Brava, Ma Non Sempre Chi Fa Da Sé Fa Per Tre! Ghalia Volt – One Woman Band

ghalia volt one woman band

Ghalia Volt – One Woman Band – Ruf Records

Questa ci mancava, una blueswoman che viene dal Belgio: a seconda dei dischi si presenta come Ghalia & Mama’s Boys, semplicemente Ghalia, ed ora Ghalia Volt, ma il suo vero nome all’anagrafe è Ghalia Vauthier e viene da Bruxelles, non esattamente la capitale del mondo per le 12 battute. Ovviamente poteva metterla sotto contratto solo la Ruf, che ha un roster di artiste femminili che gravitano intorno al blues, provenienti da tutte le latitudini (e anche le longitudini) del mondo: come certo saprete ci sono americane, inglesi, canadesi, finlandesi, serbe, italiane (la Cargnelutti), austriache, croate, alcune non incidono più per l’etichetta tedesca, ma ne arrivano sempre di nuove, non tutte sono allo stesso livello, ma quasi tutte interessanti. Ghalia ha un passato, ad inizio carriera, magari anche prima, da busker, tra Europa ed America, poi una passione per R&B e R&R con forti venature punk ed infine è arrivato il blues. Dopo due album full band questa volta la signorina, come da titolo One Woman Band, ha deciso di fare tutto da sola, anche se nel disco, registrato ai famosi Royal Sound Studios di Memphis, con la produzione di Boo Mitchell (degno nipote di Willie, quello dei dischi da Al Green) , sono apparsi come ospiti Dean Zucchero al basso e “Monster” Mike Welch alla chitarra.

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L’intento, in risposta alla crisi da Covid, era quello di creare una sorta di resilienza, con un disco, dove canta, suona la chitarra slide, e con i due piedi contemporaneamente kick drum, snare drum, tamburino e piatti https://www.youtube.com/watch?v=q8A2dlDo0-o . Naturalmente il risultato è molto ruspante, a tratti fin troppo. L’energia e la grinta ogni tanto debordano oltre il limite, e quindi il disco non mi ha convinto del tutto, ma è un parere personale, va bene il DIY, ma non sempre ci siamo: l’iniziale Last Minute Packer è un boogie/rock’n’roll con ritmo scandito, voce pimpante, chitarra leggermente distorta e qualche eco di juke joint blues https://www.youtube.com/watch?v=qQX6XvzK0zc , Esperitu Papago, con bottleneck in bella vista e Zucchero al basso, ritmi ripetuti alla John Lee Hooker, qualche tocco di leggero psych-garage rock con la voce trattata nel finale, non sempre decolla, Can’t Escape vira decisamente sul rock, grintoso e tirato, minimale ma deciso e vibrante. Evil Thoughts è uno shuffle quasi classico, divertente e divertito, anche se al solito un filo irrisolto, benché questa volta la chitarra è più in evidenza, ma sarà perché è quella di Mike Welch https://www.youtube.com/watch?v=WDud4wN6T9k ? Meet Me In My Dreams è più convinta ed immersa nelle paludi blues del Mississippi, ma quello che pare essere il suo modello come sound, ovvero RL Burnside, è pur sempre di un’altra categoria https://www.youtube.com/watch?v=343lZp98kyI .

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Reap What You Saw è una delle canzoni più riuscite, slide ascendente e discendente che mulina di gusto, influenzata dalla opera omnia di Elmore James, cantato partecipe e convinto e omaggio riuscito al re del bottleneck, poi ci si sposta verso le traiettorie sonore del Chicago Blues di Muddy Waters, con una sanguigna e scandita Loving Me Is A Full Time Job, che poi accelera nel corso del brano, anche se alcune immaginifiche recensioni mi paiono un filo esagerate nel tessere le lodi di Ghalia. It Hurts Me Too, di nuovo Elmore James, è un sapido lentone con uso bottleneck, che dimostra che volendo la stoffa c’è https://www.youtube.com/watch?v=-Hvkzl-GE0Q , non manca pure del sano R&R come nella divertente It’ Ain’t Bad https://www.youtube.com/watch?v=VWQyzVGscsc  e un’altra cavalcata slide, che dimostra la sua buona tecnica, nella tirata e “lavorata” Bad Apple, prima della chiusura affidata alla cover di un vecchissimo brano anni ‘50 di Ike Turner Just One More Time dove tornano per aiutarla Zucchero e Welch, tra swing e piacevole rockabilly https://www.youtube.com/watch?v=-S74GoKuEZ4 . Alla fine un disco godibile, vediamo per il futuro.

Bruno Conti

50 Anni “Sulla Strada”! Canned Heat – Songs From The Road

canned heat songs from The road

Canned Heat – Songs From The Road – CD+DVD Ruf Records – 14-08-2015

In questi ultimi mesi sono usciti più dischi dei Canned Heat, ristampe e questo nuovo doppio Live, che nei gloriosi giorni di 50 anni fa in cui la band californiana, fondata da Bob Hite Alan Wilson, iniziava la sua attività nel Topanga Canyon. Hite e Wilson non ci sono più, ma Adolfo “Fito” De La Parra (il cui nome mi ricorda sempre i fumetti di Zagor) e Larry “The Mole” Taylor, rispettivamente batteria e basso della formazione classica, sono di nuovo in sella, anzi Fito è l’unico componente ad essere sempre stato presente nelle line-ups che si sono succedute nel corso degli anni e, in teoria, sarebbe in formazione ufficialmente anche Harvey Mandel, il chitarrista storico, che però per problemi di salute non ha potuto essere presente nelle ultime registrazioni del gruppo, sostituito da John JP Paulus, l’attuale solista e con l’aggiunta del solido armonicista, chitarrista slide e cantante, Dale Wesley Spalding. Diciamo pure che sono parecchi anni che i Canned Heat non fanno un album di studio degno del loro passato, forse, ma forse, l’ultimo disco di buon valore è stato Friends In The Can, che risale al 2003, ma dal vivo il loro valore non si discute, soprattutto da quando è rientrato in formazione il prodigioso bassista Larry Taylor, uno dei più grandi allo strumento, e non solo nell’ambito blues-rock, un musicista che ha suonato con chiunque nella storia del rock, dai Monkees Jerry Lee Lewis, passando per Captain Beefheart Zappa, per arrivare fino a Tom Waits e all’Hollywood Fats Band.

Quindi solo buone notizie per questo doppio dal vivo? In parte: il disco, perlopiù, è ottimo, il vecchio boogie loro marchio di fabbrica è spesso in evidenza, ma di tanto in tanto, forse perché Wilson e Hite sono due personalità difficili da sostituire, il repertorio della band vira verso un competente e abile a livello tecnico swing-blues, che però non ha il fuoco e la rabbia dei vecchi tempi andati. Forse sono io che pretendo troppo, giustamente mi si può far notare che siamo alle prese con un paio di “vecchietti” che veleggiano verso e superano i 70 anni, e anche gli altri due non sono poi dei giovanissimi, però ci sono dei momenti nel concerto, registrato lo scorso 16 marzo all’Harmonie di Bonn, per i tipi della Ruf, la loro etichetta degli ultimi venti anni, in cui il quartetto è ancora in grado di roccare e rollare, e suonare il boogie, come pochi al mondo. Se non altro sono presenti gran parte dei “classici”, da On The Road Again, che stranamente apre il concerto anziché chiuderlo, dove il falsetto immancabile è affidato a Fito De La Parra, che si è “inventato” anche cantante, nei brani dove la voce solista era quella di Alan Wilson, con il classico riff, uno dei più noti di sempre che non manca di infiammare i presenti, con l’armonica di Spalding e la chitarra di Paulus subito in bella evidenza, come nella successiva Time Was, un altro dei cavalli di battaglia del repertorio della band, con Taylor in gran forma con il suo basso pulsante che ricorda quello di un altro grande come Jack Bruce, e infatti il sound del brano ricorda anche i Cream.

A questo punto del concerto (ma solo sul Dvd, che ha due brani in più rispetto al CD) troviamo uno buona I’m Her Man, seguita da due di quei brani jazz-blues swinganti, Don’t Know Where She Went (she split) Nighthawk, che sul piano stilistico e tecnico sono perfetti, ma, almeno nel sottoscritto provocano un principio di sbadiglio (solo un principio, perché non sono poi orribili, solo mi sembra centrino poco con i vecchi Canned Heat, ma magari sbaglio io), comunque è classico Chicago blues, il secondo brano uno strumentale. eseguito alla perfezione, con armonica e chitarra sempre in gran spolvero. So Sad (The World’s In A Tangle) https://www.youtube.com/watch?v=K8tVJxfnvkA  è uno dei primi brani dove i tempi si dilatano, il boogie e il rock prendono il sopravvento, insieme alla vecchia capacità della band di improvvisare all’impronta, perché quando il tempo accelera sono ancora una ottima band, grazie allo swing inesorabile di Taylor e De La Parra, e alle derive quasi psichedeliche dell’ottimo Paulus. Altro classico, quello che apriva il film sul Festival di Woodstock, una Going Up The Country dove il riff originale di flauto viene sostituito dall’armonica di Spalding, con l’immancabile falsetto di Fito a sostituire il vecchio “Blind Owl” https://www.youtube.com/watch?v=qG4R5rD6y7Y .

Oaxaca è un altro strumentale ineccepibile, anche con continui cambi di tempo, e un ottimo Spalding all’armonica, però troppo “scolastico”, e anche Chicken Shack Boogie, più vivace, ha i suoi momenti che potrebbero ricordare il sound della Butterfiel Blues Band. Comunque quando Larry Taylor comincia a pompare sul suo basso in Future Blues (preceduta sul DVD da Have A Good Time) le cose si fanno serie, come conferma l’eccellente versione di Christo Redentor, uno dei super classici della band, che nei concerti era il momento di Harvey Mandel, uno slow blues dai risvolti ancora una volta quasi psichedelici con prima Spalding e poi Paulus in gran spolvero. Poderosa la versione di Amphetamine Annie, uno dei pezzi più rock del loro repertorio, con Spalding che passa alla seconda chitarra, e sempre trascinante Rollin’ And Tumblin’, una delle migliori versioni di sempre di questo classico del blues, il primo brano registrato dalla band, con il classico lavoro alla slide. Per concludere un’altra stilettata di energia con Let’s Work Together, che vola sempre sul groove inesorabile del basso di Taylor, che poi si sfoga nell’immancabile boogie conclusivo (grande assolo), che per l’occasione si chiama Euro Boogie, ma è la consueta lunga improvvisazione che conclude in gloria tutti i concerti dei Canned Heat. In definitiva un buon live, tutto sommato, qualche ombra, ma anche molte luci e una band che per il momento non ha intenzione di appendere gli strumenti al chiodo. Let’s Boogie!

Bruno Conti

NDB. Non ci sono ancora in rete video ufficiali dal DVD/CD del concerto, che esce il 14 agosto, quindi ne ho inseriti altri, nuovi e vecchi, comunque spero interessanti.

L’Unione Fa La Forza. Laurence Jones/Christina Skjolberg/Albert Castiglia – Blues Caravan 2014 Live

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Laurence Jones/Christina Skjolberg/Albert Castiglia – Blues Caravan 2014 Live – Ruf 

Nata nel 1994 per promuovere la carriera di Luther Allison, di cui Thomas Ruf era il manager ai tempi, l’etichetta tedesca è diventata nel corso degli anni una delle migliori realtà della musica blues-rock europea, inserendo nel corso degli anni nel proprio roster di artisti, nomi classici della storia del rock, promesse del blues, chitarristi, cantanti e gruppi (dai Colosseum a Dana Fuchs, dai Royal Southern Brotherhood ai Savoy Brown, per citarne alcuni). Gli ultimi arrivati sono questi tre signori che troviamo riuniti in un sontuoso doppio Live (CD+DVD) registrato nel febbraio del 2014 all’Harmonie di Bonn, proprio per festeggiare il 20° Anniversario della Ruf: Laurence Jones, 22 anni non ancora compiuti, una delle giovani promesse del blues-rock inglese, già due prove alle spalle, l’altrettanto giovane Christina Skjolberg, dalla Norvegia e il veterano statunitense, ma di origini italo-cubane, Albert Castiglia. Ammetto che, a parte qualche ascolto veloce, non mi ero mai interessato più di tanto ai loro dischi, ma alla luce di questo album dal vivo penso che approfondirò: presi separatamente i tre sono bravi, ma sentiti insieme nello stesso disco, soprattutto Castiglia, una vera sorpresa, costituiscono una miscela di blues e rock veramente esplosiva. Soprattutto nella versione video, con il supporto delle immagini il concerto si gode in tutta la sua esplosiva carica.E questa volta, finalmente, il DVD contiene una abbondante porzione di materiale che non si trova nel dischetto audio (anche se per i soliti misteri, alcuni brani che troviamo nel CD non appaiono nel Video).

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I tre all’inizio appaiono sul palco tutti insieme, quella che si nota subito (scusate; ma anche l’occhio vuole la sua parte) è Christina Skjolberg, una biondona tutta curve, minigonna nera, calze a pois, che si pone al centro dal palco. Precisiamo subito, ad onor di cronaca, che la ragazza è anche veramente brava, mancina, con chitarra pure quella glitterata, tatuaggio di Jimi Hendrix, il suo idolo, sul braccio e una voce potente e grintosa, anche se forse un filo forzata, non naturale. A sinistra Laurence Jones, che appare anche più giovane di quanto sia in effetti, chitarrista fluido, di ottima tecnica e con il blues elettrico nel cuore, voce vibrante e anche autore di buon valore, la Blues Caravan che apre il concerto è sua https://www.youtube.com/watch?v=oR4uQVdh7LU ; a destra quello che secondo me è il vero protagonista della serata, Albert Castiglia (già con una copiosa discografia americana), vero istrione della sei corde, con la sua Gibson dimostrerà più volte nel corso dello show un virtuosismo impressionante. Dopo l’inizio in comune ogni musicista ha la sua porzione di concerto: prima la Skjolberg con tre brani, la bluesata e funky Come And Get It, dove la bionda scandinava usufruisce anche dei servigi di Jones (senza doppi sensi) che rimane sul palco in qualità di organista, ottima a questo proposito la sezione ritmica formata dal bassista Roger Inniss, eccellente al basso fretless a sei corde e il batterista finlandese Miri Miettinen, essenziale nel suo supporto, entrambi fanno parte proprio del gruppo di Jones. Segue l’hendrixiana Close The Door dove la brava Christina si disimpegna ottimamente in un lungo assolo al wah-wah e conclude il suo breve set con il classico rock di Hush.

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Molto bravo anche Laurence Jones, più vicino al blues classico in Wind Me Up con la solista che viaggia spedita e sicura e nella più raffinata e di atmosfera Fall From The Sky (solo sul CD) e nel rootsy southern di Soul Swamp Rider, scritta con Mike Zito (solo sul DVD). La conclusione, in entrambi i formati, è una lunghissima versione di All Along The Watcher, dove il giovane inglese mette in mostra tutta la sua tecnica, in una versione torrenziale e carica di wah-wah del brano di Dylan/Hendrix https://www.youtube.com/watch?v=2NlUHBBi-p0 . Poi è il turno di Albert Castiglia, una vera forza della natura in un paio di strumentali, Fat Cat https://www.youtube.com/watch?v=DR1ScyDf5Pk  e Freddie’s Boogie (di Freddie King), dove pare di ascoltare l’Alvin Lee esuberante ed inarrestabile del periodo a cavallo di Woodstock, o il miglior Bugs Henderson, con le mani che volano a velocità vertiginose sul manico della chitarra, in una serie di soli veramente impressionanti per tecnica, feeling e controllo dello strumento, un mostro di bravura e anche ottimo showman, quando scende a suonare in mezzo al pubblico, nello stile dei classici bluesmen neri nei piccoli locali di Chicago. Nel video ci sono pure due brani cantati da Castiglia, il primo una cover tiratissima di Bad Avenue, il secondo una versione fantastica e da lasciare senza fiato di Going Down Slow, dove mette in evidenza anche la sua voce roca e vissuta. Solo nel CD ci sono la rocciosa Put Some Stank On It e una bella versione di Sway degli Stones https://www.youtube.com/watch?v=1GzD_kM80_U . Gran finale, di nuovo tutti insieme sul palco, con Cocaine, solo sul DVD e con una poderosa Sweet Home Chicago, dove tutti e tre danno spettacolo alla chitarra https://www.youtube.com/watch?v=oxuPUs44bp8 . Che dire? Tre nomi da tenere d’occhio!

Bruno Conti

Vecchie Glorie Sempre In Gran Forma, 2. Kim Simmonds And Savoy Brown – Goin’ To The Delta

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Kim Simmonds And Savoy Brown – Goin’ To The Delta – Ruf Records/Ird

Come nel caso del disco dei Wishbone Ash, anche i Savoy Brown ruotano da molti anni intorno alla figura di un musicista, il chitarrista Kim Simmonds, fondatore della band nel lontano 1965 (quindi quasi 50 anni fa) quando il British Blues muoveva i primi passi (sì è vero c’erano già stati Cyril Davies e Alexis Korner) con l’avvento di band come i Bluesbreakers di John Mayall, con Eric Clapton alla solista, già con gli Yardbirds, che insieme a Stones, Animals, Pretty Things e molti altri, si erano fatti portavoce del blues e del R&R nero presso il grande pubblico inglese, “bastardizzando” il classico suono della Chess e degli altri artisti di Chicago, con un vigore che da lì a poco avrebbe dato vita al British blues-rock prima e all’hard rock poi. I Savoy Brown (con Ten Years After, Chicken Shack, Fleetwood Mac) furono uno dei primi gruppi a realizzare dischi di quello che loro consideravano la versione europea del suono di Chicago e della zona del Delta del Mississippi, e in questo senso i primi dischi, Shake Down e Getting To The Point, con Chris Youlden, voce solista, Bob Hall al piano e Martin Stone e in seguito “Lonesome” Dave Peverett alla seconda solista, sono ancora oggi dei grandi dischi di Blues, dove la reinterpretazione di classici delle dodici battute si alternava a brani originali firmati da Simmonds e dagli altri.

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Proprio Simmonds raramente viene ricordato tra i grandi axemen di quella era gloriosa, ma invece è stato uno dei chitarristi migliori dei quegli anni, rigoroso ma ricco di inventiva, capace di suonare in punta di vita, con uno stile quasi jazzato e poi di cavare dal manico della sua chitarra note dure ed incattivite che sarebbero state il preludio alla svolta rock-blues degli anni successivi. Con questo Goin’ To The Delta, dopo gli ottimi Voodoo Man e il disco dal vivo http://discoclub.myblog.it/2013/05/08/era-l-ora-savoy-brown-songs-from-the-road/ , Kim decide di tornare sul “luogo del delitto”, il Delta e la musica di Chicago sono gli spunti da cui parte questo nuovo CD, ma l’approccio è inconsueto, nessuna cover ma tutta una serie di brani firmati dallo stesso Simmonds sulla falsariga del blues classico, suonati con una formazione a tre, solo il bassista Pat De Salvo e il batterista Garnett Grimm ad accompagnarlo. Ed i risultati sono molto buoni, Simmonds non è mai stato un cantante formidabile, ma in quasi mezzo secolo di carriera sui palchi di tutto il mondo ha sviluppato una voce diciamo adequata, abbondantemente controbilanciata dal suono della chitarra che è viva, tagliente e pimpante come poche volte nel corso degli ultimi anni della sua carriera (i due dischi appena citati esclusi).

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L’iniziale Laura Lee mette subito le cose in chiaro, le classiche 12 battute del Chicago Blues più elettrico con una chitarra fluida e pungente come si confà allo stile di Simmonds http://www.youtube.com/watch?v=bTWntcoxjE8 , una parte cantata che viene dal songbook immaginario dei grandi autori neri e la verve e la grinta che i bianchi, che non dovrebbero saperlo suonare, secondo gli stereotipi della critica, hanno aggiunto al blues stesso. Sad News rallenta i tempi ma non l’intensità del lavoro della solista, uno slow blues di quelli duri e puri che era facile trovare nei primi anni della Savoy Brown Blues Band. Nuthin’ Like The Blues alza la quota rock del sound del trio e ci riporta al suono più grintoso del periodo “americano” della band http://www.youtube.com/watch?v=muLScTsbcCU , impressione confermata da uno strepitoso strumentale come Cobra, un boogie blues modellato sulle migliori performances degli ZZ Top, quasi cinque minuti di pura forza chitarristica dove Kim Simmonds ci delizia con tutti i “trucchi” e i virtuosismi del miglior blues-rock elettrico, grandissimo brano, una potenza devastante! When You’ve Got A God Thing http://www.youtube.com/watch?v=_k6_z0UT7GM  e Backstreet Woman si impadroniscono dei ritmi più funky del Blues di Albert King, più groove e basso in bella evidenza, ma con la solista sempre in grado di disegnare assoli ricchi di feeling e mordente.

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Goin’ To The Delta è un altro classico esempio del sapido blues elettrico che usciva dai fumosi locali della Wind City nei gloriosi anni ’60 (e anche da locali come il Marquee e il Klooks Kleek nella Londra dello stesso periodo) http://www.youtube.com/watch?v=mOEBKYIiYvs .Just A Dream è il classico slow blues che non può mancare in un disco che vuole rievocare quel periodo di grande creatività, mentre Turn Your Lamp On introduce elementi R&B e R&R, altri pilastri della musica di quel periodo qui ripresa con il giusto piglio, anche se tra le pieghe dei brani, ovviamente, si respira una aria di déjà vu che non sempre il lavoro della solista di Simmonds può redimere, ma ci prova alla grande. In I Miss Your Love, un altro slow cadenzato e ricco di atmosfera, Kim si cimenta con profitto anche alla slide http://www.youtube.com/watch?v=E9Oc_wUQkuE  per tornare al Chicago blues di Sleeping Rough, forse un po’ ripetitiva: in fondo non stiamo parlando di un capolavoro ma di un buon lavoro indirizzato soprattutto agli amanti del genere, come conferma la conclusiva Going Back, altra escursione nei percorsi collaterali del R&B, sempre punteggiati dalla solista, precisa e puntuale, del nostro amico Kim, che non ha perso la verve dei giorni migliori. Un ennesimo onesto ritorno per una della firme storiche del “blues bianco”!

Bruno Conti

Bella, Brava, Bionda…E Suona Il Blues! Joanne Shaw Taylor – Songs From The Road

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Joanne Shaw Taylor – Songs From The Road – CD/DVD Ruf Records

Joanne Shaw Taylor, 27 anni, inglese (ma vive a Detroit, Michigan), è stata “scoperta” da Dave Stewart degli Eurythmics quando aveva 16 anni e poi, tramite tre album di studio con la Ruf Records, sì è costruita la reputazione di una delle più brave blueswomen inglesi, “The New Face Of The Blues”, l’ha chiamata una rivista britannica specializzata del settore (non per nulla è stata anche la chitarra solista nella band di Annie Lennox per il concerto del giubileo della Regina Elisabetta, magari l’avete vista in qualche filmato dell’evento, con le sue alette, era lei, breve assolo http://www.youtube.com/watch?v=OtNJ0lKwfLk ). Ed in effetti la “ragazza” è brava e questo Songs From The Road, della fortunata serie di CD+DVD dal vivo della etichetta tedesca, è una sorta di prova di laurea che la vede affiancarsi a gente come Jeff Healey, Luther Allison, Savoy Brown, recentemente anche i Royal Southern Brotherhood,  e molti altri che hanno visto pubblicati i loro sforzi in questi doppi album.

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Il concerto è stato registrato al Borderline di Londra nel maggio di quest’anno, quindi in un locale volutamente piccolo, una sorta di club che preserva l’intimità dell’ascoltatore e la vicinanza ai musicisti che sono stimolati a dare il meglio, più che nelle arene, ammesso che sia così popolare da potersele permettere, forse nei Festival, e la vede accompagnata dal suo gruppo abituale, una solida sezione ritmica e l’organista Jools Grudgings per un set che parte dal blues, ma ha anche, e soprattutto, molto rock tra le sue frecce, a partire dalle due cover inserite nella parte centrale del concerto: una vigorosa rilettura di Manic Depression di Mastro Jimi (che per i misteriosi percorsi della discografia è presente solo nel CD ma non nel DVD, che però ha tre brani in più), dall’interessante arrangiamento che scombina la versione originale http://www.youtube.com/watch?v=hdI56Ts_EP8 , permettendoci di gustare i virtuosismi acrobatici della bionda chitarrista inglese, veramente brava e straripante nel lungo solo nella parte finale del brano (e questo è molto Hendrix)!  L’altra cover è quella di Jealousy, un brano scritto e cantato dal grande Frankie Miller, uno dei preferiti del sottoscritto ed uno dei più migliori cantanti del rock(blues) britannico degli anni ’70 http://www.youtube.com/watch?v=mpNI_jc_-HA  conoscerlo è già nota di merito e anche l’esecuzione con la voce gagliarda della Shaw Taylor, sostenuta dall’Hammond del bravo Grudgings, prima di esplodere in un assolo dal crescendo irresistibile, è da manuale Cencelli dei concerti dal vivo.

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Come peraltro il resto del materiale contenuto in questo Live: la nostra amica Joanne scrive delle belle canzoni e, se non fosse sconveniente dirlo, ma ormai vado, è un “gran manico”, con un sound della sua chitarra che non fa rimpiangere i grandi del genere. Sentite le sue evoluzioni nella lunghissima, oltre 10 minuti, Watch ‘Em Burn, che rinverdisce i fasti del british blues-rock dei primi anni ’70 http://www.youtube.com/watch?v=PkHq7rI4SME  o l’afflato anche melodico di un brano come Diamonds In The Dirt, uno dei suoi brani più celebri, o il funky soul della deliziosa Beautifully Broken, molto accattivante nelle sue movenze sinuose. Forse, almeno nella parte audio del doppio, manca uno slow blues di quelli lancinanti (ma c’è nella parte video, Time Has Come) http://www.youtube.com/watch?v=ec6M7dBPAaw , ma pezzi rock come le iniziali Soul Station o Tied And Bound, dai riff irresistibili di chitarra e organo, ci rimandano al sound di una Dana Fuchs o di una Beth Hart, meno brava come cantante la Shaw Taylor, un po’ forzata e non una voce “naturale” come le altre due, ma compensa abbondantemente  con le sue doti di chitarrista. Non ci sono punti deboli o brani scarsi nel repertorio che viene sciorinato nell’oretta abbondante del CD e nei 139 minuti del DVD, entrambi contenuti nella medesima confezione, quindi se amate il vostro blues molto energico e “roccato” o il vostro rock venato da ricche dosi di blues questo Songs From The Road di Joanne Shaw Taylor dovrebbe fare al vostro caso. Per dirla con una delle nostre classiche battute “femministe”, bella e brava (il brava l’ho aggiunto io, nel solito stupido titolo del film in italiano non c’era, in lingua originale Marrying Man, con Kim Basinger)!

Bruno Conti

Ancora “Sudisti”, Ma Di Quelli Bravi! Skinny Molly – Haywire Riot

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Skinny Molly – Haywire Riot – Ruf Records –

Le tedesca Ruf Records, un tempo dedita solo a Blues e Blues-rock, negli ultimi anni ha iniziato a costruirsi un piccolo “roster” di artisti che gravitano intorno all’area southern, i più recenti sono i Royal Southern Brotherhood e Devon Allman da solista. Questi, per esempio, hanno presentato recentemente dei buoni risultati per il filone, insieme a Dixie Tabernacle, Brothers Of The Southland, Blackberry Smoke e vari altri, tenendo alta la bandiera del genere. Quasi tutti questi gruppi vedono nelle loro fila dei veterani che provengono anche dalle vecchie band storiche che hanno dato lustro all’area sudista nel passato. Senza dimenticare che molti dei gruppi originali sono tuttora in pista: Outlaws, Blackfoot, Molly Hatchet, i capostipiti Lynyrd Skynyrd (che però con gli ultimi album in studio stanno deludendo fortemente).

Proprio dall’ultimo album valido in studio degli Skynyrd, l’unplugged Endangeres Species, viene il chitarrista e cantante Mike Estes, che in quell’unico disco aveva contribuito con alcuni brani nuovi da affiancare alla rivisitazione dei classici. Estes, dopo avere pubblicato un paio di album da solista nella seconda metà degli anni ’90, con l’inizio del nuovo secolo, ha fondato questa nuova formazione, gli Skinny Molly, inizialmente con Dave Hlubek che era la chitarra solista e il primo vocalist dei Molly Hatchet, fino all’arrivo di Danny Joe Brown. Questa prima versione degli Skinny Molly nasceva come band per un tour europeo nel 2004, ma non ha mai inciso nulla perché Hlubek venne richiamato nel suo gruppo originale lasciandosi un altro “Skinny” alle spalle. Il batterista Kurt Pietro e il bassista Luke Bradshaw sono rimasti la sezione ritmica del gruppo, mentre il nuovo chitarrista è Jay Johnson già con Southern Rock Allstars e Blackfoot, e qui il cerchio si chiude, ma bene. Perché il risultato, già anticipato dal buon Good Deed del 2008, è assolutamente all’altezza delle attese: dell’eccellente southern rock, con tutti gli elementi al loro posto, doppia chitarra solista, una bella voce potente nella  tradizione dei grandi del genere (Ronnie e Danny Joe, in primis), ma soprattutto buone canzoni e niente derive hard commerciali, come nell’ultimo Lynyrd Skynyrd.

Si capisce sin dall’iniziale If You Don’t Care che siamo sulle coordinate giuste, le chitarre ruggiscono di gusto dai canali dallo stereo, Mike Estes (che scrive tutti i brani di questo Haywire Riot) canta con una convinzione e una varietà di toni che i suoi vecchi compagni di avventura non sembrano più avere. La versione di Devil In The Bottle che Estes aveva firmato con Dale Krantz, Gary Rossington e Johnny Van Zant, ha il gusto sapido dei migliori episodi del gruppo madre, con l’organo Hammond B-3 di Josh Foster ad aggiungere autenticità al suono degli Skinny Molly che non è solo una mera ripetizione degli stilemi del genere, e se lo è, prende solo il meglio dal passato. Come dimostra l’ottima Two Good Wheels che aggiunge la giusta quota di country (elemento fondante e imprescindibile, “sparito” dagli ultimi Lynyrd Skynyrd) con il mandolino e l’acustica di Estes che sovrappongono quella patina “campagnola” che è sempre stato uno degli ingredienti immancabili del southern, una bella ballatona con le palle, come il genere esige. Ma quando c’è da picchiare come fabbri e fare fischiare le chitarre come in Too Bad To Be True, si esegue con classe ed energia, senza mai cadere nel cattivo gusto, la band è in assoluto controllo del suono, rock ma se “sudista” deve essere, facciamolo bene.

Anche in quelle saghe senza tempo del vecchio West, come in Judge Parker, l’intreccio tra acustiche ed elettriche rende assolutamente l’atmosfera cercata, subito pronti all’assolo ma senza mai esagerare (nessun brano supera i 4 minuti), le cavalcate chitarristiche le riservano per i concerti dal vivo. Bitin’ The Dog, molto riffata e tirata e Lie To Me, un lento scandito dalla voce e dall’acustica di Estes illustrano bene le due anime del gruppo. Shut Up And Rock e ancora di più, After You, che ad un inizio attendista e country con il vocione minaccioso di Mike, fa seguire una bella parte centrale e finale dove alla slide del leader e alla chitarra di Johnson si aggiunge anche una terza chitarra solista, Derek Parnell, sono perfetti esempi di buon southern rock, sentito mille volte, ma sempre gradito, se è così ben eseguito. None Of Me No More forse è un po’ ripetitiva (Ok, più delle altre!) ma Dodgin’ Bullets, di nuovo con una modalità elettroacustica e le classiche improvvise accelerazioni chitarristiche, che sono il pane degli appassionati del genere, confermano il valore di questa formazione, gli Skinny Molly, attualmente una delle migliori in circolazione.               

Bruno Conti   

E Alla Fine Ne Rimase Uno (Il Chitarrista)! Savoy Brown – Voodoo Moon

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Savoy Brown – Voodoo Moon – Ruf Records CD o LP   

Ero pronto alla ennesima delusione con questo nuovo album dei Savoy Brown, Voodoo Moon, evidentemente dopo oltre 45 anni di onorata carriera il vecchio fuoco del gruppo sembrava essersi spento. Specialmente negli ultimi 15 anni, da quando Kim Simmonds, l’unico membro originale del gruppo sin dalla fondazione, aveva assunto anche il ruolo di cantante (lascia stare Kim!) i dischi si erano succeduti sempre più mosci, routinari e non è che anche gli anni ’80 e ’90 fossero stati così proficui a livello qualitativo. Per cui mi ero avvicinato a questo album senza particolari aspettative e invece… Non siamo di fronte ad un capolavoro, ma sarà il passaggio ad una casa come la Ruf che conosce l’argomento Blues e dintorni come le proprie tasche, sarà la nuova formazione, comunque il risultato finale non è da buttare, anzi, di tanto il tanto, il vecchio “fuoco” che li aveva portati ad essere una delle formazioni più importanti del cosiddetto British Blues Revival si riaccende. Non siamo ai livelli dei primi album come Getting To Point o Blue Matter ma ci avviciniamo al sound più rock di ottimi album come Street Corner Talking e Hellbound Train, il loro più grande successo negli States.

Non dimentichiamo che in questa formazione, negli anni, sono transitati personaggi come Lonesome Dave (Peverett) e Roger Earl che poi avrebbero fondato i Foghat, il pianista Bob Hall e vari musicisti che hanno incrociato la loro carriera anche con Fleetwood Mac, Chicken Shack e il Mighty Baby e Chilli Willi Martin Stone per citarne alcuni. Kim Simmonds dice nelle note del libretto che le canzoni di questo Voodoo Moon sono le migliori che scrive dai primi anni ’70 e probabilmente ha ragione! Ma nel frattempo cosa è successo? Sorvoliamo e concentriamoci su questo album.
Un’altra ragione di trepidazione c’è stata, di primo acchito, quando ho letto i nomi dei nuovi componenti del gruppo: Joe Whiting, la voce solista, un veterano della scena rock americana che non avevo mai incrociato nei miei ascolti che suona anche il sax (poco per fortuna) e la sezione ritmica Pat De Salvo, basso e Garnett Grimm, batteria, tutti mai sentiti, ma devo dire bravi. Soprattutto il cantante, Whiting, che ha una bella voce (non so perché mi ha ricordato la tonalità di Mal dei Primitives, mi è venuta così) adatta al drive rock & blues dell’eccellente brano iniziale Shockwaves con la chitarra di Simmonds in evidenza e il brillante pianino del membro aggiunto Andy Rudy a dargli man forte. Ma anche le atmosfere più ricercate alla Fleewood Mac (periodo blues, obviously) di Natural Man con il lavoro di coloritura del sax che non rompe più di tanto e l’organo che si insinua tra le pieghe del pezzo e gli dà quasi sonorità da swamp rock della Louisiana e gli assoli di Kim Simmonds fluidi ed inventivi rinverdiscono i fasti del passato di quello che si può considerare l’unica “vecchia gloria” del gruppo ma ancora in grande spolvero.

Too Much Money è il brano che, anche per la presenza di un piano elettrico, ha il sound più commerciale e un tantino scontato ma redento dal solito buon lavoro della chitarra e la slide e il groove boogie blues di She’s Got The Heat unito al cantato pimpante di Whiting risollevano subito le sorti del CD. Look At The Sun parte bene ma poi si ammoscia con il cantato di Simmonds (te lo ripeto Kim, lascia perdere, non avevi cantato per 30 anni, ci sarà stato un motivo!), anche il sax più presente non aiuta il brano. Ottimo, forse il migliore del lotto, 24/7, un brano strumentale (sarà un caso?) che profuma di southern rock e con la band che gira alla grande seguendo le evoluzioni della chitarra del leader. Round and round senza infamia e senza lode ancora con il cantato alla camomilla di Simmonds. Tutt’altro discorso per le atmosfere nuovamente brillanti della title-track Voodoo Moon che costruisce un bel crescendo che mi ha ricordato a momenti il riff alla All Along the Watchtower del classico di Dylan-Hendrix. Meet The Blues Head On, nonostante il titolo, è forse il brano più vicino al classico suono rock americano dei Savoy Brown  anni ’70, non male anche se non particolarmente memorabile.

Quindi per concludere, più luci che ombre e dicono che il gruppo dal vivo abbia ancora un bel tiro per cui, senza strapparvi i capelli dall’entusiasmo, potete farci un pensierino se vi piace il genere.

Bruno Conti   

Giovani Talenti Crescono! Samantha Fish – Runaway

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Samantha Fish – Runaway – Ruf Records          

Ormai i dischi con ragazze chitarriste (e cantanti) che si cimentano con il Blues sono tantissimi. L’ultima della lista è questa Samantha Fish che esordisce come solista con questo Runaway ma già pochi mesi orsono aveva pubblicato, sempre per la Ruf, un Girls With Guitars insieme a Dani Wilde, inglese e Cassie Taylor, americana. Anche la Fish viene dagli States, Kansas City, Missouri come i fratelli Schnebelen dei Trampled Under Foot che per il sottoscritto rimangono un gradino più in alto.

Comunque la giovane Samantha Fish (21 anni), ha grinta, classe, una bella voce anche se non memorabile, scrive le sue canzoni, si è scelta un ottimo produttore nella persona di Mike Zito e anche nell’unica cover presente nell’album, Louisiana Rain denota buoni gusti musicali. Proprio la ballata sudista di Tom Petty con una bella slide che la percorre denota un percorso diverso dal blues più canonico che compone gran parte del disco, insieme al duetto con Zito nel solido rock tra southern e Stones di Push Comes To Shove, firmata da entrambi, indica un percorso più variegato alla Susan Tedeschi o Bonnie Raitt, vedremo.

Nel frattempo giovani talenti crescono con il minaccioso groove di Down In The Swamp dove l’acerbità parziale della voce è compensata da un notevole lavoro chitarristico mentre nella title-track Runaway a ritmo di boogie à la Hooker denota una varietà di stili e modalità all’interno di un percorso Blues di fondo. Nello slow Today’s My day alterna acustica ed elettrica slide e canta con passione mentre in Money To Burn una bella atmosfera sospesa con improvvise aperture della solista dimostra che la ragazza ha talento.

L’hanno definita l’Ana Popovic americana e direi che ci sta: quando sfodera il wah-wah d’ordinanza nella grintosa Leavin’ Kind le analogie ci sono anche se l’altra, anche in questo caso, ha una classe superiore. Qualche brano non brilla, ad esempio Otherside of The Bottle è abbastanza superfluo e la conclusiva Feelin’ Allright con la sua atmosfera da jazz after hours non c’entra molto con il resto e la sua statura di vocalist non può fare la differenza.

Globalmente la ragazza se la cava brillantemente e le consiglierei di insistere su quello stile rock and soul dei due brani citati all’inizio e dell’ottima Soft And Slow.

Bruno Conti