Buona Anche La Seconda! Gregory Alan Isakov – This Empty Northern Hemisphere

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Gregory Alan Isakov – This Empty Northern HemisphereSuburban Home (Self-released)(2009)

Come i più attenti avranno il caso di notare il titolo si riferisce sia alla seconda partecipazione di un “ospite esterno” al Blog in qualità di autore, sia al fatto che il cantautore in oggetto sia di origini Sudafricane come un’altra “scoperta” del Blog di qualche mese fa (sia pure di passaggio) ovvero Diane Birch. Come vedete la ricerca di “beautiful losers” minori prosegue e quindi a voi il piacere della lettura.

“Non sempre è facile accostarsi ai nomi “minori”, specialmente nell’ambito del cantautorato americano. La tentazione ed il desiderio insieme, è quello di voler scoprire il nuovo “genio”, la nuova speranza e sottoporlo al pubblico degli appassionati per farne oggetto di culto, oltretutto la difficile reperibilità degli autori di volta in volta scoperti, aumenta la curiosità ed il gioco di complicità che ne scaturisce. Fatta dunque questa onesta precisazione, vorrei consigliare l’ascolto di tale Gregory Alan Isakov, Sudafricano di nascita (Johannesburg) e residente in quel di Philadelphia, con tutte le influenze musicali dell’area di appartenenza.

Dopo tre misconosciuti dischi licenziati dal 2003 al 2007, quali Rust Colored Stones, Songs for October e That Sea, the Gambler, questo This Empty Northern Hemisphere, è uno di quei classici casi che senza far gridare al miracolo, una volta acquistato, può diventare un’opera d’autore e di culto. Intendo dire che  i brani di questo lavoro, sono tutti validi, supportato da strumentisti di vaglia, il nostro amico si esprime attraverso un ben bilanciato sound elettro-acustico, e interpreta canzoni di impatto immediato come Virginia May e That Moon Song, con voce profonda intensa ed intrigante, brani che trasmettono una toccante carica poetica.

Big Black Car e If I Go I’m Goin sono composizioni impetuose che mi ricordano il miglior Matthew Ryan.

Il finale è affidato alla cover di One Of Us Cannot Be Wrong, di “mastro” Cohen (con una Brandi Carlile ospite anche in altri brani, splendida alla seconda voce), canzone che Isakov riveste in modo struggente. Un peccato che artisti di tale valore non abbiano il riconoscimento dovuto, anche se è questo il sottile ed egoistico desiderio degli appassionati, e verrebbe da scommettere su questo Gregory Alan Isakov che ha tutte le carte in regola per diventare cantautore di “culto”, e proprio per questo dalla limitata risonanza. Da scoprire ed amare!”

Tino Montanari

Un piccolo post scriptum. Se avete dei nomi e dei vostri scritti da proporre su personaggi nuovi ed emergenti o semplicemente argomenti interessanti come vedete la collaborazione è sempre gradita e stimolante. In questo caso, per un gioco di rimandi, mi ha ricordato che “devo assolutamente parlare” del Live At Benaroya Hall di Brandi Carlile che è veramente molto bello e continuo a rimandare.

Bruno Conti

Tutti In Crociera! Elvin Bishop – Raisin’ Hell Revue

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Elvin Bishop – Raisin’ Hell Revue – Delta Groove Music

 

Ormai da un po’ di anni in America ha preso piede la moda delle crociere. Eh già perché in Italia invece no? Ovviamente stiamo parlando di crociere musicali. Ovvero come unire il piacere di una bella crociera con la gioia di ascoltare della buona musica. Ma non quei terribili gruppi che spesso infestano le tolde delle navi ma fior di musicisti.

In questo caso la Legendary Rhythm & Blues Cruise presenta Elvin Bishop e i suoi amici registrati nel corso del tour dello scorso anno in uno spettacolo Raisin’ Hell Revue che prende il nome da uno dei dischi più belli della carriera di Bishop, il doppio dal vivo Raisin’ hell pubblicato dalla Capricorn nel 1977 nel momento di maggiore popolarità di Elvin in seguito al successo del brano Fooled Around & Fell in Love, l’unico in oltre 45 anni di onorata carriera a entrare nei Top 5 delle classifiche di Billboard e tratto da un album Struttin’ my stuff uscito un paio di anni prima e, forse, non tra i migliori della sua carriera.

Carriera iniziata all’inizio degli anni ’60 quando il bluesman di Chicago Little Smokey Smothers lo prese sotto la sua ala protettiva prima di lanciarlo verso la grandissima Butterfield Blues Band dove avrebbe condiviso con Mike Bloomfield alcuni dei più eccitanti brani creati da gruppi bianchi nella storia del Blues. Proprio in questo ambito, negli ultimi anni, grazie alla Delta Groove Elvin Bishop ha pubblicato alcuni dei migliori album della sua storia a partire da The Blues Roll On. Il nostro amico non è un grande vocalist ma a differenza di altri lo sa e ha sempre saputo circondarsi di cantanti che potessero meglio veicolare i suoi brani a partire da quel suo unico hit che venne cantato da Mickey Thomas che era il suo background vocalist e da lì a poco sarebbe diventato la voce solista dei Jefferson Starship (e questo autunno i due uniranno di nuovo le loro forze nella crociera 2011). Non male per un signore che quest’anno compirà 69 anni.

In questo nuovo album dal vivo di cantanti ce ne sono una valanga: dal grande veterano Finis Tasby che da par suo delizia il pubblico con una tiratissima Whole Lotta Lovin’ con le chitarre di Bishop e Kid Andersen che si dividono gli assoli. All’ottimo armonicista John Nemeth che canta benissimo la deliziosa Fooled Around and Fell In Love un brano carico di soul che avrebbe fatto la gioia della J.Geils Band di Peter Wolf, perfetto il lavoro della solista di Bishop, le armonie vocali dei componenti la band con particolare merito a Lisa Leu Andersen, nonché il piano di Steve Willis. Il vecchio marpione mette in pista il suo vocione vissuto per un blues sanguigno come What The Hell Is Going On adatto alle sue corde vocali e ci dà dentro nel reparto chitarristico ancora con Kid Andersen di supporto.

Per la versione di The Night Time Is The Right Time come in tutte le Revue che si rispettino sale sul palco anche una sezione fiati e John Nemeth con l’aiuto della Andersen cerca di rendere giustizia a questo classico. Per Down In Virginia Bishop sfodera la slide di ordinanza, Nemeth l’armonica e Finis Tasby canta o’ Blues. Rock My Soul con l’iniziale divertente e tirata Callin’ All Cows è uno dei momenti corali del concerto con tutti che cantano e suonano e ben quattro solisti che si alternano alla guida del gruppo, canta anche il batterista Bobby Cochran. Cryin’ Fool è un altro dei successi dei suoi album solisti pieno di soul è cantato con passione dal sassofonista Terry Hanck.

Ancora una sfilata di solisti per la bluesata con fiati River’s Invitation affidata alla solida voce di Finis Tasby il migliore dei cantanti a disposizione. Per l’omaggio ad Albert Collins nella torrida Dyin’ Flu mette in campo le sue migliori qualità chitarristiche e cava dal cilindro un assolo notevole. Ancora Blues classico con John Nemeth in Tore Up Over You e con Finis Tasby nell’immortale It Hurts Me Too. La divertente Bye Bye Baby conclude in gloria le operazioni, un’oretta piacevole di Blues e dintorni portata a termine da un manipolo di valorosi che conoscono il loro mestiere come pochi e raramente ti annoiano.

Bruno Conti

Detroit Blues Rock. Howard Glazer And The El 34s – Wired For Sound

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Howard Glazer and The El £4s – Wired For Sound – Lazy Brothers Records

 

Fisicamente pensate ad una specie di incrocio tra Johnny Winter e Warren Haynes, forse anche musicalmente, se fossero nati a Detroit. Però meno bravo di entrambi, embé. Anche lui ha il classico difetto, immancabile in tanti bravi chitarristi, la voce (ma prendersi un cantante no?). Forse costa troppo, per cui vai col classico trio e con i soldi risparmiati per il cantante ci possiamo permettere una sezione fiati in alcuni brani.

Questo Wired For Sound è il terzo album di Howard Glazer dopo una militanza nella band di Harmonica Shah altro musicista di Detroit di cui francamente ignoravo l’esistenza. Se non consideriamo la voce Glazer ha un suono chitarristico di quelli tosti, riff e assoli poderosi spesso con la slide a manetta come nell’iniziale Touch my heart, si scrive i brani da solo, fa un power blues-rock roccioso con continui cambi di tempo e genere. Quando usa i fiati come in Happy In My Arms assume delle tonalità quasi alla Stax (il “vecchio” Albert King docet), ci sono anche un paio di voci femminili addette alle armonie vocali e il nostro amico sa anche essere più raffinato e meno brutale nei suoi interventi. Il voodoo blues di Living On The Edge profuma di swamp rock e in Detroit Blues Party appaiono anche uno dei “padri” del blues moderno (e antico) David Honeyboy Edwards e l’ottima vocalist locale Lady L dal timbro potente che consiglierei al nostro amico per il suo gruppo.

Non mancano anche i torridi slow blues quasi alla Cream come nell’intensa Hurts So Badly con la chitarra che viaggia che è un piacere, ma il cantato ricorda molto Roy Buchanan che non rimarrà nella storia del blues come cantante (e temo neppure Glazer). Qualcuno ha citato anche Kim Simmonds dei gloriosi Savoy Brown come fonte di ispirazione e devo dire che glielo appoggio. Waiting For The Train è una piacevole variazione sul tema, più acustica e con una bella slide resonator in evidenza. Wall Street Bailout con le sonorità minacciose di un wah-wah in primo piano per certi versi ricorda un altro “figlio” di Detroit, quel Ted Nugent che nei primi anni ’70 (ma già nelle decade precedente) era uno dei rocker più selvaggi della scena americana (e un chitarrista fantastico). Nello spazio di un attimo I Got A Good Girl ci riporta all’anima più gentile, acustica del nostro amico con il bassista Bob Goodwin che si cimenta anche all’armonica e la resonator di Glazer che ricorda l’albino texano ricordato all’inizio. Ancora slide ma elettrica per Get Me Out Of Here e poi il funky fiatistico di Reel me in ancora con wah-wah in evidenza.

A conferma dell’eclettismo di questo Wired For The Sound c’è spazio anche per l’acustica Half Empty con una chitarra arpeggiata e atmosfere sognanti e gentili quasi psichedeliche per poi passare nuovamente al funky marcato ed elettrico della successiva No regrets.

Quest’anno compie 80 anni ma il poeta, performer, leader delle “White Panther” e manager degli MC5 John Sinclair ai tempi gloriosi della Motor City Mania, fa una apparizione sia in Goodbye che nella ripresa di Detroit Blues Party per rinverdire i fasti dei vecchi tempi e il rock ruggente e glorioso dei suoi protetti, il vocione è ancora ipnotico e gli sprazzi jazzati del primo brano sono notevoli così come la chitarra in overdrive di Glazer. Magari un album tutto così non sarebbe male!

Bruno Conti

Ricominciamo! Paul McCartney Archive Collection

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Paul McCartney – Driving Rain/Run Devil Run/Chaos & Creation In The Backyard – Hear Music/Universal CD Special Price Remastered 2011

Ovviamente il titolo del Post non fa riferimento alla famosa hit di Pappalardo ma alle lamentele del vostro portafoglio. Naturalmente non potevate pensare che l’operazione definita Paul McCartney Archive Collection iniziata lo scorso anno con la ripubblicazione di quello che si può definire il miglior album della carriera da solista di McCartney Band On The Run, finisse lì?

Certo che no! E quindi ricominciamo: secondo il programma della Universal italiana (titolare insieme alla Concord del catalogo Hear Music) si dovrebbe ripartire con le 3 ristampe elencate sopra che sono i dischi di McCartney del 1999, 2001 e 2005 la cui uscita dovrebbe avvenire, a prezzo speciale (e questo è una buona notizia) tra il 24 e il 31 maggio. Ma da informazioni assunte, a livello internazionale i CD dovrebbero uscire nella seconda parte di giugno, comunque vedremo. Prima (o dopo), il 14 giugno in ogni caso, escono i due pezzi da 90 (temo anche come prezzo) di questa serie.

Si tratta di McCartney, il primo album da solista, del 1970 e McCartney II (che non è proprio tra i migliori del buon veccchio Paul e infatti sarà quello con più bonus di tutti), il disco all’origine era uscito nel 1980. Vediamo come usciranno…

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A sinistra ci sono le versioni Deluxe doppie per i poveri, a destra quelle per fans sfegatati che si ricomprano tutto, ma che prezzi ragazzi(come dicono a Milano, a me non mi ciulano più): comunque ecco le liste complete dei brani contenuti nei CD e DVD. Ci saranno anche le immancabili versioni in vinile, doppie!

McCARTNEY TRACKLIST:

CD 1 – Remastered Album
1. The Lovely Linda
2. That Would Be Something
3. Valentine Day
4. Every Night
5. Hot As Sun / Glasses
6. Junk
7. Man We Was Lonely
8. Oo You
9. Momma Miss America
10. Teddy Boy
11 Singalong Junk
12. Maybe I’m Amazed
13. Kreen-Akrore

CD 2 – Bonus Audio Tracks
1. Suicide [Out-take]
2. Maybe I’m Amazed [From One Hand Clapping]
3. Every Night [Live At Glasgow, 1979]
4. Hot As Sun [Live At Glasgow, 1979]
5. Maybe ”m Amazed [Live At Glasgow, 1979]
6. Don’t Cry Baby [Out-take]
7. Women Kind (Demo) [Mono]

DVD – Bonus Film
1. The Album Story
2. The Beach
3. Maybe I’m Amazed Music Video
4. Suicide [from One Hand Clapping]
5. Every Night [Live at Concert for the People of Kampuchea]
6. Hot As Sun [Live at Concert for the People of Kampuchea]
7. Junk [MTV Unplugged]
8. That Would Be Something [MTV Unplugged]

McCARTNEY II TRACKLIST:

CD 1 – Remastered Album
1. Coming Up
2. Temporary Secretary
3. On The Way
4. Waterfalls
5. Nobody Knows
6. Front Parlour
7. Summer’s Day Song
8. Frozen Jap
9. Bogey Music
10. Darkroom
11 One Of These Days

CD 2 – Bonus Audio 1
1. Blue Sway [With Richard Niles Orchestration]
2. Coming Up [Live At Glasgow, 1979]
3. Check My Machine [Edit]
4. Bogey Wobble
5. Secret Friend
6. Mr H Atom / You Know I’ll Get you Baby
7. Wonderful Christmastime [Edited Version]
8. All You Horse Riders/Blue Sway

CD 3- Bonus Audio 2 (DELUXE 3 CD – 1 DVD EDITION ONLY)
1. Coming Up [Full Length Version]
2. Front Parlour [Full Length Version]
3. Frozen Jap [Full Length Version]
4. Darkroom [Full Length Version]
5. Check My Machine [Full Length Version]
6. Wonderful Christmastime [Full Length Version]
7. Summer’s Day Song [Original without vocals]
8. Waterfalls [DJ Edit]

DVD – Bonus Film
1. Meet Paul McCartney
2. Coming Up Music Video
3. Waterfalls Music Video
4. Wonderful Christmastime Music Video
5. Coming Up [Live at Concert for the People of Kampuchea]
6. ‘Coming Up’ [taken from a rehearsal session at Lower Gate Farm, 1979]
7. Making the Coming Up Music Video
8. Blue Sway

Se vi state chiedendo perché stanno uscendo in questo periodo dell’anno non dimenticate che il 18 giugno sarà il 69° compleanno di Sir Paul McCartney, uno dei “geni” della storia della musica rock.

Intanto lui imperterrito continua a girare il mondo con i suoi concerti, la settimana scorsa era in Perù e Cile.

Bruno Conti

Solo Per Fans! Sarasota Slim – Get Up, Get Down

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Sarasota Slim – Get Up, Get Down – Possum Phono-Graphics

 

La carriera del nostro amico, Sarasota Slim, Gene Hardage per la sua famiglia e come lui stesso si affretta a farci sapere non appena entriamo nel suo sito che, stranamente, è già aggiornato anche con l’uscita di questo Get Up, Get Down, (i siti degli “indipendenti” non lo sono spesso) http://www.sarasotaslim.com/,  dicevamo che la sua carriera si potrebbe dividere in due fasi: fase uno, capello lungo e rock allmaniano e più pungente che coincide con i primi quattro album pubblicati per l’italiana Appaloosa, fase due, capello corto e look più sobrio, si sviluppa con i 3 album stampati a livello indipendente più la partecipazione come ospite al CD dal vivo della band inglese Mark Olbrich Blues Eternity. E questa seconda fase, sempre caratterizzata dall’amore incondizionato per il Blues (rock) nelle sue varie forme è un po’ più laid-back, rilassata diremmo noi italiani, anche se poi le due fasi spesso si incrociano.

Come ad esempio in questo nuovo album che mi sembra il più pimpante degli ultimi, probabilmente a causa della presenza di Josh Nelms, un secondo chitarrista anche lui nativo della Florida come il nostro amico (che viene da Sarasota ed è magro, tanto facile) e che movimenta i brani con la sua presenza e in duetti chitarristici spesso brillanti, a partire dall’iniziale Get Up Get Down che ha un abbrivio felpato come fosse un brano di un JJ Cale delle paludi della Florida e poi lascia libero spazio alle chitarre dei due solisti con un sound tra Albert King e Ronnie Earl. Down Home è un brano tra blues e soul, come da titolo, con la chitarra-dobro di Sarasota Slim che si destreggia con classe tra l’organo e la sezione ritmica per poi lasciare spazio all’ottimo Nelms che rilascia un ficcante assolo.

 Mean Women è un altro bel funky-blues ancora con le dueling guitars in evidenza, Sarasota non ha una gran voce, (che è il difetto che hanno molti bravi chitarristi), anche se tenta il falsetto in questa canzone, e quando leggete adeguata sapete già che vi dovete “accontentare”, però dal lato “manico” compensa abbondantemente. Playing To Win è una slow soul-blues ballad ricca di pathos e col giusto sound di hammond indispensabile per questi pezzi e finale “cesellato” dalle due chitarre. All kinda blues è un funkettino un po’ di maniera mentre Boogie Down Low con un divertente call and response quasi gospel a livello vocale ci regala un breve solo di quelli southern cattivi prima maniera e vari “falsi finali”. Hungry Man l’aveva già fatta in un vecchio album e anche se forse non richiedeva una nuova versione richiama nel sound chitarristico la grinta dei primi tempi.

Plan B il brano più lungo dell’album è anche il migliore, con la chitarra slide di Sarasota Slim che ci ricorda perchè agli inizi di carriera si era scomodato addirittura il southern rock di Duane Allman (forse esagerando): tutti i musicisti hanno spazio per i loro assoli in un brano jam ricco di vigore. Titty Walk, strano titolo, ma in Florida di tette ce ne devono essere tante, è uno slow blues alla Ronnie Earl con chitarra e organo in evidenza.  Last Minute Slim è un altro funkettino francamente irritante che abbassa la qualità dell’album e anche la conclusiva Hey Dwight nonostante un intervento dell’armonica di Sarasota rimane della stessa pasta. C’è anche l’immancabile “traccia nascosta” finale che nulla aggiunge.

Tra luci e ombre un disco piacevole ma di chitarristi bravi blues ce ne sono tanti, direi per fans (di Sarasota e del genere), che non sono pochi.

Bruno Conti  

Correva L’anno…Terry And The Pirates – The Doubtful Handshake

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Terry And The Pirates – The Doubtful Handshake – MIG Music

Partiamo dalla preistoria!

Fine anni ’70, anzi, per la precisione 1979, la Wild Bunch Records (è proprio quello che state pensando, prima della scissione!), a cura di Paolo Carù e Fabio Nosotti pubblica il primo LP (i CD non erano stati ancora inventati) di una entità chiamata Terry and The Pirates (nome preso da un famoso fumetto americano), l’album si chiama Too Close For Comfort  e poi verrà edito in CD da varie case, l’ultima versione della Acadia/Evangeline nel 2008. Si tratta, perlopiù, di materiale registrato dal vivo con mezzi di fortuna, cassette con 1 microfono stereo e quindi la qualità è un po’ primitiva.

Ma Terry Dolan, Greg Douglass e soprattutto John Cipollina sono tra i musicisti coinvolti in questo interessante progetto nato nella Bay Area. Pochi mesi dopo, il 2 dicembre (ho controllato) al Palalido di Milano arriva la Cipollina/Gravenites Band e (purtroppo) il sottoscritto era presente visto che il concerto era organizzato dalla radio con cui collaboravo: ricordo che Cipollina non si trovava fino a pochi minuti prima dell’inizio perché le sue principali attività del tempo erano farsi le ragazze e “farsi” e basta. E il concerto non fu memorabile come ci si poteva aspettare anche se qualche lampo della classe del chitarrista dei Quicksilver fu possibile percepirlo.

Fast Forward di qualche mese, siamo nel 1980 e il produttore e ingegnere del suono Jim Stern riesce a “segregare” i tre personaggi in questione più David Hayes il bassista di Van Morrison e il batterista Jeff Myer, prima al Kelly Quan’s di San Francisco e poi nei suoi studi Luna Productions a Petaluma, California e lascia rollare i nastri. Il risultato di quelle sessioni viene pubblicato dalla gloriosa etichetta tedesca Line (grandissimo catalogo, dei benemeriti, ricordo citando a caso i CD di Mark-Almond, Roger Chapman, Roy Harper, Guthrie Thomas, i Cold Chisel di Jimmy Barnes e mille altri, però, per usare un eufemismo, spesso la qualità sonora faceva cagare).

Anche la prima edizione di questo The Doubtful Handshake non entrerà negli annali della storia dei dischi meglio registrati. Questa nuova versione rimasterizzata dalla Mig (Made In Germany Records) ha un suono sempre ruspante ma incomparabilmente migliore delle vecchie versioni e ci consente di gustare le evoluzioni delle chitarre di John Cipollina e Greg Douglass e del pianino di Pete Sears (l’ex Jefferson Starship non accreditato ma presente come ricorda lui stesso nel libretto del CD).

Già dalla cover iniziale di Ain’t Living Long Like This di Rodney Crowell il disco ha una consistenza e qualità che non ricordavo. I brani sono proprio belli, Terry Dolan canta benissimo, David Hayes è un bassista prodigioso, il genere è più Quicksilver dei Quicksilver stessi, meno psichedelico nel senso di meno jam e più canzoni ma con il trademark inconfondibile della chitarra acida di Cipollina che disegna le sue (in)consuete traiettorie con quel tintinnante vibrato nelle note alte e la seconda chitarra solista di Douglass spesso in versione slide che gli risponde come ai tempi con Gary Duncan. Il trittico di brani firmato da Terry Dolan, Inside and Out, Into The Wind e Inlaws and Outlaws (che aveva avuto una prima versione nel 1970 con Nicky Hopkins al piano) è veramente fantastico, risentito oggi con una qualità sonora ottima puoi gustarti la bravura di questi musicisti che erano stati degli innovatori e soprattutto di un Cipollina in forma strepitosa, prima del declino inarrestabile che l’avrebbe portato ad una prematura scomparsa nel marzo del 1989 a soli 46 anni.

Un brano come Montana Eyes non ha nulla da invidiare a certi brani di Bob Dylan o Roger McGuinn degli anni ’70, con quella qualità epica delle loro migliori canzoni, c’è anche un organo di qualche ospite in studio. E che dire dell’ottimo strumentale firmato da John Cipollina Highway? Gagliardo! Per non parlare della versione Quicksilverizzata di I Put A Spell On You di Screamin’ Jay Hawkins che è quasi più bella di quella dei Creedence, (esiste anche un bel DVD dal vivo al Rockpalast)!

Anche l’unico brano firmato da Greg Douglass All Worth The Price You Pay non è niente male, un bel rock dal ritmo incalzante con le solite chitarre che duellano alla grande. Questa nuova versione del disco (quella definitiva) ha due bonus tracks: una breve jam TD’s Natural Blues, di cui potevamo anche fare a meno e sempre in qualità sonora primitiva una più interessante e psichedelica Walking The Plank dal vivo con l’aggiunta del piano distorto di Nicky Hopkins. Un disco, forse, minore ma che vale la pena di avere.   

Bruno Conti

Un Ricordo Di Calvin Russell 1948-2011

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Una dozzina di giorni fa giunge su questo Blog un “commento accorato” sulla scomparsa di Calvin Russell da parte di un lettore ma anche “collega” del Buscadero, Marco Verdi, che mi invita incautamente a dedicare un Post di questo Blog alla figura di questo “piccolo grande” loser texano con queste testuali parole “Che dici, glielo dedichiamo un post nel tuo blog?”. Detto fatto l’ho convinto a farlo e quindi inauguriamo la nuova categoria Ospiti con questo sentito ricordo (io mi sono limitato ad inserire qualche foto e video). Ecco qua…

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Eccomi finalmente a stendere un mio personale ricordo di uno dei miei outsiders preferiti (anche se con colpevole ritardo, ma gli impegni sono molti e le giornate corte. Ho provato a scrivere una mail ai “poteri forti” per chiedere l’allungamento della giornata da 24 a 36 ore, ma sto ancora aspettando una risposta…): sto parlando di Calvin Russell, morto lo scorso mese di Aprile nella sua casa di Garfield, Texas, per un cancro al fegato.

Nato Calvert Russell Kosler nel 1948, Calvin esordisce su disco solo nel 1990, alla beata età quindi di 42 anni: il periodo precedente della sua vita potrebbe benissimo fungere come sceneggiatura di un film di Quentin Tarantino o Robert Rodriguez, ed anche il suo aspetto fisico non era da meno (dimostrava ottant’anni già quando ne aveva quaranta, e la sua faccia somigliava tremendamente al posacenere di Keith Richards).

Infatti il nostro Calvino per anni entra ed esce dalle patrie galere del Texas, anche se quasi sempre per piccoli reati (ma si parla anche di una rapina a mano armata!), ed è proprio da dietro le sbarre che a poco a poco matura il suo stile di songwriting.

Uno stile secco ed asciutto, molto influenzato da Townes Van Zandt (un altro che ha avuto una vita meno divertente di quella di un becchino), con testi duri e spigolosi, che riflettono la sua vita di quasi disadattato.

Eppure anche il suo tunnel ad un certo punto finisce: la luce ha le sembianze di Patrick Mathé, produttore francese e proprietario della New Rose Records, che nota Calvin esibirsi in un localaccio di Austin e, colpito dalle sue canzoni, dal suo aspetto fisico carismatico (Russell aveva due occhi verdi magnetici e folgoranti, che contrastavano parecchio con la sua faccia cotta dal sole) e dalla sua voce forte e piena di feeling, lo mette subito sotto contratto.

Il disco d’esordio di Calvin, A Crack In Time (1990), ancorché non perfetto e con una produzione un po’ grezza, si fa notare per lo stile asciutto e diretto del suo autore (la title track è la sua prima grande canzone), che alterna ruvidi rock’n’roll chitarristici e pieni di umori blues a ballate talvolta notturne, talvolta arse dal sole, che ci rivelano un talento sorprendente (il Busca, tanto per cambiare, fu il primo in Italia a notarlo).

L’anno seguente pubblica il meglio riuscito Sounds From The Fourth World, di gran lunga superiore all’esordio, ed uno dei suoi lavori migliori in assoluto: più curato nella produzione, offre una serie di grandi canzoni tra cui la lunga ballata Crossroads (Robert Johnson non c’entra), uno dei suoi capolavori, la roccata One Meatball (proposta in versione elettrica ed acustica) ed il coinvolgente e tagliente (nel testo) r’n’r Rockin’ The Republicans (di cui ricordo un’ottima versione di Rich Minus, altro loser texano che all’epoca realizzò tre bellissimi album per poi sparire, schiavo com’era della bottiglia).

Quella di Calvin è un’escalation, e nel 1992 pubblica quello che per me rimane il suo capolavoro assoluto: Soldier è un perfetto album di songwriting rock texano, un disco di raro equilibrio, con una serie di canzoni formidabili come la title track (forse il suo brano migliore di sempre, una ballata che sa di sole e di polvere, cantata in maniera splendida), la dura Characters, ispirata dai suoi giorni in galera, le bluesate Rats & Roaches e Down In Texas: uno dei migliori dischi del 1992 (e stiamo parlando di una delle annate più feconde degli ultimi vent’anni).

Il problema di Calvin è quello che in Texas non è per nulla conosciuto, mentre comincia ad essere popolare in Europa, in Italia ma soprattutto in Francia, che elegge quasi a sua seconda patria (un po’ come ha fatto prima di lui Elliott Murphy e, in parte, Willy Deville): mi ricordo qualche anno fa, mi trovavo in Francia per lavoro ed una sera ho acceso la TV, e c’era un talk show con Calvin come leader della house band – altro che Demo Morselli!!!).

Ed è proprio in Francia che Calvin incide Le Voyageur, bellissimo album live, uno dei dischi che ancora oggi scelgo come compagno di viaggio in macchina per tragitti superiori all’ora, nel quale Russell rilegge le pagine migliori dei suoi primi tre dischi ed aggiunge un’ottima cover di Play With Fire degli Stones.

Con questo disco si chiude la prima fase della carriera di Calvin, la migliore: continuerà a pubblicare dischi ed a suonare dal vivo (è varie volte anche nel nostro paese), ma la sua vena si farà via via più arida, anche se non scenderà mai sotto il livello di guardia: Dream Of The Dog, molto unidirezionato verso un rock’n’roll chitarristico di presa immediata (con Jon Dee Graham ospite fisso alla sei corde) e l’omonimo Calvin Russell, che tenta di riproporre con buon successo le atmosfere dei primi album, sono ancora tra i suoi lavori migliori, mentre Sam, Rebel Radio e In Spite Of It All, hanno qualche buona canzone ma non reggono il confronto con i primi dischi (in mezzo Calvin fa uscire il bellissimo Crossroad, un live album acustico, suonato e cantato con un feeling da elefante).

Negli ultimi anni Calvin era tornato in parte agli antichi fasti: Unrepentant (2007) e Dawg Eat Dawg sono due album maturi e con diverse buone canzoni (anche se sentire uno come lui che canta brani in francese – pochi per fortuna- fa uno strano effetto), e Contrabendo (2010) il suo album live definitivo, presentato in una versione deluxe (2CD digipak + DVD) insolita per uno che non ha mai badato molto alla forma.

Poi quest’anno, la malattia e la rapida fine, un congedo in punta di piedi da parte di un personaggio con il quale la vita era in debito, un debito che però non verrà mai saldato.

Riposa in pace, Calvin, e salutaci Townes.

Marco Verdi

P.S. Grazie a Marco e se qualcun altro si candida con “idee interessanti” per collaborare al Blog è bene accetto visto che come titolava un libro sugli strafalcioni nella politica non ho il “Dono dell’Obliquità” e il tempo è sempre quello che manca e quindi gli aiuti qualificati sono manna dal cielo per ampliare gli orizzonti!

Chiudo su una nota di speranza in riferimento al rimando a Demo Morselli. Un paio di giorni fa stavo facendo dello zapping sul digitale terrestre (ebbene sì!) e sono capitato sulle frequenze di Espansione TV di Como e ho visto uno “bravo” (anzi due).!

Immaginate la mia sorpresa quando ho scoperto che si trattava di James Maddock che ha fatto un miniset acustico accompagnato da David Immergluck (Counting Crows, Camper Van Beethoven, John Hiatt) e con la presenza di Andrea Parodi che ha annunciato l’imminente uscita a giugno (il 21) di un nuovo album di Maddock Wake Up and Dream.

Bruno Conti

Strani Casi Di Parentela! Trampled Under Foot – Wrong Side Of The Blues

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Trampled Under Foot – Wrong Side Of The Blues – TUF Records

 

Gruppi musicali con fratelli in formazione me ne vengono in mente parecchi, dai leggendari Kinks dei fratelli Davies per arrivare fino ai Black Crowes o ai fratelli Dickinson dei North Mississippi Allstars o gli Allman Brothers e i Beach Boys (anche con cugini e amici) per citarne alcuni. Nel Blues ci sono state molte coppie di fratelli, Jimmie e Stevie Ray Vaughan o Buddy & Phil Guy sempre per procedere per esempi.

In anni recenti a proposito di trii ci sono stati i giovanissimi (e bravissimi) fratelli della Homemade Jamz Blues Band ma questo trio di Kansas City, i fratelli Schnebelen (un bel nome d’arte più facile, no?), forse costituiscono una primizia (attendo notizie o smentite, non ho indagato a fondo, lo ammetto). Tre fratelli con due di loro, il chitarrista e la bassista che sono mancini.

Ovviamente tutto questo sarebbe ininfluente se non fossero anche bravi e parecchio. Lei, Danielle, è la più giovane, si è studiata il basso per poter creare questo gruppo familiare (anche il padre e la madre sono musicisti)  ed è diventata più che adeguata, direi brava, nel suo strumento, ma soprattutto è in possesso di una gran bella voce sulla scia di quelle bianche che da Bonnie Raitt a Susan Tedeschi e Ana Popovic per citare delle chitarriste/cantanti ma anche Dana Fuchs o Michelle Malone potrebbero rientrare nella categoria, si sono create una reputazione di voci “importanti”. Ispirate dalle grandi voci del passato e la nostra amica cita soprattutto Etta James come fonte di ispirazione, queste vocalist cercano di fondere il meglio di blues, soul e rock e spesso ci riescono.

In questo Wrong Side Of the Blues i Trampled Under Foot (si, è un brano dei Led Zeppelin su Physical Graffiti) lo fanno bene, sicuramente aiutati dal fatto che il fratello Kris che è il batterista e soprattutto Nick che è il chitarrista, e ha vinto l’Albert King Award nell’International Blues Challenge del 2008 come chitarrista più promettente, sono anche loro ottimi musicisti. Se uniamo il fatto che la produzione di questo album è curata da Tony Braunagel, un batterista blues tra i migliori in circolazione che ha saputo catturare al meglio il sound del gruppo (batteria in primis, e questo già dà una carica di vitalità a un disco) che è al secondo album (oltre ad un live e a un EP solo per il download di difficile reperibilità) le premesse per “scoprire” un gruppo interessante ci sono tutte.

Il materiale è tutto originale, con un paio di brani firmati dal babbo Bob. Ci sono un terzetto di altri ospiti, Mike Finnigan che si occupa di organo e piano da par suo in alcuni brani, Johnny Lee Schell alla chitarra e armonie vocali e consigli chitarristici (così dicono loro nelle note) che con Braunagel suona nella Phantom Blues Band.  Oltre a Kim Wilson all’armonica in She’s Long, Tall and Gone che è un bluesaccio torrido cantato da Nick Schnebelen, anche ottimo vocalist in alternanza alla sorella Danielle e non è facile avere gruppi con due cantanti di questo livello. Lei è favolosa in brani come Goodbye una ballata soul gospel blues con l’organo di Finnigan e la chitarra di Nick in grande evidenza. Quelle voci roche e vissute, piene di personalità, che ti regalano grandi emozioni sin dall’iniziale Get it straight che ricorda la migliore Bonnie Raitt con i suoi ritmi mossi e incalzanti.  

Ottimi anche i ritmi alla Bo Diddley di Bad Woman Blues con le voci dei fratelli che si integrano (e canta anche il batterista) e una slide acustica che si adagia su una base ritmica quanto mai variegata (vi dicevo, batterista produttore). Però quando canta lei c’è un cambio di marcia come nella title-track, l’ottima Wrong Side Of The Blues o nelle sinuosità funky di Heart On the Line e un gruppo che sarebbe già buono diventa quasi irresistibile. Ancora ottima The Fool con un incipit quasi Hendrixiano e l’organo di Finnigan che fa il Winwood della situazione e un brano cantato da Nick  che lentamente si trasforma fino a prendere una andatura classica blues nel più puro stile Chicago alla Muddy Waters, bellissimo, veramente bravi questi ragazzi, non conoscevo (ma ci sono tonnellate di gruppi di valore nel sottobosco della scena musicale americana).

Have a Real Good Time ha l’attacco di batteria che è preso di sana pianta da Rock and Roll dei Led Zeppelin e poi diventa appunto un R&R scatenato con il pianino di Finnigan e le voci dei fratelli che si alternano con gusto.

Ma è bello tutto il disco, molto vario, anche se una citazione per lo slow blues It Would Be Nice cantato con passione da Danielle e con un assolo da manuale di Nick mi sentirei di farla. Ottimo e abbondante.    

Bruno Conti

“Sudisti Veri” E di Quelli “Ma Molto Bravi”. Whiskey Myers – Firewater

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Whiskey Myers – Firewater – Wiggy Thump Records

 

Vengono da Elkhart, una piccola cittadina dell’East Texas e, per una volta, non ci sono dubbi su che genere di musica facciano: Southern Rock. E di quello duro e puro! Poi se vogliamo elaborare sulle influenze vere o presunte, citate o nascoste, loro (e la stampa) parlano di Lynyrd Skynyrd, Allman Brothers, Led Zeppelin e tra i nomi più recenti, Reckless Kelly, Randy Rogers e Cross Canadian Ragweed. Proprio con la band di Cody Canada hanno in comune il nome dei due principali componenti del gruppo: Cody Cannon, il cantante che si occupa anche di armonica e chitarra acustica e il chitarrista Cody Tate, uno dei due che si occupa delle parti soliste insieme all’altro axemen John Jeffers.

E devo dire che questa coppia non ha nulla da invidiare a Rossington e Collins che permeavano con il loro sound i primi Lynyrd Skynyrd. Perché, diciamocelo francamente, questo Firewater (che è il loro secondo CD) non ha nulla da invidiare alla band di Jacksonville, ma proprio quella degli esordi, dei primi anni, la migliore. Quella fusione di rock (e qui i Led Zeppelin c’entrano, ma anche allora), blues e tanto country, energico e pieno di R&R ma sempre country, caratterizza questo disco che si avvale anche della loro capacità compositive che sono notevoli e si estrinsecano in una serie di brani di grande qualità, senza cadute di gusto nel rock banale (e il genere spesso porta a qualche peccatuccio heavy).

Il loro sound, potente e chitarristico, in questo disco si avvale anche dell’opera di Leroy Preston, produttore, organista e terzo chitarrista aggiunto, anche alla pedal steel. Giustamente uno dice, perché limitarsi a quel suono scarno, con “solo” due chitarre soliste, come nel primo disco, quando ne puoi aggiungere pure una terza e partire per quelle cavalcate chitarristiche che faranno la gioia degli amanti del genere? E infatti loro non si sono limitati e il disco ne risente in modo più che positivo, pensate a come avrebbero potuto diventare i Kings Of Leon se non avessero voluto (o dovuto) trasformarsi nei Kings of U2, con tutto il dovuto rispetto per entrambi, che mi piacevano immensamente di più ai loro inizi, entrambi.

I Whiskey Myers, per il momento, non corrono questo rischio e sin dalle prime note di Bar, Guitar and A Honky Tonk Crowd, con la voce di Cody Cannon che ricorda in modo impressionante quella di un giovane Ronnie Van Zant e qui c’entra anche la genetica, ma poi quando il suono decolla e le chitarre cominciano a rollare rispondendosi dai canali del vostro stereo, iniziate a capire che siete saliti a bordo per un bel “viaggio” musicale e un tuffo nel passato anche, le solite menate, musica derivativa, già sentita, ma fatta un gran bene, meglio così che strani ibridi sonori che si piegano alle mode del momento e finiscono per non accontentare nessuno. Guitar Picker, bel titolo, alza ulteriormente l’intensità del suono, con le chitarre che sferragliano allegramente ma senza troppe lungaggini (i brani difficilmente superano i 5 minuti, a parte un paio di eccezioni).

Anche quando i ritmi rallentano, entra l’organo di Leroy Powell (che se il nome vi dice, ha fatto anche una manciata di dischi a nome suo e ha suonato la chitarra nella band di Shooter Jennings), un dobro e ci addentriamo in una ballatona che potrebbe essere un manifesto del loro credo, Ballad Of A Southern Man, dicevo, anche in questo caso la qualità non cala di una virgola. Calm before the storm ancora con le chitarre all’unisono di Tate e Jeffers e una bella pedal steel sullo sfondo ha quegli improvvisi cambi di tempo che hanno sempre caratterizzato il miglior southern rock, e qui mi vengono in mente anche gli Outlaws dei primi dischi, grinta e dolcezza alternate prima delle sventagliate finali quando la musica si indurisce e il rock zeppeliniano prende il sopravvento con le due chitarre che macinano assoli prima di rientrare nel finale nel corpo della canzone. Grande brano!

Broken Window Serenade è una bellissima country song con uso di armonica che ricorda moltissimo gli Eagles dei primi dischi, quelli con Bernie Leadon e la coppia Henley/Frey che creava canzoni seminali per lo sviluppo di quello che allora si chiamava country-rock (ma era un genere che frequentavano con profitto anche i primi Lynyrd). Different Mold mette in pista anche l’animo rock-blues dei Whiskey Myers quello più vicino agli Allman Brothers o anche ai già citati Cross Canadian Ragweed, riff potenti e granitici ma anche una attenzione al lato “melodico” o meglio antemico del genere, quello che spinge il pugnetto dell’ascoltatore ad alzarsi. E pure la successiva Turn it Up con le sue scariche di riff adrenalinici e una slide malandrina alza il tiro con la ritmica che si diletta in tempi alla Led Zeppelin.

In questa alternanza di tempi ed atmosfere, la pedal steel e le chitarre liriche di Virginia ci riportano a quelle hard ballads, melodiche ma dal cuore di acciaio in cui i primi Skynyrds erano maestri e i nostro amici hanno imparato bene la lezione e la rendono alla perfezione con un altro brano d’effetto. Quello che sorprende è la maturità di questi ragazzi, perché se vi capita di vedere delle foto del gruppo si vede che sono ancora giovani, sotto barbe e cappelli per qualcuno: sono insieme dal 2007 ma in poco tempo hanno bruciato le tappe. Anche un brano minore come il divertissement acustico Anna Marie mette in mostra il loro virtuosismo strumentale ma è nei brani più elettrici come nella rocciosa How Far, in questo caso più vicina all’hard rock classico che eccellono con quel sound trascinante che tiene avvinto l’ascoltatore (che deve amare il genere ovviamente). I brani che superano i 6 minuti sono la poderosa Strange Dreams con una chitarra wah-wah che ci porta ancora in territori cari alla band di Page&Plant e con la voce di Cannon e le chitarre che si fronteggiano con grinta e furore e la conclusiva ballata, solo voce e chitarra acustica, Song For You con un finto rumore statico di vinile, che potrebbe essere il preludio  a una futura carriera solista del cantante Cody Cannon. I testi sono acclusi nel libretto e la grafica e il suono del CD sono quanto di più professionale ci si possa aspettare da un prodotto indipendente, questo unito alla qualità eccellente del disco ne fa un prodotto super consigliato.

Bruno Conti

Un Mistero…Frijid Pink Frijid Pink Frijid Pink

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Frijid Pink – Frijid Pink Frijid Pink Frijid Pink – Repertoire 2011

Un mistero, anzi Vi dirò di più, un mistero fitto. In effetti, qualche mese fa, mi era capitato tra le mani un disco dei Frijid Pink, questo, che non mi era assolutamente noto, mai visto prima. Provenendo dalla Repertoire Records, famosa etichetta tedesca dedita alle ristampe di dischi dal passato spesso impreziositi da brani rari o inediti, mi ero detto “vuoi vedere che i tipi hanno scovato un intero album mai pubblicato prima?”. Poi però scorrendo i titoli e il copyright che riportava un bel 2011 grande come una casa ho dovuto constatare che effettivamente si trattava di un disco nuovo. E per me la cosa poteva anche finire lì!

Però, passato poco tempo, nel solito pacchettino delle recensioni mi ritrovo tra le mani di nuovo questo disco e questa volta un ascolto è d’uopo. Prima una veloce ricerca in rete per trovare qualche notizia. Sito del gruppo http://www.frijidpink.com/, bella grafica, una foto con uno stuolo di mani alzate, potete cliccarci sopra un miliardo di volte ma non funziona un tubo. Allora domanda di riserva, si passa al loro MySpace con una capatina su Wikipedia (la tecnologia è una bella invenzione, da usare con cognizione di causa, perché ogni tanto si trovano refusi ed errori clamorosi).

Breve interludio. Ma benedetto ragazzo (una volta), come direbbe il Tonino nazionale, perché non ti leggi il libretto del CD? Fatto! Pagine e pagine con i testi dei brani, l’ultima addirittura con titoli ed autori, ma zero notizie su luoghi e date di registrazione e formazione della band.

Comunque mettendo insieme il tutto si ricava che: Rick Stevers, il batterista della formazione originale (umh!) già varie volte in passato ha cercato di riunire il gruppo (e qualche volta c’è anche riuscito), registrando anche un paio di dischi tra il 1982 e il 2002, mai pubblicati. Nel 2006, dopo l’ennesimo tentativo fallito, decide di creare un gruppo ex-novo, dove il nome è lo stesso, molte canzoni pure, ma ci sono anche brani nuovi e questa formazione registra questo disco di cui stiamo parlando (non ho trovato una recensione, due parole, in rete, neanche pagando)!

Quindi Phil “Mac” Mcllvenna, voce solista, chitarra ed armonica è il nuovo leader del gruppo, Joe Gillis alle tastiere, Brent Austin al basso e Ricky Houke alla chitarra, lo aiutano a far sì che gli anni ’70 non siano mai passati con una miscela di hard rock, blues rock, classic rock, Detroit Sound, come lo volete chiamare non vi sbagliate, perfino un pizzico di psichedelia. Come ai tempi del loro omonimo esordio, esatto proprio quello con la copertina rosa, quello con la loro versione hard (ma bella) di House of The Rising Sun che arrivò fino alle vette delle classifiche di Billboard del 1970. E tutto l’album (sempre disponibile su Repertoire) e i due successivi non erano male. Quel rock alla MC5, Stooges, Amboy Dukes, Bob Seger delle origini, che usciva dalle cantine di Detroit e del Michigan. Perfino i Led Zeppelin fecero loro da gruppo spalla agli esordi.

Questo nuovo disco non è male, tra brani originali e riprese dei vecchi classici, ma non si capisce dal tipo di sound se è stato registrato l’altro ieri, dieci anni fa o trenta anni fa. Ovviamente è una domanda retorica perché dalle facce vissute dei componenti viene dai giorni nostri. Se avete già il primo disco (che è quello da avere) e vi piace, le opzioni sono due: potete comprarvi anche questo che, ripeto, non è male, dell’onesto rock classico da battaglia o rivolgere le vostre attenzioni ad altro. Un classico disco da 2 ma anche da 3 stellette a seconda dei vostri gusti musicali.

Potrei citarvi l’iniziale Life Unlived o le riprese dei “classici” God Gave Me You, Cryin’ Shame e Drivin’ Blues che apparivano nel disco esordio ma anche una lunga versione bluesata (e ci mancherebbe) di Stormy Monday. Direi che ci possiamo lasciare su questo Veltroniano ma anche Crozza, vedete voi.

Bruno Conti