La Parola Ai Fans: “Ho Visto Il Rock, Si Chiama Bruce Springsteen – Trieste 11.06.2012

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Una breve premessa dal titolare del Blog.

Quest’anno, per vari motivi, non sono potuto andare a vedere il concerto di Springsteen di Milano, per cui mi dovrò “accontentare” delle cinque volte che l’ho visto dal fatidico 11 aprile del 1981 all’Hallenstadion di Zurigo. Per rimediare, su richiesta di un lettore del Blog, Graziano, (la vedete nei commenti) pubblico il suo resoconto della serata di Bruce a Trieste di lunedì 11 giugno. Altri amici mi hanno detto che a Milano ha sfiorato il record assoluto di tutti i tempi( secondo concerto di sempre come durata,  3 ore e 45 minuti). Ma bando alle ciance e buona lettura.

Bruno Conti

 

 

Trieste era piovosa sin dal mattino, e non prometteva niente di buono per quello che, a tutti gli effetti era e rimarrà un evento di portata colossale per una città’, che a livello musicale si vede da molto tempo sfilare sotto il naso molta ottima musica diretta in quel di Udine e dintorni.

Scrosci, alternati a sprazzi di sole sino verso le 20. Il “Nereo Rocco” a quell’ora è già quasi pieno, tutto fila via liscio, l’organizzazione funziona a meraviglia, per la gioia del sindaco, che da buon fan sfegatato quale è se ne sta nella zona Pit sotto il palco invece che in tribuna, insieme a circa altre ventinovemila anime palpitanti e felici, perché questo bisogna sottolinearlo forte, la gente a questo concerto è felice, ed é già una rarità di questi tempi, gente di tutte le età, a riprova che un certo tipo di musica unisce e dimostra che il tempo non esiste.

Tempo che scorre nell’attesa, come fosse Natale e per farlo passare la gente fa la ola, batte le mani, e giove pluvio deve aver pensato bene di andare a mettersi in poltrona a godersi lo spettacolo, perché contro ogni premessa non cadrà più una goccia. Sono le 21.14 quando si spengono le luci e si alza il primo di molti boati, la mitica E Street Band va ai posti di combattimento sulle note a sfumare di C’era una volta in America, poi entra il Boss ed è un onda d’urto di voci e di mani, lui saluta con un “Mandi Trieste, come va?” (sarebbe in Friuli ma…!). Ma tutto lo stadio è comunque suo, il suo ed il nostro giardino dei divertimenti.

E allora si parte, e per far capire che nessuno stasera starà fermo è Badlands ad aprire le danze della festa che va a braccetto al volo con una No surrender che scalda uno stadio già caldo di suo, non ci si ferma nemmeno per l’apripista del nuovo album We Take Care Of Our Own, e come un treno che abbia preso già una bella velocità arriva la title-track Wrecking Ball  entrata di diritto nel cuore dei fan, ed infatti tutto lo stadio la manda a memoria e il capo fa quello, che farà un sacco di volte nella serata, cioé carica ancora di più la sua gente, fa segno che non sente sul ritornello e allora ancora più forte, sempre più forte, e nel momento in cui pare di andare già parecchio forte, arriva Death To My Hometown e lo stadio diventa un enorme pub irlandese dove tutti cantano e ballano. Se qualcuno a quel punto pensava almeno ad un piccolo stacco si sbagliava perché era in arrivo una versione bellissima e lunghissima di My city of ruins, qui Springsteen fa gli onori di casa e ci presenta i suoi “fratelli e sorelle” della E Street Band, parla in italiano per dirci che la canzone narra di cose che restano e cose che vanno, simpatico mentre ci fa sapere,(sempre rigorosamente in italiano) che la moglie é rimasta a casa con i figli, ma ci saluta tutti, commovente, quando dopo aver presentato tutti, chiede se manca qualcuno, e qualcuno manca di certo a noi e a lui, il compianto Clarence, enorme sassofonista in tutti i sensi, e Danny Federici ma il capo ci rassicura, “posso sentirli nelle vostre voci”, un unico enorme boato, l’ennesimo.

Stanotte non c’e’ posto per la tristezza e allora parte subito Spirit in the night, qui il boss si concede al suo pubblico come a pochi ho visto fare, va giù fino alle prime file e ci si inginocchia in mezzo, un delirio, la sua voce roca sale e sale, prende una chitarra di cartone passata dalla gente e suona quella, ma dal pubblico arriva anche la prima richiesta Downbound Train, subito accontentati! Il primo rallentamento vero del concerto lo porta uno dei pezzi più belli del nuovo lavoro dell’artista, Jack Of All Trades, dedicata da Bruce (in italiano) a tutti coloro che combattono, quelli che hanno perso il lavoro e i terremotati italiani, lungo applauso del Rocco, bellissima e sentita, lo stadio prova ad accendersi di accendini, poi si riparte senza più prendere fiato, i ragazzi ci regalano a mio parere una delle punte di diamante di tutta la serata, quattro titoli in corsa Youngstown / Murder Incorporated / Johnny 99 / Working On The Highway, la prima ha un finale di chitarre indiavolate, la seconda, credo che non solo io ma un bel po’ di gente credeva che non l’avrebbe mai eseguita, la terza ci ha letteralmente trascinato con una versione che ha coinvolto tutta la band a giocare a rimpiattino tra quelli su e quelli giù dal palco, la quarta parte in acustico per trasformarsi in un rock torrenziale che permette al boss di giocare a mettersi in posa per le foto ad ogni stacco, a questo punto l’arrivo di Shackled And Drawn dà la sensazione di abbassare quasi un poco il livello di adrenalina in circolo, pur con il bellissimo duetto tra Bruce ed una corista dalla voce cristallina e potente, forse se ne accorge, chi lo sa, però ci tiene a non far scendere i giri del motore, lo si percepisce chiaramente, perciò subito dopo, giù di nuovo il piede, è tempo di Waiting On A Sunny Day, lo stadio si riaccende più potente di prima, lui lascia cantare il ritornello, finché pesca un ragazzino dal pubblico e lui serenamente prende il microfono e canta il ritornello una, due, tre, quattro volte poi si volta, e realizza il sogno di trentamila persone, con piglio da rocker consumato dice C’mon E Street Band!

E la band riparte, mentre viene giù lo stadio, subito dopo questo momento di divertimento purissimo, i nostri si concedono una incursione nel soul, la qual cosa, con la sezione fiati che si ritrovano, stasera era quasi doverosa, da citare il nipote di Clarence, Jake a cui lo zio ha sicuramente messo una mano sulla testa per come suona, sono due pezzi legati tra loro, la divertente 634-5789 di blues brothersiana memoria (ma era di Wilson Pickett) e The Way You Do The Things You Do dei Temptations, che fa da ponte per arrivare ad una The River intima e meravigliosa, un fiume da cui tutti ci facciamo volentieri trascinare, poi il boss si riprende la sua Because The Night e fa sfogare in coppia la chitarra di Steve, sino ad allora sinceramente un poco in ombra rispetto ai numeri fatti vedere dal collega, The Rising fa riprendere il botta e risposta tra Bruce ed il pubblico, botta e risposta che si alza a dismisura quando attacca We Are Alive (con citazione finale da Ring Of Fire), l’energia che ci si rimpalla da sotto a sopra al palco é magnifica, si salta, si balla, evidentemente la stanchezza è un punto di vista, perché i calibri da novanta arrivano solo ora.

Una canzone, che credevo proprio di non poter ascoltare, la bellissima Thunder Road arriva come una sorpresa che si sperava ma non si credeva, poi Bruce che non ha quasi mai smesso di giocare con quelli davanti decide di fare una serie di regali a richiesta a mezzo cartone da imballo, ne pesca uno da in mezzo alla ressa e se lo porta su, c’e’ scritto puoi suonare Rosalita (Come Out Tonight) per mamma e papà, certo come no, e allora per mamma e papà con affetto……….ennesimo boato, chiusa questa parentesi il padrone di casa ci chiede se siamo pronti e naturalmente lo siamo, ma per cosa?, per l’evento nell’evento, l’invitata che tutti aspettavamo Born in the u.s.a. e lei è arrivata alla festa e ci ha scaricato addosso altra energia per continuare a ballare; altra invitata attesissima Born to run (con Elliott Murphy), durante il famoso stacco Springsteen decide che quelli lì davanti gli stanno proprio simpatici e ci si ributta in mezzo, Bobby Jean ed Hungry heart (l’attacco di quest’ultima é nostro come da tradizione) ci dicono che il sessantaduenne sul palco ha incredibilmente ancora benzina, anche se le luci dello stadio sono già accese da un po’ si capisce che la pantomima del dentro e fuori per il bis stasera non ci sarà perché nessuno si muove dal palco, evidentemente tra amici non si usa.

Seven Nights To Rock e’ una cover di Moon Mullican che evidentemente al nostro piace tanto ed anche a noi, perché la fa durare un sacco di tempo e si vede proprio che si diverte a farla, Dancing in the dark riapre la rubrica “chiedilo a Bruce” perché prima fa salire una ragazzina e la fa ballare con lui sul palco, poi sempre a mezzo cartone accontenta uno che chiede di ballare con la Soozie Tyrell, la violinista ed a una seconda che scrive,” ti prego fai ballare mia madre, prego signora si accomodi come va?”, ovazioni a scena aperta. Tenth Avenue Freeze-Out chiude una serata magica, tre ore e venticinque minuti di gioia adamantina. Tempo fa un manager musicale disse di lui: ho visto in questo ragazzo il futuro del rock and roll; aveva ragione, ieri abbiamo visto il presente del rock e si chiama ancora Bruce Springsteen!

Graziano Ongetta

Un Inatteso E Gradito Ritorno. Tom Kell – This Desert City

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Tom Kell – This Desert City – 17° Degrees Recording 2011

Correva il lontano anno 1993, quando il mio amico Bruno mi consigliava (come sempre bene) l’acquisto di Angeltown, di tale Tom Kelly, uno sconosciuto musicista che ha suonato per una decina d’anni con una Band di Seattle The Skyboys, poi ha deciso di fare il solista. Tom, di padre americano e madre austriaca, non è certamente di primo pelo, ed è un cantautore nel puro senso del termine. Ha esordito con Lonely Town (1987), seguito da One Sad Night (1990) un disco di “soft country”, mentre il già menzionato Angeltown (1993) mostra una caratura superiore e una raggiunta maturità. Dopo una lunga pausa e il ritorno con The Ultimate Distraction (2002) e una raccolta di brani natalizi Christmas Comin’ Down (2002), il nostro si ritira dalle scene e si ricicla come autore.

Ora, dopo molti anni di distanza dagli studi di registrazione e dai palchi, ritorna inaspettatamente con This Desert City, un lavoro prodotto da Jeffrey Cox , che si avvale di illustri ospiti pescati dal giro di Los Angeles, come Kenny Edwards (Karla Bonoff e Linda Ronstadt), Bob Glaub (Jackson Browne e John Fogerty), Greg Leisz (Robert Plant, Alison Krauss, KD Lang), Don Heffington (Bob Dylan, Emmylou Harris, Dave Alvin), il grande David Lindley, e Valerie Carter ai cori. 

L’iniziale Which Road è molto “eaglesiana”, mentre Sometimes è una ballata interiore e dolcissima. Texas On The 4th Of July inevitabilmente mi ricorda Dave Alvin, segue una intrigante versione di un classico come Dont’t Let Me Be Misunderstood , con chitarra spagnoleggiante e la fisarmonica in evidenza, e la voce della Carter al controcanto. Si ritorna dalle parti delle “aquile” con The Way Of The World, mentre Dove è un brano intimista cantato in duetto con Valerie. Un cenno a parte se lo meritano Sands Of Time e Hold On, composizioni dalla vena più country, mentre Baby’s In Black è la seconda “cover” del CD, un pezzo di Lennon/McCartney  che Tom eseguiva fin dai tempi antichi degli Skyboys, qui rivisitata in versione “campestre”. Chiude una splendida  I Wouldn’t Trust The Moon, ballata dalla vena romantica che ricorda il miglior John Hiatt.

This Desert City è un disco piacevole , ben strutturato, con arrangiamenti semplici ma molto curati, è fatto ad “hoc” per evidenziare la forte linea melodica delle canzoni, dove Tom descrive  amori e cuori spezzati, parla di gente comune, ma l’amore è sempre al centro della sua scrittura, tipicamente “californiana” (vedi Eagles e Jackson Browne), il suo universo musicale.

Grande ritorno per Tom Kell, un cantautore raffinato che non ha mai avuto il successo che avrebbe meritato, un bel disco per chi ama la musica cantautorale, e il sottile desiderio di conoscere artisti minori, non certamente inferiori a strombazzate presunte “stars” attuali.

Tino Montanari

Un Chitarrista Che “Fa L’Indiano”! Indigenous Featuring Mato Nanii.

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Indigenous Featuring Mato Nanji – Blues Bureau International/Shrapnel

Mato Nanji, più che “fare l’indiano” lo è proprio, pellerossa naturalmente, della tribù Sioux dei Lakota e vive ancora nella riserva del South Dakota, che fa anche rima. Il gruppo, all’origine, seconda metà anni ’90, era nato come un affare di famiglia, un fratello, una sorella e il cugino, tutti appassionati di Blues, passione nata sui dischi di B.B. King e Buddy Guy che portava a casa il babbo, grande appassionato del genere. Poi, Mato soprattutto, ha integrato questo sentimento con l’amore per chitarristi come Hendrix, Santana e soprattutto Stevie Ray Vaughan. E fino al 2006 tutto è andato bene, con una nutrita serie di album di poderoso rock-blues pubblicati per diverse etichette. A quel punto il resto della famiglia ha deciso di andarsene e Mato Nanji ha sciolto la band pubblicando un album da solista e poi nel 2010 ha ripristinato la vecchia ragione sociale per un album Acoustic Sessions, in compagnia della moglie Leah, che non (mi) aveva entusiasmato, come riportato su queste pagine virtuali indigenous-acoustic-sessions.html. Non un disco brutto, diciamo di transizione (come si dice quando non si vuole essere cattivi). Ora, sempre utilizzando il nome del gruppo, ritornano gli Indigenous con un disco che promette bene già dal sottotitolo, “All Electrified Guitar Made in Usa”, che vede a fianco del rientrante cugino American Horse alle percussioni, una solida band che sostiene la fiammeggiante e tiratissima Fender del leader, la classica line-up, basso, batteria e organo. Se aggiungiamo che la (co)produzione è affidata a quel Mike Varney, boss della Blues Bureau Int./Shrapnel che di dischi di chitarra se ne intende, direi che la missione è compiuta.

Come ciliegina sulla torta e eccellente brano di apertura, c’è anche un duetto con un altro che di rock-blues e di chitarre se ne intende, Jonny Lang (hanno fatto parte entrambi dell’Experience Tour, dedicato a Hendrix): Free Yourself, Free Your Mind è un perfetto esempio di quell’hard blues ricco di soul che entrambi frequentano da tempo, con le due chitarre e le voci che si intrecciano con perfetto tempismo, l’inizio non poteva essere migliore, grande apertura. Ma anche il resto non scherza, il disco ha quel feeling da concerto dal vivo con la chitarra di Mato Nanji libera di improvvisare ma nello stesso tempo con un bel suono da disco di studio ben prodotto, sentire Everywhere I Go che permette di apprezzare anche la bella voce del leader, finalmente un chitarrista con una voce rauca e potente, una rarità nel genere. Jealousy si getta nel Texas Blues alla Stevie Ray Vaughan, poderoso e ad alta tensione chitarristica con la solista che viaggia che è un piacere. Someone Like You con le percussioni in primo piano, ondeggia tra Santana e ZZtop, boogie latino. I Was Wrong To Leave You con l’organo a sostenere la solista di Mato è uno slow blues atmosferico tra Stevie Ray e Jimi mentre No Matter What It Takes si basa proprio su un riff hendrixiano e tempi più rock.

Anche Storm, grazie alle sue percussioni impazzite che sostengono basso e batteria in libera uscita, è uno strumentale di stampo Santaniano con il wah-wah di Nanji che raggiunge vette di virtuosismo notevoli. Find My Way rallenta i tempi ma non il fervore vocale e chitarristico. All Those Lies dimostra una volta di più che il nostro ha perfettamente fatto suo lo stile alla Vaughan, non un clone ma un ottimo discepolo ( e quindi di rimessa del grande Jimi). E infatti The way I feel è più vicino a quest’ultimo. Wake Up è una bella slow ballad ricca di melodia con percussioni e organo ancora una volta a sostenere il tessuto della canzone, a dimostrazione che anche i rockers hanno un’anima gentile (ma dalla scorza dura). By My Side è un rock-blues come potrebbero farlo i Los Lobos quando si avvicinano a tempi più bluesati e la conclusione è affidata a una torrida When Tomorrow Comes, forse la migliore del lotto, un altro slow tirato e ad alta gradazione con la chitarra che una volta di più fa i numeri e che conclude bene come era partita questa nuova fatica degli Indigenous. Powerful rock-blues. Ben tornati!

Bruno Conti   

Un Gusto Acquisito. Mary Chapin Carpenter – Ashes And Roses

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Mary Chapin Carpenter – Ashes and Roses – Zoe/Rounder/Uiversal 

La cantautrice americana, Mary Chapin Carpenter, nativa di Princeton, New Jersey ma da sempre legata all’area geografica che gravita intorno a Washington, DC, non per nulla il suo concerto al Wolf Trap, una sorta di anfitetatro naturale sito nella zona, è una specie di evento annuale ricorrente. Come ricorrente, rassicurante, direi costante è la sua musica; come dicevo, parlando sul Blog del disco precedente mary-chapin-carpenter-the-age-of-miracles.html, la sua musica è una certezza, forse ultimamente ripetitiva, ma di qualità elevata; in quel caso, con espressione forse non felice l’ho paragonata a un paio di vecchie ciabatte (in riferimento alla musica, ovviamente), questa volta il titolo vuole essere una sorta di richiamo ai “gusti” che ti accompagnano nel corso della vita: vuoi mettere un bel gelato con un gusto classico, chessò la nocciola nel mio caso, alla sperimentazione di nuovi sapori? Certo la “maracuja” o la “nigritella” ti danno il brivido del diverso ma un bel genere classico (siamo tornati alla musica) come il country e il folk, o il country-folk soprattutto nella forma della ballata per la Carpenter, spesso sono più soddisfacenti anche se meno avventurosi: l’ideale sarebbe una combinazione delle due cose ma questo è riservato agli artisti “geniali” mentre Mary Chapin è forse più, una onesta, anzi spesso ottima, “artigiana”.

Quindi dopo averla paragonata a un paio di vecchie ciabatte questa volta siamo passati alla metafora del gelato, spero che non me ne vorrà. Anche se la sua musica, soprattutto per la critica, non è legata al country non si può negare che il successo di pubblico negli anni ’90 fosse dovuto proprio al country, anzi al country-rock: un disco come Come On Come On e brani come I Feel Lucky, la cover di Passionate Kisses di Lucinda Williams, He Thinks He’ll Keep Her, erano attraversati dal suono delle chitarre di John Jennings, John Jorgenson e la pedal steel di Paul Franklin, che spesso avevano il sopravvento sul suono delle tastiere di Jon Carroll e degli ospiti Benmont Tench e Matt Rollings. Negli anni successivi, nella formazione è entrato anche Duke Levine, con un suono di chitarra più “aggressivo” che ben si sposava con quello di Jennings. Quest’ultimo, oltre che co-autore e direttore musicale, è stato anche compagno nella vita per la Chapin Carpenter, generando quell’effetto, come scherzando, a storia finita, raccontavano nei concerti: alla Fleetwood Mac, fisicamente tra Fleetwood e Nicks, lui alto e allampanato, lei piccola, bionda e rotondetta, musicalmente alla Buckingham/Nicks. Dal penultimo album il sodalizio musicale tra Carpenter e Jennings, durato oltre vent’anni, è finito e sono tornati Levine e Matt Rollings, che cura insieme a lei anche la produzione del disco. La formazione è completata dai veterani Glen Worf e Russ Kunkel, per un sound molto basato proprio sul piano di Rollings e con la forma della ballata quieta che evidentemente ben si accompagna agli umori della Carpenter, che ha avuto delle recenti annate a livello personale, segnate da malattie quali depressioni varie o l’embolia polmonare che qualche anno quasi l’aveva uccisa. La vita sentimentale non va molto meglio visto che si è lasciata anche con l’ultimo compagno, per cui almeno la musica, “ispirata” dalle vicende personali, rimane una sorta di valvola di sfogo e fonte di ispirazione per le sue canzoni. Si dice sempre che le canzoni più belle si scrivono quando non si è felici, per cui quelle di Mary dovrebbero essere bellissime.

Forse la patina intimista di malinconia ed introspezione è un po’ troppo accentuata ma non si può negare che lei sia molto brava, in possesso di una voce profonda ed evocativa e quindi questo Ashes and Roses è un ennesimo bel disco, anche se non posso fare a meno di rimpiangere la produzione Columbia degli anni ’90 quando, come dicevo all’inizio, il country-rock aveva la meglio sul country-folk. Per sentire un bel assolo vibrante di chitarra elettrica di Duke Levine o una serie di rullate più energiche di Russ Kunkel bisogna arrivare al settimo brano, I Tried Going West, (caratterizzato anche dall’ottima fisarmonica di Rollings), poi gli altri brani sono comunque molto buoni, con in evidenza il piano di Matt Rollings (il tastierista di Lyle Lovett, per i due o tre che non lo sanno) ma anche le chitarre acustiche ed elettriche di Levine come nell’iniziale, delicata Transcendental Reunion. Molto bella anche What To Keep And What To Throw Away con l’arpeggio delle chitarre che sottolinea il lento crescere delle tastiere fino alla piacevole coda strumentale. Sempre il suono folk e malinconico prevale in The Swords We Carried con le belle armonie vocali di Mac McAnally e Kim Keys e un “solo” delicato di Rollings.

Another Home è una canzone che racconta le sue impressioni sul ritorno a casa alla fine di un tour in una casa che, finito un matrimonio, non è più la stessa. Per aggiungere quella tristezza che si percepisce nel brano, la Carpenter racconta che ha terminato di scriverlo proprio nei giorni in cui moriva suo padre. Nostalgia e tristezza che si reiterano anche nella successiva Chasin’ What’s Already Gone, musicalmente una delle più belle dell’album, con un arrangiamento avvolgente e i musicisti che suonano alla grande, un mandolino in sottofondo, nuovamente eccellenti armonie vocali e il piano di Rollings ancora una volta protagonista. Per essere sincero qualche rullatina di Kunkel ci scappa anche in questo brano. Learning The World è nuovamente molto folk ed intimista mentre di I Tried Going West ho già detto. Don’t Need Much To Be Happy è un brano interlocutorio mentre Soul Companion è il famoso duetto con James Taylor, un brano che gli si adatta perfettamente, oserei dire nuovamente “come un vecchio calzino”, le due voci si alternano e si amalgamano alla perfezione regalando un maggiore brio alla canzone, veramente molto bella!

Old Love è un altro momento molto quieto ed introspettivo, con gli strumenti a corda di Duke Levine in primo piano a duettare nuovamente con il piano di Rollings. New Year’s Day è una poetica e sentita trascrizione di un incontro avvenuto in sogno con un vecchio amico e contiene anche una citazione di Emily Dickinson come ricorda la stessa Carpenter nelle note dell’album e che ci dice anche che questo è l’ultimo brano scritto per il disco stesso. Visto che le abbiamo citate tutte mancano ancora Fading Away e la conclusiva, dal titolo biblico, Jericho, un duetto solo tra il piano di Matt Rollings e la voce di Mary Chapin Carpenter che porta a termine, in perfetto stile cantautorale, questo nuova tredicesima fatica della sua carriera.

Bruno Conti

Per Farmi “Perdonare”, Quattro Ristampe Deluxe Che Hanno Più Senso! Everything But The Girl

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Per farmi perdonare lo scherzoso, ma non gradito da qualcuno, Post sulle ristampe di Samantha Fox, vi segnalo un’altra serie di ristampe doppie Deluxe di un gruppo, OK un duo, che ha operato più o meno nello stesso periodo ma con ben altri risultati qualitativi.

La meritevolissma Edsel Records ristampa i primi 4 album degli Everything But The Girl, ovvero Tracey Thorn e Ben Watt: i dischi usciti per la Blanco Y Negro/Warner tra il 1984 e il 1988. I due, anche se sono rimasti nell’immaginario collettivo per il remix dance di Missing del 1994, erano nati come un duo autore di un folk-pop alternativo basato sulla ottima e particolare voce della Thorn (già nelle Marine Girls) e su quella più soffusa di Watt (che aveva pubblicato un North Marine Drive di stampo quasi Drakiano, Nick si intende, non quell’altro). E questi album, soprattutto il primo. Eden, sono ottimi esempi di quel pop sofisticato e vagamente jazzato che imperversava in Gran Bretagna nei primi anni ’80: Working Week, Sade, Style Council ( i nostri amici sono presenti in Café Bleu), e altri, con una certa quota folk e una giusta alternanza tra i due che erano anche buoni autori e lui anche un bravo chitarrista.

Oltre a tutto nei tanti singoli e mix che uscivano allora gli EBTG si cimentavano pure con cover spesso sorprendenti. Le ristampe vengono pubblicate tutte (sono già uscite, tra il 22 e il 29 maggio) con un secondo CD di inediti, rarità, BBC Sessions e materiale live e a un prezzo più che appetibile, come un singolo. Queste le tracking lists complete degli album, con l’anno originale di uscita:

Eden – Edsel 2 CD – 1984

DISC ONE
EDEN
01. Each and Every One
02. Bittersweet
03. Tender Blue
04. Another Bridge
05. The Spice of Life
06. The Dustbowl
07. Crabwalk
08. Even So
09. Frost and Fire
19. Fascination
11. I Must Confess
12. Soft Touch

DISC TWO
A-SIDES & B-SIDES
01. Laugh You Out the House
02. Never Could Have Been Worse
03. Mine
04. Gun Cupboard Love
05. Easy As Sin
06. Native Land
07. Riverbed Dry
08. Don’t You Go
HOME DEMOS [1983]
09. Each and Every One
10. Bittersweet
11. Even So
12. Frost and Fire
13. Soft Touch
BBC SESSION RECORDINGS [1984]
14. Another Bridge
15. Easy As Sin
16. Riverbed Dry
17. Never Could Have Been Worse

Love Not Money – Edsel 2 CD -1985


DISC ONE
LOVE NOT MONEY
01. When All’s Well
02. Ugly Little Dreams
03. Shoot Me Down
04. Are You Trying to Be Funny?
05. Sean
06. Ballad of the Times
07. Anytown
08. This Love (Not for Sale)
09. Trouble and Strife
10. Angel

DISC TWO
B-SIDES
01. Heaven Help Me
02. Kid
03. Pigeons in the Attic Room
04. Charmless Callous Ways
05. Easy As Sin [version]
HOME DEMOS [1984]
06. Angel
07. Ugly Little Dreams
08. Are You Trying to Be Funny?
BBC SESSION RECORDINGS [1984/5]
09. This Love (Not for Sale)
10. Ballad of the Times
11. Are You Trying to Be Funny?

Baby The Stars Shine Bright – Edsel 2 CD – 1986

DISC ONE
BABY THE STARS SHINE BRIGHT
01. Come On Home
02. Don’t Leave Me Behind
03. A Country Mile
04. Cross My Heart
05. Don’t Let the Teardrops Rust Your Shining Heart
06. Careless
07. Sugar Finney
08. Come Hell or High Water
09. Fighting Talk
10. Little Hitler

DISC TWO
B-SIDES
01. Come On Home [extended mix]
02. Draining the Bar
03. I Fall to Pieces
04. Come On Home [acoustic]
05. Alfie
06. Where’s the Playground Susie?
07. Almost Blue
HOME DEMOS [1985]
08. Come On Home
09. Sugar Finney
10. Careless
11. Cross My Heart
12. Little Hitler

Idlewild – 2 CD Edsel -1988

DISC ONE
IDLEWILD
01. Love is Here Where I Live
02. These Early Days
03. I Always was Your Girl
04. Oxford Street
05. The Night I Heard Caruso Sing
06. Goodbye Sunday
07. Shadow on a Harvest Moon
08. Blue Moon Rose
09. Tears All Over Town
10. Lonesome for a Place I Know
11. Apron Strings

DISC TWO
A-SIDES & B-SIDES
01. Dyed in the Grain
02. No Place Like Home
03. Another Day, Another Dollar
04. Hang Out the Flags
05. Home From Home
06. I Don t Want to Talk About It
07. I Don’t Want to Talk About It [instrumental]
08. Living On Honeycomb
09. How About Me?
10. These Early Days [Dave Bascombe remix]
HOME DEMOS [1987]
11. Love is Here Where I Live
12. I Always was Your Girl
13. Tears All Over Town
14. Apron Strings
15. Oxford Street
16. Lonesome for a Place I Know
17. Always Remember (These Early Days)
OUTTAKE
18. Apron Strings (Alternative Film Version, 1987)

Il sottoscritto poi non ha apprezzato la svolta dance-elettronica da metà anni ’90 in poi, anche se la voce di Tracey Thorn ha continuato a piacermi e Missing, il brano, era uscito in una versione “normale” nell’album del 1994 Amplified Heart, che era ancora un ottimo disco dove suonavano Dave Mattacks, Danny Thompson e Richard Thompson, tra gli altri, ma alla fine c’era quel Remix che cambiò tutto, ma questi quattro album raccontano la storia precedente.

Bruno Conti

Un Fleetwood Mac “Minore” Se Ne E’ Andato! Bob Welch 1946-2012

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E’ morto suicida ieri 7 giugno, a Antioch nel Tennessee, Bob Welch, il cantante e chitarrista californiano che avrebbe compiuto 66 anni il 31 luglio. E’ stato trovato morto dalla moglie, con una ampia ferita da arma da fuoco sul petto.

Forse non è stato uno dei musicisti fondamentali del rock americano, ma è stato quello che ha guidato la transizione dei Fleetwod Mac da una band (importantissima) del British Blues Revival, ovvero il gruppo di Peter Green, a uno dei gruppi più influenti della scena americana, chiamiamola rock-melodica-weastcostiana degli anni ’70, la formazione con Lindsey Buckingham e Stevie Nicks per intenderci. Lui è stato il tramite,il passaggio, con Christine Perfect (poi McVie), insieme alla quale aveva cantato il brano Sentimental Lady, una delle canzoni più belle di Bare Trees, il secondo di una serie di 5 album registrati con i “Mac” tra il 1971 e il 1974, tutti piuttosto belli e che anticipavano il sound che li avrebbe resi celebri nella seconda metà della decade.

Diciamo che poi la sua carriera solista non è mai decollata, ma proprio con Christine McVie, Mick Fleetwood e Lindsey Buckingham aveva reinciso il suo brano più celebre (e forse più bello) per l’album del 1977, French Kiss, il suo disco di maggior successo, oltre un milione di copie vendute, un buon album ancorché non straordinario!

R.I.P.

Bruno Conti

Due Slide Son Meglio Di Una? Delta Moon – Black Cat Oil

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Delta Moon – Black Cat Oil – Red Parlor

Black Cat Oil è il settimo album dei Delta Moon, una delle migliori band operanti in quell’ambito che gravita intorno al Blues, per intenderci potremmo accostarli a JJ Grey & Mofro o i North Mississippi Allstars o andando a ritroso nel tempo anche i Little Feat. Quel genere che incorpora oltre al citato blues, elementi southern, swampy della Lousiana (anche il titolo in questo caso, che ha connotazioni voodoo), naturalmente rock ma non si può definire con il solito blues-rock. O sì?

Il principale elemento che connota questo gruppo, come molti sanno (ma non tutti), è il fatto di avere di due chitarre slide nel gruppo: il leader, cantante e compositore, Tom Gray, la suona in versione lap steel, ovvero appoggiata in grembo o al limite in posizione orizzontale, mentre il suo pard (e co-autore di molti brani) Mark Johnson la usa nel più canonico stile bottleneck. C’è da dire che nella prima parte della carriera i Delta Moon hanno avuto in formazione anche delle voci femminili, prima Gina Leigh e poi Kristin Markiton, due cantanti notevoli, soprattutto la prima, che appariva in Goin’ Down South il disco del 2004 che molti considerano il migliore (live a parte). Volendo, come recensito sul Busca di un paio di anni fa, ci sarebbe un CD del 2009 della Blues Boulevard/Music Avenue, Howlin’ At The Southern Moon che raccoglie il meglio dei dischi pubblicati tra il 2002 ed il 2007 prima della svolta maschilista, compreso un Live eccellente del 2004. Perché in effetti questo gruppo andrebbe sentito o visto, soprattutto dal vivo (lo si dice sempre ma è vero) e a questo proposito ci sono molti filmati strepitosi su YouTube tra cui uno registrato in Austria nel 2011 che è divertente anche a livello visivo, perché i due chitarristi vanno a suonare in mezzo al pubblico, si siedono al tavolo, si fanno portare due birrette e poi con gli strumenti appoggiati sul tavolo dimostrano come si suona la slide.

Detto questo del passato, il CD di cui parliamo comunque non è male: Tom Gray non è un cantante fantastico ma più che adeguato, una sorta di Ry Cooder meno rigoroso ( e i due, messi insieme, fanno una specie di Ry): ma il drive dei brani, spesso è più “sporco”, come nell’iniziale Down and Dirty con le due slide che iniziano a macinare “soli”, rispondendosi dai canali dello stereo, la ritmica prende un bel groove da treno boogie in movimento e il piedino comincia a muoversi. Blues In A Bottle con le chitarre “riverberate”, ha ritmi più lenti e scanditi ma sempre con l’inconfondibile suono delle slide che lo percorre ( e questa è una caratteristica di tutto il disco). Walk Out In The River ha le coordinate di una ballata elettroacustica mid-tempo con qualche tocco di coloritura di quello che sembra un dulcimer (così riportano le note del dischetto) e sonorità “desertiche”. Forse non l’ho detto ma loro vengono da Atlanta, Georgia e la funky title-track con i suoi suoni “paludosi” profuma pure di Louisiana e di Sud in generale. Le chitarre viaggiano sempre anche se i brani non si dilungano mai più di tanto (forse per gustarle appieno il live sarebbe d’uopo).

Wishbone (“l’ossicino dei desideri”) è buona ma manca di quella vivacità che altri brani hanno. Anche Black Coffee, molto simile nei tempi, ha quel sapore di “già sentito” di altri loro brani, mentre Neon Jesus avrebbe la piena approvazione di quel Ry Cooder citato prima, un brano avvolgente di stampo roots con le voci e le chitarre che pigramente si “appoggiano” voluttuosamente sulla sezione ritmica. Jukin’ è un bel boogie blues dai chiari sapori sudisti e Sunshine con le due slide che viaggiano all’unisono ha richiami ad un sound più anni ‘50 con il contrabbasso che detta i tempi. Applejack si appropria di un suono più carnale con le slide più cattive poi ribadito, con ancora maggiore vigore, nella conclusiva cover di Write Me A few Of Your Lines, un brano di Fred McDowell che potrebbe chiamarsi Can’t Be Satsified o Rollin’and Tumblin’, tanto il riff e il sound sono quelli, il vecchio Muddy avrebbe approvato, in fondo i grandi Bluesman si “rubavano” le canzoni tra loro, ma era solo del sano Blues, com’è il caso di questa traccia, ancora, come si conviene, con le slide in evidenza.

Bruno Conti

Se Ristampano Anche Questi In Versione Deluxe Siamo Proprio Alla Frutta!

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Samantha Fox – Touch Me – 2 CD Deluxe – Cherry Pop (anche il nome dell’etichetta è un tutto un programma, quella originale era la Jive)

Samantha Fox – Samantha Fox – 2 CD Deluxe – Cherry Pop

Samatha Fox – I Wanna Have Some Fun – 2 CD Deluxe – Cherry Pop

Samantha Fox – Just One Night – 2 CD Deluxe – Cherry Pop (in uscita tutti e 4 il 25 giugno)

Se mi passate la battuta so anche che tipo di frutta: le pere! (la quinta immagine)

Oggi non ho avuto tempo di scrivere un Post diverso ma conservo sempre delle notizie “curiose” da utilizzare per il Blog e questa mi girava da un po’! La rubrica che ho ripristinato per l’occasione sarebbe “Un disco in 10 parole” ma visto che sono quattro dischi mi perdonerete se ne ho usate 13!

Bruno Conti

Ma Perché? Tom Petty & The Heartbreakers European Tour E Ristampe Varie.

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Come saprete, giugno è il mese del Tour Europeo di Tom Petty & The Heartbreakers, questo era il programma iniziale:

June 3: Mile One Centre, St. John’s, NL

June 7: 02 Arena, Dublin, IR

June 8: The Marquee, Cork, IR

June 10: 02 World, Hamburg, GER

June 12: Open Air, Horsens, DK

June 14: The Globe, Stockholm, SWE

June 15: Norwegian Wood Festival, Oslo, NOR

June 22: Isle of Wight Festival, UK

June 24: Hallenstadion, Zurich, SWI

June 25: Lanxess Arena, Cologne, GER

June 27: Grand Rex, Paris, FR

June 29: Piazza Napoleone, Lucca, IT

June 30: SAP Arena, Mannheim, GER

Con tanto di tappa italiana, per la prima volta, perché erano venuti solo come backing band di Bob Dylan nel 1987, prima a Modena e Torino in settembre e poi a ottobre, a Verona, Roma e all’Arena di Milano. La data italiana di Lucca costa la modica cifra di 50 euro + prevendità, solo posti in piedi e Jonathan Wilson sarà l’opening act. Ai concerti qui sopra (dati presi dal suo sito), c’era da aggiungere una seconda data in Olanda il 2 giugno e due date alla Royal Albert Hall di Londra il 18 e 20 giugno, entrambe esaurite.

Quando hai due case discografiche che distribuiscono il tuo catalogo è quasi inevitabile che ci siano delle ristampe, però non si dovrebbero superare i limiti della decenza, ma il “compra che ti ricompra” è sempre in agguato e quindi il prossimo 12 giugno il CD di Mojo (uscito nel 2010, non l’altro ieri) verrà ristampato in una nuova doppia versione con un secondo CD dal vivo aggiunto (uscito in precedenza come download gratuito per i fans che acquistavano i biglietti per il tour americano in due differenti versioni, la seconda expanded con 14 brani). E propria questa sarà allegata alla nuova versione (non si poteva fare solo il Live a parte? Troppo facile!). Dovrebbe costare all’incirca come un singolo CD, per fortuna. Se ve l’eravate perso è da avere, secondo me, nonostante le critiche contrastate, gran disco averne-cosi-tom-petty-the-heartbreakers-mojo.html L’etichetta è la Rhino e questo è il contenuto del CD “Bonus” dal vivo:
No. Title Writer(s) Location Length
1. “Listen To Her Heart” (June 25, 2010) Tom Petty Summerfest-Marcus
Amphitheater, Milwaukee, WI 3:38
2. “King’s Highway” (June 16, 2010) Tom Petty Rexall Place, Edmonton, AB 3:
26
3. “You Don’t Know How It Feels” (July 31, 2010) Tom Petty Wachovia Arena,
Philadelphia, PA 6:27
4. “I Won’t Back Down” (September 19, 2010) Tom Petty, Jeff Lynne Verizon
Wireless Amphitheater, Charlotte, NC 3:04
5. “Drivin’ Down To Georgia” (August 11, 2010) Tom Petty Philips Arena,
Atlanta, GA 6:37
6. “Breakdown” (August 15, 2010) Tom Petty Jiffy Lube Live, Bristow, VA 7:
29
7. “Jefferson Jericho Blues” (August 1, 2010) Tom Petty Wachovia Arena,
Philadelphia, PA 3:41
8. “First Flash Of Freedom” (August 1, 2010) Tom Petty, Mike Campbell
Wachovia Arena, Philadelphia, PA 6:27
9. “Running Man’s Bible” (September 18, 2010) Tom Petty Time Warner Cable
Music Pavilion, Raleigh, NC 6:10
10. “I Should Have Known It” (June 16, 2010) Tom Petty, Mike Campbell
Rexall Place, Edmonton, AB 4:13
11. “Good Enough” (July 31, 2010) Tom Petty, Mike Campbell Wachovia Arena,
Philadelphia, PA 5:56
12. “Refugee” (June 12, 2010) Tom Petty, Mike Campbell Gorge Amphitheater,
Quincy, WA 5:07
13. “Runnin’ Down A Dream” (October 7, 2010) Tom Petty, Jeff Lynne, Mike
Campbell U.S. Airways Arena, Phoenix, AZ 4:57
14. “American Girl” (June 16, 2010) Tom Petty Rexall Place, Edmonton, AB 5:
23
Total length:
72:35

Poteva la sua vecchia casa (Universal) restare con le mani in mano? Domanda retorica: certo che no! E quindi vai con la ristampa, in questo caso meritoria, del famoso cofanetto da 6 CD, Playback, uscito nel lontano 1995. Per fortuna, come da immagine, vedo che è rimasto identico sia come formato che come contenuti a quello che mi guarda da una mensola di fronte a me (e quindi non si deve ricomprare). Il prezzo dovrebbe essere “speciale”, intorno ai 50 euro circa, più o meno ed è disponibile da oggi 5 giugno. Questa è la, lunghissima, lista dei contenuti, sono 3 CD antologici e 3 CD di inediti e rarità all’incirca e se non lo avete è assolutamente da acchiappare:

Track listings
Disc one: The Big Jangle

    “Breakdown” – 2:42
    “American Girl” – 3:33
    “Hometown Blues” – 2:12
    “Anything That’s Rock ‘n’ Roll” – 2:24
    “I Need to Know” – 2:24
    “Listen to Her Heart” – 3:03
    “When the Time Comes” – 2:45
    “Too Much Ain’t Enough” – 2:57
    “No Second Thoughts” – 2:39
    “Baby’s a Rock ‘n’ Roller” – 2:52
    “Refugee” – 3:22
    “Here Comes My Girl” – 4:25
    “Even the Losers” – 3:59
    “Shadow of a Doubt (A Complex Kid)” – 4:25
    “Don’t Do Me Like That” – 2:42
    “The Waiting” – 3:59
    “A Woman in Love (It’s Not Me)” – 4:23
    “Something Big” – 4:44
    “A Thing About You” – 3:32
    “Insider” – 4:23
    “You Can Still Change Your Mind” – 4:16

Disc two: Spoiled and Mistreated

    “You Got Lucky” – 3:36
    “Change of Heart” – 3:19
    “Straight into Darkness” – 3:47
    “Same Old You” – 3:30
    “Rebels” – 5:19
    “Don’t Come Around Here No More” – 5:05
    “Southern Accents” – 4:44
    “Make It Better (Forget About Me)” – 4:23
    “The Best of Everything” – 4:03
    “So You Want to Be a Rock ‘n’ Roll Star” (Live) – 3:30
    “Don’t Bring Me Down” (Live) – 3:52
    “Jammin’ Me” – 4:08
    “It’ll All Work Out” – 3:11
    “Mike’s Life/Mike’s World” – 0:40
    “Think About Me” – 3:45
    “A Self-Made Man” – 3:00

Disc three: Good Booty

    “Free Fallin'” – 4:16
    “I Won’t Back Down” – 2:57
    “Love is a Long Road” – 4:08
    “Runnin’ Down a Dream” – 4:23
    “Yer So Bad” – 3:06
    “Alright for Now” – 2:02
    “Learning to Fly” – 4:03
    “Into the Great Wide Open” – 3:43
    “All or Nothin'” – 4:07
    “Out in the Cold” – 3:40
    “Built to Last” – 3:58
    “Mary Jane’s Last Dance” – 4:33
    “Christmas All Over Again” – 4:15

Disc four: The Other Sides

    “Casa Dega” (Petty, Campbell) – 3:37
    “Heartbreakers Beach Party” (Petty) – 1:57
    “Trailer” (Petty) – 3:15
    “Cracking Up” (Nick Lowe) – 3:34
    “Psychotic Reaction” (Live) (Ken Ellner, Roy Chaney, Craig Atkinson, John
Byrne, John Michalski) – 4:49
    “I’m Tired Joey Boy” (Live) (Van Morrison) – 3:42
    “Lonely Weekends” (Live) (Charlie Rich) – 2:47
    “Gator on the Lawn” (Petty) – 1:35
    “Make That Connection” (Petty, Campbell) – 5:04
    “Down the Line” (Petty, Lynne, Campbell) – 2:53
    “Peace in L.A.” (Peace Mix) (Petty) – 4:43
    “It’s Rainin’ Again” (Petty) – 1:32
    “Somethin’ Else” (Live) (Sharon Sheeley, Eddie Cochran) – 2:05
    “I Don’t Know What to Say to You” (Petty) – 2:28
    “Kings Highway” (Live) (Petty) – 3:30

Disc five: Through the Cracks

    “On the Street” (Benmont Tench) – 2:10
    “Depot Street” (Petty) – 3:26
    “Cry to Me” (Bert Russell) – 3:06
    “Don’t Do Me Like That” (Mudcrutch Version) (Petty) – 2:47
    “I Can’t Fight It” (Petty) – 3:00
    “Since You Said You Loved Me” (Petty) – 4:40
    “Louisiana Rain” (Original Version) (Petty) – 4:22
    “Keeping Me Alive” (Petty) – 2:59
    “Turning Point” (Petty) – 2:52
    “Stop Draggin’ My Heart Around” (Demo Version) (Petty, Campbell) – 4:11
    “The Apartment Song” (Demo Version) (Petty) – 2:37
    “Big Boss Man” (Al Smith, Luther Dixon) – 2:41
    “The Image of Me” (Wayne Kemp) – 2:33
    “Moon Pie” (Petty) – 1:05
    “The Damage You’ve Done” (Country Version) (Petty) – 3:16

Disc six: Nobody’s Children

    “Got My Mind Made Up” (Original Version) (Petty) – 2:51
    “Ways to Be Wicked” (Petty, Campbell) – 3:27
    “Can’t Get Her Out” (Petty) – 3:11
    “Waiting for Tonight” (Petty) – 3:30
    “Travelin'” (Petty) – 3:15
    “Baby, Let’s Play House” (Arthur Gunter) – 2:33
    “Wooden Heart” (Bert Kaempfert, Kay Twomey, Fred Wise, Ben Weisman) – 2:09
    “God’s Gift to Man” (Petty) – 4:18
    “You Get Me High” (Petty) – 2:48
    “Come on Down to My House” (Petty) – 3:05
    “You Come Through” (Petty, Campbell) – 5:15
    “Up in Mississippi Tonight” (Petty) – 3:28

Per finire, last but least, (ri)esce quel DVD (o BluRay) intitolato Tom Petty Live In Concert che poi sarebbe il famoso Soundstage, registrato nel 2003 e pubblicato sul mercato americano nel 2004/5 (anche in Europa è stato pubblicato ma in “strane edizioni”): la particolarità dell’edizione americana dell’epoca era che si trattava di un doppio, in quanto c’era allegato un CD con ulteriori 8 brani come bonus, di cui non c’è traccia nella versione che esce ora per il tour europeo.

La serata è comunque interessante perché Tom Petty & The Heartbreakers eseguono tra i 22 brani moltissime cover (come è spesso il caso nei loro concerti, che sono assolutamente, potendo, da vedere), questa la lista delle canzoni: 1. Baby Please Don’t Go 2. Crawlin Back To You 3. Handle With Care 4. I Won’t Back Down 5. I’m Cryin’ 6. Angel Dream 7. Melinda 8. Born In Chicago 9. Red Rooster 10. Carol 11. Refugee 12. Love Is A Long Road 13. You Don’t Know How It Feels 14. Black Leather Woman 15. Done Somebody Wrong 16. I Got a Woman 17. Thirteen Days 18. Wake Up Time 19. Rollin In My Baby’s Arms 20. Lost Children 21. Two Men Talkin’ 22. You Wreck Me.

Quindi, come vi dico sempre, aprite i portafogli, per tutto, concerti, CD, DVD, cofanetti e quant’altro e iniziate a piangere.

Bruno Conti

Ritorno Al Futuro! Beach Boys – That’s Why God Made The Radio

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Beach Boys – That’s Why God Made The Radio – Capitol/EMI

Se questo sarà il loro canto del cigno hanno deciso di andarsene con grande dignità, insomma non siamo di fronte ad un “We’re Only In It For The Money” di Zappiana memoria o almeno non solo, il testo del brano Spring Vacation ad un certo punto recita “We’re back together, easy money”, e non casualmente lo canta Mike Love, il cugino di ritorno all’ovile di famiglia dopo più di venti anni di carte bollate. Ed è stato calcolato che il tour mondiale della reunion per il 50° anniversario del gruppo, dovrebbe fruttare ai Beach Boys qualcosa come 45 milioni di dollari (che anche in euro fa una bella cifra). Però poi ascolti la musica e ti dici, accipicchia (o cazzarola) sono ancora bravi, quelle armonie sono fantastiche e sai una cosa, anche le canzoni non sono male, questo Brian Wilson (con Lennon/McCartney) è stato il vero “King Of Pop”.

L’album è proprio una sorta di “Back To The Future”, 12 brani per un totale di 39 minuti come si usava ai tempi d’oro del LP, anche se, paradossalmente, i Beach Boys non mai stati una band da album finché Brian Wilson non ha sviluppato una (in)sana competizione con i loro rivali d’oltreoceano, quei quattro tipi di Liverpool, che prima ha prodotto quel capolavoro assoluto che si chiama Pet Sounds e poi, invece di Smile, una lunga discesa all’inferno per Brian Wilson stesso. Ma anche negli anni agli inizi della sua lunga malattia mentale, i Beach Boys hanno prodotto alcuni dischi come Surf’s Up e Holland che erano proprio degli album e non delle raccolte di singoli.

Per questa, forse (toccatevi pure, avete il permesso), ultima avventura, eccoli di nuovi uniti insieme: c’è Mike Love, il cantante e “cugino”, Brian Wilson, il creatore di mini-sinfonie e “genio”, c’è Al Jardine, il chitarrista ritmico e occasionale cantante e, curiosamente, il suo temporaneo rimpiazzo dell’epoca, David Marks. E per finire, Bruce Johnston, entrato nel gruppo nel 1965, cantando California Girls, per sostituire Glenn Campbell, autore poi di una brillantissima carriera solista. Non ci sono gli altri due “Ragazzi di Spiaggia”, quello vero, il surfista, batterista e bello ufficiale, lo sfortunato Dennis Wilson e Carl Wilson, la chitarra solista, quello che ha cantato (con gli altri, come sempre) Good Vibrations e God Only Knows, e questo basterebbe ampiamente. Completano la formazione i musicisti della band di Brian Wilson che in questi anni 2000 della sua “resurrezione artistica” gli hanno consentito di completare Smile e di realizzare una serie di buoni album come solista.

Ma insieme sono un’altra cosa: i brani sono tutti più che soddisfacenti, a partire dal singolo, That’s Why God Made The Radio, che è perfetta per tutte le radio e per tutte le estati prossime, da qui all’eternità, ma sono i brani all’inizio e alla fine che fanno la differenza. La breve Think About The Days, una mini sinfonia vocale senza parole ma che voci, ragazzi! E la trilogia finale, una piccola suite che parte con From There To back Again, scritta da Brian e cantata divinamente da Al Jardine che ci riporta agli splendori dell’epoca dell’oro, poi a seguire Pacific Coast Highway una breve ballata cantata da Brian con le armonie degli altri ragazzi e un arrangiamento a cura di Paul Mertens che è geniale nella sua perfezione. Conclude la trilogia e l’album, la bellissima Summer’s Gone una canzone di una bellezza struggente, malinconica e matura che sfuma sui rumori della risacca e di una spiaggia alla fine di una giornata o di una vita. In mezzo ci sono tante altre belle canzoni, tra cui una Daybreak Over The Ocean che è l’occasione per gustare la voce di Mike Love, che non ha perso il vecchio splendore, specie quando è circondato da quelle armonie vocali che hanno fatto la storia della musica pop.

Qualcuno dirà, niente di nuovo, ma averne di gruppi che fanno della musica “vecchia” così bene, per una volta ancora; gli altri brani sono forse meno validi (ma forse), comunque lascio a voi la scoperta, ci potrebbero essere ulteriori piacevoli sorprese e zero ciofeche ( a differenza di altri album senza Brian), sarà solo musica pop ma che classe.

Bruno Conti