Una Proposta “Diversa” Ma Affascinante Per La Grande Vocalist Irlandese. Mary Black – Orchestrated

mary black orchestrated

Mary Black Orchestrated – Blix Street Records

Mary Black è una delle cantanti folk irlandesi più brave e popolari, diciamo che in patria ha goduto di un consenso quasi unanime dalla critica e anche vendite più che rispettabili, con i suoi undici album di studio che hanno quasi sempre raggiunto la vetta delle classifiche e tutti hanno avuto la status di disco di platino. Da qualche anno a questa parte, dopo avere annunciato il suo ritiro, Mary Black ha comunque diradato di molto le sue apparizioni discografiche, un album nel 2005 e uno nel 2011, e anche le tournée sono molto più brevi di un tempo, e quasi completamente sul territorio irlandese: però escono molti progetti  particolari che rivisitano il suo songbook, magari con l’aggiunta di bonus, come è stato per Mary Black Sings Jimmy MacCarthy, o per la versione del trentennale di By The Time It Gets Dark, nel 2008 era uscito anche Twenty Five Years Twenty Five Songs,  con il meglio della sua carriera e alcune chicche aggiunte per i fans.

L’ultima “pensata” è questo Orchestrated, in cui la vocalist di Dublino ha scelto le sue canzoni preferite (sia dal proprio repertorio che cover) e le ha rivestite di sontuosi arrangiamenti orchestrali, con l’aiuto di Brian Byrne che ha curato le partiture e diretto la RTÉ National Symphony Orchestra. Ovviamente la ragione per cui si apprezza questo album, che poteva essere un azzardo invece funziona, è la possibilità di potere ascoltare ancora una volta una delle più belle voci in circolazione, e non solo in ambito folk, con un timbro così puro e cristallino che per anni è stata la testimonial di molte case di prodotti hi-fi per audiofili. Ora forse la voce non è più così perfetta, ma ha sempre un fraseggio vocale che è goduria pura. Diciamo che, specie quando l’orchestra entra massicciamente negli arrangiamenti, lo spirito celtico un po’ si perde, ma le canzoni si ascoltano sempre con grande piacere (e forse non è un caso che l’etichetta che da qualche tempo pubblica i suoi dischi, sia la Blix Street, la stessa che cura il patrimonio discografico della scomparsa Eva Cassidy, altra voce superba).

Il disco si apre con una a tratti fin troppo lussureggiante versione di No Urge For Going di Joni Mitchell, con l’orchestra che rischia (quasi) di coprire la splendida voce di Mary; Carolina Rua è una delle sue canzoni più famose e mantiene quello spirito celtico dei suoi brani più riusciti, con intermezzi più intimi, quasi acustici, anche sotto forma di gighe, alternati alle potenti accelerazioni orchestrali, No Frontiers è una meraviglia del creato, una canzone malinconica e sognante dove la voce della Black quasi risplende, con quel timbro caldo ed avvolgente che ci affascina sempre. Poison Tree è un adattamento di un poema di William Blake, eseguita in duetto insieme alla collega australiana Marcia Howard, con un risultato finale turgido, molto da musical di Broadway, bello ma forse con poco calore. The Summer Sent You viceversa è una delle più belle canzoni scritte da Noel Brazil per lei, molto calda, passionale e coinvolgente, poi tocca ad uno dei capolavori assoluti di Richard Thompson The Dimming Of The Day, un altro brano dove la malinconia regna sovrana e l’arrangiamento orchestrale ne evidenzia la maestosità.

Turning Away, scritta dal cantautore scozzese Dougie MacLean, è brano di impianto folk, delicato e quasi danzante, peccato per il finale troppo pomposo e carico dell’orchestra, Bless The Road ha una melodia più dolce e cantabile, perfetta per la voce empatica della Black, mentre l’orchestra non è troppo invadente e lascia trasparire gli accenti celtici. The Loving Time, scritta sempre da Brazil, è stata in passato anche un duetto con una quasi deferente Emmylou Harris https://www.youtube.com/watch?v=Br55Mjve33Q , e pure in questa versione più matura mette in luce quella voce splendida, che è poi il motivo per cui uno compra i dischi di Mary Black; Adam At The Window è l’altra canzone di Jimmy MacCarthy, l’autore di No Frontiers, altra melodia rigogliosa, con una fisarmonica che a tratti fa capolino. Chiude Poison Words, uno dei brani più intimi e raccolti, con chitarra e cello che dopo una breve introduzione acustica lasciano spazio ai soliti florilegi orchestrali.Quindi un disco “diverso” ed affascinante che non mancherà di soddisfare sia i fans quanto chi vorrà avvicinarsi alla musica di questa grande vocalist, un patrimonio della musica irlandese.

Bruno Conti

Una Grande Voce “Omaggia” Un Grande Compositore Irlandese. Mary Black – Mary Black Sings Jimmy MacCarthy

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Mary Black – Mary Black Sings Jimmy MacCarthy – 3u Records/Blix Street

Aveva annunciato il suo ritiro, almeno dalle tournée, ma evidentemente ci ha ripensato (come Tina Turner, Clapton e altri), visto che anche nel 2018 sarà in giro per promuovere questo “nuovo” album. Era inevitabile, direi quasi fisiologico, che Mary Black una delle più belle e leggendarie voci irlandesi, prima o poi rendesse omaggio con un intero album di canzoni a Jimmy MacCarthy, senza dubbio uno dei più grandi compositori della verde isola dello smeraldo (per coloro che non sanno chi sia, potremmo definirlo l’equivalente irlandese del cantautore americano Jimmy Webb). Jimmy MacCarthy è nato a Macroom nella contea di Cork nel 1953, e le sue composizioni rientrano a grandi linee nel genere della canzone folk contemporanea, e nella sua carriera ha scritto molte canzoni che poi sono diventate famose e popolari, cantate da artisti come Christy Moore, Mary Gauthier,  i Corrs, il meno conosciuto Tommy Fleming, e naturalmente Mary Black, che ha cantato le canzoni di questo signore per venticinque anni. Per sviluppare e terminare questo ulteriore “percorso” la Black si è affidata a bravi musicisti fidati, tra i quali Pat Crowley alla fisarmonica, tastiere e piano, Bill Shanley al basso, chitarre e lap-steel, Liam Bradley alla batteria, Martin Ditchay alle percussioni e piatti, Finbar Furey al banjo, Richie Buckley al sax, e un “trio” di valenti violinisti a partire dalla bella e brava Sophie Ryan, Richard George, Matt McGranahan, per un totale di undici canzoni firmate come detto da Jimmy MacCarthy, di cui sei già registrate da Mary nei suoi album precedenti, quattro nuovi brani incisi per l’occasioni, e un duetto di Mary e Jimmy, recuperato da una rara registrazione televisiva.

mary black sings jimmy maccarthy 1

https://www.youtube.com/watch?v=XvABIMOkaGQ

La partenza non poteva essere migliore, Mary recupera dall’album omonimo del lontano ’89 la meravigliosa No Frontiers (ne esiste anche una bella versione acustica delle Corrs), e risentendola si apprezza sempre il suono della fisarmonica su un tappeto di percussioni, brano a cui fanno seguito la sempre dolcissima Adam At The Window (la trovate su Looking Back (95), e due nuove struggenti composizioni come There Is No Night, una ballata pianoforte e voce, e il soave folk irlandese di Love’s Last Chance, dove ancora una volta la Black si dimostra una grande interprete. Sempre dai solchi di  Looking Back viene giustamente estratto il brano dal testo più religioso di MacCarthy, la superba Bright Blue Rose, che qui viene riproposta meritoriamente in un duetto con lo stesso autore, per poi passare ancora ad un altro brano nuovo, con l’arioso incedere di una moderna folk song quale è What We Came Here For, ritornare alle tenui e delicate trame sonore di una sempre verde Wonderchild (cercatela su un album poco conosciuto come Circus (95), e dare giusta gloria ad un brano, Katie, tratto da un album epocale come By The Time It Gets Dark (87), che viene riproposta con l’aggiunta del sax del bravo Richie Buckley ad accompagnare la voce sognante della Black.

Father smiling and holding his son

Jimmy MacCarthy

https://www.youtube.com/watch?v=InS3YsrlgkY

Con Mystic Lipstick arriva il momento di una delle migliori canzoni mai scritte per l’Irlanda (un testo commovente sulla storia intera della nazione), che negli anni è stata riproposta anche da “mostri sacri” come Christy Moore, Mary Coughlan, e la bravissima ma poco conosciuta Maura O’Connell,  brano che trova in questa versione la perfezione, con un arrangiamento dove brillano la fisarmonica di Crowley, i violini della “triade”, e naturalmente l’interpretazione della Black. Ci avviamo alla conclusione con la danzante ed ariosa Another Day (recuperata dal già citato No Frontiers), e chiudere un disco per certi versi magnifico con la chicca di una versione “live” della famosa As I Leave Behind Neidin (un brano sull’emigrazione irlandese), cantata in coppia da cantante e autore, in occasione di una registrazione televisiva (ma la potete anche cercare nella versione originale dall’album Without The Fanfare (85). Quando s’incontrano un grande musicista come Jimmy MacCarthy e una grande cantante come Mary Black (una perfetta simbiosi), il risultato non può che essere la summa di questo lavoro, con canzoni personali ma anche universali, che attraversano tutta l’Irlanda per poi arrivare a farsi conoscere nel mondo, e certamente questo Mary Black Sings Jimmy MacCarthy è un perfetto biglietto da visita per far conoscere il miglior “songwriting” irlandese. Chapeau!

NDT: Per i “completisti” e per chi ama Mary Black, ricordo che nella primavera dello scorso anno è uscito un CD sepciale in occasione del trentennale di By The Time It Gets Dark, con tre bonus che riguardano nuove versioni di Moon River, Copper Kettle, e un nuovo brano Wounded Heart, registrato per l’occasione.

Tino Montanari                     

Forse Non E’ Bravo Come Il Fratello, Ma La Classe Non E’ Acqua! Luka Bloom – Frugalisto

luka bloom frugalisto

Luka Bloom – Frugalisto – BigSky Records/V2

Dopo Head And The Heart, il disco del 2014 composto quasi esclusivamente da cover http://discoclub.myblog.it/2014/04/30/il-solito-disco-luka-bloom-fortuna-head-heart/ , torna Luka Bloom, con questo Frugalisto che è il seguito dell’eccellente This New Morning del 2012, un album che secondo chi scrive conteneva due o tre piccoli gioielli di scrittura folk contemporanea, come la splendida A Seed Was Sown dedicato all’incontro tra la Regina Elisabetta e la presidentessa irlandese dell’epoca, The Race Runs, sulla storia della campionessa olimpionica di maratona irlandese Sonia O’Sullivan che Luka dice ha assistito di persona ad un suo concerto nel recente tour australiano (quello per inciso che segna l’addio dalle scene concertistiche della grande Mary Black), e Gaman, un brano sulla tragedia della centrale nucleare di Fukushima. Quindi brani incentrati spesso su fatti veri e non solo di finzione o storie d’amore, come da sempre è stato per Bloom e anche per il fratello maggiore Christy Moore http://discoclub.myblog.it/2016/05/29/ecco-altro-che-dischi-brutti-ne-fa-christy-moore-lily/ , entrambi comunque legati alla tradizione della musica popolare della loro isola.

Luka Bloom ha da poco compiuto 60 anni e come lui stesso scherzando dice – questo Frugalisto è il mio primo album da molti anni a questa parte che entra nelle classifiche olandesi, all’89° posto, quindi avrà venduto 45 copie, per un “vecchio” folksinger è un buon segno, ci siamo ancora! – Ribadisco che i dischi del periodo Warner americano degli anni ’90 sono irraggiungibili a livello qualitativo, ma gli album del nostro sono comunque di buon valore, con alcune canzoni di pregio e altre meno, in ogni caso sempre oltre la media. E anche in questo Frugalisto (titolo criptico che non so cosa significhi, forse un parente del mitico “sarchiapone”?) Bloom ci regala dodici nuove canzoni, registrate in quel di Timoleague, contea di Cork, Irlanda, con una bella pattuglia di musicisti ad aiutarlo, perché i suoi dischi,  per quanto di chiara impronta acustica, hanno comunque sempre una strumentazione ricca e variegata, con più di una decina di musicisti impiegati, tra chitarre, banjo, ukulele, organo, violino, flauto e una sezione ritmica con contrabbasso e percussioni varie, i nomi non ve li cito, non sono famosi, ma sono ricordati nella ricca confezione digipack (o nel vinile) che contiene anche un libretto con tutti i testi delle canzoni, fattore non secondario vista l’importanza delle liriche negli album di Luka.

La title-track ci proietta subito nella musica dell’artista irlandese, una melodia semplice, tra folk e musica d’autore, con la bella voce di Bloom, forse meno risonante di quella del fratello Christy, circondata da un bell’intreccio di strumenti acustici, chitarre, ma anche tastiere, un tocco di chitarra elettrica e percussioni non invadenti ma ben presenti e un contrabbasso che marca il tempo, un brano semplice, sereno, ottimista, che predispone il cuore alla musica evocativa del cantautore, “piccola magia” che si ripete anche in Warrior, sempre intrisa delle atmosfere che si respiravano in quello studio del nord Irlanda, con gli strumenti a corda che circondano il cantato di stampo folk di Luka Bloom. Atmosfere del Nord che prevalgono pure nelle melodie della suadente January Blues, atte a rievocare oltre 40 anni di frequentazioni con i venti e le piogge che caratterizzano quelle fredde regioni ancora libere ed incontaminate. No Fear Here segnata dai delicati arpeggi della chitarra acustica del cantautore, è più buia e malinconica, direi più raccolta, anche se il violino e il flauto le donano dei tratti quasi celtici, mentre la lunga Oh Sahara ci porta in un lungo viaggio tra Europa ed Africa nei lontani anni ’70, sempre con il tipico mood delle canzoni di Bloom, con la strumentazione ad accompagnare il tessuto narrativo del brano, senza particolari scossoni, ma comunque con un arrangiamento che tiene viva l’attenzione dell’ascoltatore, anche se forse un  maggiore brio non guasterebbe.

Isabelle è la storia di una giovane sognatrice nelle Fiandre del 1914, ma è un brano contro tutte le guerre, di allora come di oggi, una delicata folk song tipica del repertorio del nostro amico, e anche Lowland Brothers ha quella rassegnata serenità malinconica che scorre abitualmente nei suoi pezzi, con l’acustica che contrassegna il mood della canzone. Berkeley Lullaby con i florilegi della chitarra e gli interventi di violino ed altri strumenti, è uno strumentale che ci rimanda ai lavori di Bert Jansch e di altri autori del folk britannico, con Jiggy Jig Jig che aggiungendo un banjo alla strumentazione e con basso e batteria più marcati, ha una dimensione più folk blues, forse leggermente irrisolta; Give It A Go è un sogno ad occhi aperti sul desiderio di diventare un surfer nella mezza età, più mossa e incalzante, anche se manca sempre quel quid che molti suoi brani avevano nel passato. Invece presente nella bellissima ballata acustica che risponde al nome di Australia, del tutto degna dei suoi migliori pezzi, non così per la cupa e scarna Wave Up To The Shore che chiude il disco.

Bruno Conti

Ancora Irlandesi. Che Serate, Con Amici Vecchi E Nuovi! Paul Brady – The Vicar St. Sessions Vol. 1 (With Mark Knopfler, Van Morrison, Sinead O’Connor, Bonnie Raitt, Mary Black, Maura O’Connell, Moya Brennan, Ecc.)

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Paul Brady – The Vicar St. Sessions Vol. 1 – Proper Records  

Ci sono i misteri di “Fatima”, e anche i misteri delle industrie discografiche. Quattordici anni fa il cantante irlandese Paul Brady (mi ero già occupato di lui in occasione dell’ultimo Dancer In The Fire, una doppia antologia http://discoclub.myblog.it/2012/05/28/uno-degli-ultimi-bardi-irlandesi-p/), ha suonato per 23 serate consecutive al leggendario Vicar Steet Bar % Club di Dublino ( dove lo scorso anno ho avuto la fortuna di assistere ad un concerto di Christy Moore), con la presenza di numerosi ospiti e amici che ogni sera si alternavano sul palco a cantare con Paul brani del loro repertorio. Ora, una prima selezione di queste canzoni registrate in quel “tour de force” musicale prendono forma, e vengono raggruppate, in questo The Vicar St. Sessions Vol.1 (con la promessa di ulteriori volumi a seguire), dove Brady, anche alla chitarra, sale sul palco del magico locale dublinese accompagnato dalla sua meravigliosa band, composta dal polistrumentista Steve Fletcher alle tastiere, percussioni, basso e voce, Jennifer Maidman alle chitarre acustiche e elettriche, Liam Genockey alla batteria e la brava Leslie Dowdall alla percussioni e armonie vocali, per un “set” virtuale composto da tredici brani (di cui 9 sono “covers”) che danno vita ad un concerto coinvolgente.

Come consuetudine Paul inizia i suoi concerti con I Want You To Want Me (la trovate in Spirits Colliding (95), eseguita, come al solito, al livello di gente come Richard Thompson e John Martyn, per poi far salire sul palco Mark Knopfler per Baloney Again (pescata da Sailing To Philadelphia) con la suo inconfondibile voce e tocco di chitarra, andando poi a ripescare un vecchio brano come The Soul Commotion da Primitive Dance (87) e una sempre commovente Believe In Me tratta da Oh What A World (00), qui riproposta in stile à la Van Morrison, per poi lasciare il palco al duo Gavin Friday e Maurice Seltzer che trasformano la sua bellissima Nobody Knows in un brano crepuscolare che viaggia dalle parti di Lou Reed o Nick Cave, la splendida voce a “cappella” di Sinead O’Connor in In This Heart, e un Van Morrison accolto calorosamente dal pubblico, che canta in duetto con Paul la sua celeberrima Irish Heartbeat (dall’album con i Chieftains), dove il buon Van mi sembra meno svogliato di alcune altre occasioni https://www.youtube.com/watch?v=kbfjVwKxkB4 , anzi, in gran forma!

Si riparte con la classe cristallina di Bonnie Raitt che omaggia Paul con un duetto in Not The Only One (da un album straordinario come Full Moon (86), dove si trovano altre “perle” come Helpless Heart e Steel Claw (portata al successo da Tina Turner), passando poi a Curtis Stigers che presenta la sua Don’t Goi Far (scritta con la brava Beth Nielsen Chapman), il pop melodico (senza fare troppi danni) di Ronan Keating in The Long Goodbye (sempre da Oh What A World), il toccante racconto di un’altra grande artista irlandese Eleanor McEvoy Last Seen October 9th (in memoria di una ragazza scomparsa), il ritorno della Raitt sempre in coppia con Brady nella bluesy The World Is What You Make (da The Paul Brady Songbook (02), andando poi a chiudere il concerto con una stratosferica versione di Forever Young di Dylan, cantata da Paul con un trio di meravigliose voci femminili irlandesi come Mary Black, Maura O’Connell e Moya Brennan dei Clannad (tanto per fare un paragone noi abbiamo avuto e possiamo proporre il Trio Lescano!). Giù il sipario. Per Il momento!

Pur non avendo mai raggiunto le vette della popolarità di altri artisti, Irlanda esclusa (nonostante 16 album al suo attivo e diverse collaborazioni), le sue canzoni godono di grande prestigio, e sono state cantate da una vasta gamma di artisti nel corso degli ultimi quattro decenni, tra cui ricordo Mark Knopfler, Eric Clapton, Joe Cocker, Carole King, Bonnie Raitt, Tina Turner, Mary Black, Maura O’Connell, Trisha Yearwood e molti altri che hanno incluso sue composizioni nel proprio repertorio. Ci sono grande speranze che queste Vicar Street Sessions ottengano il riconoscimento che meritano (certificato dai 17.000 biglietti venduti ai tempi per tutte le serate della serie), e facciano scoprire finalmente, a chi non lo conosce, uno degli artisti più apprezzati e di successo della Emerald Island, un autore dal talento eccezionale che nelle sue esibizioni dal vivo (sia da solo come con la band al completo), trasmette allo spettatore la sensazione di partecipare ad una serata affascinante!

Tino Montanari

La Colonna Sonora Di Una Vita! Mary Black – Down The Crooked Road

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Mary Black – Down The Crooked Road – The Soundtrack – 3ù Records

La carriera di Mary Black, una delle figure fondamentali della canzone tradizionale prima e anche della canzone pop irlandese, in seguito, cominciò nel lontano ’75 e prosegue tutt’oggi con inalterato successo. La piccola Mary nasce in una famiglia di musicisti: il padre era un violinista di Rathlein (una piccola isola della costa irlandese), e la madre una cantante di music-hall di Dublino, e in casa cantavano e suonavano tutti, oltre al padre e alla madre anche i tre fratelli e la sorella Frances. La scelta iniziale di Mary Black fu per la musica popolare tradizionale, il cosiddetto folk, con il gruppo General Humbert, con i quali mosse i primi passi e incise la prima cassetta (altri tempi). La sua voce squillante e cristallina non passò certo inosservata, e sostenuta dal produttore Declan Sinnott (Horslips, ma senza incidere con loro,poi Moving Hearts e Christy Moore) incise un LP come cantante solista intitolato semplicemente Mary Black (82), che ebbe subito successo e le permise di entrare a fare parte del gruppo folk De Dannan, condividendo le parti vocali con un altra grande, Dolores Keane. Il gruppo era già molto famoso , e di conseguenza a Mary si presentò l’occasione di viaggiare molto in Europa e negli Stati Uniti, e quindi di farsi conoscere a livello internazionale, incidendo con loro Song For Ireland  https://www.youtube.com/watch?v=7Se8r579MEY (83) e Anthem (85). Nel frattempo la Black non rinunciò a proseguire la carriera solista incidendo Collected (84) e Without The Fanfare (85) e apparendo in molte “compilation” e come ospite di artisti famosi come Van Morrison, Christy Moore e Joan Baez, nelle loro registrazioni.

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Lentamente Mary passò dal repertorio folk più tradizionale ad uno più pop (nel senso “nobile” del termine e comunque sempre di ottimo livello) pubblicando The Time It Gets Dark (87) che diventò disco di platino, così come l’acclamato No Frontiers (89), con il quale conquistò definitivamente un certo successo anche negli Stati Uniti. Da allora non si contano più i premi vinti e la permanenza dei suoi dischi ai primi posti delle classifiche, soprattutto irlandesi, dove, con Christy Moore, è regina incontrastata: ecco quindi susseguirsi Babes In The Wood (91), intervallato dalle compilations di interpreti femminili A Woman’s Heart volume 1 e 2 (che annoverava fra le tante la sorella Frances Black, Dolores Keane, Sinèad Lohan, Eleanor McEvoy, Maura O’Connell, Sinèad O’Connor, Mary Coughlan, Sharon Shannon) https://www.youtube.com/watch?v=-3nLjGQpUOU , The Holy Ground (93), Circus (95), Shine (97) con versioni dei brani di David Gray, Speaking With The Angel (99), lo splendido Mary Black Live (03), Full Tide(05), l’ultimo lavoro in studio Stories From The Steeples (11) che ho avuto il piacere di recensire su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2011/12/03/eccola-di-nuovo-mary-black-stories-from-the-steeples/ , e varie raccolte tra le quali non posso non menzionare Twenty Five Years, Twenty Five Songs (08) anche in versione DVD, di cui il buon Bruno (in qualità di titolare del blog) ha parlato da par suo, sempre su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2010/05/18/la-piu-bella-voce-d-irlanda-mary-black-twenty-five-years-twe/ .

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Questo “nuovo”disco è uscito a Ottobre. in concomitanza con il lancio della sua autobiografia Down The Crooked Road, e The Soundtrack quindi non è altro che la colonna sonora della sua vita, diciotto canzoni dal suo repertorio (selezionate dalla stessa Black) che coprono 30 anni della sua carriera, impreziosita da brani tratti da esibizioni live e duetti con artisti che hanno condiviso la sua voce e talento. Scorrendo la tracklist, oltre ai brani più noti, Mary pesca dal suo “songbook” personale canzoni della tradizione irlandese come Colcannon con la Black Family, la dolcissima I Live Not Where I Love, e la celeberrima Paddy’s Lamentation con il suo ex-gruppo De Dannan, collaborazioni importanti con Imelda May in Mountains To The Sea https://www.youtube.com/watch?v=Ba_WrxaEwU0 , Dolores Keane e Emmylou Harris in una danzante Sonny https://www.youtube.com/watch?v=7Se8r579MEY , e una strepitosa cover live di Bob Dylan Ring Them Bells in duetto con Joan Baez e al pianoforte Pat Crowley. Dal repertorio live vengono pure riproposte una sempre accorata No Frontiers https://www.youtube.com/watch?v=eYtF-k1YahY , una galoppante Past The Point Of Rescue con le percussioni e la fisarmonica di Dave Early che dettano il ritmo, e la malinconia tipicamente irlandese di Ellis Island, andando poi ad omaggiare due grandi cantautrici, la brava Mary Chapin Carpenter in The Moon And St.Christopher https://www.youtube.com/watch?v=LapGt7t682c  e la mai dimenticata Sandy Denny nell’arcinota Who Knows Where The Time Goes.

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Pensando di fare cosa gradita (ai “fans” della Black, ma soprattutto a chi vuole avvicinarsi a questa superba cantante della Emerald Isle) ecco la tracklist dei brani:

1        – Carolina Rua

2        – The Moon And St. Christopher

3        – Another Day

4        – The Loving Time

5        – Schooldays Over

6        – Colcannon with The Black Family

7        – No Frontiers Live

8        – Mountains To The Sea with Imelda May

9        The Circus

10    – I Live Not Where I Love

11    – Ring Them Bells with Joan Baez

12    – Past The Point Of Rescue Live

13    – Faith In Fate

14    – Sonny with Dolores Keane & Emmylou Harris

15    – Moments

16    – Ellis Islands Live

17    – Paddy’s Lamentation with De Dannan

18    – Who Knows Where The Time Goes

Mary Black vive oggi a Dublino, dove è sposata con un dirigente della Dara Records (la sua storica casa discografica), ha tre figli (di cui uno Danny fa parte del gruppo musicale rock Coronas), e si può certamente affermare (senza mancarle di rispetto) che sia una splendida sessantenne, che dal Gennaio del prossimo anno si appresta ad iniziare l’ennesimo tour mondiale, forse l’ultimo, per una magnifica artista che nel corso della sua lunga carriera ha conquistato milioni di cuori in tutto il mondo. Quindi lunga vita a Mary!

Tino Montanari

Come Al Solito, Buona “Roba” Dall’Irlanda! Eleanor McEvoy – Stuff

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Eleanor McEvoy – Stuff – Moscodisc Recording

Dopo l’uscita dello scorso anno di If You Leave… (si era comunque parlato del precedente Alone su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2011/09/26/dall-irlanda-con-passione-eleanor-mcevoy-alone/ ), torna Eleanor McEvoy con una raccolta di rarità, b-sides, collaborazioni e nuove registrazioni, che copre un arco di carriera ventennale, ormai giunta al dodicesimo album (dieci, secondo l’intervista che potete ascoltare sotto). Questa bella musicista irlandese, nata a Dublino (città che penso di tornare a visitare entro l’anno), è una valida polistrumentista, suona di tutto (violino, chitarra, mandolino, ukulele, viola, pianoforte , clavicembalo e organo), e con la sua voce, immediatamente riconoscibile, ci presenta questa miscellanea di undici tracce, brani che parlano di amori non corrisposti, di perdite dolorose, dall’accompagnamento musicale molto variabile, sempre comunque in un ambito di suono elettroacustico.

La raccolta inizia con il robusto singolo The Thought Of You, a cui fanno seguito una bella versione rallentata di una canzone di Chuck Berry, Memphis Tennessee, riletta in chiave blues e un omaggio alla penna di Georges Moustaki e alla celeberrima Edith Piaf, con una Milord cantata in francese. Si prosegue con Please Heart You’re Killing Me scritta a quattro mani con Rodney Crowell, un brano dal suono vagamente “mariachi”, passando per l’atmosfera ancora bluesy di Don’t Blame The Tune, alla collaborazione con il sestetto polacco Banana Boat in una Take A Little Look, cantata a cappella e a una dolce rilettura acustica di Take You Home. Arriva il momento di un’altra cover, la pimpante e poco conosciuta Whistle For The Choir dei Fratellis (un gruppo indie-rock scozzese), mentre Deliver Me, una canzone sull’ipocrisia della chiesa ufficiale, viene riletta in formato gospel-blues, andando poi a chiudere con due splendidi brani scritti con David Rotheray, chitarrista ed autore nei Beautiful South, l’ironica (british humor) The Night May Still Be Young, But I Am Not,  sotto forma di un valzer cadenzato, e una Lovers Chapel  recuperata dal gruppo di Rotheray, gli Homespun.

Questa signora (o signorina?), Eleanor McEvoy, rimarrà per sempre legata al suo brano più celebre Only A Woman’s Heart (dal suo album d’esordio omonimo Eleanor McEvoy (92)  interpretato da molti artisti (su tutte scelgo personalmente la versione fatta da Mary Black), ma per chi eventualmente ancora non la conosce o vuole approfondire, questo lavoro raccoglie delle piccole gemme che meritano di essere conosciute, una sorta di promemoria costante che ci ricorda che la McEvoy occupa un posto di rilievo nell’universo delle cantanti al femminile della verde Irlanda, dove è molto amata.

Tino Montanari

Novità Di Novembre Parte III. Who, Mary Black, Kate Rusby, Neal Casal, Dirk Hamilton, Bill Labounty

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Questa settimana iniziamo la disamina delle uscite di martedì 15 novembre con il pezzo forte, la riedizione di Quadrophenia degli Who. Come vedete ne usciranno due versioni (più il vinile) mentre la terza è un intruso che sarà pubblicato a fine mese per il “Black Friday”, il giorno del vinile.

Il box Super Deluxe conterrà (leggo): Disc 1&2 – The Original Album 2011 Remaster

Disc 3&4 – 25 Demo Tracks, questi i brani:

Disc three – the demos

1.
The Real Me (demo)

2.
Quadrophenia – Four Overtures (demo)

3.
Cut My Hair (demo)

4.
Fill No. 1 – Get Out and Stay Out (demo)

5.
Quadrophenic – Four Faces (demo)

6.
We Close Tonight (demo)

7.
You Came Back (demo)

8.
Get Inside (demo)

9.
Joker James (demo)

10.
Punk (demo)

11.
I’m One (demo)

12.
Dirty Jobs (demo)

13.
Helpless Dancer (demo)

Disc four – the demos

1.
Is It In My Head (demo)

2.
Any More (demo)

3.
I’ve Had Enough (demo)

4.
Fill No. 2 (demo)

5.
Wizardry (demo)

6.
Sea & Sand (demo)

7.
Drowned (demo)

8.
Is It Me (demo)

9.
Bell Boy (demo)

10.
Dr Jimmy (demo)

11.
Finale-The Rock (demo)

12.
Love Reign O’er Me (demo)

Disc 5 Versione 5.1 di “solo” 8 brani del disco in dolby surround.

Libro Deluxe di 100 pagine in hardback con un nuovo saggio scritto da Pete Townshend e fotografie, testi, note e latro materiale inedito oltre a presentazione brano per brano dei 25 demo.

45 giri 7″ con 5.15 e Water

Poster 20″x30″ e sei inserti facsimile raccolti in una confezione.

Leggevo proprio dalla confezione per cui sono informazioni precise. Naturalmente la confezione è molto bella e molto costosa.

Per chi vuole spendere meno esce anche una versione doppia Deluxe con l’album originale rimasterizzato e 11 demo inediti, questa la tracklist:

Disc: 1
1. I Am The Sea
2. The Real Me
3. Quadrophenia
4. Cut My Hair
5. The Punk And The Godfather
6. I’m One
7. The Dirty Jobs
8. Helpless Dancer
9. Is It In My Head?
10. I’ve Had Enough
11. 5:15
12. Sea And Sand
13. Drowned

1. Bell Boy – Who
2. Doctor Jimmy – Who
3. The Rock – Who
4. Love Reign O’er Me
5. The Real Me (demo) – Who
6. Cut My Hair (demo) – Who
7. Punk (demo) – Who
8. Dirty Jobs (demo) – Who
9. Is It In My Head (demo) – Who
10. Any More (demo) – Who
11. I’ve Had Enough (demo) – Who
12. Drowned (demo) – Who
13. Is It Me? (Demo)
14. Doctor Jimmy (Demo)
15. Love Reign O’er Me (Demo)

Il 29 novembre (che è un martedì, anche se dovrebbe essere il Black Friday!) in Italia uscirà quel 10″ di Townshend chiamato The Quadrophenia Demos 1 con 6 tracce, queste:

Side One:
The Real Me / Demo
Cut My Hair / Demo
Punk / Demo

Side Two:
Dirty Jobs / Demo
Is It In My Head? / Demo
Anymore / Demo

Il secondo volume uscirà ad aprile per il Record Store Day.

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E’ già uscito da qualche giorno, ma pochi se ne sono accorti perché è stato pubblicato solo dalla Rhino francese questo bellissimo Box di 4 CD di Bill Labounty uno dei più bravi (e sconosciuti) vocalist americani apprezzato da uno sparuto manipolo di fans sparsi per il tutto il mondo. Contiene 70 brani, di cui 18 demos inediti, 5 brani dall’album di debutto di Bill Promised Love mai uscito in CD e il meglio della sua produzione tratta da tutti gli album della sua discografia con presentazione delle tracce a cura dello stesso Labounty in un libretto di 16 pagine. Tra i musicisti che appaiono nel cofanetto questi “illustri sconosciuti”, James Taylor, Larry Carlton, Jeff Porcaro, Willie Weeks, Steve Lukather, Lenny Castro, Robbie Dupree (altro grande cultore sconosciuto di questo stile raffinato, che per mancanza di migliori termini definirei “blue-eyed soft soul and jazz” con risvolti californiani), Patti Austin, Jennifer Warnes, Steve Gadd e molti altri. Sciambola!

Un altro grandissimo cantautore americano, che da qualche anno svolge la sua attività anche e soprattutto in Italia, è Dirk Hamilton. E infatti il nuovo Thug Of Love Live viene distribuito in esclusiva per il mercato italiano dalla IRD (è già uscito questa settimana). Si tratta di un doppio, CD+DVD edito dalla Acoustic Rock Records, che festeggia i fasti di Thug Of Love, uno dischi più belli del 1980 (quarto della sua discografia): riproposto in tre concerti tenuti a Dozza, Modena e Cologne a marzo dello scorso anno per il 30° anniversario dal disco originale. Particolare non trascurabile il contenuto di CD e DVD è diverso perché è tratto dalle tre diverse date: quindi un totale di 24 brani. Nell’ultimo brano del CD How Do You Fight Fire appaiono come ospiti Graziano Romani, Massimo Mantovani e Max Marmiroli. Sarebbe d’uopo procurarsi anche l’originale ristampato in CD dalla Wounded Bird nel 2007 e, perché no, i due precedenti, altrettanto stupendi Meet Me At The Crux e Alias I ristampati dalla Akarma. Purtroppo il primo You Can Sing On The Left Or Bark To The Right non è mai stato fatto in CD (credo) e il mio disco originale, prestato ad un “presunto” amico non mi è più stato restituito, ciulato come direbbe Massimo Boldi! Pensate che In Wikipedia non c’è neppure una voce dedicata a Dirk Hamilton. I dati sul nuovo disco sono esatti visto che li ho letti proprio dal CD e non da comunicati stampa.

Il nuovo Neal Casal (lui c’è in Wikipedia), Sweeten The Distance, esce sempre il 15 per la Fargo Records. E’ il 12° della sua carriera, più 2 raccolte e tre dischi con gli Hazy Malaze. Ora che i Cardinals di Ryan Adams di cui era il leader e con cui ha pubblicato 5 dischi si sono sciolti, è libero di riprendere la sua carriera solista.

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Tre voci femminili. Torna, dopo una pausa che durava sei anni, la grande cantante irlandese Mary Black con un nuovo album Stories From The Steeples pubblicato dalla Blix Streets Records in Inghilterra e dalla 3ù Records in Irlanda. Per curiosità ero andato a vedere se il disco fosse uscito prima sul mercato irlandese e fosse già in classifica ma non c’era ancora. In compenso, con grande piacere, ho visto che l’ultimo Christy Moore Folk Tale ha esordito al 3° posto delle charts e la settimana in corso era al 6° lottando eroicamente con Justin Bieber, Rhianna, David Guetta e Co che sono tutti alle sue spalle. Se volete curiosare le classifiche di tutto il mondo questo è il link http://www.lanet.lv/misc/charts/. Nel disco di Mary Black appaiono come ospiti Imelda May, Finbar Furay e Janis Ian.

Altra grande vocalist britannica è Kate Rusby, questo While Mortals Sleep, edito come sempre dalla Pure Records, è il secondo capitolo decicato a brani “stagionali”, di tipo natalizio per intenderci, ma non solo. Sono canzoni e carole, quindi sempre musica tradizionale folk per la brava Kate accompagnata dalla sua band più un quintetto di fiati. Il primo volume si chiamava Sweet Bells.

La terza copertina è quella di Bracing For Impact il nuovo disco di Pegi Young questa volta con i Survivors. Che non comprendono mister Neil Young in formazione, anche se nel disco, pubblicato dalla Vapor Records, c’è! Il gruppo comprende Spooner Oldham alle tastiere, Rick Rosas al basso, Kelvin Holly alla chitarra e Phil Jones alla batteria. Produce Pegi con l’aiuto di Elliot Mazer e “lui” ha scritto Doghouse dove canta le armonie vocali e suona l’armonica, nonché la chitarra elettrica in Lie e Song For A Baby Girl e nuovamente l’armonica in Number 9 Train. Nel disco, che non è male, ci sono anche le ottime Watson Twins alle armonie e una versione della famosa I Don’t Want To Talk About It scritta da Danny Whitten per il primo Crazy Horse dove la seconda voce è quella di Chandra Wilson. Ma mi rendo conto che il disco si compra perché c’è dentro Neil Young e anche se non ci fosse per il legame di parentela, quantomeno per curiosità.

Fine della prima parte (oggi ci sono dei problemi con il Blog).

Bruno Conti

Dall’Irlanda Con Passione! Eleanor McEvoy – Alone

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Eleanor McEvoy – Alone – Moscodisc Records

Sono sempre stato rapito dalle “Ladies” della musica d’autore anglosassone e soprattutto Irlandesi, e se queste hanno un buon impatto vocale come la bella e brava Eleanor McEvoy nota in patria per aver portato ad un incredibile successo il brano Only a woman’s heart, da lei scritto e apparso nel suo disco d’esordio omonimo del 1993, (è stato al primo posto delle classifiche per lungo tempo), tanto da divenire l’album più venduto sul suolo irlandese.

Eleanor nata a Dublino si dimostra subito una bambina precoce, iniziando a suonare il piano all’età di quattro anni , ad otto si dedica al violino e dopo aver finito la scuola ha frequentato il famoso Trinity College di Dublino dove ottiene una laurea in musica che indirizza il suo futuro percorso professionale. Inizia così la storia di Eleanor McEvoy nel mondo discografico, che nell’arco di una ventennale carriera senza cadute di tono, l’ha vista protagonista di molti lavori, dopo il succitato debutto, What’s following me?, Snapshot, Yola, Early hours, Out there, Love must be tough, Singled Out, I’d rather go blonde.

Questo Alone co-prodotto con Mick O’Gorman e registrato al The Grange Studios a Norfolk, con l’apporto di fidati musicisti come Peter Beckett al piano, Gavin Fox al basso, Ross Turner batteria e percussioni e Gerry O’Connor e Ciaran Byrne alle chitarre, propone un suono con lampi di rock ma anche brani di struggente bellezza acustica. Ciò premesso vi consiglio di ascoltare con il cuore l’iniziale Did I hurt you? un’ottima ballata, molto raffinata con i suoi inserti di chitarra e pianoforte, oppure la seguente Harbour dolce ed elegante soft song di preziosa atmosfera. Un inizio a cappella di I’ll be willing  introduce una ballata acustica che ricorda una Tracy Chapman d’annata, cui fa seguito una What’s her name? un po’ insipida.

Ci si riscatta subito con una suadente You’ll hear better songs e una pianistica Sophie che rende merito al talento di Eleanor e mi fa ricordare una mia beniamina, Chi Coltrane. Just for the Tourists ricorda brani dolcissimi con il solo accompagnamento di una chitarra pizzicata. Si prosegue con un altro brano chitarra e voce Days roll by, e un brano come For avoidance of any doubt in stile “swing”, che dimostra la duttilità della McEvoy. Per la gioia degli appassionati non poteva mancare una ennesima versione di Only A Woman’s Heart, qui riproposta in modo più maturo rispetto agli esordi, che rivaleggia per bellezza con una versione cantata in coppia con la grande Mary Black.

Dopo la  soavità di questo brano, mi è difficile  catalogare Did you tell him?, ma subito ci viene in soccorso l’unica “cover” del lavoro una Eve of Destruction del grande P.F. Sloan, resa famosa da Barry McGuire, con un accompagnamento di chitarra che ricorda il miglior Tom Morello. Si finisce con una “bonus track”  in versione acoustic version di You’ll hear better songs, che chiude un cd di buon livello.

Se si vuole trovare qualche termine di paragone si potrebbe citare Mary Coughlan, anche se Eleanor mi sembra più raffinata con qualche assonanza pure con Dolores Keane, più tradizionale quest’ultima  e certamente come punto di riferimento Mary Black altra grande interprete della storia musicale irlandese. Se ci fosse un solo CD di questo genere per il quale decidere di spendere i miei (pochi) soldi, non avrei dubbi.

Da ascoltare dopo la mezzanotte (possibilmente non da soli). Consigliato !!!

 Tino Montanari

La Più Bella Voce D’Irlanda. Mary Black Twenty-Five Years Twenty Five Songs

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Mary Black – 25 Twenty-five years Twenty-five songs DVD 3ù Records/2CD – 3ù Records

Capita la mattina di svegliarsi e di avere voglia di parlare di qualcosa o qualcuno, perché se no tenere un Blog. Oggi ho sentito un impellente bisogno di parlarvi di Mary Black: per molti, almeno in Italia,una perfetta sconosciuta, in tutto il resto del mondo, per fortuna, una delle più brave e rispettate cantanti in circolazione, in possesso di una voce straordinaria. Quel titolo che campeggia all’inizio del post, giustamente, non utilizza punti interrogativi: La più bella voce d’Irlanda è una mera constatazione della verità!

E’ stata definita la quintessenza delle voci femminili irlandesi, profonda, pura, leggermente eterea, al di là di qualsivoglia moda o tendenza. Dirò di più, per alcuni anni la rivista What Hi-Fi? ha considerato la voce di Mary Black così pura da essere utlizzata come termine di paragone ideale per la qualità sonora degli impianti di Alta Fedeltà, quindi niente dischi prova ma un disco di Mary Black.

Nel corso degli anni mi è capitato varie volte di recensire entusiasticamente sul Buscadero i suoi album; purtroppo nella prima decade degli anni 2000, i noughties come li chiamano gli inglesi, ha molto diradato la sua produzione. L’ultimo album in studio Full Tide risale al 2005 ed era stato preceduto da una confezione CD+DVD Mary Black Live nel 2003, questo molto bello mentre l’ultimo, per quanto buono, non aveva raggiunto le vette della produzione precedente.

Tornando un attimo alla perfezione e bellezza incredibile della voce di Mary Black, non per niente Mastro Van Morrison, uno che di voci se ne intende, l’ha voluta al suo fianco, insieme all’altrettanto brava Maura O’Connell (da anni espatriata in America), per la registrazione del suo disco di musica irlandese con i Chieftains, Celtic Heartbeat che sono sicuro molti di voi conosceranno e apprezzeranno.

Cosa ha scatenato questo desiderio di parlare di questa cantante? Oltre all’astinenza da nuovi prodotti, il fatto che un mio amico, Tino, che ringrazio, mi ha fatto avere questo DVD strepitoso che è una summa della sua carriera, uscito per il mercato irlandese nel lontano 2008 ma mai approdato nelle nostre lande e avendo come gemello separato alla nascita, ma con altri contenuti, anche un doppio CD che è una antologia del meglio della sua carriera con due brani incisi per l’occasione. Il fatto che rende il DVD tanto più interessante è che si tratta di materiale dal vivo, tutto inciso per la televisione, irlandese e inglese, e, per la quasi totalità inedito.

25 brani per 25 anni recita il titolo, ma poi ce ne sono altri 5 nelle bonus tracks e, volendo, è possibile ascoltare una traccia aggiunta, brano per brano, dove la stessa Mary Black commenta contenuti musicali, pettinature, abbigliamenti e quant’altro. Altra stranezza è il fattore temporale: la carriera della nostra amica inizia nel 1976 come cantante dei General Humbert, poi si sviluppa in varie collaborazioni, prosegue con l’ingresso nella formazione dei mitici (in tutti i sensi) De Danann e, dal 1982, con il primo omonimo album da solista. Qui il periodo coperto va dal 1979 al 2005, anche se il video è stato assemblato nel 2008. Ma a noi in fondo che ce ne frega? E’ bello? Ma di più, bellissimo! Quindi veniamo ai contenuti.

Si parte dal 1989, con l’anteprima mondiale televisiva di No Frontiers uno dei brani più belli scritti da Jimmy McCarthy per lei e qui ripreso, in un collage video, prima alla televisione iralndese con il grande Declan Sinnott alla chitarra, con pettinatura alla “Brunetta dei Ricchi e Poveri” e poi alla Royal Albert Hall nel 1991 con una band molto ampia che vede alla seconda voce, l’esordiente Eleanor McEvoy, quella di Only A Woman’s Heart. Tutto bellissimo. RTE Late Late Show 1986 con fratelli e familiari, The Black Family, in una strepitosa versione solo vocale del tradizionale Colcannon.

Poi si salta al 1995, Mary Black è sulla terrazza del palazzo presidenziale di Dublino, e accompagnata da un solitario pianoforte, canta Song For Ireland mentre qualche milione di irlandesi (alcune centinaia di migliaia per la Questura) assiste all’evento, in occasione della visita ufficiale di Clinton in Irlanda. La scena sfuma, il brano rimane, siamo nel 1997, in occasione di una reunion con i De Danann. Dalle Transatlantic Sessions del 1994, una emozionante versione di Farewell, Farewell di Richard Simpson con Declan Sinnott (quello dei Moving Hearts) alla chitarra. Il brano più vecchio, del 1979, è una bellissima versione di Heart Like A Wheel scritta dalle sorelle McGarrigle, ma resa celebre da Linda Ronstadt, qui Mary Black è molto giovane ma già in possesso di una voce di una purezza assoluta e di grande carisma (gli occhi sembrano verdi come l’Irlanda). As I Leave Behind Neidin è un duetto emozionante del 1988 con il suo autore preferito, Jimmy McCarthy, un cantautore misconosciuto nella grande tradizione della musica irlandese. Saltiamo al 1995 per Carolina Rua, un brano brioso e trascinante, una delle sue canzoni più conosciute tratta dalla trasmissione Mary Black Special.

Dovete sapere che in Irlanda Mary Black è popolarissima, i suoi dischi vanno regolarmente al primo posto delle classifiche: per fare un paragone, con la sua controparte maschile, Christy Moore si possono considerare l’equivalente irlandese, come popolarità, di Mina e Celentano in Italia. Mo Ghile Mear è un tradizionale in gaelico cantato con l’orchestra. sempre in gaelico il duetto con Seamus Begley Bruach Na Carraige Baine accompagnata, tra gli altri, da Donal Lunny dei Planxty e Moving Hearts.

Mi rendo conto che la lista si fa lunga, non c’è un brano brutto, comunque, selezionando, ricordiamo ancora la sua versione di The Moon and St. Christopher di Mary Chapin Carpenter, di una bellezza sconvolgente, il trio, fantastico, con Dolores Keane e Emmylou Harris in Bringing It All Back Home, una versione stratosferica di By The Time It Gets Dark di Sandy Denny (di cui si può considerare l’erede, almeno a livello vocale). Bellissime anche The Dimming Of The Day di Richard Thompson, Columbus di Noel Brazil, One And Only a New York nel 1997 con una band di musicisti rock, Jerry Marotta, Larry Klein, Michael Landau e Greg Leisz tanto per citare i più noti.

E ancora Ring Them Bells di Bob Dylan in un grande duetto con Joan Baez per la televisione irlandese, un altro duetto con Emmylou Harris sempre nel 1994. Di Dylan è il brano più recente, siamo nel 2005, il brano è Lay Down Your Weary Tune. Un balzo nel passato per il brano conclusivo Anachie Gordon con Christy Moore and Friends, siamo nel 1980. poi come detto ci sono cinque bonus nei contenuti extra. Se riuscite a trovarlo non fatevelo sfuggire, in caso contrario scongiurate qualche amico di passaggio in Irlanda, ne vale assolutamente la pena.

Questa non c’è.

Bruno Conti