steel, possono ricordare lo Zimmy ai limiti del country tzigano  . E già nell’ottima iniziale Let’s Start Again, questo suono delle radici “americane” è molto marcato, pedal steel a manetta (o a pedale schiacciato a fondo, se preferite), un bell’organo, mandolino, chitarre acustiche, la brava Brenda Boyd che fa la Emmylou Harris della situazione, tutto molto bello e dylaniano.If Things Don’t Change è più Lovettiana, nel senso di Lyle, o comunque texana (aggiungere nomi a piacere), un western swing cantautorale, delicato e divertente, con i vocalisti di supporto che si divertono quasi in modalità doo-wop, la pedal steel che continua ad impazzare ed una levità di fondo deliziosa.

King Of Mexico, fin dal titolo, ci porta sulla mexican border, la linea di confine con il Messico, una fisarmonica sbarazzina, gli strumenti a corda in evidenza, un pianino delicato suonato da John McCullough che raddoppia la fisa canonica, coretti da baffuti messicani, il tutto dalla verde Irlanda, potrebbe essere un brano dei Los Lobos, La Bamba al rallentatore. Song Of Her Desire è una ballata quasi sussurrata, questa volta in punta di dobro, sempre con quel leggero train sonoro incalzante che dà l’impressione di una musica sempre in movimento, in ogni caso altra ottima canzone. Fine prima parte, la migliore!

Nei vecchi dischi ci sarebbe una pausa per cambiare la facciata del vinile, che volendo esiste e passare a Radio Waves, un bel valzerone country dallo spirito upbeat, con gli sha-la-la dei coristi che gli danno quell’aria demodè che andava sulle vecchie onde radio, mandolini, pedal steel e una chitarrona twangy intensificano lo spirito campagnolo del brano e tutto scorre molto piacevolmente, ma forse manca quello spirito malinconico del disco precedente. Che è successo? Sono andato a bere un bicchiere d’acqua, torno e qualcuno mi ha cambiato il CD e mi ha messo Lyle Lovett & His Large Band, scusate controllo. No, in effetti è sempre quello di Bap Kennedy, Heart Trouble il brano, ma l’effetto swing di violini, steel, mi pare anche un vibrafono, l’immancabile piano, coretti ancora doo-wop, ricorda il texano dalla strana pettinatura. Under My Wing introduce ritmi caraibici, direi calypso addirittura, ma suonato in qualche balera sul confine tra Messico e Texas, cantato con quella voce da irlandese triste che è nelle corde del nostro amico Bap, i soliti sha-la-la, un bel mix di generi . Strange Kid è nuovamente un country-swing-rock (si può dire? ma sì!), mandolini, chitarrine, violini, dobro e vocine delicate si sprecano in questa ulteriore piacevole rimpatriata nelle radici del suono americano. Ancora  country caraibico, più Buffett che Lovett per l’occasione, per una disincantata e divertente Fool’s Paradise. Si conclude con Let It Go, che per uno che ha fatto un intero disco di brani di Hank Williams era quasi inevitabile ed immancabile, con la moglie Brenda a fare la seconda voce, come dei novelli Gram e Emmylou, e vai con violino e pedal steel, maestro.

In definitiva un bel dischetto. Potete, anzi dovete, comprare la Deluxe Edition doppia, visto che costa poco di più, anche se poi le chicche sono solo due versioni inedite acustiche di un paio di brani da The Sailor’s Revenge,Jimmy Sanchez e Please Return To Jesus, le altre nove sono una sorta di greatest songs dagli album precedenti. La mia preferenza l’ho già espressa all‘inizio, ribadisco, ma averne comunque di dischi così. Esce ufficialmente domani 4 febbraio.

Bruno Conti

Da Musicista a Musicista. Dr. Jimmy Ragazzon “visita” Snakefinger’s History Of The Blues: Live In Europe

snakefinger live in europe

*NDB. Era da un po’ che rompevo le balle a Jimmy Ragazzon dei Mandolin’ Brothers (che in passato aveva peraltro manifestato il suo interesse), per scrivere qualcosa per il Blog, ora che il loro nuovo disco Far Out è uscito, sono tornato alla carica, da “editore”, proponendogli un disco “strano”, proprio tipico di Disco Club, da “carbonari” appassionati di musica, e questo è il risultato. Sperando che ci siano dei seguiti, la parola a Jimmy!

SNAKEFINGER – Snakefinger’s History of the Blues: Live in Europe – Promising Music

Un gran bel disco che evoca in me sia bei ricordi, sia altri meno edificanti. Diciamo solo che ero nel mio periodo Amsterdammed e proprio nel bad retiro olandese mi trovavo, a coltivare i miei pessimi hobbies, quando uscì questo album originariamente per la Rough Trade, nel 1984. Finalmente qualcuno si è ricordato di rimasterizzarlo in cd, aggiungerci diverse preziose outtakes e rimetterlo in circolazione in un piacevole packaging, riproponendo un vero e proprio bigino della storia del Blues, consigliato a tutti http://www.youtube.com/watch?v=3ATANNVpCLg .

snakefinger 1

Il grande ed ingiustamente dimenticato chitarrista inglese, Philip “Snakefinger” Lithman, scomparso nel 1987 in seguito ad un attacco cardiaco, si fece le ossa con l’avanguardia musicale del tempo, The Residents ed i pub rockers Chili Willi & The Red Hot Peppers, ma decise di prendersi una pausa  e tornò al suo primo amore, il Blues, con una band di 8 elementi completa di horn section, che registrò questo album live in giro per l’Europa.

snakefinger residents

Nei primi anni ‘80 Lithman era il chitarrista di riferimento per la cosiddetta musica sperimentale e, oltre a registrare i suoi album, collaborava con The Mutants e l’ex tastierista di Captain Beefheart, Eric Drew Feldman. Ma le sue radici erano proprio nel British Blues, dove militava dai primi anni ’60 e decise di rivisitarle e riproporle, assemblando paradossalmente una band di musicisti californiani di San Francisco, città cult dell’epoca dove si era trasferito nel frattempo e tra cui spiccavano appunto Eric Feldman (qui al basso) e l’ex Stooges, Steve Mackay. Il risultato che venne inciso su vinile fu un’ora di grande traditional Blues, suonato ed interpretato come si dovrebbe fare sempre, con passione e sudore http://www.youtube.com/watch?v=atYJUq-FjOg , che passa da quello acustico di Creeper Blues e You Can’t Get The Stuff No More, allo swing old fashion di You Upsets Me Baby e Natural Ball, alle sfumature jazzy di Stolen Moments http://www.youtube.com/watch?v=TXW9y–Ovec , a quello venato di rock di Crosscut Saw http://www.youtube.com/watch?v=-AVD_1gwgg8  , in un’impeccabile show in cui troviamo anche una splendida versione di 36 22 36 di Bobby Bland, direi perfetta.

snakefinger 3

L’album si apre con una breve ma istruttiva introduzione parlata sulla storia del Blues e su uno dei suoi padri, Furry Lewis, e ripercorre, brano dopo brano, tutta l’evoluzione della musica che è alla radice di tutto il rock & affini che abbiamo ascoltato fino ad ora. Si passa quindi dalle roventi pianure del Mississippi seguendo il percorso della grande migrazione verso il nord, Chicago e Memphis in particolare, attraverso le visioni di Robert Johnson,  la ruvidezza di Tampa Red, l’eleganza di Skip James, il più classico e fondamentale Muddy Waters, fino a Big Joe Turner e ai tre King, seguendo un rigoroso percorso storico-musicale, come solo un profondo, sincero ed appassionato conoscitore può fare. Infatti ogni singolo pezzo viene inquadrato e spiegato brevemente da Mr. Snakefinger, senza per altro nulla  togliere al fluire del concerto e al suo groove. Insomma blues stuff al suo meglio in una attesa e doverosa ristampa, che oltre a far tornare indietro nel tempo con nostalgia e piacere coloro che già la conoscono, può costituire un quanto mai necessario strumento, utile ai più giovani, per scoprire The Real Blues Thing.

 

snakefinger 2

E, per chi ne volesse sapere di più sulla tribolata storia del popolo afroamericano e sulla sua cultura, mi permetto di consigliare anche un libro eccezionale (aggettivo in questo caso assolutamente corretto) da abbinare all’ascolto del buon Snakefinger

Isabel wilkerson al calore di soli

 Al Calore di Soli Lontani

Il racconto epico della grande migrazione afroamericana

di Isabel Wilkerson

Il Saggiatore

Please, enjoy the ride…

Jimmy Ragazzon

Poesie In Musica A Bordo Di Purpuree Automobili! – David Munyon – Purple Cadillacs

david munyon purple cadillacs

David Munyon – Purple Cadillacs – Stockfisch Records

Quando ascolto la musica di David Munyon è come se stessi ascoltando le registrazioni di Townes Van Zandt degli anni ’70, e non mi sono mai spiegato perché i suoi dischi non si vendano (o forse me lo spiego benissimo), comunque tutto quello che pensavo nella recensione di Damien Jurado di qualche giorno fa, vale anche per questo ulteriore magnifico “perdente”.Si era già parlato di lui sul Blog un paio di anni in occasione dell‘uscita di Pretty Blue (http://discoclub.myblog.it/2011/12/01/un-ulteriore-illustre-sconosciuto-david-munyon-pretty-blue/) , e, se non ho fatto male i conti, questo Purple Cadillacs è il ventesimo album di una carriera iniziata con il bellissimo Code Name: Jumper (1990), dove è inclusa una gemma come On The Other Side Of Harlem (da portare assolutamente, per chi scrive, sulla famosa “desert island”) http://www.youtube.com/watch?v=9_ly7XzAJy4

*NDB Esiste anche un DVD dal vivo.

Da anni Munyon risiede in Germania, e quindi non è sorprendente che l’album sia stato registrato a Northeim nella Bassa Sassonia,e che David (chitarra e voce), per lo sviluppo di queste 13 canzoni, si sia avvalso del fidato polistrumentista Ian Melrose, del collaudato chitarrista inglese Mike Silver, e di bravi, ancorché poco conosciuti, turnisti di “area tedesca”, al basso Urs Fuchs e Thomas Kagermann al violino, per un ennesimo disco di “culto” di questo instancabile e creativo cantautore nato a Newport, Rhode Island. Una volta saliti sui sedili di una lussuosa Cadillac viola, e inserito il disco nel lettore CD, si viene subito ammaliati, oltre che da alcune nuove registrazioni di brani tratti del suo repertorio “classico” come Rosas Cantina, Song For Danko (splendido omaggio al musicista della Band) e Prayers Of Elvis Presley, da nuovi brani scritti nel corso dell’ultimo anno, che toccano temi tipici americani come l’iniziale Riding Around The World http://www.youtube.com/watch?v=SQGka7voK9k e Kansas, storie autobiografiche che vivono nel dolente violino di Hendrike’s Ford Fiesta http://www.youtube.com/watch?v=4rd2cbzJrUw , ma anche sulle emozioni di Watercolors, Baby For You, e Radha, nelle ballate epiche come The Ballad Of The Anita Fernando e Move Back To Amsterdam (The Ballad Of Stray Dog) o nella spiritualità sommessa di Help Me Krishna Song e quando alla fine accostate la Cadillac viola sul ciglio della strada, dopo avere ascoltato le poesie in musica delle conclusive Bright To Brighter e Whenever You Can Fall In Love Again, dove la bravura di Mike Silver e Tom Kagermann si manifesta perfettamente nella struttura musicale, vi scoprirete più “ricchi” e in pace.

Purple Cadillacs è un disco molto introspettivo, con parole e suoni che invitano a riflettere, ideale colonna sonora di un disco da suonare nella notte, sotto un cielo stellato (magari su quella famosa Cadillac color porpora). Stimato da Brian Wilson, che considera Munyon uno dei migliori cantautori di sempre, e da chi ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo (come chi scrive), serve poco per far conoscere la sua musica, un angolo di palco, una chitarra, un amplificatore e una buona bottiglia di Bourbon. Reperibilità bassa anche per questo CD (uscito a maggio del 2013) ma alta soddisfazione nell’ascolto, quando riuscirete a trovarlo (se non lo avete già fatto)!

Tino Montanari