Poco Glamour E Tanto Talento Per Una Grande Cantautrice! Mary Gauthier – Live At Blue Rock

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Mary Gauthier – Live At Blue Rock – Proper Records

Mary Gauthier viene da New Orleans, ma vive a Nashville. Non la Nasvhille dei lustrini e della musica leccata, ma quella dei cantautori (e delle cantautrici) di talento. Il suo disco precedente, The Foundling, (uno-dei-dischi-dell-anno-mary-gauthier-the-foundling.html), che in un certo senso è la storia della sua vita, come ha raccontato in alcune interviste, non è stato un grande successo a livello commerciale, ma ciò nonostante rimane uno dei dischi più belli in assoluto del 2010. Lei stessa, nonostante una carriera tardiva iniziata a quasi 35 anni nel 1997, attualmente è una delle voci femminiili più straordinarie del panorama musicale dei giorni nostri, tra le ultime generazioni possono rivaleggiare con la Gauthier a livello qualitativo, forse, solo Lucinda Williams e Mary Chapin Carpenter, mettiamoci anche Patty Griffin e Gillian Welch, e Natalie Merchant, che però ha diradato molto le sue uscite discografiche. I suoi “colleghi” Tom Waits e Bob Dylan l’hanno spesso citata e inserita nelle playlists di trasmissioni radiofoniche come Theme Time Radio Hour per Dylan e la radio australiana per Waits, con brani come I Drink e Your Sister Cried, entrambi presenti in questo Live.

Che potrebbe essere considerato una sorta di Greatest Hits, se fossimo in un mondo ideale ed il disco avesse venduto, ma essendo “solo” una sorta di resoconto di una serata in compagnia di Mary Gauthier e di alcune delle sue più belle canzoni (e tre scritte da Fred Eaglesmith), dovremo accontentarci di inserirlo tra i migliori dischi dal vivo di questo 2012 che si avvia a conclusione. Il disco è uscito per il momento solo sul mercato europeo (in America verrà pubblicato a febbraio del prossimo anno) ma per una volta non ci possiamo lamentare. Registrato in questo Blue Rock Artists Ranch And Studio di Austin, Texas, una sorta di via di mezzo tra uno studio di registrazione e una piccola sala da concerto, il disco ha una intensità notevole, nonostante il piccolo numero di musicisti impiegati per l’occasione: la stessa Mary, chitarra e voce (uno “strumento” in grado di ricordare una tonalità musicale che, per chi scrive, è una via di mezzo tra quella dolente di Lucinda Williams e la poco ricordata, ma grandissima,per il sottoscritto, Ferron, voce risonante e profonda in grado di improvvise aperture vocali), il percussionista Mike Meadows e una violinista fantastica (ma anche alle armonie vocali) che risponde al nome di Tania Elizabeth, che oltre a dividere regolarmente i palcoscenici di tutto il mondo con la Gauthier, è stata una delle fondatrici dei Duhks e ha pubblicato anche un piacevole disco folk&country quest’anno, Gods And Omens, che sto cercando ancora di recuperare, oltre a due ad inizio carriera, una dozzina di anni e più fa, caratterizzato dal suono di quel violino, lirico ed elegiaco, che è ovunque anche nel CD di Mary Gauthier, senza che la Elizabeth, in proprio, ne raggiunga la potenza e il carisma interpretativo.

Questo disco dal vivo si apre con una intensissima Your Sister Cried (proprio il brano di Eaglesmith) e per più di un’ora non ti lascia andare, affascinato dalla musica che scorre fluida, malinconica e dolorosa, più raccolta che nelle versioni di studio, dove era stata prodotta peraltro da gente del calibro di Gurf Morlix, Joe Henry e Michael Timmins, che avevano stampato, su dischi come Mercy Now, Between Daylight and Now e The Foundling anche la propria impronta, negli arrangiamenti e nella costruzione delle canzoni, che però comunque godono della personalità della Gauthier, che più che scriverle ed interpretarle, le vive e le rivisita ogni volta, come se fossero sempre nuove, dei piccoli “trovatelli” da non abbandonare. E così possiamo ascoltare brani bellissimi come Last Of The Hobo Kings, la dolorosa, malinconica e portatrice di redenzione, Blood Is Blood, brano portante di The Foundling. E ancora, Cigarette Machine (sempre di Eaglesmith, che è un altro cantautore di talento che varrebbe la pena di investigare), Our Lady Of The Shooting Stars, The Rocket,ancora del buon Fred, la storia di Karla Faye, giustiziata dopo lunghi anni passati nel braccio della morte, vissuta con una empatia e una carità quasi cristiana.

Lei canta con grandissima passione, il violino folleggia, le percussioni vengono percosse, ma non soffrono, anzi (non mi è venuto di meglio) e le canzoni si susseguono, una più bella dell’altra: I Drink, lucida ed amara, è quella che è piaciuta tantissimo a Dylan, Sugar Cane ci permette di assaporare ancora una volta la sua voce, quasi unica e molto particolare, vissuta ma sempre viva. Drag Queen In New Orleans, una sorta di omaggio a Bob Wills e alla sua città, è considerata uno dei suoi capolavori, ricca di immagini e fraseggi vocali che sfiorano la perferzione in questo folk minimale, ma allo stesso tempo quasi cinematografico che si apprezza nella sua musica, che si può considerare di pari livello, in molte canzoni, di quelle scritte da gente come Dylan o Cohen. La conclusione sarebbe affidata a Wheel Inside The Wheel (altro brano bellissimo), se alla fine del CD, dopo pochi secondi di silenzio, non partisse la solita hidden track,  una versione di studio di Mercy Now, un altro dei suoi brani più rappresentativi, per chi vuole apprezzare, ancora una volta, le gioie della sua musica, anche in versione full band, e i dischi di studio sono, sia detto per inciso, veramente belli anche loro. Un altro signor disco da inserire nelle “nostre” playlists di fine anno. Solo buona musica, niente glamour od orpelli!

Bruno Conti 

Australiani Di Nashville! Kasey Chambers & Shane Nicholson – Wreck And Ruin

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Kasey Chambers & Shane Nicholson – Wreck & Ruin – Sugar Hill 2012 – Deluxe Edition 2 CD

Capita, talvolta, di sottovalutare personaggi musicali provenienti dalla lontana Australia. E’ il caso per esempio di Kasey Chambers (australiana di nascita ma girovaga per vocazione), che è riuscita a fare breccia negli States, con un suono denso e puramente “americano”, che le è valso il titolo di nuova reginetta del genere, con accostamenti con le grandi Emmylou Harris e Lucinda Williams, prendendo dalla prima l’anima gentile del country, dall’altra il suono elettrico e bluesydi certe sue ballate. Tutte caratteristiche che emergevano forti e chiare nei primi album di Kasey, The Captain (1999), Barricades & Brickwalls (2001), Wayward Angel (2004), per arrivare in seguito a lavori più pop come Carnival (2006) e Little Bird (2011), due album non brutti in senso assoluto, ma privi del temperamento che aveva contraddistinto i loro predecessori. A quasi cinque anni da Rattlin’ Bones (2008), la Chambers e il suo attuale marito Shane Nicholson tornano a ripercorrere le orme del sorprendente esordio in coppia (disco di platino), con questo Wreck & Ruin registrato in otto giorni a Foggy Mountain ai piedi della Hunter Valley.

Kasey e Shane, nei diciotto brani di questo lavoro (5 di bonus), si avvalgono di una nuova “line-up” composta da Steve Fearnley alla batteria, James Gillard al contrabbasso, Jeb Cardwell al banjo e John Bedggood al violino, per un risultato strabiliante considerando la settimana di gestazione, ma nello stesso tempo, assolutamente nella normalità per artisti  cresciuti con le canzoni di Neil Young, Bob Dylan e Gram Parsons. L’album si apre con l’inno ‘Til Death Do Us Part, prima di lanciarsi nella title-track, una miscela di banjo e violino, brano volutamente costruito con influenze country.

Si riparte con il “singolo” Adam & Eve con narrazione fiabesca e biblica, mentre The Quiet Life è una sorta di loro desiderio, di vivere lontano dalle grandi città. Dustbowl è un dialogo tra banjo e mandolino con rifiniture old-timey, seguita da una soave Familiar Strangers cantata in duetto dalla coppia, come in Your Sweet Love dall’arrangiamento scarno e delicato. Si ritorna a respirare aria campestre con Rusted Shoes e Flat Nail Joe imbevute di pedal-steel, banjo e violino, niente di più diverso dalle splendide ballate Have Mercy On Me e Up Or Down, vere “perle” del disco. Chiude il primo disco il country accelerato di Sick As a Dog e la superba ballata dark Troubled Mind, dove la Chambers dimostra anche di possedere un’anima alla Lucinda Williams. Le cinque bonus-tracks, sono dei brani selezionati dai “coniugi” dai loro autori preferiti Australiani, che corrispondono ai nomi di Harry Hookey, Harmony James, Quarry Mountain Dead Rats, Sarah Humphreys e Steve Grady (gente che ammetto di non conoscere), canzoni che rispettano il percorso musicale di Wreck & Ruin.

Con dodici album alle spalle, e migliaia di chilometri sotto le loro ruote, Chambers & Nicholson, si sono creati una nicchia musicale, suonando la loro musica, dimostrando che essere marito e moglie non compromette il fatto di conoscere la disciplina del genere, divulgando i fondamentali in un territorio con le loro voci familiari. Forse un disco che non cambierà mai le sorti della musica, ma capace di rallegrare più di una giornata, questo è sicuro.

Tino Montanari

Una Bella Serata Tra Amici, Vecchi E Nuovi, In Quel Di Austin, TX. Johnny Cash – We Walk The Line

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 Johnny Cash – We Walk The Line A Celebration Of The Music Of Johnny Cash – Sony Legacy CD/DVD o Blu-Ray

Se ne parlava da mesi, ve lo avevo anticipato in modo definitivo il 27 luglio, ora è disponibile, per cui parliamone!

20 Aprile 2012, Moody Theatre, Austin, Texas, un gruppo di musicisti di diversa provenienza (tra poco li vediamo) si unisce per festeggiare l’80° Anniversario della nascita di Johnny Cash, che paraltro non è, né il 20 aprile, giorno del concerto e neppure il 7 agosto, giorno di uscita ufficale dei dischetti, bensì il 26 febbraio, ma non stiamo troppo a sottilizzare.

Sono sul palco Don Was, al basso e direttore musicale, Buddy Miller e Greg Leisz a tutti i tipi di chitarre, dall’Inghilterra via Austin Ian McLagan alle tastiere e Kenny “picchiaduro ma non solo” Aronoff alla batteria. Non male! Subito li raggiunge sul palco per dare il via alle operazioni l’attore Matthew McConaughey. All’inizio l’avevo scambiato per John Carter Cash, ma troppo bello ed atletico non poieva essere lui, comunque poco male, McConaughey si rivelerà un “host” simpatico e competente, facendosi anche una cantatina che si trova tra gli extra del DVD. Quindi dà il via al concerto e sul palco sale la prima cantante:

1) Brandi Carlile -Folsom Prison Blues

Nel corso della serata si esibiranno anche alcuni musicisti che sinceramente non so quale grado di empatia abbiano con la musica di Johnny Cash, ma sicuramente la cantante di Ravensdale, Washington, anche se tutti la accostano alla scena di Seattle (dove ha iniziato la carriera), è una che è sempre vissuta a pane e Johnny Cash, tanto che già a 8 anni cantava con la mamma Tennessee Flat Top Box e Folsom Prison Blues è sempre stato uno dei cavalli di battaglia del suo repertorio live. Con quel gruppo alle spalle è difficile fare male e Brandi (vestita come the Woman In Black) ci mette grinta e passione confermandosi una delle voci più interessanti dell’attuale panorama musicale americana. Grande versione con Buddy Miller e Greg Leisz che cominciano a macinare note con le loro chitarre, ben supportati dall’organo inossidabile di Ian McLagan.

2) Andy Grammer – I Get Rhythm

Questo belloccio californiano è uno dei primi misteri della serata, ma evidentmente, come nel caso del tributo a Dylan di inizio anno, l’industria discografica si para il culo inserendo anche qualche giovanotto di belle speranze. Certo, con tutti i miliardi di musicisti al mondo che potevano eseguire questo brano, Andy Grammer non sarebbe stata la mia prima scelta e forse neppure la millesima, ma, ripeto, con quei musicisti alle spalle è difficile fare male, e il nostro amico se la cava discretamente.

3) Amy Lee – I’m So Lonesome I Could Cry

Altra scelta misteriosa. La ex e ora nuovamente cantante degli Evanescence, così, a occhio, non si sembra una grande appassionata di Cash. E infatti quella che viene presentata come la sua canzone preferita di Cash, in effetti è un brano di Hank Williams, che però faceva parte del suo repertorio. Una struggente ballata country con weeping steel guitar viene cantata peraltro in modo più che rispettoso e degno da Amy Lee.

4) Buddy Miller – Hey Porter

Qui le cose cominciano a farsi serie. Eseguita come Ry Cooder avrebbe fatto se l’avessero invitato per suonare Get Rhythm. Byddy Miller si conferma uno dei pilastri della musica “roots” americana!

5) Shelby Lynne – Why Me Lord

Non le avranno dato il Grammy per nulla. Shelby Lynne alle prese con uno dei brani gospel-country più belli mai scritti da Kris Kristofferson, ancora una volta incanta con la sua voce calda, potente ed espressiva.

6) Pat Monahan – Help Me Make It Through The Night

Ancora un brano di Kristofferson per la voce solista dei Train, che non vedrei male in futuro alle prese con questo tipo di repertorio perché la canta veramente bene, grande voce e grande interpretazione.

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7) Shelby Lynne & Pat Monahan – It Ain’t Me Babe

Gli ultimi due cantanti ascoltati, uniscono le forze per un duetto in uno dei brani di Bob Dylan che Johnny Cash amava di più, quasi sempre eseguita in coppia con la moglie June Carter. Bellissima versione, con un arrangiamento maestoso ed avvolgente, poi in crescendo, probabilmente frutto della mente di Don Was (vedremo cosa riuscirà a fare con il nuovo Van Morrison, che sarà prodotto da lui), in ogni caso gran bella canzone.

8) Jamey Johnson & Kris Kristofferson – Sunday Morning Coming Down

Ancora un duetto e ancora una canzone di Kris Kristofferson, in coppia con una delle forze emergenti della nuova musica country di qualità, per cantare una delle canzoni che hanno fatto la leggenda di Johnny Cash. Ci voleva coraggio per cantare alla televisione americana nel 1970 “Wishing, Lord, That I Was Stoned”, ma che bella canzone ragazzi! Anche in questa versione lenta ed intensa non perde un briciolo del suo fascino, la voce di Kristofferson sempre più “spezzata”, ma mai vinta, sorretta dal baritono poderoso di Johnson, bella accoppiata.

9) Carolina Chocolate Drops – Jackson

Questi sono i giovani che ci piacciono, alle prese, nel loro inconfondibile stile, con un altro dei classici della coppia John & June. Che dire? Bravi, sempre più bravi!

10) Rhett Miller – Wreck Of The Old 97

E il leader degli Old 97’s cosa potevano invitarlo a cantare? Giovanile d’aspetto, ma i 40 li ha passati, Rhett Miller (non è parente di Buddy), da solo o con il suo gruppo è uno dei migliori musicisti della nuova scena alternative country americana e lo conferma anche in questa serata con una versione sparatissima di questo brano da cui ha preso il nome il suo gruppo.

11) Ronnie Dunn – Ring Of Fire

Questo brano l’avrei fatto cantare da qualcun altro, ma devo ammettere che l’ex metà di Brooks & Dunn realizza una versione di buon spessore, con le immancabili trombe mariachi affidate a una coppia di “ragazze messicane”. L’omaggio della Nashville più tradizionale alla musica di uno dei “fuorilegge” di quella scena.

12) Shooter Jennings & Amy Nelson – Cocaine Blues

I due figli d’arte ci regalano una bella versione, gagliarda e grintosa, di uno dei brani che erano sul leggendario At Folsom Prison. Shooter Jennings è sempre bravo, la figlia di Willie Nelson non la conoscevo, ma buon sangue non mente. E poi, ripeto, con quella house band chiunque farebbe un figurone.

13) Lucinda Williams – Hurt

Il brano di Trent Reznor dei Nine Inch Nail è stato uno degli ultimi capolavori del Johnny Cash interprete, nella sua serie degli American Recordings, la voce dolente e sofferta di Lucinda Williams, manco a dirlo, è perfetta per questo brano. Uno degli highlights del concerto.

14) Iron & Wine – Long Black Veil

Altra ottima scelta nell’ambito dell’alternative country (e non solo) è quella di Sam Bean, ovvero Iron & Wine. In una parola, stupenda!

15) Kris Kristofferson – Big River

Torna il grande Kris per rendere il favore. Johnny Cash oltre a cantare alla grande le canzoni degli altri ne scriveva molte belle anche lui. Questo ne è un limpido esempio, proprio una di quelle del classico boom chicka boom, e con la band in grande spolvero, bella anche la interpretazione di Kristofferson!

16) Sheryl Crow – Cry Cry Cry

Lei è come il prezzemolino, c’è sempre, però è brava e questo brano le calza proprio a pennello, gli anni passano ma quando vuole (e può) la classe non manca, ottimo ed abbondante.

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17) Willie Nelson & Sheryl Crow – If I Were A Carpenter

Sheryl Crow rimane e arriva uno dei più grandi amici di Cash, per una versione di un altro dei suoi grandi classici in duetto con la moglie June. Scritta da Tim Hardin, era stata pubblicata come singolo dalla Columbia nel 1969 (nel libretto del doppio, che è formato CD, quindi piccolo e non ingombrante, trovate anche tutte le altre informazioni sulle versioni originali, data ed eventuale album dove appariva). Mickey Raphael si aggiunge all’armonica e la coppia, con la super band alle loro spalle, realizza una versione da sogno di questa stupenda canzone. Non sempre e comunque amo quello che Willie Nelson produce ma quando la ispirazione lo coglie è sempre un grande.

18) Willie Nelson, Kris Kristofferson, Shooter Jennings, Jamey Johnson – Highwayman

Degli originali ne sono rimasti solo due, ma Shooter sostituisce il babbo Waylon Jennings con grande piglio e il vocione di Jamey Johnson sostituisce Johnny Cash con bravura per un brano che ci avvicina alla conclusione del concerto con un altro degli highlights della serata.

19) Full Ensemble – I Walk The Line

Tutto il cucuzzaro sul palco per il gran finale con una versione country-folk di un superclassico che vede tutti i musicisti alternarsi sul palco.

E qui finisce il concerto nella versione CD per restare negli 80 minuti canonici di durata (anche qualcosa meno). Ma negli extra del DVD oltre alla esibizione di Matthew McConaughey che recita e canta The man comes around, c’è anche una eccellente I Still Miss Someone di un ancora ispirato Willie Nelson, registrata durante le prove. Una serie di brevi interviste con tutti i partecipanti inframmezzate da qualche breve filmato preso dai suoi special televisivi, che proseguono nel segmento definito Walking The Line: The Making Of A Celebration. Un piccolo appunto: ma niente Rosanne e John Carter Cash? E pure Carlene Carter?

Per parafrasare il famoso “poeta televisivo” Paolo Bonolis, visto che a parte il promo iniziale YouTube non ci viene in soccorso, Ove possibile, s’ha da avere!

Bruno Conti

80° Anniversario Della Nascita Di Johnny Cash. We Walk The Line: A Celebration Of The Music Of Johnny Cash DVD/CD – Blu-ray

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We Walk The Line – A Celebration Of The Music Of Johnny Cash – Sony Legacy – CD/DVD o Blu-ray 07-08-2012

Quest’anno oltre al centenario di Woody Guthrie si festeggia anche l’80° Anniversario della nascita di Johnny Cash, avvenuta il 26 febbraio del 1932. Per questo motivo il 20 aprile al Moody Theater di Austin, Texas si è riunito un nutrito gruppetto di musicisti per festeggiare l’evento con un concerto sotto la direzione musicale di Don Was. Queste sono tutte le informazioni che vi servono e anche di più:

DVD/Blu-ray
Folsom Prison Blues – performed by Brandi Carlile
Get Rhythm – performed by Andy Grammer
I’m So Lonesome I Could Cry – performed by Amy Lee
Hey Porter – performed by Buddy Miller
Why Me Lord – performed by Shelby Lynne
Help Me Make It Through the Night – performed by Pat Monahan
It Ain’t Me Babe – performed by Shelby Lynne and Pat Monahan
Sunday Morning Coming Down – performed by Jamey Johnson and Kris Kristofferson
Jackson – performed by Carolina Chocolate Drops
Wreck Of The Old 97 – performed by Rhett Miller
Ring Of Fire – performed by Ronnie Dunn
Cocaine Blues – performed by Shooter Jennings
Hurt – performed by Lucinda Williams
The Long Black Veil – performed by Iron & Wine
Big River – performed by Kris Kristofferson
Cry, Cry, Cry – performed by Sheryl Crow
If I Were A Carpenter – performed by Willie Nelson and Sheryl Crow
Highwayman – performed by Willie Nelson, Kris Kristofferson, Shooter Jennings and Jamey Johnson
I Walk The Line – performed by Full Ensemble

Bonus Features

I Still Miss Someone – rehearsal performance by Willie Nelson
The Man Comes Around – performed by Matthew McConaughey

Johnny Cash, His Life and Music – Artist interviews, Johnny Cash archival footage, more

Walking The Line: The Making of a Celebration – behind-the-scenes of the historic Johnny Cash 80th Birthday Concert Celebration

Il CD ha gli stessi brani ma in una diversa sequenza, l’uscita come riportato sopra è prevista per il 7 agosto, dovrebbe costare intorno ai 20 euro, euro più euro meno. Stranamente è prevista l’uscita in contemporanea anche per il mercato italiano, in questo caldo agosto, che discograficamente parlando è sempre un mese importante per le uscite sia in Inghilterra che, soprattutto, negli Stati Uniti.

Se ve lo volete sentire e ascoltare tutto ve lo comprate, dal video di presentazione sembra fantastico, buon divertimento!

Bruno Conti

Il Talento ” Dietro Un Velo”? Jess Klein – Behind A Veil

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Jess Klein – Behind A Veil – Motherlode Records (solo sul suo sito) http://jessklein.com/ – 2012

Se siete stanchi di ragazzine delicate che cantano con voce delicata, ma preferite le ragazze grintose che hanno qualcosa da dire, mi permetto  di consigliarvi (per chi non la conosce) Jess Klein, una bella e brava cantautrice di area “bostoniana” (un bacino molto prolifico per la canzone d’autore americana). La ragazza, nata a Rochester (New York), è molto versatile: ha dipinto, ha preso lezioni di danza classica, ha suonato il clarinetto, ha scritto racconti e ha sempre canticchiato. Nel 1995 Jess decise di trascorrere un annetto in Giamaica, e il padre (deceduto quest’anno dopo una lunga battaglia con la SLA) le regalò per l’occasione la sua vecchia chitarra acustica, che ha portato Jess Klein a scoprire un interesse più importante degli altri e a dedicarsi interamente al “songwriting”. Per farla breve da Kingston a Boston il passo non è breve, ma nemmeno impossibile, e la Klein diventa in poco tempo una delle beniamine musicali della città, tanto è vero che per Draw Them Near (2000) l’album del vero debutto si muove la “crema” della città stessa (Ken Coomer batterista dei Wilco, Paul Kolderie dei Morphine, George Howard e David Henry per la produzione. Negli anni a seguire la Klein, con alti e bassi, incide lavori come Strawberry Lover (2005), City Garden (2006), un rarissimo Live House Of Satisfaction (2007), e l’ottimo Bound To Love (2009).

Trasferitasi da Boston a Austin, Jess per Behind A Veil (con produttore esecutivo un certo Phil Collins, sarà lui, non credo!) si avvale dei migliori “talenti” del posto, tra i quali Bill Masters alle chitarre e banjo, Mark Addison al basso e piano, Jeremy Bow batteria e percussioni, Rick Moore al sax, e le coriste Wendy Colonna e Noelle Hampton, per canzoni che nei testi risentono inevitabilmente degli ultimi eventi sfavorevoli della sua vita (oltre alla morte del padre, anche la separazione dal suo compagno).

L’inizio con la “title-track” Behind A Veil  è uno dei più promettenti, ritmo, chitarre taglienti, voce sofferta, una canzone così perfetta che se fossi un dj radiofonico non me la lascerei scappare. Con Wilson Street Serenade si viaggia dalle parti del “soul”, una ballata incantevole con il controcanto di Wendy e Noelle. Lovers And Friends inizia con una acustica vecchio stile, supportata da un banjo, una batteria avvolgente, con un crescendo e un cantato convinto. Ancora meglio la successiva Beautiful Child, una ballata da brividi con la voce di Jess che segue la melodia dell’arpeggio della chitarra. Splendida. La seguente Tell Me This Is Love è un brano dal “riff” rockeggiante con batteria e tastiere in evidenza, mentre Riverview dimostra che l’interprete conta, quando la voce valorizza un brano dall’arrangiamento scarno (batteria e banjo). Un intro particolare apre Simple Love una ballata superba, con un ritornello che ti entra in testa, cantato con grande passione e convinzione, un brano che rimarrà a lungo nelle orecchie e nel cuore. Mona è più elettrica, ricorda gli esordi della Klein, mentre A Room Of Your Own e Unwritten Song sono canzoni  più “normali”,  forse troppo artificiose.

Un disco ben fatto ed equilibrato che conferma il talento di Jess Klein, dotata di una voce morbida e avvolgente, un autrice che, come ha sottolineato l’autorevole rivista musicale “No Depression” cavalca un suono rock-mainstream, non ha forse una personalità straripante, ma trovando parecchie affinità con le colleghe Catie Curtis, Kathleen Edwards, Brandi Carlile, Shannon McNally, Gina Villalobos, e soprattutto Lucinda Williams, contribuisce alla rinascita del rock d’autore al femminile. Consigliata a tutti gli amanti delle cantanti che sanno dare emozioni.

Tino Montanari

I Migliori Dischi Del 2011 Appendice II. Buscadero E Addetti Ai Lavori.

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Mancava all’appello, causa leggero ritardo nella data di uscita, ma ecco anche i migliori dischi del 2011 del Buscadero, ovvero Poll 2011.

Disco dell’anno

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The Decemberists – The King Is Dead 15 voti

Immediati Inseguitori

(NDB in questa la classifica la cifre corrispondono!)

Ry Cooder – Pull Up Some Dust And Sit Down 13 voti

Lucinda Williams – Blessed 12 voti

Fleet Foxes – Helplessness Blues 10 voti

Gillian Welch – The Harrow And The Harvest 10 voti

Wilco – The Whole Love 10 voti

Ryan Adams – Ashes And Fire 9 voti

(I primi de) Gli Altri

Lou Reed & Metallica – Lulu 7 voti

Guy Clark – Songs And Stories 6 voti

James Maddock – Live At Rockwood Music Hall 6 voti

Come al solito, se volete leggere le altre posizioni e i voti dei Redattori (tutti meno la mia, perché già la sapete) vi comprate il giornale. Nel titolo del Post mi sono un po’ allargato con “addetti ai lavori”, un effetti un Addetto Ai Lavori! Visto che quest’anno il Buscadero non ha pubblicato le “preferenze” di musicisti, discografici e amici ne ho contattato uno io come rappresentante ideale trattandosi oltre che di addetto ai lavori per conto della Universal anche di un amico ed un appassionato di musica nonché destinatario dei miei strali quando le uscite italiane ritardano rispetto a quelle internazionali, per esempio la compilation Chimes Of Freedom The Songs Of Bob Dylan Honoring 50 Years Of Amnesty International, annunciata per il 31 gennaio slitta al 7 febbraio (e la colpa è sua, scherzo!). Se ci fate caso, pur essendo parte del gioco, è stato onesto e non ha infierito con prodotti della “sua famiglia”, solo il giusto! Già che c’ero ho inserito un paio di video dei brani tratti dai “Capolavori”!

(NDB* anche se ha “ciccato” proprio il titolo di un “suo disco”, come nella Settimana Enigmistica, Cerca l’errore).

Claudio Magnani 2011 In Music

2011, alcuni buoni album, senza le vette degli anni che furono.

o    ROCK:

o    1. JJ GREY & MOFRO / BRIGHTER DAYS
2. PAUL SIMON / BE BEAUTIFUL OR SO WHAT
3. DAVE ALVIN / ELEVEN ELEVEN
4. JONATHAN WILSON / GENTLE SPIRIT
5. GILLIAN WELCH / THE HARROW AND THE HARVEST
6. TOM WAITS / BAD AS ME
7. ADAM COHEN / LIKE A MAN
8. JOE HENRY / REVERIE
9. MATTHEW’S SOUTHERN COMFORT / KIND OF NEW
10. WILCO / THE WHOLE LOVE

o    ITALIANI:

o    VINICIO CAPOSSELA / MARINAI, PROFETI & BALENE
IVANO FOSSATI / DECADANCING

o    JAZZ:

o    1. MSMW / IN CASE THE WORLD CHANGES ITS MIND
2. JOHN ZORN / AT THE GATES OF PARADISE
3. ERIK FRIEDLANDER / BONEBRIDGE
4. GIACOMO GATES / THE REVOLUTION WILL BE JAZZ
5. ELIANE ELIAS / LIGHT MY FIRE

o    ARCHIVI, non in ordine, questi sono veri capolavori…

o    DEREK & THE DOMINOS / LAYLA (UNIVERSAL)
WHO / QUADROPHENIA (UNIVERSAL)
GENE CLARK / WHITE LIGHT (SUNDAZED)
BOBBY CHARLES / BOBBY CHARLES (RHINO HANDMADE)
BEAU BRUMMELS / BRADLEY’S BARN (RHINO HANDMADE)
DONOVAN / SUNSHINE SUPERMAN (SONY LEGACY)
KATE & ANNA MCGARRIGLE / TELL MY SISTER (NONESUCH)
ARTISTI VARI / DELTA SWAMP ROCK (SOUL JAZZ RECORDS)
BEACH BOYS / THE SMILE SESSIONS (EMI)
MARVIN GAYE / WHAT’S GOING ON (UNIVERSAL)

·         Cool runnings…

Claudio

Avrei anche contattato qualcun altro, vediamo se risponde, in caso pubblico!

Bruno Conti

A “Due Passi” Da New York E Dalle Profondità Dell’America From Ithaca Jennie Stearns – Blurry Edges

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Jennie Lowe Stearns & The Fire Choir – Blurry Edges – BMI Records 2011

Non c’era bisogno di una conferma dopo Mourning Dove Song e Sing Desire (i dischi che l’hanno rivelata dopo l’esordio di Angel With Broken Wings), ma questo suo quinto album di studio a proprio nome fa brillare ancora di più il talento di questa cantautrice di Ithaca, NY. Probabilmente questo nuovo lavoro non è superiore ai precedenti, ma ha il pregio di evidenziare ulteriormente le capacità della Stearns, fornendo nuovi elementi che arricchiscono sotto il profilo qualitativo la discografia. Dopo i primi passi compiuti nei Donna The Buffalo, Jennie si è lanciata in una carriera solista che se finora è stata povera di riscontri commerciali, le ha procurato i favori degli addetti ai lavori, e la possibilità di esibirsi come spalla di più affermati colleghi come Peter Case, Slobberbone, Natalie Merchant, Cowboy Junkies, suonando nei locali di mezza America.
 

 

Una voce tra Lucinda Williams e Gillian Welch (ma mi ricorda anche Carla Torgerson dei grandi Walkabouts), la Stearns spazia in territori tra folk e cantautorato moderno, tenendo ben presente la tradizione americana, con una strumentazione parca e mai invadente, la voce quieta e impostata a raccontare le sue storie. La sua band attuale non comprende più il marito (il reverendo Rich Stearns), ma validi musicisti tra i quali Michael Stark (che è anche produttore) al pianoforte, Matt Saccuccimorano (chissà che origini avrà?) alla batteria, Brian Dozoretz al basso, Joe Novelli alla chitarra classica, e la graziosa Emily Arin al controcanto.

Undici canzoni, quasi un’ora di musica: Shadow on the Lake è una canzone calda, in cui la vocalità di Jennie dà spazio alla melodia, Pale Blue Parka è molto fluida, con un tempo di marcetta, mentre Lose Control è introspettiva, con una interpretazione gentile e quasi sussurrata con l’accompagnamento di un pianoforte. Si prosegue con l’atmosfera sognante di Frida, su un tessuto sonoro vagamente da piano-bar, quasi jazzato, mentre Grasp è dolce e delicata con incisivi interventi della chitarra elettrica. Light of Day ha un motivo facilmente memorizzabile e un arrangiamento country oriented, Under Water prosegue con il medesimo tempo di base, con la chitarra che crea dei contrappunti gradevoli, ma su tutto la voce di Jennie, qui splendidamente doppiata dalla Arin. In From the Cold è una folk song pura e cristallina, Silver Lining inizia con le chitarre che spargono note, poi entra la voce quasi “mitchelliana” della nostra amica. Thieves, con un piano ammaliante, va ascoltata in religioso silenzio, mentre la conclusiva Blurry Edges è una ballata dolce e malinconica accompagnata da un delicato tocco di tastiere, poi entra la ritmica e c’è un richiamo velato ai Donna The Buffalo. Splendida !

Istruzioni per l’uso: distendersi sulla poltrona preferita, abbassare le luci, premere il tasto “play” del lettore CD e lasciarsi trasportare dalla voce vellutata di Jennie Lowe in Stearns, per un acquisto davvero obbligato per tutti gli amanti che apprezzano la buona musica, e qui abbonda. Buon Anno !

Tino Montanari

P.s NDB. Ma c’è l’avrà ancora il suo negozio di dischi a Ithaca? Un Bruno interessato! Come regalo guardatevi questo concerto completo dei Donna The Buffalo con Jennie Stearns ospite in un brano.

A me ricorda qualcosa anche di Rickie Lee Jones, meno jazzata.

I Migliori Dischi Del 2011! Un Anno di Musica.

 

 

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Aiutato dai due “pensatori” effigiati qui sopra eccomi al primo appuntamento sul meglio del 2011 in musica. In questo caso secondo chi scive su questo Blog (poi arrivano anche i 2 collaboratori). Come dicevo lo scorso anno si tratta di una lista provvisoria, i primi 10 (che mi sono venuti in mente) da inserire nella classifica del Buscadero, rivista alla quale collaboro, come molti di voi sapranno, se no lo sapete adesso! Nei prossimi giorni poi aggiungerò e elaborerò questo elenco con tutti i titoli che sono sfuggiti o non sono rientrati nella prima stesura per motivi di numero chiuso (e già si agitano per essere stati dimenticati).

Sono in ordine sparso come da elenco inoltrato:

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 Fleet Foxes – Helplessness Blues

 

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June Tabor & Oyster Band – Ragged Kingdom

 

Lucinda Williams – Blessed

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Decemberists – The King Is Dead

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Cowboy Junkies – Demons – The Nomad Series Volume 2

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John Hiatt – Dirty Jeans And Mudslide Hymns

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Ryan Adams – Ashes And Fire

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Richard Thompson – Live At The BBC 4CD Box

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Israel Nash Gripka – Barn Doors And Concrete Floors/Live At Mr.Frits

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James Maddock – Wake Up And Dream/Live At Rockwood Music Hall

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Lo so, sono 12 perché cerco sempre di barare e perché sono usciti entrambi nel 2011. Questo per iniziare, sono in ritardo di un giorno, lo scorso anno il Post era uscito il 7 dicembre. Nei prossimi giorni altre classifiche, liste delle più importanti riviste, Mojo, Uncut, Q, Rolling Stone, Spin e Blog e siti in giro per il mondo, oltre agli approfondimenti del sottoscritto e degli “Ospiti” del Blog. Se volete mandare le vostre lo spazio nei Commenti è sempre aperto. In ogni caso, nonostante la crisi, è stata una buona annata.

Ci risentiamo e vediamo nei prossimi giorni.

Bruno Conti

Un Disco “Autunnale” Per Una Grande Cantautrice Americana. Catie Curtis – Stretch Limousine On Fire

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Catie Curtis – Stretch Limousine On Fire – Compass Records 2011

L’autunno è alle porte e come spesso accade in questi tempi “piovosi” vengono alla luce dischi delicati di rara bellezza, disseminati di melodie pungenti e malinconiche. Il personaggio di cui tratteremo oggi risponde al nome di Catie Curtis, cantautrice originaria di una piccola città del Maine (Saco), che molti di voi. immagino, non conoscano. La giovane Catie ha fatto una lunga gavetta negli Stati Uniti, suonando in piccoli locali e incidendo per “Label” indipendenti, fino ad imporsi all’attenzione del pubblico nel 1997 con l’album omonimo, dal quale fu tratto il singolo Soulfully che entrò a far parte della colonna sonora di una fortunatissima serie televisiva, Dawson’s Creek.

Veterana della scena folk di Boston, la nostra ha ricevuto il plauso della stampa locale e, se si deve dare un merito a Catie Curtis, è quello di essere stata capace di crescere e di avere migliorato disco dopo disco la sua scrittura e la sua vocalità, partendo dall’esordio Dandelion nel lontano’89 edito solo in cassetta e poi ripreso in From Years to Hours (91), Truth from Lies (95), il menzionato Catie Curtis (97), A Crash Course in Roses (99), My Shirt Looks Good on You (2001), la ripubblicazione del primo CD From Years to Hours con tracce aggiunte, edita nello stesso anno, e sempre nel 2003 anche Acoustic Valentine, Dreaming in Romance Languages (2004), Long Night Moon (2006), Sweet Life (2008), Hello Stranger (2009), per finire con questo Stretch Limousine on Fire  prodotto dal batterista e percussionista Lorne Entress, che vede la presenza di fidati musicisti come Jay Bellerose alla batteria, Jennifer Condos e Jesse Williams al basso, Duke Levine e Thomas Juliano alle chitarre, Glenn Patscha al pianoforte, David Limina all’organo e la grande Mary Chapin Carpenter al controcanto, in compagnia di altre “donzelle”, Lisa Loeb, Jenna Lindo, e Julie Wolf utilizzate alle armonie vocali.

Si parte con Let it Last, con le chitarre che ricamano la melodia, sorrette dalla sezione ritmica e la voce vellutata della Carpenter. L’incipit di Shadowbird è tutto giocato sull’arpeggio delle chitarre, per un ritornello “assassino” che entra nel cuore. Highway del Sol scorre quasi sussurrata, con un lavoro di chitarra che enfatizza il pathos del brano. La “title track” si sviluppa lineare sostenuta da una valida sezione ritmica, seguita da una River Wide pianoforte e voce, la canzone più bella del lavoro, una ballad classica costruita su una melodia che mi ricorda una delle più belle canzoni di Joan Armatrading Love by You nell’album Secret Secrets del 1985, penso poco conosciuto.

Si riparte da una Another Day on Earth, una canzoncina pop dove le tre “grazie” Lisa, Jenna e Julie danno il meglio al controcanto. Il livello si alza decisamente con una After Hours che a tratti ricorda alcune composizioni di Lucinda Williams, un brano che si farà fatica a dimenticare, altra gemma del disco. Segue una delicata e morbida I Do con un tessuto sonoro che scivola sulla splendida voce di Catie. Wedding Band è costruita intorno ad un bel “riff” di chitarre acustiche, a volte raddoppiato dal violino o da una slide sempre acustica. Il CD si chiude con la splendida Seeds and Tears quasi sussurrata, con un giro di chitarra a disegnare un perfetto connubio con la voce splendida della Curtis, per uno stile compositivo, che ricorda, al meglio, due mie beniamine, Mary Gauthier e Eliza Gylkison.

Conosco Catie Curtis fin dagli esordi, e mi chiedo come mai questa “singer songwriter” non abbia mai saputo imporsi come il suo talento avrebbe meritato, per il momento il consiglio è quello di accostarvi a queste dieci canzoni, che di sicuro non vi deluderanno, un ritorno gradito che non mancherà di scaldare i vostri cuori, per un lavoro solido che non lesina brani di qualità, e non cala minimamente alla distanza. Che sia finalmente giunta l’ora di Catie Curtis ?

Tino Montanari

Ma Allora Escono Ancora Dischi Belli! Tom Russell – Mesabi

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Tom Russell – Mesabi – Proper/Shout Factory/Ird

Non solo escono “dischi” belli ma in questo anno ne sono usciti parecchi, questo Mesabi di Tom Russell è uno dei migliori del 2011. So che per molti la parola disco è un termine desueto ma chiamarlo “raccolta di MP3 per l’Ipod” sinceramente non mi entusiasma.

Il penultimo disco di Russell era quel Blood And Candle Smoke del 2009 fatto in compagnia dei Calexico ed era un album notevole e nello stesso anno era uscito anche il disco in compagnia di Gretchen Peters One To The Heart One To The Head e non era male neppure quello. Ma il nostro amico Tom nella sua lunga carriera iniziata 35 anni fa di dischi belli ne ha fatti tanti, quasi tutti. Eppure questo nuovo mi sembra uno dei suoi migliori in assoluto.

Intanto i Calexico ci sono ancora (non in tutti i brani) ma questa volta il cantautore californiano ha scelto di optare per varie scelte sonore e ha registrato questo album tra Nashville, Los Angeles, Tucson Arizona negli studi dei Calexico con una capatina anche in Texas. Un altra cosa che balza all’occhio sono i testi (contenuti in un succoso libretto all’interno della bella confezione digipack apribile in cartoncino del CD): testi ricchi e variegati che girano intorno alla memoria e a personaggi memorabili, veri o verosimili, ricchi di umanità, inseriti all’interno di canzoni che raccontano delle storie, belle storie, epiche o semplici ma sempre piene di umanità.

Il suo punto di riferimento in questo senso (anche se il suo genere, forse, è diverso, ma il mestiere, per entrambi è scrivere belle canzoni) è sicuramente Bob Dylan e in questo album gli rende omaggio con una straordinaria versione di A Hard Rain’s A-Gonna Fall, in occasione del 70° compleanno del cantatutore di Duluth, Minnesota. Ed indovinate cosa, o dove sono, i Mesabi Range? Ad uno sputo da Duluth e Hibbing, le località storiche delle gioventù di Dylan, a due passi dal Lago Superiore e a nord di Minneapolis e Saint Paul,  poco lontano dai confini canadesi.

Ma torniamo a questo brano che si snoda in quasi nove magici minuti a partire dal celebre incipit “Oh Where Have You Been My Blue Eyed Son…” accompagnato solo da una chitarra pizzicata e poi si trasforma in una versione epica con gli altri musicisti che entrano di volta in volta. Prima la classica voce “dolente” di Lucinda Williams, poi la tromba di Jacob Valenzuela, il basso e la batteria di Burns e Convertino‘, ovvero i Calexico e poi la solista di Will Kimbrough, in un crescendo trascinante che ti avvince e ti affascina, con le due voci, quella maschia e profonda di Tom Russell e quella tipica di Lucinda, che si avvicendano alla guida del brano. Questa è musica per le mie orecchie ed è solo il 14° brano, prima c’è tutto un universo sonoro. Questa arte è nota anche come storytelling e Russell ne è uno dei massimi esponenti ma il signore con gli occhi blu è il numero uno!

L’apertura è affidata a Mesabi, un brano tipico della sua discografia, dall’andatura galoppante e con un testo che rievoca alcuni dei primi “miti” della sua giovinezza, da Howlin’ Wolf a Buddy Holly passando per La Bamba di Richie Valens. Sembra quasi un brano di Joe Ely con le trombe di Valenzuela e Schumacher che si alternano con la ficcante chitarra di Will Kimbrough che fa l’Andrew Hardin della situazione (o il Grissom se preferite) con degli assoli perfetti. E Ely quelle “due o tre canzoni” di Russell le ha cantate in passato a partire da una meravigliosa Gallo del Cielo che rimane negli annali del rock texano. Il brano ha una andatura country-rock, quasi radiofonica (con qualche accenno di All Along The Watchtower), con il basso di Viktor Krauss e la batteria di John Gardner a dettare i ritmi e il piano di Barry Walsh a colorare il sound insieme alle citate trombe.

When The Legends Die è una clamorosa e dolcissima ballatona registrata nei Brushfire Studios di Los Angeles, con Bob Glaub e Don Heffington ai ritmi, Van Dyke Parks a magheggiare al piano e alla fisarmonica e la chitarra di Thad Beckman a cesellare note. Tom Russell la canta con voce struggente e partecipe. Non accreditata, anche una tromba accentua il tono malinconico del brano.

In Farewell Never Never Land la voce di supporto, carezzevole, in sottofondo, di Gretchen Peters si amalgama alla perfezione con quella di Russell per raccontare la storia di Bobby Driscoll, lo sfortunato giovane attore, collaboratore di Walt Disney creatore del mito a cartoni di Peter Pan, di cui fu la voce nel film e il modello per il personaggio, una storia triste resa vibrante da una grande interpretazione di tutto il gruppo di musicisti che ruota attorno alla voce sempre all’altezza di Tom Russell, a partire dalla slide di Kimbrough e dalle tastiere di Walsh che si occupa anche dell’arrangiamento dei fiati. Ci sono anche storie divertenti, con ukulele e pianino, come quella di Cliff Edwards (l’autore di Singin’ In The Rain),  in The Lonesome Death Of Ukulele Ike che ci trasporta indietro nel tempo, anche musicalmente.

Sterling Hayden è stato uno dei grandi caratteristi del cinema americano (Giungla d’asfalto, Johnny Guitar, Il Dottor Stranamore, Il padrino) e Russell gli cuce addosso questa stupenda canzone che ne racconta la storia, con Fats Kaplin che si destreggia tra oud, viola e accordion e Will Kimbrough alla resonator per creare un tappeto sonoro degno del testo del brano, e direi che ci riescono, alla grande. Furious Love (for Liz) è una breve struggente ninna nanna con uso di cello dedicata con amore a Liz Taylor. Altra grandissima ballata corale con i Calexico al completo che tornano per questa memorabile canzone, A land called way out there, dedicata a James Dean. Anche Roll the Credits Johnny prende la forma della ballata e si trova nella colonna sonora del film di Monte Hellman Road To Nowhere, inutile dire che anche questa è molto bella, con Gretchen Peters di nuovo alla seconda voce e la ricorrente tromba di Valenzuela con la chitarra di Kimbrough vere protagoniste di questo album.

In Heart Within A Heart ritorna Van Dyke Parks e le voci femminili di supporto conferiscono tratti tra gospel e soul a questa altra piccola perla con il dobro di Kimbough che cura i piccoli particolari sonori con grande perizia. Con And God Created Border Towns ci trasferiamo ai confini tra Texas e Messico, anche musicalmente, con la fisarmonica di Joel Guzman che interagisce con il piano di Augie Meyers e le immancabili trombe di Valenzuela, per ascoltare la storia dei migranti messicani sulle rive del Rio Grande. Anche Goodnight Juarez tra chitarre spagnole, Calexico e Gretchen Peters in ordine sparso, più la fisarmonica di Guzman è un’altra canzone di frontera di quelle memorabili che ogni tanto Russell ci regala, la vedo bene in futuro per Ely anche se sarà difficile superare l’originale.

Quel diavolo di un Russell riesce a costruire una canzone anche intorno al vecchio gioco del Jai Alai, che sarebbe la vecchia pelota basca, con il personaggio principale in trasferta da San Sebastian in quel di Tijuana per un incontro tra flamenco e musica messicana che aggiunge ulteriore varietà ad un menu già ricchissimo. E già che c’è rivisita anche la vecchia Love Abides, solo voce e chitarra, in una versione che supera anche quella che chiudeva The Man From God Knows Where. Detto del brano di Dylan a chiudere un altro brano tratto dalla colonna sonora di Road To Nowhere, proprio quello che dà il titolo al film e con i Calexico più Will Kimbrough il nostro amico Tom ci regala un’altra canzone intensa e trascinante, cinematografica e ci mancherebbe altro, comunque molto bella, per finire in gloria un album che si merita le classiche quattro stellette di giudizio critico. Quasi sessantacinque minuti e neanche un secondo inutile!

Bruno Conti