Riprende La Campagna Di Ristampe Deluxe Di Sir Paul, Con Uno Dei Suoi Dischi Migliori Di Sempre. Paul McCartney – Flaming Pie

paul mccartney flaming pie

Paul McCartney – Flaming Pie – Capitol/Universal 2CD Deluxe – 2LP – 3LP – Super Deluxe 5CD/2DVD Box Set – Uber Deluxe 5CD/2DVD/3LP/45rpm Box Set

A poco più di un anno e mezzo dalla doppia uscita Wild Life/Red Rose Speedway ecco il tredicesimo capitolo delle ristampe potenziate del catalogo di Paul McCartney, in assoluto una delle serie più amate (ma anche più discusse) dai fans: se molti pronostici, incluso il mio, indicavano un’altra doppia pubblicazione che avrebbe chiuso gli anni settanta, cioè London Town e Back To The Egg (album quest’ultimo verso il quale ho sempre avuto un debole, e che andrebbe assolutamente rivalutato), Macca ha spiazzato tutti scegliendo quello che a tutti gli effetti è il lavoro più recente tra quelli presi in esame finora in questa serie, vale a dire Flaming Pie del 1997. Una scelta che comunque ha suscitato reazioni positive (anche nel sottoscritto, per quanto può valere), dato che stiamo parlando di uno degli album migliori dell’ex Beatle, anzi forse il suo ultimo vero grande disco, nonostante in seguito abbia ancora pubblicato lavori più che positivi come Chaos And Creation In The Backyard ed il recente Egypt Station: personalmente lo metto nella mia Top Three degli album di Paul, ultimo di un’ideale trilogia che comprende anche Band On The Run e Tug Of War.

Flaming Pie (che prende il titolo dal famoso sogno nel quale un giovane John Lennon vide un uomo uscire da una “pie” fiammeggiante – dove per “pie” si intende il tipico pasticcio di carne della cucina inglese – pronunciando la celebre frase “Voi sarete i Beatles con la A!”) è infatti un disco splendido, ispirato e pieno di grandi canzoni, un lavoro di un McCartney tirato a lucido ed in forma come non mai, con alcuni dei suoi brani migliori degli ultimi 30-40 anni. Il fatto che otto brani su quattordici siano prodotti dal mio “amico” Jeff Lynne (gli altri sei vedono alla consolle lo stesso Paul, quattro da solo e due con lo storico produttore dei Fab Four George Martin) non influenza il giudizio, al massimo è la classica ciliegina sulla torta. Lynne all’epoca era reduce dal progetto The Beatles Anthology per la quale aveva supervisionato i due brani nuovi Free As A Bird e Real Love, e sembrò a tutti una cosa naturale che alla fine l’ex ELO finisse per collaborare direttamente con Paul. Flaming Pie è anche l’ultimo album in cui compare l’amata moglie di Paul, Linda, già colpita dal tumore che la porterà via con sé nel 1998; oltre a McCartney, Linda e Lynne non è che il disco contenga molti altri musicisti: Paul e Jeff si occupano di gran parte degli strumenti, mentre in alcune canzoni alla batteria troviamo il vecchio compagno Ringo Starr ed alla chitarra solista in tre pezzi addirittura Steve Miller, amico di Paul da una vita (e nel brano Heaven On A Sunday l’assolo di chitarra è dell’allora diciannovenne figlio di Macca, James McCartney).

La ristampa di Flaming Pie esce nella solita varietà di formati, ed il top di gamma “umano” (sì perché c’è anche una versione mastodontica venduta solo sul sito di Paul a quasi seicento euro, e che incredibilmente non aggiunge neanche un minuto di musica rispetto al cofanetto “normale”) è il classico box Super Deluxe ricchissimo di contenuti visivi, con un libro davvero magnifico che raccoglie una lunga serie di bellissime foto di Paul in studio ed in famiglia (ed anche alcuni scatti insieme a George e Ringo per l’Anthology), una riproduzione del songbook originale ed un libretto di ricette di Linda con sei tipi diversi di pasticci di carne. Ma, memore delle critiche feroci piovutegli addosso per la ristampa di Flower In The Dirt, anche il contenuto musicale è più ricco che mai, e prosegue la nuova tendenza inaugurata con Wild Life e Red Rose Speedway: nonostante ciò, i circa 250 euro chiesti per questa edizione sono davvero esagerati. Il primo CD contiene ovviamente la versione rimasterizzata del disco originale, un lavoro ribadisco splendido.

Le tipiche ballate di Paul sono il frutto di un artista veramente ispiratissimo, deliziosi bozzetti come The Song We Were Singing, Calico Skies (un brano che ricorda Blackbird, ancora oggi nelle setlist dal vivo), Little Willow, Great Day (che invece rimanda curiosamente al piccolo frammento del White Album prima di Revolution # 9), e soprattutto le straordinarie Somedays, piccolo gioiello acustico con la raffinata orchestrazione di Martin ed una melodia da brividi, e la pianistica Beautiful Night, dotata anch’essa di un motivo di prima qualità ed un finale corale travolgente con il vocione di Ringo in evidenza (la canzone ha origini antiche, in quanto era stata incisa già nel 1986 ma inspiegabilmente lasciata in un cassetto). La produzione di Lynne qui è meno caratterizzante del solito, se si eccettuano il trascinante rock’n’roll della title track ed il coinvolgente pop-rock della bella The World Tonight, che sembra una outtake dei Traveling Wilburys.

E poi c’è Steve Miller che fa sentire la sua chitarra nella rockeggiante If You Wanna, nella jam session cruda e bluesata Used To Be Bad, nella quale duetta con Paul anche vocalmente, e soprattutto nella squisita Young Boy, una di quelle pop songs irresistibili che solo Paul è in grado di scrivere e che all’epoca uscì come primo singolo. Chiudono il cerchio la raffinata Heaven On A Sunday, dal tocco jazzato, il godibile errebi bianco di Souvenir e Really Love You, collaborazione più unica che rara a livello di scrittura tra Paul e Ringo e musicalmente una pura improvvisazione sullo stile di Why Don’t We Do It In The Road?

Il secondo dischetto del box è riservato agli Home Recordings di 11 dei 14 brani del disco, incisi da Paul tra il 1993 ed il 1995, voce, chitarra acustica e piano; se i pezzi di stampo acustico sono simili a quelli conosciuti, le sorprese riguardano The World Tonight, If You Wanna, Young Boy (qui ancora intitolata Poor Boy) e Flaming Pie, estremamente gradevoli anche in questa veste “stripped-down” (per la serie: se una canzone è bella, è bella sempre). Con il terzo CD ci spostiamo in studio (The Mill Studios nel Sussex, di proprietà di Paul, dove è stato inciso il disco): qui possiamo ascoltare i demo acustici, solo Paul e Linda, di Great Day, Calico Skies e If You Wanna, un work in progess di Beautiful Night con Paul e Ringo, una lunga versione alternata e non troppo rifinita di Heaven On A Sunday, un breve accenno di poco più di un minuto di C’mon Down C’mon Baby, brano mai più ripreso in seguito (ed a sensazione non ci siamo persi molto), e quattro “rough mix” di tre pezzi che finiranno sull’album ed uno, Whole Life (un discreto funk-rock inciso con Dave Stewart), che verrà usato sulla compilation a scopo benefico One Year On.

E veniamo al quarto dischetto, che inizia con un brano molto particolare: si tratta della nota collaborazione tra Paul ed Allen Ginsberg in The Ballad Of The Skeletons, una poesia del grande artista americano messa in musica proprio da Macca ed incisa con una superband che vede al suo interno oltre allo stesso Paul Lenny Kaye, Philip Glass, David Mansfield e Marc Ribot. Il brano, per chi non lo conoscesse, è una bella sorpresa: Ginsberg recita in maniera molto musicale, l’accompagnamento è elettrico al punto giusto (sembra quasi un pezzo di Lou Reed) e l’insieme risulta addirittura trascinante. Il CD prosegue con quattro b-sides, le prime due rispettivamente ancora con Lynne e Miller, ma se la funkeggiante Looking For You non è il massimo, il blues elettroacustico Broomstick non è affattto male; le altre due, Love Come Tumbling Down e la sofisticata Same Love (con il grande Nicky Hopkins al piano), risalgono addirittura al biennio 1987-88, ed avrebbero potuto occupare tranquillamente entrambe due lati A.

La parte finale del dischetto è appannaggio di sei diversi capitoli della saga di Oobu Joobu, una trasmissione radio curata da Paul in cui l’ex Beatle parlava, scherzava e cazzeggiava, ma mandava in onda anche canzoni inedite: qui possiamo ascoltare una serie di brani registrati nel 1986 (alcuni con la produzione di Phil Ramone), tra cui la versione originale di Beautiful Night incisa con la band di Billy Joel, le orecchiabili Don’t Break The Promise e Love Mix e le meno riuscite I Love This House, Atlantic Ocean e Squid, tutte rovinate da orribili sonorità sintetizzate tipiche degli anni ottanta. Il quinto CD, intitolato Flaming Pie At The Mill, è uno spoken word di un’ora circa in cui Paul ci illustra il suo studio e parla del disco (di difficile ascolto se non siete di madre lingua), mentre gli episodi salienti dei due DVD sono i vari videoclip promozionali ed il documentario In The World Tonight (che ricordo all’epoca aveva trasmesso anche la RAI).

Un cofanetto quindi decisamente esauriente (ma, ripeto, costosissimo), che ci fa riassaporare in profondità uno dei più bei lavori di sempre di Sir Paul McCartney: non credo che con la prossima uscita ci si spingerà ancora più avanti come periodo, e quindi punto fin da ora sull’accoppiata di cui vi parlavo prima London Town/Back To The Egg (a meno che Paul non decida di rischiare e sorprenderci di nuovo con i criticatissimi Give My Regards To Broad Street e Press To Play).

Marco Verdi

Il 31 Luglio Esce Flaming Pie, La 13a Uscita Della Serie Delle Ristampe Di Paul McCartney

paul mccartney flaming pie

Paul McCartney – Flaming Pie – MPL/Capitol/Universal – 2 CD – 2 LP – Limited 3 LP Boxset – Superdeluxe 5 CD + 2 DVD – 31-07- 2020

Dopo il lungo lockdown, anche a livello discografico, l’estate sta portando ad un ritorno, sia pure ancora prudente, e con ulteriori diversi rinvii, anche all’ultimo momento, delle date di uscita, alla pubblicazione di parecchi nuovi album, anche nell’ambito dei cofanetti. Ne sono stati annunciati parecchi, e altri si aggiungono con cadenza nuovamente vivace.

Questo di Flaming Pie di Paul McCartney è sicuramente uno dei box più lussuosi (e ovviamente costosi, con un prezzo indicativo intorno ai 250 euro, ma c’è anche una Collector’s Edition limitata a 3.000 copie, con quattro vinili aggiunti, che sul sito di Macca costa 600 euro): oltre al contenuto discografico, il cofanetto, rivestito di panno, contiene, oltre a memorabilia assortita, che allargando l’immagine sopra, o guardando il video, potete verificare, il solito librone rilegato da 128 pagine (e anche gli Stones con Goats Head Soup per la prima volta seguiranno l’esempio) ricco di interviste, foto inedite di Linda, informazioni brano per brano, anche sui musicisti impiegati, tra cui alcuni ospiti di pregio, da Jeff Lynne, che co-produce il disco con Paul e George Martin, a Steve Miller, Ringo Starr, anche il figlio di Paul, James McCartney, che all’epoca aveva 20 anni, e una miriade di altri strumentisti, che fanno sì che questo album del 1997 sia uno dei migliori della sua produzione solista, anche per le canzoni presenti, tra cui ce ne sono parecchie di ottima qualità. Nella confezione anche 2 DVD, ma pure un CD parlato Flaming Pie At The Mill: negli altri 4 CD troviamo il disco originale rimasterizzato, un dischetto di registrazioni casalinghe e demo, un altro di studio tracks varie, e infine le B-sides di singoli, mix, e mini cd, per un totale di 32 canzoni extra.

Come al solito a seguire trovate il contenuto completo del cofanetto.

[CD1]
The Song We Were Singing
The World Tonight
If You Wanna
Somedays
Young Boy
Calico Skies
Flaming Pie
Heaven On A Sunday
Used To Be Bad
Souvenir
Little Willow
Really Love You
Beautiful Night
Great Day

[CD2: Demos & Home Recordings]
The Song We Were Singing [Home Recording]
The World Tonight [Home Recording]
If You Wanna [Home Recording]
Somedays [Home Recording]
Young Boy [Home Recording]
Calico Skies [Home Recording]
Flaming Pie [Home Recording]
Souvenir [Home Recording]
Little Willow [Home Recording]
Beautiful Night [1995 Demo]
Great Day [Home Recording]

[CD3: Studio Tracks]
Great Day [Acoustic]
Calico Skies [Acoustic]
C’mon Down C’mon Baby
If You Wanna [Demo]
Beautiful Night [Run Through]
The Song We Were Singing [Rough Mix]
The World Tonight [Rough Mix]
Little Willow [Rough Mix]
Whole Life [Rough Mix]
Heaven On A Sunday [Rude Cassette]

[CD4: B-Sides]
The Ballad Of The Skeletons
Looking For You
Broomstick
Love Come Tumbling Down
Same Love
Oobu Joobu Part 1
Oobu Joobu Part 2
Oobu Joobu Part 3
Oobu Joobu Part 4
Oobu Joobu Part 5
Oobu Joobu Part 6

[CD5]
Flaming Pie At The Mill (Spoken Word)

[DVD1]
In The World Tonight (Documentary)

[DVD2]
Beautiful Night
Making Of Beautiful Night
Little Willow
The World Tonight [Dir Alistair Donald]
The World Tonight [Dir Geoff Wonfor]
Young Boy [Dir Alistair Donald]
Young Boy [Dir Geoff Wonfor]
Flaming Pie Epk 1
Flaming Pie Epk 2
In The World Tonight Epk
Flaming Pie Album Artwork Meeting
Tfi Friday Performances
David Frost Interview

Per tutti gli ulteriori dettagli ed una disamina della parte musicale, dopo l’uscita del manufatto troverete sul Blog un resoconto dettagliato.

Bruno Conti

Secondo Capitolo Per Il Vecchio Patrimonio Ritrovato Del Trio. America – Heritage II Demos/Alternate Takes 1971-1976

america heritage ii

America – Heritage II Demos/Alternate Takes 1971-1976 – Omnivore Recordings

Gli America sono sempre stati una band abbastanza controversa: snobbati da parte della critica, che li ha sempre considerati parenti poveri del filone West Coast e del country-rock, mentre per altri, sottoscritto immodestamente incluso, la prima parte della loro produzione, diciamo forse estendendo un po’ il periodo, finché sono stati un trio, e cioè sino all’abbandono di Dan Peek nel maggio del 1977, ha avuto dei momenti di ottima qualità, e comunque almeno per i primi tre/quattro album. Comunque senza impelagarmi in inutili polemiche e quindi dando per assodato che in quel periodo, tra alti e bassi, hanno pubblicato una serie di eccellenti album, il primo omonimo e Homecoming le punte di diamante, ma anche Holiday era un buon disco.

Ovviamente rispetto a CSN & Y, a cui spesso sono stati paragonati, siamo su un altro livello, ma l’uso intricato delle voci, le armonie superbe e molte delle atmosfere, sono abbastanza simili, senza la componente rock portata da Stills & Young, e quella ricercata e spaziale di Crosby, con l’amico Nash a fare da raccordo, una capacità compositiva meno “esuberante” e di classe inferiore. Comunque nei 50 anni di carriera, che festeggiano quest’anno con un Box Half Century che dovrebbe uscire tra giugno e luglio (salvo problemi di Covid19), qualcosa di buono ci hanno lasciato: questo Heritage II è l’antipasto, il secondo volume di una serie che come da titolo raccoglie Demo e versioni alternative inedite, il primo copriva il periodo 1970-1973, questo dal 1971 al 1976, quindi ottime annate in entrambi casi. Chi ha già il primo Heritage sa che non siamo di fronte a materiale raffazzonato, salvo qualche eccezione, e che anche la qualità sonora, oltre che quella della musica è eccellente, quasi tutti i brani compiuti e spesso con la presenza di una sezione ritmica.

Per esempio il brano che apre il CD, una versione alternativa di Cornwall Blank, estratta dal secondo album Homecoming, scritta e cantata da Dewey Bunnell, prevede la presenza di Hal Blaine alla batteria e Joe Osborn al basso, con Dan Peek alla chitarra elettrica, che porta anche quella componente “rock” evocata prima. Jameroony, come da titolo, è una lunghissima, quasi 13 minuti, improvvisazione in libertà per tre chitarre acustiche, registrata ai Trident Studios di Londra nel 1971: totalmente inedita è forse la chicca più interessante di questo album, magari con qualche autoindulgenza e “cazzeggiamento”, ma vicina allo spirito musicale dell’epoca. Mandy è un brano mai sentito prima di Gerry Beckley, solo voce, piano, una acustica arpeggiata e synth, una delle tipiche canzoni romantiche del componente più pop del trio, mentre alcuni dei brani successivi, tutti prodotti da George Martin, vengono dalle sessions del 1974 per l’album Holiday, a partire da una versione di Tin Man, con lo stesso George al piano, che è uno dei loro brani più celebri, con un ritornello irresistibile, peccato che in questa versione non ci sono le parti cantate, solo i coretti, l’ideale per un po’ di sano karaoke, di quello buono.

What Does It Matter, ancora solo Beckley voce e piano, è piacevole ma non memorabile, mentre la beatlesiana You, il primo brano di Dan Peek, è presentata sempre in versione per sottrazione, solo voce e archi, con Mad Dog l’ultimo brano estratto da Holiday, un demo incompiuto, anche con interruzioni, cantato di nuovo da Beckley. Come si è capito molto del materiale è destinato solo a fans completisti degli America: Simple Life, ancora di Peek, in versione alternata, era nell’edizione giapponese di Hearts del 1975, altro gradevole brano dove si sente lo zampino di George Martin e con ottimo lavoro dell’elettrica di Dan, di Lovely Night, un ennesimo demo voce e piano di Beckley,, si poteva fare a meno, Today’s The Day e Amber Cascades, la prima di Peek e la seconda, delicata e deliziosa, di Bunnell, furono i due singoli estratti da Hideaway del 1976, l’ultimo album valido, per quanto già più pop dei tre, Letter, cantata da Dewey Bunnell e con Dan Peek all’electric sitar, è uno dei pezzi più mossi ed elettrici del CD, mentre Jet Boy Blue è l’ottimo commiato di Peek dalla band, qui presente in versione alternata.

Bruno Conti.

Accadeva 50 Anni Fa, Ieri. Su E Giù Per Le Strisce Pedonali Di Abbey Road Con I Beatles: Ecco Il Cofanetto In Uscita Per L’Anniversario.

beatles abbey road box 50th anniversarybeatles abbey road 50th anniversary

Beatles – Abbey Road – Appple/Universal – Super Deluxe 3 CD + Blu-ray – 2 CD – 1 CD – 3 LP – 1 LP Standard – 1 LP Picture

Esattamente 50 anni fa (per la verità la data di uscita era stat il 26 settembre del 1969, un venerdì, come oggi) veniva pubblicato Abbey Road, l’ultimo grande album dei Beatles, anche se poi l’anno successivo sarebbe uscito Let It Be, che però era stato registrato prima del disco di cui ci stiamo occupando: la storia la conoscono un po’ tutti, anche perché in questi giorni c’è stato un florilegio di articoli e servizi televisivi dedicati a questo evento, ai quali comunque non possono esimermi di aggiungermi, raccontando a grandi linee come andarono le cose.

Il giorno dopo il concerto sulla terrazza, ovvero il 31 gennaio del 1969, un evento che avrebbe dovuto completare le registrazioni per quello che sarebbe diventato Let It Be (sia il disco che il film). il gruppo entrò in studio per registrare Two Of Us, Let It Be The Long And Winding Road, tre canzoni che per ovvi motivi non avevano potuto eseguire sul tetto. Ma due giorni più tardi succede un’altra cosa che mina ulteriormente i rapporti già deteriorati tra i i quattro: John, George e Ringo mettono in minoranza Paul e decidono di affidare i loro affari a Allen Klein, il manager americano dei Rolling Stones (ottima mossa!). Però anche se sotto alcuni aspetti non si potevano più vedere, oltre dieci anni di amicizia e complicità ( un paio in meno per Ringo) non si potevano cancellare in un attimo, e quindi anche se nel frattempo c’erano dei problemi tecnici ad utilizzare l’edificio della Apple dove un “amico” del periodo LSD di Lennon, tale “Magic Alex” Mardas, aveva installato un presunto banco di registrazione a 72 piste, che però si era rivelato essere un oscilloscopio tenuto insieme a casaccio da dei pezzi di legno, affidandosi a George Martin, che aveva noleggiato un vero banco a 8 piste dagli Abbey Road Studios, iniziano le registrazioni per quello che diventerà l’album omonimo, che però a dispetto del titolo, verrà registrato tra Olympic e Trident Studios.

E perciò il 22 di febbraio viene portata a termine, in 35 diversi tentativi, una prima versione di I Want You (She’s So Heavy), approfittando anche della presenza di Billy Preston, che non era ancora ripartito da Londra dopo le registrazioni di gennaio: la canzone, un blues tirato e reiterato, viene considerato, anche per il sottotitolo, come Helter Skelter, tra i prodromi del nascente heavy metal, ed in particolare di quello doom dei Black Sabbath (dove militava Ozzy Osbourne, grande fan della band). Quasi tutti hanno parlato bene di questo brano, meno Ian McDonald, l’autore dei libro Revolution In The Head (in italiano The Beatles L’Opera Completa, che se già non possedete comunque vi consiglio, in quanto secondo me si tratta del miglior libro a livello critico sulla musica del gruppo). Comunque il 14 aprile John e Paul da soli tornano in studio per registrare The Ballad Of John And Yoko, che troviamo tra le bonus del secondo CD, e che verrò pubblicato come singolo, tra il 16 e il 18 aprile registrano Old Brown Shoe di George Harrison, che sarà il lato B, sempre nelle bonus extra. Lo stesso giorno, il 16 aprile, iniziano le takes di Something (nelle parole di Frank Sinatra, la più bella canzone di Lennon e McCartney (!!!), e anche la più grande canzone d’amore mai scritta), ispirata dal brano di James Taylor Something In The Way She Moves (qualcosa che c’era nell’aria George era subito pronto a carpirlo,come diranno i giudici anche in relazione a My Sweet Lord, “ispirata” da He’s So Fine delle Chiffons), comunque grandissima canzone. E non dimentichiamo che pure John Lennon “si ispirò” a You Can’t Catch Me di Chuck Berry per Come Together, pagando poi pegno su Rock’N’Roll del 1975: e così abbiamo “sistemato” le prime due canzoni di Abbey Road, peraltro famosissime e bellissime.

Something verrà poi completata tra maggio ed agosto del 1969, mentre ad aprile i Beatles iniziano anche a lavorare su Oh! Darling e Octopus’s Garden, poi il segmento di You Never Give Me Your Money e così via, la maggior parte delle canzoni incise tra luglio ed agosto. La qualità sonora del nuovo mix stereo targato 2019 preparato da Giles Martin e dall’ingegnere del suono Sam Okell, questo sì agli Abbey Road Studios, è eccellente, soprattutto per la grande definizione del suono, a mio parere soprattutto le parti di basso di Paul McCartney suonano fantastiche. Senza dilungarci ulteriormente nel primo CD spiccano le due canzoni appena ricordate, che erano sul lato A del vecchio vinile, mentre del lato B come non ricordare il Long Medley preparato da Paul e Here Comes The Sun di George, per un album che la rivista Rolling Stone ha inserito al n° 14 dei Più Grandi Album Di Tutti I Tempi (ma i lettori lo misero al primo posto) e tantissimi altri critici ne hanno cantato le lodi nel corso degli anni, tanto da essere considerato uno dei più belli del quartetto di Liverpool. Se poi aggiungiamo una delle più iconiche copertine della storia del rock, con il famoso scatto sulle strisce pedonali di Abbey Road dell’8 agosto del 1969, si capisce perché c’era tanta attesa per la ristampa del 50° Anniversario.

Questo è quello che si sapeva, vediamo il resto.

[CD2: Sessions] dal cofanetto.
1. I Want You (She’s So Heavy) (Trident Recording Session & Reduction Mix) Stranamente la versione, non è più lunga di quella pubblicata sull’album, che come è noto, su ordine di Lennon a Geoff Emerick nell’editing finale anziché venire sfumata venne troncata brutalmente al minuto 7:44, concludendo il brano e la prima facciata del disco. Nel nuovo CD il brano dura “solo” 6 minuti e 59 secondi complessivamente, inclusa una breve falsa partenza e Lennon che arringa i presenti e poi sprona gli altri con un “My Boys Are Ready To Go”. La parte formidabile di questa take è la parte finale, quando Billy Preston per oltre tre minuti e mezzo imbastisce da par suo una jam fantastica con un assolo di organo reiterato che è pura libidine.
2. Goodbye (Home Demo) E’ una deliziosa canzone scritta da Paul McCartney per Mary Hopkin, solo voce e chitarra acustica, registrata a casa sua e non ancora completata.da Sir Macca.
3. Something (Studio Demo) Stesso discorso per il demo casalingo del brano in versione embrionale ed intimista, solo voce, chitarra elettrica e piano, e con il testo che comprende un passaggio non memorabile che poi verrà omesso nella versione definitiva “You know I love that woman of mine / And I need her all of the time / And you know what I’m telling to you / That woman don’t make me blue”, rime non indimenticabili.
4. The Ballad Of John And Yoko (Take 7) John all’acustica e Paul alla batteria danno l’OK a George Martin e poi partono per una versione scarna e minimale del brano che senza le sovraincisioni perde però molto della sua carica rock
5. Old Brown Shoe (Take 2) Versione abbastanza simile a quella che verrà pubblicata, con George alla slide e il ritmo galoppante con il basso in evidenza, per una canzone che al sottoscritto è sempre piaciuta parecchio. Paul dovrebbe essere al piano e la voce di John non sembra presente in questa take.

6. Oh! Darling (Take 4) Canzone ispirata a Paul dallo stile doo-wop, ottima prova vocale di McCartney, meno rifinita e più raffazzonata dell’originale, comunque una piacevolissima canzone.
7. Octopus’s Garden (Take 9) Il secondo brano scritto da Ringo (con un “piccolo” aiuto da parte di George) per un album dei Beatles è una canzone surreale e divertente, tra le migliori di Starr. Versione che viene interrotta bruscamente per un errore del batterista.
8. You Never Give Me Your Money (Take 36) Uno dei segmenti del Long Medley, qui lo ascoltiamo in una eccellente “long version” live con ottimo lavoro di John e George alle chitarre, veramente uno dei brani più interessanti del cofanetto.
9. Her Majesty (Takes 1-3) Questa era la breve traccia nascosta posta in conclusione della seconda facciata del disco, solo voce e chitarra acustica, qui in tre versioni registrate in successione.
10. Golden Slumbers/Carry That Weight (Takes 1-3 / Medley) Due delle tre canzoni poste nella parte finale del medley, Paul si prende in giro da solo, quando all’inizio di Golden Slumbers canta le prime strofe di The Fool On The Hill, il cui giro melodico è molto simile, ma in fondo le ha scritte entrambe lui. Tra i passaggi più belli di Abbey Road e bellissime outtakes, nonostante gli errori e le riprese.
11. Here Comes The Sun (Take 9) Solo il nucleo nudo e crudo della canzone originale, senza le armonie vocali dei Beatles, la parte di synth e tutte le sovraincisioni che ne costituivano parte del fascino.
12. Maxwell’s Silver Hammer (Take 12) Il brano più odiato da John e George che la consideravano “Granny music”, musica per nonne, ma a cui invece Paul teneva molto,tanto da costringere gli altri ad una estenuante serie di tentativi per raggiungere il risultato che voleva. In questa versione naturalmente mancano i colpi di martello sull’incudine dell’originale e nel finale McCartney cazzeggia ad libitum, diciamo non indispensabile, o meglio una mezza tavanata!

[CD3: Sessions] oppure CD 2 della versione doppia.
1. Come Together (Take 5) Versione più ruvida e rozza, buona ma non memorabile, anche con qualche imperfezione vocale di Lennon che alla fine rinuncia. 
2. The End (Take 3) uno dei tanti tentativi per la chiusa strumentale dell’album, non tra le più riuscite e coinvolgenti.
3. Come And Get It (Studio Demo) Questo è il brano scritto da Paul per i Badfinger, demo ben rifinito da One-Man Beatle, per una canzone pop estremamente gradevole tipica di McCartney. 
4. Sun King (Take 20)
5 Mean Mr Mustard (Take 20)
6. Polythene Pam (Take 27) Questi tre brani in sequenza sono il contributo di John Lennon al medley: la prima canticchiata in sottofondo e senza le armonie vocali da sballo dell’originale, non sembra più nemmeno quell’alternativa a Albatross dei Fleetwood Mac, stesso discorso per il secondo brano, cantato senza grande impegno da un John annoiato alla ventesima versione e il terzo il più interessante dove Lennon confessa all’inizio di take forse di essersi ispirato agli Who di Tommy per il riff insistito di chitarra.
7. She Came In Through The Bathroom Window (Take 27) che poi come nell’album senza soluzione di continuità si aggancia al brano di Paul, e anche questa è una delle cose più interessanti tra le outtakes, vibrante e di ottima qualità questa versione
8. Because (Take 1 – Instrumental) Un brano che aveva la sua forza nelle straordinarie armonie a tre parti poi aumentate fino a portarle a nove nella versione finale, in questa take solo della parte strumentale non brilla più di tanto.


9. The Long One (Trial Edit & Mix – 30 July 1969). (Medley: You Never Give Me Your Money, Sun King, Mean Mr Mustard, Her Majesty, Polythene Pam, She Came In Through The Bathroom Window, Golden Slumbers, Carry That Weight, The End) Versione alternativa del lungo medley, con tutti i frizzi e lazzi vocali strumentali della versione definitiva, che dire, bellissimo quasi come l’originale, con Her Majesty che rientra a far parte del medley come era stato previsto all’inizio, peccato che manchi ila lunga parte finale chitarristica.
10. Something (Take 39 – Instrumental – Strings Only) La descrizione dice tutto, versione strumentale solo per archi
12. Golden Slumbers/Carry That Weight (Take 17 – Instrumental – Strings & Brass Only) E anche le parti strumentali solo per fiati e archi di questi pezzi è interessante ma non esiziale.

In conclusione ed in definitiva i circa 100 euri che ti chiedono per il cofanetto, al di là del bellissimo libro incluso, sono soldi ben spesi forse solo se siete fan accaniti dei Beatles. Mi sembra che nella ristampa del White Album ci fosse molta più roba e poi il solito bel mah per il Blu-ray solo audio con le versioni per audiofili, che confesso di non capire.

Bruno Contii

Correva L’Anno 1968 1. The Beatles – White Album 50th Anniversary Edition, Parte I

beatles white album 3 cd

The Beatles – “The Beatles” AKA The White Album 50th Anniversary Edition – Apple/Universal – 6CD/Blu-ray Audio – 3 CD – 4 LP

In questo periodo dell’anno stanno uscendo (e usciranno) varie edizioni speciali commemorative di alcuni album epocali della storia del rock, penso a More Blood More Tracks di Bob Dylan, che non festeggia il suo 50° Anniversario ma è comunque uno dei dischi che spesso entrano nelle liste All Time degli album più importanti e che hanno influenzato la musica dello scorso secolo (Blood On The Tracks nell’ultima classifica di Rolling Stone del 2003 era al 16° posto), mentre il White Album, di cui andiamo a parlare diffusamente tra un attimo, era al 10°. E, stranamente un disco come Electric Ladyland di Jimi Hendrix, che sarà oggetto di un post nei prossimo giorni, sempre per la riedizione del cinquantenario, si trova “solo” al 54°, e anche Cheap Thrills di Big Brother And The Holding Co. (Janis Joplin), uscito in origine pure lui nel 1968 (e oggetto di una edizione potenziata che verrà pubblicata il prossimo 30 novembre), addirittura al 334° posto(!?!). E’ ovvio che queste “ristampe” per gli anniversari importanti di dischi storici non sono di per sé un sigillo di garanzia della qualità, perché in caso contrario non si capirebbe perché non sono state realizzate per esempio per Revolver Rubber Soul dei Beatles o per Are You Experienced? di Jimi Hendrix, ma si sa che le vie della discografia sono misteriose.

Comunque questo “The Beatles”, o “White Album”, Album Bianco, come è più frequentemente chiamato, ha avuto diritto ad una ristampa Deluxe davvero notevole (e anche la versione tripla, più “povera”, non è affatto male). Non starò a tediarvi con lunghi trattati storico-sociologici e musicali sull’importanza del doppio album originale, ma almeno nella lista dei dischi doppi il White Album se la batte con Blonde On Blonde sempre di Dylan, tra quelli degli anni ’60, senza dimenticare Electric Ladyland, e citando alla rinfusa alcuni di quelli anni ’70: Exile On Main Street degli Stones, Songs In The Key Of Life di Stevie Wonder, The Wall dei Pink Floyd, Phisycal Graffiti dei Led Zeppelin, London Calling dei Clash, Quadrophenia degli Who, Live At Fillmore East degli Allman Brothers, e così via. Ma il disco dei Beatles è rimasto veramente nell’immaginario collettivo, anche se non è considerato da molti il più popolare (per quanto avendo venduto 19 milioni di copie nel mondo lo è stato), il più bello, o il più influente nella loro discografia. Probabilmente il più vario, nelle parole del loro produttore George Martin avrebbe potuto essere un fantastico album singolo, e comunque, come concordano quasi tutti, segnò, in modo splendido, l’inizio della fine della loro traiettoria musicale, anche se poi ci fu il colpo di coda di Abbey Road, il vero canto del cigno della premiata ditta di Liverpool.

Secondo molti nel doppio originale non ci sono forse canzoni epocali, ma questo vale anche per i dischi precedenti: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band non conteneva Strawberry Fields Forever Penny Lane, Magical Mistery Tour non riportava All You Need Is Love Hello Goodbye, e il doppio bianco non avrebbe avuto nei propri contenuti Lady Madonna, Hey Jude Revolution. Ma nell’album, almeno a mio parere, ci sono parecchie canzoni splendide: da While My Guitar Gently Weeps di George Harrison Happiness Is A Warm Gun di John Lennon, che è uno dei miei brani preferiti in assoluto dei Beatles, e ancora Back In The U.S.S.R, Birthday Why Don’t We Do It In the Road?, di Paul McCartney per il lato più rock della band (e anche, in parte, Everybody’s Got Something to Hide Except Me and My Monkey di John). Oltre a perle acustiche ed intimiste come Blackbird, I Will, Mother’s Nature Son Julia. Senza dimenticare piccoli capolavori come Dear Prudence, I’m So Tired Cry Baby Cry, sempre dal lato Lennon.

La “invenzione” dell’heavy metal con Helter Skelter di Paul, e la risposta al British Blues con le 12 battute di Yer Blues (poi presentata anche in TV nel Rock And Roll Circus degli Stones). Altre tre canzoni deliziose di George Harrison come Piggies, Long,Long, Long Savoy Truffle, una per facciata (senza contare le tre che gli furono scartate e appaiono negli Esher Demos, insieme a Child Of Nature di John che sarebbe diventata Jealous Guy, ma ne parliamo fra poco). Anche Ringo Starr presenta il suo primo brano come autore, Don’t Pass Me By e canta la deliziosa Good Night, che chiude il disco. E ne abbiamo saltate altre che contribuiscono alla estrema varietà del doppio, i due estremi della scala, dal collage avanguardistico di Revolution 9, al gradevole cazzeggio pop di Ob-La-Di, Ob-La-Da, per l’eterno bambino dentro di noi. Senza dimenticare altre canzoni che ci accompagnano da una vita: le vignette di The Continuing Story Of Bungalow Bill Rocky Raccoon, il raffinato e diversificato pop di Glass Onion Martha My Dear, la “strana” Honey Pie e il frammento Wild Honey Pie, oltre alla rallentata Revolution 1. Le abbiamo ricordate, alla rinfusa, tutte e 30? Direi di si; anzi no, manca Sexy Sadie, e non mi pare ce ne sia nessuna brutta. Se per caso vi manca il White Album e non volete, o non potete permettervi, per motivi economici o altro, di acquistare il lussuoso, ma costoso, box con sette dischetti, potreste “accontentarvi” della versione tripla, che contiene tutto il ben di Dio appena ricordato, con il nuovo remix 2018 curato da Giles Martin, figlio di George, e Sam Okell, oltre alla prima edizione ufficiale, nel terzo CD, dei leggendari Esher Demos, conosciuti anche come Kinfauns recordings, dal nome del bungalow nel Surrey di proprietà di George Harrison, dove i Beatles si trovarono a maggio del 1968, di ritorno dal viaggio in India, per preparare i demo delle canzoni dell’album, che poi avrebbero completato tra il 30 maggio e il 14 ottobre agli studi di Abbey Road, con qualche session tenuta ai Trident Studios (per esempio quelle per Hey Jude Dear Prudence).

Vediamo quindi quello che contiene il CD 3, brano per brano, con commenti ad hoc per le singole canzoni (chi segue i Beatles con regolarità sa che queste canzoni erano tutte già uscite in svariati bootlegs, ma a livello ufficiale e con questa qualità sonora ovviamente mai prima, a parte sette brani che erano stati inseriti nel volume 3 della serie Anthology). Sono 27 pezzi in totale, di cui 19 poi appariranno nel doppio bianco: volendo siamo di fronte ad una sorta di Unplugged ante litteram, con esibizioni meno “leccate” e studiate di quelle che verranno usate nella famosa trasmissione di MTV, senza pubblico e con una strumentazione molto meno sfarzosa e lussureggiante di quella usata nei futuri live televisivi, dove quasi c’era più gente sul palco che tra il pubblico, sto esagerando, ma non troppo. Ecco il contenuto del dischetto:

1. Back in the U.S.S.R. da potente R&R alla Chuck Berry, ad una comunque energica versione, con voce double tracked e con eco, e i coretti in omaggio ai Beach Boys, senza il verso finale sostituito dal classico cazzeggio improvvisato da McCartney
2. Dear Prudence la famosa canzone dedicata a Prudence Farrow, la sorella di Mia, che era in India a Rishikesh a “meditare” insieme ai Beatles, comunque lo si metta è un bellissimo brano, anche in questa vesta accompagnata solo da acustiche arpeggiate, dalla voce raddoppiata di John e con un finale parlato dedicato alla vicenda indiana con il Maharishi Mahesh Yogi,  a cui Lennon dedicherà anche dei versi al vetriolo in Sexy Sadie
3. Glass Onion uno dei classici divertissement e nonsense lennoniani, con parole in libertà, citazioni di altre canzoni, tipo Strawberry Fields, The Fool On The Hill, Fixing A Hole e altre, tutte inserite per confondere quelli che pensavano che i suoi brani avessero chissà quali significati reconditi,e in questo demo, sempre con voce double-tracked, manca però ancora il celebre “The Walrus Was Paul” poi inserito nella canzone finita
4. Ob-La-Di, Ob-La-Da la famosa “canzoncina” di Paul, odiata da John, e che però in questa veste acustica ha un suo fascino perverso, oltre al solito ritornello irresistibile, sempre voce raddoppiata, quasi immancabile in molti di questi demo registrati in ogni caso su apparecchi casalinghi, ma quasi professionali, di loro proprietà.
5. The Continuing Story of Bungalow Bill questa è una delle famose canzoni surreali e sardoniche di John, che prende lo spunto sempre da un fatto avvenuto durante il soggiorno in India. Il demo non è poi così differente dalla versione completa che uscirà nel White Album, con gli altri Beatles impegnati a fare le voci degli animali degli giungla, al solito divertendosi come dei matti.
6. While My Guitar Gently Weeps una delle delle più belle composizioni mai scritte da George Harrison, la melodia cristallina risalta anche in questa versione intima, solo voce e chitarra acustica e con il testo leggermente differente da quello che uscirà nella versione finale
7. Happiness is a Warm Gun tre canzoni in una, e che nella versione apparsa sul disco all’epoca presentava alcuni dei più intricati ed acrobatici intrecci vocali mai messi su disco dai tre, mentre in questo demo il brano diventa una sorta di ode a Yoko, e mancano la parte introduttiva e quella finale che l’hanno resa quel piccolo capolavoro che poi diverrà
8. I’m so tired bellissima anche in questa versione acustica e in solitaria di John, con intermezzo parlato diverso da quello poi messo nel disco.

9. Blackbird leggermente più lenta dell’originale, voce raddoppiata, ma sempre una della più belle canzoni di sempre di Paul McCartney, con un lavoro da sogno alla chitarra in fingerpicking, una meraviglia
10. Piggies un brano minore, ma delizioso e sognante, di George, purtroppo reso immortale in senso negativo dall’uso distorto che ne fecero Charles Manson ed i suoi accoliti, qui riacquista il suo tono quasi fiabesco.
11. Rocky Raccoon Paul risponde alle avventure di Bungalow Bill, con quelle di Rocky Raccoon, nella prima versione, più breve, mancano il primo e ultimo verso, ma rimane delicata e divertente al contempo
12. Julia l’ultima canzone ad essere registrata per l’album bianco, dedicata alla mamma di John, uno dei suoi brani più malinconici e struggenti, qui con i versi del testo cambiati di ordine, e con il solito call and response della sua voce raddoppiata, bellissima comunque
13. Yer Blues la risposta sardonica di Lennon al boom del british blues, quasi a voler dire, alla Pippo Baudo, “anche il blues lo abbiamo inventato noi!” Con una piccola variazione nel testo in questa versione acustica

14. Mother Nature’s Son un altro dei piccoli capolavori acustici che costellano la carriera di Sir Paul, anche se nel demo manca proprio l’intro di chitarra che era uno dei punti di forza della canzone
15. Everybody’s Got Something to Hide Except Me and My Monkey la versione acustica dell’ennesimo brano dedicato a Yoko (anche se Paul pensava che il monkey del testo facesse riferimento all’eroina) è ancora più dylaniana nell’approccio rispetto alla versione poi uscita sul doppio 
16. Sexy Sadie è l’altro brano dedicato al Maharishi, è infatti inizialmente doveva chiamarsi così, ma su richiesta di George John cambiò il titolo, mantenendo comunque il tenore antisessista della canzone che avrebbe dovuto avere, come riportato dal giornalista Mark Lewisohn, un verso piuttosto pesante che recitava testualmente  “Maharishi, you little twat/Who the fuck do you think you are?/Who the fuck do you think you are?/Oh, you cunt.” . La canzone comunque è molto piacevole anche in questa veste acustica.
17. Revolution una via di mezzo tra la Revolution elettrica e quella più rallentata e quasi country apparsa come Revolution1 nell’album. Piccoli cambiamenti nei versi e battiti di mano per segnare il ritmo. In questo caso la versione elettrica vince a mani basse.
18. Honey Pie era uno dei vari omaggi sonori allo stile music hall tipicamente britannico amato sia da John che Paul e usato nei loro dischi. Questa volta tocca a McCartney che si diverte da par suo anche nella controparte acustica della canzone, dove manca il finale, sciocchina ma piacevole. Era uno dei brani già usciti nella Anthology 3
19. Cry Baby Cry altra piccola delizia dalla penna di John Lennon. Rispetto alla versione uscita sul White Album manca la parte iniziale e la coda aggiunta poi da Paul.

20. Sour Milk Sea A questo punto partono le otto canzoni degli Esher Demos che non faranno parte del disco finale. La canzone di Harrison verrà donata a Jackie Lomax, poi utilizzata nel suo disco di esordio con Paul al basso, Ringo alla batteria, Clapton alla solista e Nicky Hopkins al piano. Questa versione acustica francamente non è memorabile, forse l’avrai scartata anch’io, però forse no.
21. Junk che è stata pubblicata sempre nel primo CD del doppio Anthology 3, è l’unico brano scartato di quelli presentati da Paul McCartney, recuperata per il primo album solista omonimo di Macca, probabilmente non avrebbe sfigurato nel doppio bianco
22. Child of Nature anche questa è una signora canzone, con una melodia memorabile di quelle di Lennon, infatti non per nulla John, cambiando il testo, la tramuterà in Jealous Guy, uno dei pezzi più belli della sua carriera solista e questa versione acustica è veramente incantevole
23. Circles qui Harrison, che l’ha scritta, si accompagna all’organo anziché alle chitarre acustiche, uno dei suoi tipici brani mistici di derivazione orientale, verrà recuperato solo nel 1982 sull’album Gone Troppo, decisamente diversa e più bella di questa che appare come demo

24. Mean Mr. Mustard
25. Polythene Pam questi due brevi brani scritti da Lennon, giustamente verranno recuperati ed inseriti nel long medley della seconda facciata di Abbey Road, la prima qui dura il doppio della versione conosciuta perché il testo viene ripetuto due volte, e francamente nel medley facevano un figurone inserite nel contesto complessivo della costruzione sonora, anche le versione acustiche sono comunque interessant,i per quanto veramente embrionali.
26. Not Guilty forse il migliore dei brani di Harrison scartati dall’album originale, anche questo è già apparso nella Anthology 3, e poi usato da George per il suo album solista omonimo del 1979. Bella versione con un notevole lavoro della chitarra acustica.
27. What’s the New Mary Jane anche questa versione già uscita nella Anthology 3, è una dei tipici brani nonsense e demenziali di Lennon. Per usare un eufemismo diciamo non memorabile, anche se è stata registrata in molte takes pure dai Beatles, o meglio da Lennon e Harrison, una appare proprio nelle Sessions per il White Album, di cui trovate il resoconto nella II parte

fine 1a parte, segue…

Bruno Conti

It Was (Really) Fifty Years Ago Today, Ovvero, Erano Giusto 50 Anni Fa, Oggi! The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

 

beatles sgt, pepper

The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band – Parlophone/EMI CD – Deluxe 2CD – 2 LP – Super Deluxe 4CD/DVD/BluRay

I Beatles, forse il gruppo più popolare di tutti i tempi, sono sempre stati decisamente avari nell’aprire i loro archivi dopo la separazione avvenuta nel 1970: a parte il Live At The Hollywood Bowl uscito negli anni settanta e ristampato lo scorso anno, e soprattutto i tre volumi dell’Anthology pubblicati a metà anni novanta, ai fans è sempre stata offerta la solita, peraltro ottima, sbobba, comprese le tanto strombazzate ristampe rimasterizzate del 2009 di tutta la discografia degli Scarafaggi, che non aggiungevano neppure trenta secondi di musica inedita. Quest’anno la svolta: per il cinquantenario dell’album più famoso dei Fab Four (uscito proprio il primo Giugno del 1967, cinquant’anni precisi precisi, ma il disco è nei negozi dal 26 maggio), cioè il leggendario Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (per molti è anche il loro migliore, io preferisco il White Album ma comunque sempre di dischi da cinque stelle stiamo parlando), i superstiti Paul McCartney e Ringo Starr, insieme agli eredi degli scomparsi John Lennon e George Harrison, hanno acconsentito ad aprire il magico scrigno delle sessions di quell’album epocale, affidandone la cura a Giles Martin, figlio di George, il celebre produttore dei quattro ragazzi di Liverpool: il risultato è la solita pletora di edizioni diverse, a partire da quella singola e fondamentalmente inutile se lo possedete già (anche se le tracce sono state remixate, ma non rimasterizzate, per quello andava già benissimo il lavoro fatto nel 2009), una doppia interessante con un secondo CD di versioni alternate, e soprattutto un imperdibile cofanetto con quattro CD, un DVD, un Blu*Ray (con lo stesso contenuto del DVD) ed uno splendido libro.

Data l’importanza sia musicale che culturale del disco, questo sarà il primo post “condiviso” della storia del blog: io introdurrò brevemente il disco originale e la sua storia, mentre Bruno vi parlerà nel dettaglio del contenuto del cofanetto quadruplo. L’idea dell’album del 1967 venne a McCartney (che peraltro vuole la leggenda fosse già “morto” il 9 novembre del 1966, sostituito da Billy Shears!!), che voleva una sorta di concept basato sui ricordi adolescenziali di Liverpool dei quattro, ma ben presto il soggetto si tramutò in quello di una serie di canzoni suonate da una band fittizia dell’epoca vittoriana, appunto la Band Dei Cuori Solitari Del Sergente Pepper, legate solo apparentemente da un filo conduttore: il disco è considerato l’apice creativo dei Fab Four, in quanto contiene una serie di gioiellini pop che rasentano la perfezione, con un accenno appena sfiorato di psichedelia (ma proprio all’acqua di rose), e con la figura di George Martin sempre più fondamentale nell’economia del gruppo, da grande arrangiatore quale era, ma anche abile “traduttore” in pratica delle folli idee dei quattro, una caratteristica che era già risaltata l’anno prima nell’altrettanto geniale (e splendido) Revolver. Il disco fu anche il primo dei Beatles senza un singolo portante: nelle stesse sessions, quasi su imposizione della casa discografica, furono incise anche diverse takes sia di Strawberry Field Forever (forse il miglior brano di Lennon all’interno del gruppo) che di Penny Lane, sessions incluse tra l’altro nel cofanetto: i quattro giudicarono però i due brani un po’ fuori contesto rispetto al resto dell’album e quindi li pubblicarono a parte, con il risultato di avere forse il miglior singolo della loro carriera.

Tutto in Sgt. Pepper è perfetto, dall’iconica ed imitatissima copertina ad opera di Peter Blake (e nella quale verranno trovati oscuri messaggi riguardanti la citata e presunta morte di Paul), alle variopinte giacche utilizzate dai Fab Four, ma soprattutto le tredici tracce del disco, capolavori assoluti di pop e con i tipici nonsense lirici dei quattro. Tutto è imperdibile, dall’introduzione finto-live della title track, poi ripresa nel finale, all’irresistibile singalong affidato a Ringo With A Little Help From My Friends, alla psichedelia leggera di Lucy In The Sky With Diamonds, ai bozzetti molto British e tipicamente McCartney di Fixing A Hole, Getting Better, She’s Leaving Home e Lovely Rita (ai quali partecipa anche Lennon con la bucolica e festosa Godd Morning, Good Morning), mentre ho sempre considerato lo spazio affidato a Harrison, Within You Without You, influenzata pesantemente dalla musica indiana ed a mio parere un po’ soporifera e fuori contesto, come il punto debole del disco. I brani che non ho ancora citato sono quelli che da sempre preferisco (ma non è che gli altri non mi piacciono, diciamo che questi sono da dieci e lode), cioè la squisita When I’m Sixty-Four, dal delizioso sapore vaudeville, la divertente ma geniale Being For The Benefit Of Mr. Kite!, ispirata a Lennon da un vero numero da circo di più di un secolo prima, e soprattutto la monumentale A Day In The Life, una eccezionale sinfonia pop di cinque minuti, risultato della fusione di due diverse canzoni di John e Paul, con un grande contributo di Martin ed un finale orchestrale in crescendo che ancora oggi fa venire i brividi. Dopo Sgt. Pepper i Beatles faranno altri grandi dischi (basti pensare all’Album Bianco e ad Abbey Road), ma qualcosa nel rapporto fra i quattro comincerà ad incrinarsi, complice anche la morte improvvisa del loro manager Brian Epstein che li priverà di una guida fino a quel momento indispensabile: ma questa è un’altra storia.

Ed ora, come già detto, la parola passa a Bruno.

Marco Verdi

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Il 1° Giugno del 1967 era un giovedì, come pure quest’anno, ed Inghilterra usciva Sgt. Pepper’s  nei negozi. Due o tre giorni dopo, un ragazzino che ancora oggi vedo tutte le mattine davanti allo specchio (celebrato già all’epoca, a futura memoria, nel titolo di una canzone, When I’m Sixty Four, contenuta nell’album), la domenica mattina (poiché gli altri giorni si andava a scuola si ascoltava nei giorni festivi) si sintonizza su Radio Uno della RAI, credo allora ci fosse solo quella, dove viene tramesso in anteprima, tutto completo, il suddetto Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ebbene sì, in una trasmissione condotta, mi pare da Adriano Mazzoletti, ma erano altri tempi, in cui le radio trasmettevano gli album interi: poi lunedì mi recai, perché ovviamente ero io, in un negozio per acquistarlo, mentre il mondo dei Beatles, che già frequentavo (ma anche quello degli Stones, di Dylan, di Hendrix e di  mille altri, ero un ascoltatore precoce), si allargò a dismisura per assumere contorni quasi “epocali”. Cinquanta anni dopo, anzi qualche giorno meno, visto che la nuova edizione è uscita il 26 maggio, finalmente un album del gruppo riceve il trattamento Deluxe, che ora andiamo ad esaminare nel dettaglio.

Intanto la confezione del box sestuplo è molto bella; formato tunnel (in termine tecnico discografico), vuol dire che si sfila la copertina del cofanetto, all’interno troviamo quello che a prima vista appare il vecchio LP, ma in effetti è il contenitore che riporta, allocati in apposite tasche, i quattro CD, il DVD e il Blu-ray. Poi il manifesto del disco, quello del Pablo Fanque’s Circus Royal con l’ultima serata dedicata a Mr. Kite, il cartoncino ritagliabile del Sergente Pepper e un bel librettone ricco anche di immagini rare ed inedite. Il tutto esce su etichetta Apple/Universal ma i dischi (rimixati non rimasterizzati) riportano rigorosamente l’etichetta Parlophone/EMI e nella confezione sul retro del “disco” sono riportati, come in origine, i testi (che ai tempi, nel nostro stentato inglese, ci permisero di sapere che i turnstiles, erano i “tornichetti” della metropolitana e che l’handkerchief era il “fazzoletto”). Detto che il disco, descritto sopra, ha un suono splendido: il dancing bass di Paul, la batteria di Ringo, le chitarre di George, John (e Paul), la produzione magnifica di George Martin e tutto il resto, oltre alle voci, sembrano balzare fuori dagli speakers, veniamo ai contenuti extra. Prima i due CD delle “Sgt. Pepper, Session”.

Disc 2

Strawberry Fields Forever – Take 1

Strawberry Fields Forever – Take 4

Strawberry Fields Forever – Take 7

Strawberry Fields Forever – Take 26

Strawberry Fields Forever – Stereo/Giles Martin Mix

When I’m Sixty-Four

Penny Lane – Take 6

Penny Lane – Vocal Overdubs and Speech

Penny Lane – Stereo / Giles Martin Mix 2017

A Day In The Life – Take 1

A Day In The Life – Take 2

A Day In The Life – Orchestra Overdub

A Day In The Life – Hummed Last Chord

A Day In The Life – The Last Chord

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band – Take 1

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band – Take 9

Good Morning Good Morning – Take 1

Good Morning Good Morning – Take 8

Si parte con ben quattro diverse takes di Strawberry Fields Forever che tracciano la storia di una delle canzoni più belle di sempre dei Beatles, e che inserita nell’album (con Penny Lane) lo avrebbe reso ancora più epocale di quanto è stato nella storia della musica moderna. La prima take arriva alla fine di novembre 1966 (pochi giorni dopo la morte di Paul, scusate se insisto), solo i quattro Beatles, basso, batteria, la voce solista di John e la sua chitarra ritmica, la chitarra slide di George e quelle armonie celestiali. La Take 4 introduce il sound del mellotron, la voce filtrata e sognante di Lennon, il grande lavoro di Ringo alla batteria e di Paul al basso, mentre la take 7 si avvicina molto a quella che sarà la versione pubblicata della canzone, con la take 26 che invece ci regala una versione completamente diversa, nettamente più veloce, con una intro assai diversa, la batteria impazzita e gli effetti sonori che si impadroniscono del tessuto sonoro della seconda parte del brano, tra fiati, chitarre e tastiere “trattate”. Tutta roba già sentita sugli innumerevoli bootlegs dedicati negli anni ai Beatles, ma mai così bene. Infine per concludere la sequenza il nuovo mix stereo di Giles Martin del 2015, una vera meraviglia sonora della prima psichedelia. A seguire la Take 2 di When I’m Sixty Four (il pezzo dedicato al sottoscritto), abbastanza diversa dall’originale, senza fiati e con un basso super funky di Paul, e con il piano che è l’altro protagonista principale del pezzo, mentre non ci sono ancora i coretti degli altri Beatles.

Poi tocca a Penny Lane, take 6 strumentale, affascinante, dove mi sembra di cogliere brillanti accenni musicali che poi verranno sviluppati in Magical Mystery Tour e più in là ancora nel tempo in Abbey Road, e che danno un’idea di come dovesse essere in quella fucina di idee che erano gli studi di Abbey Road ai tempi dei Beatles. Più per “anally retentive”, come dicono gli inglesi, la parte dedicata solo a sovraincisioni vocali e discorsi in studio, ma poi la versione Stereo Mix del 2017 è veramente superba. A questo punto parte la sequenza dedicata alla più bella canzone mai scritta dai Beatles, A Day In The Life, uno dei loro splendidi esempi di una canzone formata da più canzoni, uno strato dopo l’altro, con Lennon e McCartney che si completano a vicenda (al sottoscritto un altro brano che piace da impazzire, costruito con questo approccio, è Happinees Is A Warm Gun). Si capisce subito che il brano è un capolavoro sin dalla take 1, solo la voce con eco di John, il piano e una chitarra acustica, ma c’è già lo spazio per inserire la parte scritta da Paul, e pure la take 2 è splendida, acustica ed intima, ma con le stimmate del brano complesso che diverrà, per esempio la melodia complessa e ritmica del piano, il suono delle sveglie che i loro vicino di studio a Abbey Road sublimeranno qualche anno dopo in Dark Side Of The Moon. Gli overdub dell’orchestra, l’accordo finale vocale canticchiato, che sentito da solo sembra un mantra tibetano, e i presenti che si divertono a chiamare takes a capocchia e anche l’ultimo accordo provato svariate volte al piano, fanno parte del fascino di questo ”dietro le quinte”. La prima versione strumentale di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band la canzone, sembra quasi un pezzo a tutto riff dei Kinks, perché i gruppi dell’epoca ascoltavano quello che facevano i loro colleghi, mentre la take 9, cantata, è un gran bel pezzo rock, e si capisce perché Jimi Hendrix, quando la sentì, come tutti gli altri, al 1° giugno, decise di rifarla dal vivo, a modo suo, cioè splendido, solo tre giorni dopo al Saville Theatre, di fronte a degli sbalorditi George Harrison e Paul McCartney. Beatles rockers anche nelle due takes presenti di Good Morning Good Morning, la prima solo un frammento per inquadrare il groove della batteria, la seconda “cruda”, senza tutti gli effetti sonori e gli assolo che saranno aggiunti alla versione definitiva.

Disc 3:

Fixing A Hole – Take 1

Fixing A Hole – Speech And Take 3

Being For The Benefit Of Mr. Kite!

Being For The Benefit Of Mr. Kite! – Take 7

Lovely Rita – Speech and Take 9

Lucy In The Sky With Diamonds – Take 1 And Speech

Lucy In The Sky With Diamonds – Speech

Getting Better – Take 1

Getting Better – Take 12

Within You Without You – Take 1

Within You Without You – George Coaching The Musicians

She’s Leaving Home – Take 1

She’s Leaving Home – Take 6

With A Little Help From My Friends – Take 1

Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band (Reprise) Speech and Take 8

Il disco tre, solo nel cofanetto, contiene altre versioni alternative e prove di studio. Si parte con la Take 1 di Fixing A Hole, che, a differenza del resto dell’album, fu registrata ai Regent Sound Studios di Londra il 9 Febbraio del 1967, perché in quella occasione gli studi di Abbey Road non erano disponibili: un pezzo di Paul McCartney, con la voce double-tracked, e la presenza di George Martin al clavicembalo, il classico walking bass di Paul, mentre in questa versione mancano i coretti degli altri Beatles, assenti anche nella Take 3, preceduta da un breve dialogo, come manca anche il tagliente solo di chitarra di Harrison, presente nella versione pubblicata. Martin passa a harmonium, glockenspiel e organo per Being For The Benefit Of Mr.Kite, il brano circense a tempo di valzer scritto da John Lennon, anche in questo caso, nella Take 1, mancano tutti gli elementi aggiuntivi, i florilegi di armoniche a bocca e la chitarra backwards di George, di nuovo assenti anche nella versione n.7. Diciamo che fino ad ora il disco 3 è quello meno interessante come materiale contenuto. Più compiuta, forse perché è già la take 9, la versione di Lovely Rita, con le chitarre acustiche e il piano in evidenza, ma non il basso di Paul, anche qui mancano tutti gli elementi “decorativi” tipici, fondamentali nelle canzoni dei quattro di Liverpool. Lucy In The Sky With Diamonds, ispirata da un disegno di Julian, il figlio di John, nella take 1, non è ancora quel piccolo gioiellino della psichedelia che sarebbe diventata, ma gli elementi sognanti e i cambi di tempo sono già presenti, mentre la Take 5, con tanto di falsa partenza e John sull’orlo di una crisi di ridarella, come spesso succedeva ai tempi felici, poi nella versione definitiva diventerà uno dei migliori contributi di John Lennon all’album.

Getting Better, fin dal titolo, è uno dei classici pezzi ottimistici di McCartney, che suona il piano elettrico, e si esibisce in uno dei suoi classici esempi di fusione tra rock e errebì “bianco”, la prima take è strumentale, mentre la numero 12 è molto simile all’originale, sempre strumentale, ma con il tampura, l’altro strumento suonato da Harrison in evidenza, e la sezione ritmica di Paul e Ringo molto indaffarata. A proposito di strumenti indiani, l’unico contributo di George Harrison all’album è Within You Without You, posta nel long playing originale all’inizio della seconda facciata, per non spezzare la soluzione quasi da concept album del resto del disco. Anche in questo caso troviamo la Take 1 solo strumentale, con George al sitar, accompagnato da musicisti indiani non accreditati, mentre a seguire troviamo Harrison che insegna ai musicisti stessi le loro parti su una traccia vocale; diciamo non indispensabile, per essere magnanini, o una mezza palla, per essere onesti. Anche She’s Leaving Home appare in due diverse versioni strumentali, ed è un peccato, perché la parte cantata con la storia di Melanie Coe, era uno degli highlight dell’album, comunque la melodia è deliziosa, Sheila Bromberg all’arpa, è la prima donna a venire impiegata in un brano dei Beatles, e l’arrangiamento degli archi è raffinatissimo. With A Liitle Help From My Friends è il contributo di Ringo Starr al LP, ma anche in questo caso non si nota, perché si tratta dell’ennesima versione strumentale, e comunque la canzone diventerà uno degli inni della musica rock nella versione fantastica che ne farà Joe Cocker l’anno successivo, tutta un’altra canzone. Il CD finisce con la take 8 di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club (Reprise), la ripresa in chiave più rock del brano di apertura con McCartney alla chitarra solista.

Il disco 4 del cofanetto contiene l’album completo in versione Mono, come dovrebbe essere ascoltato secondo i puristi (ma io lo preferisco in stereo) e come bonus alcuni differenti mono mix di Strawberry Fields Forever, Penny Lane, A Day In The Life, il primo mixaggio mono, inedito, come pure quello di Lucy In The Sky With Diamonds e She’s Leaving Home, mentre in coda di tutto troviamo la versione mono pubblicata su un Promo americano di Penny Lane. Tutte leggermente differenti dagli originali. Come ricorda il titolo del Post, in questi giorni è uscito, prima al cinema, e poi in doppio DVD, un documentario di Alan G. Parker, intitolato It Was Fifty Years Ago Today, che traccia in modo approfondito, e anche interessante, la storia dell’album, ma, perché c’è un ma, e pure grosso, non c’è neppure un secondo di musica dei Beatles nel film (e neppure nella quattro ore e mezza di extra nella versione DVD, che peraltro comprende interviste con Lennon, materiale dagli archivi di Ringo e altre chicche assortite), a causa del veto della casa discografica che non ha concesso i diritti per la musica. A questo punto viene molto utile il DVD ( e il Blu-Ray, ma perché ormai vanno sempre in coppia in queste versioni Super Deluxe, visto che il materiale è lo stesso?): si tratta di un documentario realizzato nel 1992 per la Apple, The Making Of Sgt. Pepper, circa 50 minuti molto interessanti con interviste a George Martin che è “l’host” del film, ma anche con Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr e materiale d’archivio di John Lennon. Più i video promozionali, girati nel 1967, di A Day In The Life, Strawberry Fields Forever e Penny Lane, e, dedicate agli audiofili, versioni Hi-Res 5.1 Remix e Hi-Res Stereo Remix dell’album. Ci sarà pure un motivo se Sgt. Pepper è ancora al n.°1 nella lista dei 500 album più grandi della storia della rivista Rolling Stone, e Pet Sounds dei Beach Boys, il disco che lo ha “ispirato”, è al n° 2. Ok, se prendete la lista del NME del 2013, è al n° 87 (?!?), ma quella è una lista per “super giovani”, dove vince The Queen Is The Dead degli Smiths, al 4° ci sono gli Strokes, ma per favore, e nella classifica altre “schiccherie” orride ed incomprensibili, della serie lasciateci perdere siamo inglesi! Comunque visto che anche i Beatles sono inglesi, se non al primo posto, nei primi dieci dischi di sempre questo album ci sta di sicuro. Sono sicuro che Bob Dylan, in alto a destra, e Sonny Liston, in basso a sinistra, ma anche tutti gli altri sulla copertina, avrebbero approvato. Forse Revolver, Rubber Soul, il White Album Abbey Road, scegliete il vostro preferito, sono superiori come album, ma Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band ha segnato un’era e questo cofanetto ne è il degno testimone!

Bruno Conti

Recensione Pasquale! Paul McCartney – Flowers In The Dirt Super Deluxe. Parte 2: Il Cofanetto.

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Paul McCartney – Flowers In The Dirt – Capitol/Universal 3 CD + DVD – 2 CD – 2 LP

Alla fine degli anni ottanta Paul McCartney stava cercando un rilancio di vendite e popolarità dopo un periodo complicato dal punto di vista artistico (problema comune in quel periodo per molti musicisti della golden age): l’inizio della decade non era stato neanche male, con due album di buon successo, Tug Of War e Pipes Of Peace, ed il primo dei due tra i migliori mai pubblicati dall’ex Beatle; nel 1984 ci fu però il fallimentare progetto Give My Regards To Broad Street, disco e film, che se da un lato sul supporto audio, pur proponendo poche novità (ma rileggendo alcune pagine del songbook dei Beatles), riuscì a portare a casa il risultato, dal punto di vista del lungometraggio fu un flop totale. Ed anche il successivo album Press To Play (1986) fu un insuccesso, un lavoro poco ispirato, involuto, con canzoni non “alla McCartney” e dal suono troppo anni ottanta (forse il più grande passo falso della carriera di Macca). Una parziale risalita si ebbe un anno dopo con la doppia antologia All The Best, trainata dall’ottimo singolo Once Upon A Long Ago, ma il nostro già in quel periodo stava pensando a come rilanciare la carriera, e la soluzione più giusta gli sembrò quella di cercare nuovamente un partner per la scrittura delle canzoni come ai tempi dei Fab Four: il prescelto fu Elvis Costello, con il quale già dal 1987 Paul iniziò a scrivere ed incidere a livello di demo una lunga serie di brani che avrebbero dovuto costituire l’ossatura del nuovo album (un primo assaggio della collaborazione, Back On My Feet, era andata sul lato B di Once Upon A Long Ago).

La storia andrà poi diversamente, in quanto Paul in seguito avrà dei dubbi se quella della partnership con Costello fosse la strada giusta (nonostante i media stessero pompando la cosa aldilà della sua reale importanza, arrivando persino a definire Elvis il “nuovo Lennon”) e si metterà a scrivere altri brani per conto suo: Flowers In The Dirt (che uscirà nel Giugno del 1989), pur rivelandosi uno dei migliori album di McCartney, diventa dunque un ibrido, con soltanto quattro pezzi nati dalla collaborazione con l’occhialuto songwriter londinese (altri usciranno sul successivo album di Paul, Off The Ground, e sui due dischi del periodo di Costello, Spike e Mighty Like A Rose, mentre molti resteranno inediti). Anche la scelta di rivolgersi a ben sette produttori diversi (Trevor Horn, Chris Hughes, Mitchell Froom, Neil Dorfsman, David Foster, Steve Lipson e Ross Cullum, oltre a Paul stesso e Costello nei quattro pezzi scritti insieme) solitamente è sintomo di grande confusione, ma c’è da dire che se il nostro è riuscito a confezionare un lavoro con un suono unitario e compatto,  è merito anche del fatto che in tutti i pezzi vi è la medesima house band, che accompagnerà il nostro anche nel trionfale tour che seguirà (Hamish Stuart e Robbie McIntosh alle chitarre, Chris Whitten alla batteria, Paul Wickens alle tastiere, oltre alla solita presenza più che altro simbolica della moglie Linda) ed alcuni preziosi interventi di ospiti del calibro di David Gilmour, Nicky Hopkins e Dave Mattacks.

La prima parte del disco è quasi perfetta, a partire dall’apertura di My Brave Face, delizioso ed orecchiabile pop-rock dal ritornello coinvolgente, che è anche il primo singolo e la migliore delle quattro canzoni con Costello (e la sua mano si sente, specie nel bridge); con Elvis, Paul scrive anche la ballad You Want Her Too, unico duetto tra i due, un brano intenso e con un bel botta e risposta tra la voce melodica di Macca e quella ruvida di Mr. McManus, mentre anche due brani considerati minori come la funkeggiante Rough Ride e la jazzata e raffinatissima Distractions fanno la loro bella figura. Ma le due canzoni migliori del disco sono certamente la bellissima We Got Married, un gran bel pezzo che parte come un folk-rock ed assume tonalità quasi prog (all’acqua di rose, stiamo sempre parlando di McCartney), con due splendidi assoli floydiani di Gilmour  , e la cristallina Put It There, eccellente ballata acustica che, grazie anche all’arrangiamento ad opera di George Martin, rimanda direttamente al suono del White Album. La seconda parte (il vecchio lato B) parte benissimo con la roccata Figure Of Eight e la squisita pop song This One (altro singolo di successo), ma cala un po’ alla distanza: le altre due canzoni scritte con Costello, Don’t Be Careless Love e That Day Is Done, sono due ballate abbastanza normali per Paul, ed il pur gradevole reggae ecologista-pacifista How Many People, dedicato al sindacalista brasiliano Chico Mendes, ha un testo da terza elementare. Pollice verso invece per i due brani finali, la pesantissima Motor Of Love, lunga e noiosa ballata in più gravata da un arrangiamento gonfio, e la danzereccia Ou Est le Soleil, una mezza porcheria elettronica senza senso.

Oggi gli archivi di Paul si occupano proprio di questo disco, e l’edizione Super Deluxe è come al solito splendida dal punto di vista visivo, con ben quattro libri inclusi, pieni di testi, note, foto e curiosità varie, un DVD con i videoclip dei singoli estratti dall’album, un documentario inedito ed un altro, Put It There, uscito all’epoca e tre CD (dei quali il primo è il disco originale rimasterizzato) decisamente interessanti, anche se pure questa volta non sono mancate le polemiche. Intanto è strano che, dato che all’epoca Paul aveva deciso di fare una parziale retromarcia per quanto riguardava i pezzi con Costello, tutti e due i bonus CD sono incentrati sui demo incisi con lui, che se da un lato offrono una visione diversa (ed alcuni brani totalmente inediti), dall’altro mancano di documentare le versioni alternative dei pezzi scritti dal solo Paul (e lo spazio ci sarebbe stato, dato che i due dischetti durano mezz’oretta l’uno). La tracklist tra l’altro, nove brani a disco, è la stessa (e nello stesso ordine), con i soli Paul ed Elvis alle prese con i demo del 1987 sul secondo CD (dove si accompagnano con chitarre acustiche e pianoforte) e le versioni iniziali full band del 1988 sul terzo (ma sempre con Elvis in session), con anche diversi pezzi che poi non avrebbero trovato spazio sull’album. Se The Lovers That Never Were in versione duo ha chiaramente bisogno di essere rifinita (ed infatti sul dischetto “elettrico” risulta molto meglio), Tommy’s Coming Home è bellissima così com’è, due voci, due chitarre e melodia fresca e beatlesiana; Twenty Fine Fingers è un gradevole rockabilly alla Buddy Holly (irresistibile la versione full band) che poteva stare tranquillamente sul disco originale, mentre la deliziosa So Like Candy è davvero figlia dei Fab Four (ma la mano di Costello è evidente, tanto che la inciderà da solo e la metterà su Mighty Like A Rose).

I due CD proseguono con le quattro canzoni poi finite sull’album (e My Brave Face si conferma la migliore del lotto) e si concludono con la frenetica Playboy To A Man, meglio nella versione elettrica. La cosa che però ha mandato più in bestia i fans è la decisione, pare di Paul stesso, di includere altri brani, tra cui tre demo aggiuntivi e tutti i lati B dei singoli dell’epoca, soltanto come download digitale, scelta assurda considerando il fatto che lo spazio sui bonus CD non mancava e, soprattutto, che è senza senso spendere una cifra vicina ai 150 Euro per poi doversi anche scaricare dei pezzi. In ogni caso, anche il contenuto della parte download è interessante, con alcune B-sides accattivanti come la già citata Back On My Feet, l’incalzante e vigorosa Flying To My Home (che avrebbe dovuto assolutamente finire sul disco) e la vibrante ballata pianistica Loveliest Thing. Vi risparmio i vari remix della già brutta Ou Est Le Soleil, ed anche il raro singolo per i DJ Party Party, ma vorrei citare i tre pezzi finali, tratti da una cassetta demo ancora di McCartney e Costello, con le discrete I Don’t Want To Confess e Mistress And Maid e la splendida Shallow Grave, un vero peccato che sia rimasta nei cassetti. (*NDB Che uscirà il 21 aprile per il Record Store Day, proprio in formato musicassetta)!  A monte di tutti i possibili difetti (e quello del “download only content” è a mio parere imperdonabile), una delle migliori ristampe della serie, che avrà il merito di fare felici non solo i fans di Macca ma anche quelli di Elvis Costello.

Marco Verdi

Paul McCartney – Flowers In The Dirt Super Deluxe. Parte 1: Riassunto Delle Puntate Precedenti.

paul mccartney flowers in the dirt super deluxe

E’ da poco uscito l’ultimo volume degli archivi di Paul McCartney, l’attesa reissue del suo ottimo album del 1989 Flowers In The Dirt (rimandata di diversi mesi a causa del nuovo contratto firmato da Paul con la Capitol): siccome in passato il blog non si era mai occupato delle uscite di questa serie, ne approfitto per fare un piccolo punto della situazione riepilogando, spero brevemente, i volumi precedenti. La serie, iniziata nel 2010 come Paul McCartney Archive Collection, si pone come obiettivo la pubblicazione (in ordine non cronologico) di tutta la discografia dell’ex Beatle in versioni rimasterizzate singole, doppie e sotto forma di cofanetti che sono tra i migliori in circolazione in fatto di qualità e contenuti fotografici e testuali, ma con qualche riserva dal punto di vista musicale (ed è di queste edizioni Super Deluxe che vado a parlare). Infatti, se dal punto di vista dei manufatti non si può dire nulla (ogni cofanetto è corredato da diversi libri ricchissimi di testi, interviste, curiosità, foto inedite e note d’archivio), da quello dei contenuti musicali c’è sempre stata qualche perplessità, più o meno leggera a seconda del disco in questione, come se Macca abbia soltanto socchiuso la porta dei suoi archivi, tenendosi diverse altre cose per eventuali utilizzi futuri (anche se mi sento di promuovere l’operazione, seppur con alti e bassi, a differenza di quella dei Led Zeppelin che nelle edizioni di lusso offriva libri splendidi ma neppure una nota musicale in più rispetto alle versioni doppie, già di loro abbastanza avare di chicche). Ma ecco una disamina veloce delle uscite precedenti, per la quale ho seguito l’ordine cronologico dei dischi originali e non quello delle ristampe.

mc cartney mccartney 1970

McCartney (1970) – 2CD/DVD – il primo album di Paul è una serie di canzoni brevi, bozzetti cantati e strumentali ed idee inespresse che all’epoca suscitò diverse critiche per la sua eccessiva semplicità, ma che contiene alcune ottime cose come Every Night, Junk e Man We Was Lonely ed un classico assoluto nella strepitosa Maybe I’m Amazed, ancora oggi una delle prestazioni vocali migliori del nostro. Il secondo CD offre alcune outtakes, la più interessante delle quali è l’inedita Suicide (offerta all’epoca da Paul a Frank Sinatra ma rifiutata, pare con sdegno, da The Voice), una Maybe I’m Amazed dal vivo nel 1974 ed altri tre brani del disco in versione live coi Wings nel 1979. Il DVD contiene un documentario, due pezzi dal vivo sempre nel 1979 (per il famoso Concert For Kampuchea) ed altri due tratti dall’Unplugged del 1991.

paul mccartney ram deluxe

Ram (1971) – 4CD/DVD – edizione sontuosa, una delle migliori della serie, per un album all’epoca criticatissimo ma col tempo rivalutato come un gioiellino pop, tra canzoni leggerine ma divertenti (Uncle Albert/Admiral Halsey), delizie acustiche (Heart Of The Country), travolgenti rock’n’roll (Smile Away e Monkbery Moon Delight) ed un autentico capolavoro minore come The Back Seat Of My Car. Il secondo CD propone outtakes interessanti ma non indispensabili, oltre al singolo dell’epoca Another Day, il terzo la versione mono dell’album, mentre nel quarto troviamo la rarissima rilettura orchestrale pubblicata da Paul nel 1977 con lo pseudonimo di Percy “Thrills” Thrillington (non disprezzabile). Nel DVD qualche filmato d’epoca ed un paio di videoclips.

paul mccartney band on the run

Band On The Run (1973) – 3CD/DVD – il miglior album di sempre di Paul è anche stata la prima uscita di questa serie di ristampe. Registrato nonostante varie peripezie e con una formazione dei Wings ridotta a tre elementi (Paul, Denny Laine e Linda), l’album contiene una serie di classici assoluti da parte di un Paul ispirato come poche altre volte (la spettacolare title track, la lennoniana Let Me Roll It, Jet, la trascinante 1985, Mrs. Vanderbilt), per un album che anche chi non ha mai amato alla follia il nostro dovrebbe avere: il secondo CD contiene il singolo Helen Wheels (all’epoca incluso nella versione americana del disco) e diverse interessanti riprese dal vivo di brani dell’album (ma anche qualche inedito) per lo special televisivo del 1974 One Hand Clapping, mentre il terzo dischetto, meno interessante, presenta un documentario audio. Molto bello invece il DVD, che contiene quasi la performance completa di One Hand Clapping, con riletture anche di classici all’epoca recenti come My Love e Live And Let Die.

paul mccartney venus and mars

Venus And Mars (1975) – 2CD/DVD – un disco volutamente radiofonico, creato per lanciare il tour mondiale degli Wings, ma anche uno dei lavori più piacevoli di McCartney, dall’intro Venus And Mars/Rock Show, perfetto per aprire i futuri concerti, all’ottima rock song Letting Go, al divertissement anni trenta You Gave Me The Answer, fino al singolo Listen To What The Man Said, una deliziosa pop song che profuma di New Orleans (mentre gli spazi lasciati agli altri membri del gruppo sono nettamente inferiori, a conferma che nelle rock band con un leader la democrazia raramente porta risultati validi). Il secondo CD include diverse canzoni uscite all’epoca solo su singolo, tra cui le belle Junior’s Farm e Sally G, ed alcuni home demos, mentre nel DVD troviamo i soliti filmati non indispensabili.

wings at the speed of sound

At The Speed Of Sound (1976) – 2CD/DVD – album messo sul mercato per capitalizzare al massimo il grande successo della tournée in corso, si tratta di un disco piuttosto debole e con troppo spazio lasciato agli altri membri degli Wings (compresa Linda, che partecipa con una risibile Cook Of The House). Paul contribuisce con due singoli di grande successo (Silly Love Songs e Let ‘em In), che però il sottoscritto non ha mai digerito molto: meglio la roccata Beware My Love, che è anche l’unico episodio interessante dell’esageratamente corto bonus CD (21 minuti!), in quanto in una versione alternata con John Bonham alla batteria. Fino ad oggi la più deludente delle Deluxe Editions.

wings over america

Wings Over America (1976) – 3CD/DVD – splendida versione dal punto di vista dei libri inclusi nel cofanetto, ma meno interessante per la parte audio: i primi due CD ripropongono l’album originale, un live potente anche se un po’ tronfio (nel quale comunque Paul inizia a sdoganare qualche pezzo dei Beatles), mentre il terzo contiene soltanto otto canzoni tratte dal concerto al Cow Palace di San Francisco, un po’ poco. Bello invece il documentario sul DVD, Wings Over The World, di 75 minuti, però si poteva anche includere il famoso film Rock Show uscito all’epoca (pubblicato invece a parte).

McCartney II (1980) – 3CD/DVD – sciolti gli Wings, Paul torna alla dimensione casalinga come nell’esordio solista di dieci anni prima, ma stavolta sperimentando soluzioni elettroniche di vario tipo: se la danzereccia Coming Up e la bizzarra Temporary Secretary si possono anche salvare, altri episodi come Frozen Jap e Bogey Music suonano pretenziosi e datati. Il meglio Paul lo dà con le rare ballate acustiche, Waterfalls e One Of These Days. L’unica parte interessante dei due bonus CD è la versione dal vivo di Coming Up (che negli USA uscì come singolo al posto di quella in studio), mentre per il resto troviamo altri esperimenti fini a loro stessi, le full length versions dei brani dell’album (inutili), e l’irritante singolo stagionale Wonderful Christmastime. In definitiva, un disco con il quale il tempo non è stato generoso.

paul mccartney tug of war

Tug Of War (1982) – 2CD/DVD – per chi scrive, il miglior disco di Paul dopo Band On The Run, un album ispirato, potente, creativo, con un McCartney in forma smagliante e splendide canzoni come l’emozionante title track, l’irresistibile Take It Away, la toccante Here Today (dedicata a John Lennon), la bellissima Wanderlust ed il trascinante rock’n’roll Ballroom Dancing (mentre il singolo Ebony And Ivory, in duetto con Stevie Wonder, risulta piuttosto stucchevole). Il secondo CD è interessante anche se piuttosto corto (come tutti quelli della serie peraltro), con all’interno due b-sides, qualche demo ed una versione di Ebony And Ivory con il solo Paul. Nel DVD, i vari vidoclips ed alcuni filmati sparsi.

paul mccartney pipes of peace

Pipes Of Peace (1983) – 2CD/DVD – seguito del disco precedente (anch’esso prodotto da George Martin) ed inciso nelle stesse sessions, soffre però di una netta inferiorità rispetto al predecessore, come se tutto il meglio fosse stato messo su Tug Of War. Si salvano la discreta title track, la melodica The Other Me ed il raffinato pop-errebi So Bad, mentre il duetto con Michael Jackson Say Say Say è buono solo per le classifiche. Nel secondo CD, oltre a qualche non indispensabile demo ed al remix 2015 del brano con Jackson, troviamo la rara e non disprezzabile Twice In A Lifetime, tratta dalla colonna sonora di un film del 1985 con lo stesso titolo.

Marco Verdi

Per Il Momento Può Ricominciare Con Lennon E Harrison In Paradiso: E’ Morto George Martin!

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Il 2016 si dimostra sempre più nefasto: è di questa mattina la notizia della scomparsa a Londra di Sir George Martin (però alla bella età di 90 anni), musicista, compositore, arrangiatore e produttore britannico il cui nome sarà per sempre legato a doppio-triplo filo a quello dei Beatles. Di formazione classica, Martin iniziò negli anni cinquanta come produttore ed arrangiatore per la Parlophone, collaborando più che altro ai cosiddetti comedy albums e a romanzi di narrativa in versione audio con sottofondo musicale: la svolta della sua carriera avvenne nel 1962, quando fu incaricato di produrre Love Me Do, il primo singolo dei Fab Four e il suo autentico battesimo nel mondo del rock’n’roll (anche se in realtà la prima session da lui patrocinata partorì How Do You Do It?, che poi però venne scartata).

Inizialmente il rapporto tra Martin e gli “Scarafaggi” era quasi di diffidenza, talmente lontani erano i mondi da cui provenivano: aristocratico e snob il produttore, proletari e ribelli i quattro ragazzi (addirittura George Martin all’inizio aveva giudicato Ringo Starr musicalmente inadeguato, rimpiazzandolo con Andy White); con il passare degli anni il reciproco rispetto aumentò, fino a non poter fare a meno l’uno degli altri.

Martin ebbe il merito di incoraggiare sempre lo spirito di sperimentazione dei Beatles, senza porre limiti ed interagendo con loro in tutti i modi possibili; di solito non viene considerato un genio della produzione (a differenza per esempio del contemporaneo Phil Spector, che aveva comunque inventato un suono), ma il suo contributo all’opera dei quattro boys di Liverpool è senza dubbio stato determinante: fu lui infatti a convincerli a registrare Please Please Me in versione più veloce (inizialmente era uno slow alla Roy Orbison), ma potrei fare decine di esempi (le sperimentazioni di Tomorrow Never Comes, il nastro al contrario di Rain, la parte orchestrale di Strawberry Fields Forever, fino all’apoteosi dell’album Sgt. Pepper, nel quale il suo contributo può essere quasi equiparato a quello dei quattro ragazzi).

Dopo la separazione dei Beatles nel 1970 (e con la delusione di non essere stato coinvolto in Let It Be, a favore proprio di Spector), George si dedicò alla produzione di una miriade di altri artisti, tra cui gli America, Jeff Beck, Kenny Rogers, Cheap Trick, Celine Dion, Pete Townshend (la trasposizione teatrale di Tommy) ed Elton John (il singolo Candle In The Wind reinciso in memoria di Lady Diana), oltre a comporre colonne sonore e realizzare album di musica classica dedicata a versioni orchestrali dei Beatles e non.

L’unico Scarafaggio con il quale ha collaborato negli anni è stato Paul McCartney, producendogli singoli come Live And Let Die o interi album come Tug Of War o Pipes Of Peace (ristampati di recente nella collana di riedizioni deluxe di Macca).

Come anche in altri recenti necrologi a mia firma, vorrei ricordare Martin con un brano a mia scelta, ed opto per In My Life, il cui assolo di piano, suonato proprio da George, è uno dei miei preferiti di sempre (con il suo “effetto clavicembalo” ottenuto accelerando il nastro, con la performance eseguita a velocità normale).

RIP Sir George.

Marco Verdi

*NDB. Naturalmente molti degli “espertoni” che affollano Twitter lo hanno confuso con George R.R. Martin, lo scrittore americano, autore del ciclo delle Cronache Del Ghiaccio e Del Fuoco e della serie televisiva Games Of Thrones, ma sono gli inconvenienti dell’era tecnologica e digitale, se vuole gli è consentito toccarsi, dicono che porti bene. Spero nel frattempo che il mio omonimo calciatore goda a lungo di buona salute!