Un Altro Gruppo (Anzi, Duo) Che Non Tradisce Mai. Over The Rhine – Love & Revelation

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Over The Rhine – Love & Revelation – Over The Rhine/GSD CD

Ridendo e scherzando, anche gli Over The Rhine si avviano a celebrare i trent’anni di carriera. Infatti il duo originario dell’Ohio e formato dai coniugi Karin Bergquist e Linford Detweiler ha esordito nell’ormai lontano 1991 con l’autogestito ed ormai introvabile Till We Have Faces, anche se il sottoscritto ha cominciato a seguirli  esattamente dieci anni dopo, e per l’esattezza dall’ottimo Films For Radio, un album che mi aveva impressionato per le sue ballate crepuscolari, intense e profonde, che mi avevano fatto pensare che i due fossero più canadesi che americani: infatti nel loro suono trovavo più di una somiglianza con i Cowboy Junkies più classici e meno sperimentali, grazie anche alla seducente voce della Bergquist che non era molto distante da quella di Margo Timmins. Da Films For Radio in poi non ho più perso un solo album degli OTR, a partire dallo splendido doppio Ohio del 2003, per proseguire con titoli come l’autobiografico Drunkard’s Prayer (con brani ispirati dalla crisi coniugale dei due e dalla successiva riconciliazione), The Trumpet Child e gli ultimi due bellissimi lavori in studio (dischi natalizi esclusi) The Long Surrender e Meet Me At The Edge Of The World, entrambi prodotti addirittura da Joe Henry, il cui stile si era rivelato perfetto per le ballate autunnali dei nostri (senza dimenticare l’ottimo live a tiratura limitata https://discoclub.myblog.it/2017/05/02/nella-vecchia-fattoria-over-the-rhine-live-from-the-edge-of-the-world/.)

Love & Revelation è il titolo del nuovo lavoro di Karin e Linford, e dopo qualche attento ascolto non ho problemi a metterlo nel gruppo dei loro album più riusciti. Non c’è più Henry, che però ha lasciato ai coniugi Detweiler più di un insegnamento sui segreti di produzione, al punto che i due sono riusciti a non far rimpiangere la mano di Joe: l’album è poi stato pubblicato grazie ad una meritoria opera di crowdfunding, con tutti i contribuenti diligentemente elencati in uno dei due libretti acclusi. Ma la cosa più importante di Love & Revelation è che è composto da undici splendide canzoni, tutte originali e rappresentative dello stile dei nostri: musica intensa, lenta ma mai soporifera, con i suoni calibrati alla perfezione, arrangiamenti tra folk e rock, e come ciliegina le interpretazioni dense di pathos e classe da parte di Karin, la cui voce è il vero strumento aggiunto del disco. Dulcis in fundo, ad accompagnare i nostri (la Bergquist suona la chitarra acustica come il marito, il quale però si destreggia alla grande anche con il pianoforte) troviamo una serie di musicisti di livello egregio, la cosiddetta Band Of Sweethearts formata dalla sezione ritmica di Jennifer Condos (basso) e Jay Bellerose (batteria, un “residuo” della collaborazione con Joe Henry), dalle chitarre di Bradley Meinerding, le tastiere ed orchestrazioni a cura di Patrick Warren e la splendida steel guitar di Greg Leisz, grande protagonista del disco.

Che Love & Revelation (dotato anche di una bellissima foro di copertina) non sia un album qualsiasi lo si capisce subito da Los Lunas, una ballata dal passo lento ma dotata di un’intensità notevole, con gli strumenti che, pur essendo appena sfiorati, garantiscono un suono forte e presente, con la ciliegina della voce suadente di Karin e della splendida steel di Leisz che tesse con maestria sullo sfondo. Given Road inizia per voce e chitarra acustica, alle quali si aggiunge una leggera orchestrazione e la steel in lontananza, un brano rarefatto e profondo che cresce a poco a poco; Let You Down, cantata a due voci, è ancora una ballata anche se il tempo è leggermente più cadenzato, il motivo potrebbe far pensare ad un brano di stampo country ma l’arrangiamento è in bilico tra rock e cantautorato puro, con un suggestivo assolo di slide da parte di Meinerding. Broken Angels è splendida, con Karin che canta divinamente una melodia da pelle d’oca accompagnata solo da chitarra e pianoforte del marito (ma il resto della band entra al terzo minuto, anche se con molta discrezione): emozione pura; la title track è vivace, anche se c’è solo Karin, la Condos al basso e Bellerose alle percussioni, un pezzo ritmato e con un ritornello accattivante ed immediato, che dimostra che i nostri sanno scrivere musica a 360 gradi.

Making Pictures è un’altra bella canzone, uno slow pianistico con i suoni dosati e centellinati al millimetro (e qui si vede l’esperienza fatta con Henry), con un uso geniale dell’orchestrazione e la solita languida steel, mentre Betting On The Muse è un mezzo capolavoro, una rock ballad intensa e potente dalla melodia fantastica (vedo qualche influenza di The Band), guidata da piano e chitarre, i due coniugi che si alternano alle lead vocals con disinvoltura ed un ispirato assolo elettrico centrale: una meraviglia. Leavin’ Days è pura, cristallina e di stampo folk, con un ricco suono basato sugli strumenti a corda (due chitarre, due mandolini ed una slide acustica), Rocking Chair è solare e quasi pop, una sorta di filastrocca elettroacustica diretta e piacevole, al contrario di May God Love You (Like You’ve Never Been Loved), ennesimo brano struggente cantato dalla Bergquist con voce da brividi, anche questa tra le migliori del CD. Chiusura in tono soffuso con An American In Belfast, uno strumentale di grande forza espressiva per sole chitarra e steel. Gli Over The Rhine sono ormai da tempo un gruppo (o come ho specificato nel titolo del post, un duo) sul quale contare a scatola chiusa, e Love & Revelation ne è l’ennesima conferma.

Marco Verdi

Cantautore O Produttore? Joe Henry – Invisible Hour

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Joe Henry – Invisible Hour – Work Song/ Ear Music/Edel Records

Lo ammetto, sono un “fan” di lunga data di Joe Henry (cognato di Madonna, ha sposato la sorella Michelle, ma non è una colpa), dai tempi dell’esordio con Talk Of Heaven (86), e l’ho seguito negli anni, mentre uscivano Murder Of Crows (con Mick Taylor e Chuck Leavell) (89), lo splendido ma poco considerato Shuffletown (90) (andatevi a risentire la traccia iniziale Helena By The Avenue https://www.youtube.com/watch?v=l2nDnE4LQS8 ),  e poi ancora Short Man’s Room (92) accompagnato dai Jayhwaks, e Kindness Of The World (93), i due lavori più influenzati dal suono americana, la trilogia Trampoline (96), Fuse (99) e Scar (01); poi Joe ha firmato per la Anti Records e le cose sono cambiate, con un disco dal suono molto personale come il geniale Tiny Voices (03), e le raffinate incisioni dell’ultimo periodo con Civilians (07) con Bill Frisell e  Van Dyke Parks, Blood From The Stars (09), e infine le sfumature blues di Reverie (11). Nel contempo Joseph Lee Henry (il suo vero nome) ha imparato a fare il produttore iniziando con Bruce Cockburn (insieme a T-Bone Burnett), Teddy Thompson (figlio di Richard & Linda) , proseguendo con Solomon Burke (con cui ha vinto un grammy nel 2003), Ani DiFranco, Bonnie Raitt, Bettye Lavette, il suo amico Loudon Wainwright III e ultimamente, con uno dei miei gruppi preferiti, gli Over The Rhine, e  mille altri (anche Lisa Hannigan, che troviamo sotto, tra i collaboratori di questo album)…

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Mi viene da pensare che l’occasione di stare a contatto con musicisti di diverso genere ed estrazione musicale gli ha fatto certamente bene, lo ha stimolato ad apprendere tutte le mille sfumature che la musica offre, e ora tutto quello che ha appreso si certifica in questo nuovo Invisible Hour (che esce in questi giorni) uno dei suoi dischi migliori in assoluto, un lavoro intenso e maturo, musicalmente ineccepibile, curato sia negli arrangiamenti che nella stesura delle canzoni.  Registrato in una settimana nel suo studio di Pasadena, Joe come sempre si avvale di musicisti di grande qualità, tra i quali ricordiamo Greg Leisz e John Smith alle chitarre, David Piltch o Jennifer Condos al basso, Jay Bellerose alla batteria, il figlio Levon ai fiati, e tra gli ospiti la brava Lisa Hannigan (cantante e musicista irlandese, a sua volta, già collaboratrice di Damien Rice) e i Milk Carton Kids alle armonie vocali, e direi anche non trascurabile l’apporto del noto romanziere Colum McCann per la stesura dei testi.

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Pur non essendo un “concept album”, le canzoni di Invisible Hour girano attorno al concetto del matrimonio, come ha ricordato in alcune interviste lo stesso Henry, a partire dal trittico iniziale, con la magnifica Sparrow https://www.youtube.com/watch?v=f5nAIX1aM6w , Grave Angels https://www.youtube.com/watch?v=XSneRuPlN3I  e i nove minuti di una Sign dove è la voce di Joe a farla da padrona (tra Van Morrison e il miglior Dirk Hamilton), dialogando con il suono minimale degli strumenti https://www.youtube.com/watch?v=cRp1w8Zqr4g . Un tocco dolce di chitarra introduce la title track, Invisible Hour, composizione intensa e struggente https://www.youtube.com/watch?v=MTl25EQ9Zls , per poi passare alle trame più ricche e complesse di Swayed  e ai suoni quasi gospel di Plainspeak, con largo uso del sax da parte del figlio Levon, mentre nell’ottima Lead Me On troviamo Lisa Hannigan al controcanto.

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Lo spirito di Tom Waits aleggia nell’acustica Alice, mentre il ritmo si innalza con Every Sorrow, la canzone più “roots” dell’album, andando poi a chiudere con Water Between Us, una solida ballata melodica, introdotta dalle note del piano e accompagnata nello sviluppo da sax e clarinetto (ha tutte le qualità per entrare nel novero delle sue canzoni più belle), e nella conclusiva, lunga e intensa Slide, una di quelle composizioni che rimangono impresse nella memoria per lungo tempo.

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Anche se il suo “status” attuale di produttore supera quello dell’autore e cantante (ma non per chi scrive), Henry non rinuncia a pubblicare dischi, e dopo una lunga e importante carriera quasi trentennale https://www.youtube.com/watch?v=567GTsSgNtw , esce con questo lavoro raffinato e delicato, percorso da avvolgenti trame, acustiche e non, supportate dalla sua abituale voce calda e sinuosa, rendendo l’ascolto un esercizio di gusto e delicatezza. Per i pochi che ancora non lo conoscono, Joe Henry è un amante della musica, di quella vera, e Invisible Hour conferma la sua bravura di musicista e produttore, e quindi di essere ampiamente in grado di portare avanti entrambe le professioni. Tra i dischi dell’anno!

Tino Montanari

A Prescindere Dal Genere, Gran Disco! Over The Rhine – Meet Me At The Edge Of The World

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Over The Rhine – Meet Me At The End Of The World – 2 CD – Great Speckled Bird 03/09/2013

Gli Over The Rhine sono uno dei miei gruppi preferiti delle ultime due decadi e non hanno mai sbagliato un disco dai loro esordi, avvenuti ad inizio anni ’90. Ogni album è un piccolo capolavoro della band dell’Ohio (dovrei dire duo, visto che ormai sono rimasti solo Linford Detweiler e Karin Bergquist, coppia nella musica e nella vita), forse il migliore in assoluto è Ohio del 2003 ma al sottoscritto era piacuto parecchio anche The Long Surrender del 2011 nuove-tecniche-di-sopravvivenza-over-the-rhine-the-long-surr.html, il primo disco che segnalava il nuovo corso di album autofinanziati con l’aiuto di fans e simpatizzanti, tramite le cosiddette Kickstarter Campaign. Con questo sistema il gruppo si è potuto permettere l’utilizzo di un produttore come Joe Henry (e relativi musicisti al seguito) e in due sessions avvenute tra fine marzo e i primi di aprile agli studi Garfield House di South Pasadena ha registrato questo piccolo doppio gioiello che si divide in due parti appunto: Sacred Ground nel primo CD e Blue Jean Sky nel secondo CD. Per onestà devo dire che il tutto supera di poco i 60 minuti e quindi ci sarebbe stato su un unico compact, ma al di là della non facile reperibilità, per essere prosaici, non lo fanno pagare neanche troppo. E il lato artistico compensa abbondantemente quello finanziario.

I dettagli sulla loro carriera li trovate al link sopra e anche un tentativo di definire il loro genere musicale è sempre un’impresa, direi che si parte dal folk come base, ma poi si aggiungono mille sfumature, anche in questo caso nel precedente Post ci provo. I musicisti utilizzati da Joe Henry sono all’incirca quelli del disco precedente, con Eric Heywood che sostituisce Greg Leisz alle chitarre, soprattutto pedal steel, ma anche slide ed elettrica e il grande Van Dyke Parks al posto di Keefus Cianca alla fisarmonica, Bellerose, Piltch (o la Condos, al basso) e Patrick Warren (tastiere) rimangono al loro posto. Sembrano particolari trascurabili ma i musicisti che suonano in un disco sono importanti. Se hai delle canzoni all’altezza della situazione, ovviamente. E anche questa volta gli Over The Rhine non smentiscono la loro fama di autori di piccole grande canzoni. Ne cito due per iniziare: Don’t Let The Bastards Get You Down, una ballata agrodolce e atmosferica, quasi mitchelliana, con la presenza dell’unica “ospite”  del CD, in questo caso è Aimee Mann, nel precedente, in Undamned era Lucinda Williams. L’altra è It Makes No Difference, l’unica cover del CD, una splendida rilettura del capolavoro di Robbie Robertson e della Band, con l’organo di Warren e il mandolino di Heywood (o è Mark Goldenberg? anche lui impegnato alle chitarre nel disco) a sostituire Garth Hudson e Levon Helm, il sound è molto, come potrei dire, “canadese”, con ancora la grande Joni Mitchell, o così mi pare, come punto di riferimento.

Il resto del disco non è da meno. Joe Henry, spesso e volentieri, utilizza la tecnica del double-tracking per raddoppiare la bellissima voce della Bergquist, magia nela quake erano maestri George Martin e i Beatles, non gente qualsiasi. A partire dalla struggente title-track che ricorda, a chi scrive, anche certe cose della bravissima Rosanne Cash, o il rock narcotico dei migliori Cowboy Junkies, tra steel, slide e tastiere maestose si dipana una canzone lenta ma inesorabile nella sua bellezza. Il piano e l’organo di Called Home ricordano di nuove le sonorità dei grandi canadesi (anche un pizzico del Neil Young più bucolico), sempre con la doppia voce di Karin a librarsi sul tutto, mentre una steel si fa largo con autorità. Sacred ground, con la fisarmonica di Van Dyke Parks sullo sfondo(e che si ascolta anche in molti altri brani) potrebbe riportarci alle atmosfere dolenti di una Lucinda Williams o anche di Mary Gauthier, altro spirito affine, sia per tipologia vocale che per le tematiche toccate. E pure I’d Want You ha questo spirito sognante e drammatico che potrebbe ricordare, se non per il tipo di voce, agli antipodi, almeno nel tessuto sonoro, l’incedere di certe canzoni del grande Leonard Cohen, per quell’aria malinconica ma mai doma, tipica del canadese, le tastiere, la fisa e le chitarre come al solito ricamano alla grande. Gonna let my soul catch my body è un gospel-rock mosso con una chitarra “cattiva” che cerca di farsi largo tra le pieghe del brano. All Of It Was Music potrebbe essere una sorta di manifesto del loro modus operandi, drammatico e sospeso, ricorda ancora la Gauthier ma anche le “chansons” franco-irlandesi-mitteleuropee di una Mary Coughlan (è ovvio che queste sono solo suggestioni del vostro fedele recensore) filtrate attraverso la penna della coppia dell’Ohio, fanno capolino anche un vibrafono e la solita steel malandrina. Highland Country è un’altra ballata sontuosa dallo spirito country, con il pianino di Detweiler e la sua voce di supporto al cantato suggestivo di Karen Bergquist, sottolineata dalle evoluzioni di una pedal steel magica, per cantare i panorami del loro amato Ohio. Anche Wait, come la precedente, non può non ricordare le canzoni più belle della Joni Mitchell della maturità, solenni e composite nel loro incedere. E siamo solo alla fine del primo CD.

Il secondo si apre con la lunga All Over Ohio, altro inno alla loro terra natia, Linford Detweiler per la prima volta sale al proscenio per duettare con la moglie Karin, la sua voce è piana e gentile, ma ben si accoppia con quella dolcissima della consorte, il brano cresce in modo lento e oscillante, con il consueto profluvio di chitarre e tastiere accarezzate con rispetto dai musicisti che poi lasciano il proscenio alla “doppia” Bergquist nella parte finale della canzone. A proposito di coppie, Earthbound Love Song è un sentito omaggio ad una delle grandi coppie della musica, Johnny Cash & June Carter, deliziosa e delicata come poche. Against The Grain è un’altra piccola meraviglia country-folk che scivola sulle corde di una chitarra acustica e sulla steel di Heywood. Della cover della Band abbiamo detto, Blue Jean Sky è un altro inno alla bellezza della musica e della vita, cantata con passione dalla coppia, mentre Cuyahoga è un’intramuscolo strumentale di poco più di un minuto, che meritava di essere sviluppata nei suoi tratti acidi à la Cowboy Junkies. Baby If This Is Nowhere si avventura con classe in territori Blues e Wildflower Bouquet potrebbe uscire da Ladies Of the canyon o Blue, quando i cantautori erano grandi, ed occasionalmente possono esserlo ancora (anche la giovane Laura Marling, si abbevera a questa fonte). Altro breve bozzetto, questa volta pianistico, Birds of nowhere e ci avviamo alla conclusione con Favorite Time Of Light, altra piccola meraviglia sonora con la fisarmonica di Van Dyke Parks e il mandolino di Goldenberg a guidare le danze, a conferma di tutte le delizie che si dipanano su questo Meet Me At The Edge Of The World, diciannove ottime canzoni (OK, 17 e due brevi strumentali) disco da quattro stellette che si candida fin d’ora tra i migliori dischi dell’anno 2013!

Bruno Conti

I Migliori Dischi Del 2011! Un Anno Di Musica, Bis

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La prima lista dei migliori del 2011, quella “ufficiale” dei canonici 10 che poi apparirà anche sul Buscadero l’ho pubblicata i-migliori-dischi-del-2011-un-anno-di-musica.html, ma come promesso o minacciato mi ero riservato di ampliarla con tutto il resto che mi è piaciuto musicalmente in questo anno che sta per finire. Dopo aver partorito quella lista in seguito a lunghe “agonie” subito me ne sono venuti in mente a decine altri che avrebbero meritato (aiutato dal mio “collega” che vedete ad inizio Post) e in qualità di “duce unico”, amministratore e compilatore del Blog ve le sparo giù, magari a rate, tenendo a parte le categorie Box, Ristampe e Outsiders, e senza dimenticarmi della promessa di pubblicare il meglio delle varie riviste di settore. L’avvertenza è anche quella di non fare dei Post troppo lunghi (per quanto graditi da chi legge) e di non caricare troppi video e immagini che rendono la pagina “pesante” per chi non ha una buona connesione Internet, quindi cerco di dividere il “Best Of the Rest” magari in ordine cronologico come si è presentato durante l’anno, partiamo. Ah, dimenticavo, ringrazio e apprezzo complimenti ma anche eventuali critiche che appaiono nei Commenti, leggo tutto anche se non sempre rispondo e vi rinnovo l’offerta se volete pubblicare i vostri “migliori dell’anno” nell’ambito musicale.

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Il primo disco molto bello dell’anno, e che avrei inserito tra i Top 10, è stato quello degli Over The Rhine The Long Surrender… 

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Gregg Allman – Low Country Blues

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Sean Rowe – Magic

 

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North Mississippi Allstars – Keys To Kingdom

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Amos Lee – Mission Bell

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Brandi Carlile – Live At Benaroya Hall

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Paul Simon – So Beautiful Or So What (Collector’s Edition), così ne approfitto per ricordarvi questa ulteriore versione doppia, dopo la normale e la Deluxe uscite ad Aprile, a metà Novembre è uscita un ulteriore versione con un DVD con 5 brani registrati dal vivo alla Webster Hall di New York con So Beautiful or So What,” “Dazzing Blue,” “The Afterlife,” “Mother and Child Reunion,” e “Slip Slidin’ Away.” E che caspita!, non si può comprare 18 volte lo stesso disco! O sì?

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David Bromberg – Use Me

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Dave Alvin – Eleven Eleven

 

Questo però nei migliori dieci lo dovevo mettere! Se volete potete considerare questo Post anche come un “consiglio per gli acquisti natalizi” o come quelle compilations che una volta si facevano in cassetta e poi in CD e ora sull’Ipod, il piacere di consigliare agli amici!

Fine della prima rata, a seguire…

Bruno Conti

Nuove Tecniche Di Sopravvivenza. Over The Rhine – The Long Surrender

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Over The Rhine – The Long Surrender – Self-released – dall’8-2-2011 Great Speckled Dog

Gli Over The Rhine attualmente sono Karin Bergquist e Linford Deteweiler, rispettivamente cantante, pianista e chitarrista acustica e tastierista, bassista e seconda voce, nonché marito e moglie e, fattore non trascurabile autori di testi e musica dei loro bellissimi dischi (e qui, come vedete, già mi schiero)! Tutto nasce, però, nel lontano 1991, esattamente 20 anni fa, in quel di Cincinnati, Ohio di cui Over-the-Rhine è il nome di un quartiere storico, uno dei più antichi dell’architettura degli Stati Uniti.

Nascono come quartetto e poi hanno perso per strada il chitarrista e il batterista originali (anche se lungo il percorso, su disco e dal vivo, alcune volte si sono ritrovati). Questo è il loro undicesimo disco (compresi due dischi natalizi ed esclusi cinque CD dal vivo e alcune raccolte anche con materiale inedito): anche se alcuni meritevoli dispensatori dell’opera degli Over The Rhine in rete gliene hanno attribuiti 14, probabilmente dopo una veloce occhiata alla discografia in Wikipedia che ne riporta alcuni più volte, peccato veniale.

Il disco ha avuto una gestazione molto lunga e laboriosa (il precedente The Trumpet Child risale al 2007) in quanto la coppia ha dovuto affidarsi alla benevolenza di fans e ammiratori per poter creare questo nuovo album e a questo si riferisce il titolo del Post. In pratica i due hanno chiesto di essere finanziati per registrare questo disco e con i proventi delle donazioni, spesi benissimo, hanno realizzato questo The Long Surrender.

Per i novizi della loro musica e per inquadrarli potremmo dire che il filone in cui inserirli, File Under, potrebbe essere il folk ma è un termine riduttivo, pensate ai Cowboy Junkies, a Lucinda Williams, a Mary Gauthier, anche in termini qualitativi ed avrete un’idea di cosa aspettarvi.

Ma dicevamo di questo nuovo disco. Il primo passo è stato quello di assicurarsi un produttore come Joe Henry che non solo ha aderito all’operazione con entusiasmo ma ha anche firmato due brani con la coppia Bergquist-Detweiler (e a questo proposito un’altra coppia che viene alla mente, come termine di paragone, è quella di Gillian Welch e David Rawlings); non solo, Henry si è portato dietro anche il suo consueto manipolo di fidi musicisti che, sorprendentemente, suonano sempre uguali ma diversi nei dischi dove appaiono. Sono loro, hanno quel sound ma sanno adattarlo alle personalità dei musicisti con cui suonano. Quindi abbiamo Jay Bellerose alla batteria, David Piltch al basso, Greg Leisz che suona qualsiasi tipo di chitarra anche se eccelle alla lap steel, alla pedal steel e alla slide (cosa rimane?). Alle tastiere ci sono Keefus Cianca e Patrick Warren, al sax (un po’ di sano nepotismo), il figlio di Henry, Levon (mi piace pensare che il nome venga o dal batterista della Band o dal brano di Elton John, sarebbe perfetto!). Per concludere ci sono tre voci di supporto di estrazione soul James Gilstrap, Niki Harris e Jean McClain.

Il risultato è il loro disco migliore, quello più vario e soddisfacente e uno dei migliori di questo scorcio iniziale del 2011, anche il primo di cui vi parlo in anticipo, per essere precisi, visto che ufficialmente esce l’8 febbraio anche se è già disponibile sul loro sito sia per il download che per l’acquisto http://www.overtherhine.com/. La casa che lo pubblica è la Great Speckled Dog che prende il nome dal loro alano, Elroy. L’altra curiosità è che il disco è stato registrato negli studi casalinghi di Joe Henry, Garfield House in quel di Pasadena, South California.

Dimentico qualcosa? Certo che sì! C’è un’altra ospite di nome, Lucinda Williams che duetta alla grande, con la sua voce dolente e vissuta, nel brano Undamned con Karin Berquist, e le due voci si alternano e si integrano in modo mirabile in un brano che qualcuno ha paragonato alla epopea di John Ford, giuro che non ricordo dove l’ho letto ma condivido l’immagine sonora che se ne ricava. E questo è addirittura il quinto brano che incontrate. Prima ce ne sono altri bellissimi e intensi a partire dall’iniziale The Laugh Of Recognition, che dopo una breve introduzione strumentale deliziosa, tra piano, chitarre slide e steel, strumenti acustici e una sezione ritmica rimbalzante ci introduce al meraviglioso cantato della Berquist che ci regala una prima perla di equilibri sonori delicati e forti al tempo stesso con la sua voce calda ed espressiva che non si può descrivere (ci si prova) ma bisogna sentire. I fans ed ammiratori già sanno, ma qui è tutto perfezionato dalla maestria di Joe Henry.

La sequenza dei brani iniziali è fantastica: la pianistica, tra il mitteleuropeo il francese e una punta di jazz, Sharpest Blade, è cantata con voce sensuale ed avvolgente mentre Rave On è una ballatona notturna e viscerale che si potrebbe definire folk-psichedelica con la voce della Berquist che assume tonalità quasi alla Kate Bush in certi momenti del brano, bellissimo brano in ogni caso. Soon ha ancora quell’andatura europea quasi tzigana mista a qualche accenno di tango, molto melodrammatica.

Di Undamned abbiamo già detto mentre Infamous Love Song (un titolo alla Cohen o alla Tom Waits) si dipana nei suoi oltre sei minuti ancora tra cabaret e musical, con atmosfere jazzate e fumose che mi hanno ricordato quelle dei dischi della grande cantante irlandese Mary Coughlan. La dolce Only God Can Save Us Now è un brano dalla matrice country-gospel (tipo l’ultimo disco di Patty Griffin) con le voci dei coristi che circondano e rinforzano quella della brava Karin e Greg Leisz cesella da par suo un assolo di dobro o national guitar.

Oh Yeah By The Way si avvale di altre voci, maschili (Detweiler?) e femminili per una ulteriore delicata folk-country song. The King Know How si avventura in territori tra folk e soul con le voci dei coristi e delle coriste che sottolineano la voce calda e morbida della nostra amica. There’s A Bluebird In My Heart è un brano jazz fatto e finito con tanto di assolo di sax di Levon Henry, che si discosta dal sound totale del disco e potrebbe (ma anche no) presagire future svolte sonore. Days Like This (non quella del grande Van) farebbe il suo figurone in qualsivoglia disco dei Cowboy Junkies, Lucinda Williams o Gillian Welch, una ballatona con una pedal steel malinconica che ricorda anche certe cose country di Norah Jones ma si eleva a vertici vocali qualitativi di assoluta eccellenza.

All My Favorite People con una lunga introduzione pianistica tra blues e New Orleans si tramuta in una stupenda ballata in crescendo dove la chitarra slide di Leisz, nuovamente il sax, le tastiere, entrano mano a mano nella canzone e la tramutano in una sorta di affascinante inno gospel profano, emozionante e ricco di feeling interiore. E a questo punto in una sorta di concerto ideale si poteva anche finire. Ma gli Over The Rhine ritornano con una breve coda strumentale intitolata Unspoken che ricorda il sound dei dischi di Joe Henry e chiude in serenità questo ottimo The Long Surrender!

Bruno Conti