I Was Born In Chicago…Studebaker John – Old School Rockin’

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Studebaker John – Old School Rockin’ – Delmark

Parafrasando l’incipit, l’attacco, di uno dei più famosi brani scritti da Nick Gravenites,  si potrebbe dire: “I was Born In Chicago in nineteen and forty-one “(che, curiosamente, non è l’anno di nascita né di Gravenites che l’ha scritta, né di Paul Butterfield che l’ha lanciata, ma probabilmente per motivi di rima con “gun”) e sostituendo la data con quella di Studebaker John (1952) otteniamo un altro illustre nativo della capitale del Blues elettrico, la Windy City.

L’oggetto di questo “spazio” prende il nome d’arte da una fabbrica di automobili americana che ormai non esiste più, ma anche lui è uno dei “nostri”, visto che il suo vero nome è John Grimaldi. Tralasciando le note biografiche Studebaker John ha una lunga carriera alle spalle, iniziata, come per molti altri ragazzi bianchi, con la scoperta, dopo il rock’n’roll, della musica nera per antonomasia, il Blues. Quindi Jimmy Reed, Freddie King, Slim Harpo ma anche gli Stones, gli Yardbirds, i Fleetwood Mac di Peter Green (in pellegrinaggio a Chicago) e poi Butterfield, Bloomfield, Dylan, Johnny Winter e molti altri. Ma per il nostro amico la miccia fu uno “sconosciuto” suonatore di armonica privo di un braccio, tale Big John Wrencher, che suonava regolarmente a Maxwell Street e poi anche il grande Hound Dog Taylor, quindi per non fare torto a nessuno ha imparato a suonare sia l’armonica che la slide, che poi è diventata il suo strumento principale.

Un altro aggancio con la città dell’Illinois è l’etichetta Delmark, l’ultima grande etichetta storica di Blues della città (e già, e l’Alligator qualcuno dirà? Ma quella è venuta dopo) alla quale Studebaker John è approdato da un paio di anni, dopo una lunga carriera con etichette come la Blind Pig, la Evidence e la Avanti. Se il disco precedente That’s The Way You Do era un omaggio al Blues più tradizionale con il nome di Maxwell Street Kings, questo Old School Rockin’, già dal titolo, indica un approccio più tirato, più elettrico, alle sue radici musicali, definirlo rock-blues è probabilmente esagerato ma i ritmi e la slide viaggiano spediti sulle traiettorie del Ry Cooder meno roots o dei vari gruppi con licenza di slide che sono nati negli ultimi anni e in quanto tale ha una carica più dirompente rispetto a prove in ambito più “tradizionale” di Studebaker.  

E quindi sin dall’iniziale Rockin’ That Boogie, con uno di quei titoli che spiegano chiaramente le intenzioni del brano, è una festa di slide e ritmi, con quell’approccio live in studio che ricorda i concerti (giusto qualche chitarra aggiunta in fase di registrazione, ma il minimo sindacale) e una voce vagamente alla Hiatt, senza la potenza dell’altro John ma con un bel tiro. Disease Called Love ha quel sound che ricorda le incisioni di Howlin’ Wolf per la Chess degli anni ’60, tra Spoonful e Evil. La lunga Fire Down Below (niente a che vedere con Seger), ma ci sono altri brani intorno ai 6 minuti, ci consente di ascoltare oltre alle consuete cavalcate con la slide anche un notevole assolo di armonica che mi ha ricordato il suono (tra i tanti) di John Popper dei Blues Traveler. Rockin’ Hot, molto cadenzata e Fine Little Machine dall’andamento Stonesiano sono tra i suoi cavalli di battaglia in concerto e alzano la temperatura del disco mentre Old School Rockin’ è un altro bel boogie “cattivo” alla Hound Dog Taylor. She Got It Right, tra Fabulous Thunderbirds e ZZTop è uno dei brani dove si sconfina (quasi) nel rock-blues sempre con quella voce alla John Hiatt e la chitarra che impazza alla grande. Deal With The Devil potrebbe essere una traccia perduta dei primi Canned Heat, Mesmerized vagamente latineggiante nei ritmi è più “trattenuta”.

Ma se devo essere sincero tra i 14 brani, tutti originali, che compongono questo album non ci sono punti deboli, tutta roba buona, tanto boogie, blues di qualità, un bel suono dalla slide guitar e dall’armonica di Studebaker John che centra con questo Old School Rockin’ probabilmente il miglior disco della sua carriera.

Da sentire, blues di quello giusto!

Bruno Conti

I Migliori Dischi Del 2011! Un Anno di Musica.

 

 

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Aiutato dai due “pensatori” effigiati qui sopra eccomi al primo appuntamento sul meglio del 2011 in musica. In questo caso secondo chi scive su questo Blog (poi arrivano anche i 2 collaboratori). Come dicevo lo scorso anno si tratta di una lista provvisoria, i primi 10 (che mi sono venuti in mente) da inserire nella classifica del Buscadero, rivista alla quale collaboro, come molti di voi sapranno, se no lo sapete adesso! Nei prossimi giorni poi aggiungerò e elaborerò questo elenco con tutti i titoli che sono sfuggiti o non sono rientrati nella prima stesura per motivi di numero chiuso (e già si agitano per essere stati dimenticati).

Sono in ordine sparso come da elenco inoltrato:

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 Fleet Foxes – Helplessness Blues

 

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June Tabor & Oyster Band – Ragged Kingdom

 

Lucinda Williams – Blessed

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Decemberists – The King Is Dead

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Cowboy Junkies – Demons – The Nomad Series Volume 2

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John Hiatt – Dirty Jeans And Mudslide Hymns

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Ryan Adams – Ashes And Fire

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Richard Thompson – Live At The BBC 4CD Box

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Israel Nash Gripka – Barn Doors And Concrete Floors/Live At Mr.Frits

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James Maddock – Wake Up And Dream/Live At Rockwood Music Hall

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Lo so, sono 12 perché cerco sempre di barare e perché sono usciti entrambi nel 2011. Questo per iniziare, sono in ritardo di un giorno, lo scorso anno il Post era uscito il 7 dicembre. Nei prossimi giorni altre classifiche, liste delle più importanti riviste, Mojo, Uncut, Q, Rolling Stone, Spin e Blog e siti in giro per il mondo, oltre agli approfondimenti del sottoscritto e degli “Ospiti” del Blog. Se volete mandare le vostre lo spazio nei Commenti è sempre aperto. In ogni caso, nonostante la crisi, è stata una buona annata.

Ci risentiamo e vediamo nei prossimi giorni.

Bruno Conti

L’Artista Di “Culto” Per Eccellenza! Dirk Hamilton – Thug Of Love Live

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Dirk Hamilton – Thug Of Love Live – Acoustic Rock Records/Ird

Credo che pochi come Dirk Hamilton si meritino la denominazione “Cult Artist”, uno dei cantautori più bravi sulla faccia della terra, tra i grandissimi degli anni ’70, appena un gradino sotto Van Morrison e Springsteen a livello qualitativo ma assolutamente alla pari con gente con Petty, Seger o i suoi omologhi nella “sfiga” Elliott Murphy e Willy De Ville, e mettiamoci come altra pietra di paragone anche John Hiatt, uno che sa fondere con arte rock, country, soul, folk, canzone d’autore come è sempre stato in grado di fare, quando la creatività lo ha sorretto nei tempi di massimo splendore, anche il signor Dirk Hamilton.

Nativo dell’Indiana come il coguaro Mellencamp la carriera di Hamilton inizia nella prima metà degli anni ’70 e prosegue un po’ anonima fino a che non viene scoperto da Gary Katz (sempre lui, quello degli Steely Dan) che lo fa mettere sotto contratto per la ABC e per la quale incide il semi-acustico ed embrionale, ma sempre molto bello, You Can Sing On The Left Or Bark On The Right, pubblicato nel 1976, cui fanno seguito gli eccellenti Alias I del ’77 e Meet Me At The Crux del ’78, due dischi dove lo “spettro” musicale benevolo (anche se si incazza quando lo “copiano”) di Van Morrison aleggia sullo spirito delle operazioni. I dischi vendono “due cicche e un barattolo” e per di più la ABC-Dunhill fallisce. A questo punto, come i grandi di qualsiasi campo che si rispettino, opta per il ritiro, ma prima deve ancora un disco alla Elektra (per fortuna), il magnifico Thug Of Love, che anche se uscito nel 1980, come London Calling, lo possiamo considerare uno degli ultimi grandi dischi degli anni ’70 (ma i due citati in precedenza erano altrettanti belli, se non di più, si dovrebbero ancora trovare in giro della Akarma e della Wounded Bird).

Comunque Thug Of Love è un signor album e Dirk Hamilton, che nel frattempo è tornato dal suo ritiro più volte, decide di festeggiare il 30° anniversario di questo disco con una serie di concerti e dove farlo se non in Italia che è diventata la sua patria d’adozione. Per l’occasione torna anche Don Evans che fu il chitarrista e il produttore del disco originale: il 13 marzo del 2010 a Dozza (BO) e il 14 marzo a Modena per i brani del CD il 12 marzo a Cologne(BS) per la registrazione del DVD Dirk Hamilton e i suoi pard salgono sul palco per ricreare la vecchia magia di quel disco.

E devo dire che ci riescono talmente bene che questo Thug Of Love Live è quasi più bello dell’originale, quello aveva lo splendore della gioventu questo ha la matura serenità del tempo che passa. Coadiuvato anche da Tim Seifert alla batteria e Eric Westphal al basso, Dirk accompagnandosi alla chitarra acustica ed all’armonica quando serve ci emoziona con una performance superba in crescendo: dall’iniziale Wholly Bowled Over passando per la dolcissima Moses And Me e poi ancora la lirica ballata Turn Off The T.V. con l’armonica di Dirk e la chitarra di Evans che affilano le unghie e scaldano i cuori, passando per uno dei primi capolavori del disco (e del concerto), In A Miracle tra Morrison, De Ville e Hiatt con un ritornello accattivante che ti si stampa in testa.

Out To Unroll The Wheel World è uno dei pezzi più rock del concerto, pensate al Van Morrison di Wavelength (ragazzi, a me questo viene in mente) filtrato dalla personalità di Hamilton, grande autore di testi e musiche assai personali. Come quella della sensuale, carnale, gloriosa, incredibile I Will Acquiesce, oltre 17 minuti di goduria, tra stop e ripartenze, per uno dei più bei pezzi della storia della musica dei cantautori, e questa versione è assolutamente indimenticabile, apprezzata e goduta dal poco pubblico presente. Ho saltato la bellissima Change In A Child’s Hand, una commovente ballata pianistica illustrata da un eccellente assolo della chitarra di Don Evans che poi si scatenerà anche nella già citata I Will Acquiesce.

Colder Than Mexican Snow per un curioso gioco di reminiscenze mi ha ricordato molto lo stile di Graham Parker un altro che non ha ricevuto per quello che ha dato, però trasferito sul confine di frontera del Messico. Need Some Body è un rock and soul con fischiettata d’ordinanza tra Springsteen e Southside Johnny, ma il Dirk a questa musica ci arriva per vie personali. L’altro tour de force del concerto è la lunga, tirata e coinvolgente The Main Attraction( più Van di Morrison nell’originale di studio), altri undici minuti di grande musica ed emozioni prima di lasciarci (con tanto di citazione di Everybody Needs Somebody To Love e lunghe improvvisazioni vocali di Hamilton, che è un grande istrione dal vivo) ma per tornare ancora una volta con un trio di ospiti italiani, l’ottimo Graziano Romani, uno degli artisti più sottovalutati del panorama nostrano (che ha appena pubblicato un interessante CD dedicato a Tex Willer che trovate in edicole e librerie blisterato con un fumetto inedito)), Massimo Mantovani al piano e Max Marmiroli al sax per un travolgente finale dove Romani e Hamilton si “sputano” note per spegnere l’incendio in una infuocata How Do You Fight Fire che conclude in gloria il concerto.

E pensate che a questo punto, per il prezzo di uno, potete ripartire con il DVD e risentirvi e vedervi il concerto da capo, in diverse versioni ma sempre indimenticabili e alla fine ci sono anche tre bonus non presenti nel CD, Hardball In The Holyland, Mouth Full Of Suck e Entitled Untitled. Cosa può volere uno di più, catapultatevi nel negozio più vicino e compratelo, godrete come ricci. Dischi così belli ne escono pochi in un anno, anzi ogni 30 anni! E Dirk Hamilton non lo trovate in Wikipedia.

Bruno Conti

E’ Proprio Lei! Shaun Murphy – Live At Callahan’s Music Hall

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Shaun Murphy – Live At Callahan’s Music Hall – Self Released

Spesso le informazioni le immagazzini nella tua memoria e poi non ci pensi più. Preparandomi a parlare di questo disco dal vivo di Shaun Murphy (nata Cheryl Murphy a Omaha, Nebraska in un imprecisato periodo degli anni ’50, non si dice l’età delle signore, anche perché non lo so) mi sono ricordato che ero andato a cercare le sue origini musicali quando, per un lungo periodo a cavallo tra anni ’90 e la prima decade del 2000, era stata la cantante dei Little Feat (che ha lasciato nel 2009) e avevo scoperto che la sua carriera era iniziata nel lontano 1971 quando era stata messa sotto contratto dalla Tamla Motown di Los Angeles come Stoney & Meatloaf (proprio quello, non ce sono altri!) e di cui, all’epoca, ufficialmente non fu pubblicato nulla ma quando il “bisteccone”  originale divenne una megastar a livello mondiale iniziarono a circolare degli strani dischi con quelle registrazioni che non c’entravano molto con lo stile di Meat Loaf dei tempi d’oro ma non erano male nella loro miscela di soul e rock.

Dopo quel primo periodo la Murphy se ne era tornata a Detroit, la città dove viveva e prima sede della Motown nonché patria di Bob Seger con cui Shaun iniziò una lunga collaborazione che si è protratta fino ai giorni nostri. Credo che sia presente come backing vocalist anche nel tour attuale (e sembra finale, pare che si ritirino tutti) di Seger. Ha cantato, dal vivo e in studio, anche con una miriade di musicisti famosi e non, dai Moody Blues a Herbie Hancock, Phil Collins, Glenn Frey, Joe Walsh, Maria Muldaur, Bruce Hornsby, Michael Bolton (nessuno è perfetto), Alice Cooper, JJ Cale, Coco Montoya e tantissimi altri ma le è rimasta la passione per il soul e il Blues e dal 2009 ha iniziato una carriera da solista e in tre anni ha pubblicato 3 CD autogestiti di cui questo Live At Callahan’s Music Hall è forse il migliore, ma anche Livin’ The Blues e The Trouble With Lovin’ sono gagliardi ancorché di non facile reperibilità, per usare un eufemismo.

Accompagnata da quella che chiama nelle note del Cd “My Wonderful Band” , un solido quartetto, tastiere, chitarra e sezione ritmica più due voci femminili di supporto e in alcuni brani una sezione di quattro fiati, il repertorio è composto da classici del soul e del Blues con una preferenza per il repertorio di Koko Taylor (che deve essere una “preferita” della Murphy) ma anche brani come Come To Mama firmata Willie Mitchell/E.Randle e che viene dal repertorio della grande Ann Peebles o Can’t No Grave Hold My Body Down che era uno dei cavalli di battaglia di Sister Rosetta Tharpe e qui viene ripresa in una ottima versione. Anche Someone Else Is Steppin’ In è un solido errebi firmato da Denise Lasalle e spicca pure una bella versione strumentale di Amazing Grace che lascia spazio all’ottimo gruppo che l’accompagna.

Lei ha una bellissima voce che in certi momenti, per l’intonazione, mi ricorda quella della compianta Phoebe Snow, una cantante che sapeva fondere nella voce musica bianca e nera con grande feeling e in altri Tracy Nelson un’altra che non scherza quanto a polmoni, ma se avete sentito i dischi di Little Feat e Bob Seger sicuramente la conoscerete. Ottimo anche il duetto “rustico” con il suo tastierista dalla voce vissuta, Larry Van Loom in una Hopelessly In Love With You scritta da un bluesman contemporaneo, Mike Holloway. Molto bella anche la versione di un brano del grande Frankie Miller I Know Why The Sun Don’t Shine di cui recentemente è uscito un cofanettino imperdibile con l’opera omnia per la Chrysalis negli anni ’70. Nel finale quando arrivano i fiati la temperatura sale, prima con Gonna Buy Me A Mule e Love of Mine e poi con due fantastiche cover di Down In The Flood di Bob Dylan a tempo di boogie e It Feels Like Rain, uno dei brani più belli di John Hiatt al quale viene resa piena giustizia. Una mezza stelletta in più sulle canoniche tre, per la parte finale, la meriterebbe ma la nostra amica è proprio brava, gran voce!

Bruno Conti 

Dal “Profondo” Dell’America. JD Malone & The Experts – Avalon

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JD Malone & The Experts – Avalon – CD+DVD – Its About Music 2011

 Spendere oggi con coscienza il proprio denaro nell’acquisto di costosissimi CD, è cosa ardua. La scelta è vasta, l’offerta supera senza dubbio la domanda, ed organizzare le risorse è obiettivamente difficile. Chi avrà un po’ di spregiudicato coraggio e comprerà il CD di tale JD Malone & The Experts, non rimarrà deluso. Il nostro, nato in una piccola cittadina di nome Bennington nello Stato del Vermont, è stato il fondatore e frontman di un gruppo di nome Picnic Steamroller dalla scarsa visibilità, per approdare nel Settembre 2004 a lavorare con gente come Gerry McWilliams, Pete Donnelly, ed artisti del livello di Natalie Merchant, Amos Lee e Wallflowers. Nel 2008 JD ha pubblicato il suo primo EP Dia de los muertos, seguito nel 2010 dal secondo disco solista Save My Face, che lo porta a condividere il palco con nomi altisonanti tipo Eric Andersen e Tom Gillam.

C’è un intero mondo rock in questo Avalon, un mondo che va da Bob Seger a Willie Nile,i Del Lords, passando per Joe Grushecky, un genere che ormai è ridotto a nostalgia e solo le ristampe e le “outtakes” lo tengono in vita. Accompagnato dai fidati Experts, compagni di tante bevute, con Tommy Geddes alla batteria, Avery Coffee alla chitarra, Jim Miades al basso, e il bravissimo Tom Hampton che suona di tutto, dalle chitarre, al mandolino, al dobro e pedal steel, per una musica immediata, diretta, con ritmo e potenza alla maniera dei grandi rockers, tipicamente “blue collar”.

Si parte alla grande con una stradaiola Silver From, che rimanda ai primi Bodeans, cui fa seguito Still Love you una ballata in mid-tempo in cui il fraseggio di JD, eccelle. Leave Us Alone altra ballata con una bella melodia e un delizioso riff di mandolino presente nel ritornello, preludio di un cambio di ritmo con una “rokkata” She Likes cantata in versione Blues. A questo punto devo chiedervi di rilassarvi perché è il turno di una delle perle del disco Sweet Evil Things, con la chitarra di Hampton che cuce la canzone dalla prima all’ultima nota, e su questo tessuto si sviluppa una ballata degna del miglior John Hiatt. Si ritorna alla normalità con una Just Like New, troppo simile a mio avviso a tanti brani senza particolari acuti, per smentirmi subito con una superba Avalon , una canzone piena di pathos e la voce di Malone, in gran forma che ricorda il grande David Gray.

Seguono una Ballad of Mr.Barbo che si sviluppa con un giro di basso, per una bella progressione armonica che accompagna una bella melodia, e una struggente Black Yodel con la pedal steel sugli scudi. Si arriva all’unica “cover” del disco, una coraggiosa Fortunate Son dei Creedence Clearwater Revival, eseguita con cuore e passione, come dovrebbe sempre essere per i brani “immortali”. Do what you can do, passa inosservata, mentre Emerald Lake per contro è una ballatona di altri tempi, con contrappunto della pedal steel di Tom, che consiglierei di ascoltare a qualunque animo inquieto. Capolavoro. Chiude il lavoro una lunga Emmit Meets a Demon con ritmica possente, tutta suonata tra basso e batteria in forma vagamente psichedelica, a dimostrare le bravura di quelle “canaglie” degli Experts. Il CD presenta inoltre 5 Audio Tracks eseguite dal vivo e un DVD di performance in Studio durante la registrazione del disco.

Avalon può essere senz’altro il primo passo per avvicinarsi ad un “rocker” onesto e sincero, figlio come tanti altri  della “working class hero”, in fondo la buona musica richiede qualche sacrificio e un pizzico di coraggio, anche di chi acquista i CD. Cercatelo, ne vale la pena.

Tino Montanari

Un Altro Texano Doc! Nathan Hamilton – Beauty Wit And Speed

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Nathan Hamilton – Beauty Wit and Speed – Nathan Hamilton 2011

Confesso subito di avere un debole per Nathan Hamilton, per il suo modo semplice di intendere la figura del cantautore, per le sue canzoni così emozionanti, per il suo stile diretto e personale. Alcuni suoi lavori sono nella lista dei miei dischi preferiti da sempre e comunque, l’esordio di Tuscola del 1999 è in assoluto il CD a cui sono più legato, sia per la struttura musicale dell’opera in questione, sia per le sue influenze musicali da ricercare in alcuni songwriters texani. Nathan nato e cresciuto ad Abilene in Texas, attualmente vive e risiede da 15 anni ad Austin, e nel tempo ha pubblicato 5 album da solista oltre al menzionato Tuscola, All for love and wages del 2002, Live at Floore’s Country Store del 2003, Six black birds del 2007, e Receive del 2008 di difficile reperibilità, e 2 in qualità di membro della Good Medicine Band.

L’album co-prodotto con l’ingegnere del suono Britton Beisenherz, è stato registrato negli studi Ramble Creek di Austin, e si avvale di meravigliosi musicisti come Kevin Russell  dei Gourds al mandolino, Jeff Lofton alla tromba, Greg Vanderpool alle chitarre, Amy Cook al controcanto, e altri “turnisti” di valore. Se il clima prettamente cantautorale del suo promettente debutto aveva svelato un autore sensibile, il nuovo lavoro Beauty Wit & Speed a distanza di anni sembra ripartire da quelle salde basi con un suono notevolmente elettrificato, con ballate epiche e passionali.

L’apertura è affidata ad una pianistica A red thread runs, brano strumentale molto delicato, cui fa seguito una ballata Through ether and time con uno stupendo cantato in versione John Hiatt e In all that we might find, altro brano di spessore con il mandolino “pizzicato” di Russell e la voce delicata al controcanto della bella Amy Cook. Un suono “desertico” introduce Fire to Metal con una ritmica saltellante, impreziosita dal suono delle chitarre. Si ritorna ad una ballata intimista Rust of Age, con il piano di Nathan e la tromba di Lofton a disegnare un tessuto sonoro di rara bellezza. Si cambia decisamente ritmo con una The heart that aches to open vagamente “pettyana”, dove tutta la band si esprime al meglio per un brano che eseguito dal vivo troverà una sua dimensione ottimale. Detto questo, non si può ignorare il fascino “fuorilegge” di Until we both believe, ballata country-rock dal passo sciolto che mette in risalto lo stile romantico di Hamilton. Un accordo di chitarra introduce Our Roadside Prayers, ennesima traccia ballad oriented dalla melodia solare, che sembra uscita dall’ultimo bellissimo lavoro di Ryan Adams Ashes & Fire, cui fa seguito la “perla” del CD, una The days of Caution cantata in coppia con Amy Cook, che parte in versione sognante, per finire con un crescendo micidiale per l’intensità del suono che si dilata nella parte finale, una canzone considerata dal vostro umile recensore tra le più belle dell’anno. Chiude il disco A prism of Grace una composizione soffice e quasi acustica, seguito da un altro brano strumentale To the days Reprise per chiudere degnamente il cerchio di un disco splendido.

Se amate i songwriters texani, non perdetevi questa proposta di Nathan Hamilton, sperando che il tempo renda giustizia a questo cantore di una America perduta, dove ogni sua canzone colpisce l’immaginario dell’ascoltatore con ballate languide tra musica e poesia che, rimandano alle infinite praterie della sua terra. Grande disco Nathan. !!!

Tino Montanari

E Intanto John Hiatt Non Sbaglia Un Colpo! Dirty Jeans And Mudslide Hymns

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John Hiatt – Dirty Jeans And Mudslide Hymns – New West/Ird

Il titolo del Post parafrasa una vecchia canzone di Carboni che faceva riferimento a Dustin Hoffman (e forse l’ho anche già usato, ma ne scrivo talmente tanti che non mi ricordo, forse no) e si può applicare anche a John Hiatt e a questo suo nuovo Dirty Jeans…. Si diceva che è il ventesimo album di studio del musicista di Indianapolis (oltre a Live, raccolte e ai Little Village) e la bilancia pende sempre dalla parte della qualità.

Ci saranno le solite critiche: i dischi sembrano sempre “simili” tra loro, la voce a qualcuno dà “fastidio”, da quando non fa più la vita dell’outsider con sesso, droga e rock’n’roll (ma da anni ormai) le canzoni hanno perso quella patina di vita ai limiti, borderline, si tira dietro anche la figlia nelle tournée. Ma io rispondo, meglio tanti dischi di Hiatt, tutti uguali tra loro, comunque sempre belli, che decine, anzi centinaia di album inutili che escono ogni mese. La voce, ormai, è un gusto acquisito, ruvida ma gentile, subito riconoscibile, è una sorta di marchio di fabbrica, come per Springsteen, Petty, Morrison sai subito con chi hai a che fare. Oltre a tutto, in Italia, il nostro amico John è conosciuto soprattutto per Have A Little Faith In Me, che era la musica di una pubblicità di un budino e manco nella sua versione, e peraltro rimane, a detta di Hiatt, il suo miglior brano o quello che meglio lo rappresenta, però di canzoni belle ne ha scritte tantissime nel corso degli anni, per sé e per gli altri.

Per esempio, Train To Birmingham, che in concerto esegue da parecchio tempo e di cui esiste, tra gli altri, una bella cover di Kevin Welch, potrebbe essere una delle migliori canzoni in assoluto dedicate alla cittadina dell’Alabama, insieme a Boulder To Birmingham di Emmylou Harris, When Jesus left Birmingham di Mellencamp, Birmingham di Randy Newman, tanto per citarne alcune che ricordo ma ce ne sono a decine, anche Sweet Home Alabama la cita nel testo. Ebbene, un brano così bello, non lo aveva mai inciso fino a oggi, non solo, in un’intervista ha dichiarato che risale addirittura a 40 anni fa, una canzone scritta quando aveva circa 19 anni e mai utilizzata. Per la serie che c’è gente che ucciderebbe per scrivere certe canzoni ma, sfortunamente, non può e lui le scarta, e quasi ogni anno pubblica immancabilmente un disco nuovo.  La versione incisa per questo album, con la slide di Doug Lancio in evidenza, ha la serena consapevolezza della musica attuale di John Hiatt, tra country, blues e southern roots music come nelle sue migliori abitudini. Anche un brano come la conclusiva When New York Had Her Heart Broken, che è più farina del sacco del produttore Kevin Shirley a livello musicale, e nelle sue derive ambientali ricorda vagamente certe produzioni di Lanois, è un brano scritto una decina di anni fa in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e poi non usato, rispolverato per l’occasione su richiesta dello stesso Shirley, che si trovava a New Yo rk con la famiglia e ha un particolare ricordo di quell’avvenimento. Non sarà bellissima, ma emoziona e ha un suo fascino particolare, diverso dallo stile abituale di Hiatt.

Il resto è il “solito” Hiatt ma averne di dischi così: dopo vari ascolti mi sembra di poter dire che siamo più o meno ai livelli del precedente The Open Road (uno dei suoi migliori in assoluto), ci mette un attimo di più a entrarti in testa ma è pieno di belle canzoni. Dal rock tirato e chitarristico dell’iniziale Damn This Town con la solita slide di Lancio in caccia di assoli, la ritmica di Patrick O’Hearn e Kenny Blevins sempre precisa e inventiva, forse la differenza è nel suono più “professionale” di Shirley con la batteria più marcata, una coloritura delle tastiere che rimangono ai limiti della percezione ma incidono nel suono, la voce in primo piano, ma non mi sembrano elementi fastidiosi e si notano nei brani più mossi. Nei “suoi” pezzi come la ballata a tempo di valzerone country ‘Til I Get My Lovin’ Back con la pedal steel di Russ Pahl in grande spolvero, torna il suo proverbiale romanticismo e il suono ti si adatta come un paio di vecchi calzini, con rispetto parlando. I Love That Girl ha l’aspetto gioioso delle canzoni più allegre di Hiatt con il call and response irresistibile dei cori che si riallaccia alle migliori tradizioni del R&B più spensierato e lui la canta con una convinzione ammirevole.

Lo spettro sonoro si arricchisce del country-folk blues acustico della deliziosa All The Way Under con il mandolino di Lancio a duettare con una fisarmonica paesana.

Don’t Wanna Leave You Now è una delle sue classiche slow songs avvolgenti, impreziosita (o appesantita, a seconda dei punti di vista) da un sontuoso arrangiamento orchestrale di Shirley, che ricorda certe canzoni del canone di Van Morrison, ascoltate il basso di O’Hearn che ricorda i giri armonici di David Hayes. Detroit Made, di nuovo rock, riporta lla mente, per certi versi, la classica Memphis In The Meantime con la band che gira alla grande e con Lancio che si conferma degno erede dei chitarristi che lo hanno preceduto nella band di Hiatt, Cooder e Landreth in primis! Hold On For Your Love è un altro di quei lenti epici, in crescendo, che appartengono alla sua migliore tradizione, forse già sentito ma si riascolta con gran piacere anche perché lui canta, mi ripeto, con decisa e ritrovata convinzione (da qualche album a questa parte) le sue storie tipicamente americane e non manca anche in questo brano l’assolo di Lancio, veramente protagonista in questo CD.

Di Train To Birmingham abbiamo detto, Down Around My Place, con l’organo di Reese Wynans che aggiunge spessore ad un brano che è tra le perle dell’album con la sua atmosfera di nuovo epica e chitarristica, quasi acida, vagamente Younghiana, conferma il momento di grazia del cantautore dell’Indiana. Manca Adios To California, di nuovo ballata ritmata di confine con la lap steel di Pahl in grande spolvero che risponde alle chitarre di Lancio per un brano ancora una volta di grande fascino e con quella bellissima voce, tra le migliori in circolazione, che ti cattura inesorabilmente

Per me, molto bello, come sempre tra i migliori dell’anno, poi fate voi, ma state attenti che vi controllo!

Bruno Conti

Novità Di Agosto Parte I. John Hiatt, Kenny Wayne Shepherd, O.A.R., Keb Mo’, Drive-By Truckers, Fountains Of Wayne, Richard Buckner, Eccetera

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Come già ho ricordato, mentre in Italia nel mese di Agosto il mercato discografico se ne va in siesta, negli Stati Uniti e in Inghilterra è uno dei momenti più densi di uscite interessanti, quindi vediamo cosa esce il 2 agosto.

Tanto per gradire, il nuovo John Hiatt Dirty Jeans and Mudslide Hymns, ennesimo capitolo della carriera del cantautore di Indianapolis, ventesimo album di studio e quinto per la New West. Sto ascoltandolo in questi giorni e mi riprometto di riferire nei prossimi giorni (tanto anche le riviste di settore sono in ferie), nel frattempo vi anticipo che, come al solito è molto bello (ma qui sono parziale, visto che è uno dei miei preferiti), nuovo produttore, Kevin Shirley lo stesso di Bonamassa, ma il suono non cambia poi di molto, e stessa band del disco precedente con Doug Lancio alla chitarra. E come al solito c’è anche la versione CD+DVD con il making of del disco e dei brani ripresi durante l’incisione del disco.

Nuovo disco anche per Kenny Wayne Shepherd dopo lo strepitoso Live! In Chicago dello scorso anno. Si chiama How I Go, esce per la Roadrunner, molto alla Bonamassa direi, forse qualche ballata in più, grandi assoli come di consueto e tre cover di spessore, Oh, Pretty Woman di Albert King, Backwater Blues di Bessie Smith e Yer Blues dei Beatles. Manco a dirlo c’è anche una Special Edition, singola, in formato digipack, ma con 4 brani in più.

E, dopo il quadruplo Live Rain or Shine, nuovo album di studio per gli O.A.R. (Of A Revolution), titolo King, viene pubblicato dalla Sbme (Sony Bmg/Wind Up). Decisamente più commerciale del solito per la jam band americana, c’è anche un brano King con Russell Simmons e Dj Logic, qualche brano leggermente reggato e, ovviamente, la versione Deluxe con quattro brani in più nella versione audio e 2 brani acustici nel DVD, nonchè la presentazione del disco e un’intervista track by track.

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Keb Mo’ The Reflection viene pubblicato dalla Yolabelle International, un po’ più elettrico e jazz and soul del solito. Ci sono molti ospiti: David T. Walker, India.Arie, Vince Gill, Marcus Miller, Mindi Abair e Dave Koz. Solita voce bellissima e melliflua, suono molto più fusion alla George Benson. Bella la cover di One of These Nights degli Eagles.

Se non avete nulla dei Drive-By Truckers, questo Ugly Buildings, Whores and Politicians – Greatest Hits 1998-2009 raccoglie il meglio del loro periodo con la New West. Brani scelti da Patterson Hood con un paio di versioni “alternative”. Ottimo rock classico.

Anche i Fountains Of Wayne pubblicano un nuovo album: Sky Full Of Holes, etichetta Yep Rock negli States e Lojinx in Europa. Pensavo si fossero sciolti ma poi ho verificato e ho visto che anche il precedente era uscito a 4 anni di distanza da quello prima e così andando a ritroso. Se amate il loro power-pop-rock spensierato non ci sono molte variazioni rispetto al solito.

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Richard Buckner è uno di quei “beautiful losers” che spesso cito in questo Blog, amatissimo dai colleghi è uno dei secreti meglio custoditi della musica internazionale. I suoi album sono sempre molto belli ed inconsueti ed anche questo Our Blood che esce per la Merge Records non cambia le cose. Atmosfere sospese e rilassate e una voce alla Nick Drake. Sono passati 5 anni dal precedente Meadow ma i fans saranno contenti e neofiti sono bene accetti!

Anche Rod Picott è cantautore di “culto”, questo Welding Burns esce dopo tre anni dal precedente See Your Heart With Wires registrato in coppia con Amanda Shires. La bella cantante e violinista è sempre presente come pure Will Kimbrough. Se volete scoprire perché è uno dei preferiti di Mary Gauthier e Slaid Cleaves questa è l’occasione buona. Distribuzione autogestita.

E per finire, nuovo disco per i They Might Be Giants, Join Us, in America su etichetta Rounder è già uscito da un paio di settimane.

E’ tutto anche per oggi.

Bruno Conti

Vecchi Rockers “Resistono”! Todd Thibaud – Live At The Rockpalast Crossroads Festival

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 Todd Thibaud – Live at the Rockpalast Crossroads Festival  – Blue Rose – 2 CD + DVD

Questo cd è già sul mercato da alcuni mesi, ma data l’enorme quantità di uscite che si sono accumulate nelle ultime settimane, abbiamo atteso un po’ di tempo prima di recensirlo più ampiamente. Todd Thibaud viene dallo zona di Boston, aveva dato notizia di sé anni fa col gruppo dei Courage Brothers con due ottimi lavori, Something Strong del 1993 e Wood dell’anno successivo, poi ha iniziato una pregevole carriera solista, quando è passato sotto l’egida della Blue Rose Records dando alle stampe Favorite Waste of Time, disco prodotto da Kevin Salem dalla forte impronta chitarristica, paragonato subito adaltri artisti minori come Pete Droge o grandissimi come Tom Petty. In seguito ha inciso abbastanza regolarmente: Little Mistery (1999), Church Street Live e Hot FM Session due album live del (2001), Squash (2002), Northem Skies (2005), un Best e un altro Live nel (2006), e Broken (2009), dispensando un suono che spazia tra Rock e radici, con molte influenze Country, Folk e Blues, e suoni godibili dalla prima all’ultima nota.

Bene siete quindi avvisati, il buon Todd sa come far viaggiare il proprio Rock tra ballate che profumano di California e accelerazioni nello stile del più puro guitar rock, creando quell’alternanza di stili e situazioni, ora introverse da “cantautore” ora estroverse da “rocker” tipiche nei dischi di gente del calibro di Steve Wynn ed Elliott Murphy. Con Thibaud vocals, guitar e armonica, suonano il chitarrista Thomas Juliano, il bassista Joe Klompus, il batterista Pete Caldes e il mandolinista Sean Staples che fanno sentire il loro peso e si amalgamano al sound brillantemente impastato di chitarre acustiche e elettriche, dando anima ad un suono di classica “Americana”.

Trasferiamoci sul palco del Rockpalast di Bonn nell’ambito del Crossroads Festival dove si è tenuto il concerto il 26 Marzo del 2009, iniziando con l’elettrica Drifting, seguita dal mid-tempo di Changing Now, proseguendo con una Is it Love? che sembra uscita da un lavoro di John Hiatt , e da una ballata sognante come Louisiana con il mandolino di Sean Staples a disegnare accordi incantevoli.

Dopo la immancabile presentazione della Band, si riparte con Broken tratta dall’ultimo album in studio, cui fa seguito un’altra ballata di spessore Anywhere con la voce da “balladeer” di Todd ad incantare il pubblico. Chiude la prima parte del concerto una sequenza pettyana composta da Sweet Destiny, On My Own Again e Little Mystery tratta dal primo lavoro da solista.

La seconda parte inizia nel miglior modo possibile con una maestosa I Go On con in evidenza il mandolino di Staples, a ricordarmi un cantautore di cui purtroppo non ho più notizie, tale Chris Burroughs. Si prosegue con Isn’t Love My Friend con un intro alla Steve Wynn, e percorso per tutta la durata del brano dal mandolino solista del solito Staples. Si cambia decisamente ritmo con una Blue Skies Back in versione country, per passare ad una serenata campestre come Man That I Am, seguita da una ballabile Stone I Can’t Roll dall’incedere rootsy. Si ritorna ad atmosfere delicate con una Simple Man (che non è quella dei Lynyrd Skynyrd) cui fanno seguito una ritmata You & Me, una trascinante Dragging Me down con armonica di supporto, e una Finding Out con una grande sezione ritmica. Dopo 90 minuti di ottima musica, si chiude alla grandissima con l’unica “cover” del cd una Dead Flowers dei Rolling Stones trascinante nell’incedere e suonata con cuore e passione.

La musica proposta da Thibaud è una miscela di tutte le componenti necessarie per creare una musica che va diritto al cuore di chi ascolta, raccontandoci piccole storie personali e di amore eterno. Indispensabile per i neofiti, augurandomi che venga finalmente riconosciuta la sua bravura come merita. Se posso permettermi un consiglio, investite senza esitazione i vostri svalutati Euro, in fondo questa confezione 2 CD + DVD dell’intero concerto, costa meno di un CD di Marco Carta. Meditate, gente, meditate. 

Tino Montanari

In Deciso Anticipo Ma…David Bromberg – Use Me – Uscita Ufficiale 12 Luglio

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David Bromberg – Use Me – Appleseed Recordings/Ird

Ma…quale sarebbe il vantaggio di avere un Blog indipendente con Post giornalieri se non ne approfitti? E quindi anche se manca più di un mese alla uscita ufficiale del nuovo album di David Bromberg Use Me visto che per vari motivi ne posso parlare, parliamone!

Intanto il disco “aleggiava” nell’aria (e nel sito di Bromberg) già da tempo, insomma era atteso dagli addetti ai lavori.

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Esattamente 40 anni fa, nel 1971, usciva il primo disco omonimo del nostro amico (Columbia C 31104, proprio questo sopra) e poi in rapida successione altri tre grandissimi album sempre per la Cbs americana, Demon In Disguise nel 1972, Wanted Dead Or Alive nel 1974 e Midnight On The Water nel 1975. Album che sono stati tra i primi caposaldi di quella che allora non si chiamava ancora “Americana” o Roots Music ma in fondo lo era. Una fusione di rock, blues, folk, country (ma anche bluegrass e jazz) e musica da cantautore che seguiva l’esempio della Band, dei Little Feat, dei Grateful Dead meno lisergici e anticipava altri artisti che negli anni ’70 avrebbero frequentato questi percorsi.

Grande chitarrista elettrico ed acustico, ma anche violinista e ottimo al dobro, alla pedal steel e al mandolino. Sessionman con Dylan, George Harrison (che firmerà con Bromberg The Holdup presente nel disco di esordio), con Jerry Garcia, con Jerry Jeff Walker di cui riprenderà Mr. Bojangles in una delle più belle versioni in assoluto. Ma anche ottimo cantante, con quella sua voce particolare, sorniona, in grado di spaziare in tutti i generi rimanendo sempre sé stesso. Nella seconda metà degli anni ’70 passa alla Fantasy con cui esordirà con l’ottimo doppio How Late’ll Ya Play ‘Til?, metà in studio e metà dal vivo e poi ancora con Reckless Abandon, Bandit in Bathing Suit, My Own House, meno belli ma sempre di notevole spessore. Poi un paio di album a fine anni ’80, inizio ’90, Long Way From Here e Sideman Serenade e infine un lungo silenzio che faceva pensare ad un suo ritiro, interrotto da qualche antologia e disco d’archivio.

Nel 2007 esce per la Appleseed un nuovo album, Try One More Time, completamente acustico e tradizionale che ottiene anche una nomination ai 50esimi Grammy nella categoria Best Traditional Folk Album. E finalmente oggi (evidentemente ci ha ripreso gusto) esce questo Use Me che lo riporta ai fasti dei primi album. Undici brani con la partecipazione di alcuni musicisti straordinari che magari non vendono ma sono tra i migliori in circolazione.

Si parte con Tongue (l’unico brano firmato da Bromberg), la prima di due collaborazioni con Levon Helm (alla batteria per l’occasione), si prosegue alla grande con Ride On Out A Ways scritta appositamente per l’occasione da John Hiatt, uno di quei suoi tipici brani che Bromberg interpreta alla perfezione nello spirito dell’autore. Bring It With You When You Come è l’altro brano con Levon Helm e sembra uscito da un vecchio disco della Band, con Larry Campbell che produce. La caratteristica del disco è che il buon David si è recato nei vari studi degli ospiti sparsi per gli States e ha colto lo spirito della musica dei vari partecipanti.

E quindi il bluegrass di Tim O’Brien in Blue Is Fallen, il New Orleans Fonk nella “indiavolata” You Don’t Wanna Make Me Mad scritta per l’occasione da Dr.John che si esibisce anche, ovviamente, al piano e Bromberg che rispolvera per l’occasione la slide d’ordinanza. Ma anche dell’ottimo Blues nell’accoppiata con Keb Mo’ in Diggin’ In The Deep Blue Sea che è una rivisitazione scritta ai giorni nostri, in coppia con Gary Nicholson, del classico Texas Flood di Larry Davis.

Anche il duetto con i Los Lobos nel valzerone messicano The Long Goodbye è particolarmente ispirato. Cosi’ come il duello a colpi di solista con i Widespread Panic di Jimmy Herring nella jam chitarristica di Old Neighborood e Bromberg è ancora un grande al suo strumento. Ottimo anche il rendez-vous con una “vecchia amica” come Linda Ronstadt per la cover della soul ballad di Brook Benton It’s Just A Matter Of Time.

Poteva mancare il country primo amore? Se ti si presenta un certo Vince Gill con una nuova canzone scritta per l’occasione insieme a Guy Clark, Lookout Mountain Girl certo che no! Anzi gli lasci pure l’assolo di chitarra. Per concludere, un brano con i Butcher Brothers, una coppia di fratelli produttori di Philadelphia, Phil & Joe Nicolo, che spaziano da Bob Dylan ai Cypress Hill, per una cover morbida e melliflua del classico di Bill Withers, Use Me che dà il titolo all’album.

E voi (noi) dovrete aspettare più di un mese per ascoltare tutte queste meraviglie? Sono crudele ma non fino a questo punto, un uccellino mi ha sussurrato che il CD dovrebbe approdare nelle nostre lande, in netto anticipo sull’uscita ufficiale, nei prossimi giorni. Nell’attesa vi potete ascoltare questi brani dal suo sito useme02.html.

Bruno Conti