Un Live Prematuro? Al Contrario, Formidabile! Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Live At Red Rocks

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Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Live At Red Rocks – Stax/Concord CD

Fino ad un paio di anni fa la carriera di Nathaniel Rateliff, singer-songwriter di Denver, si stava trascinando abbastanza stancamente in un anonimato che sembrava non avere un futuro. Poi, nel 2015, il colpo di genio: Nathaniel forma i Night Sweats, un combo formidabile che suona una miscela di soul e rhythm’n’blues ma con la potenza di una rock band, un mix esplosivo che ha reso l’album di due anni fa Nathaniel Rateliff & The Night Sweats un grande successo di pubblico e critica, oltre che uno dei dischi più belli dell’anno, con canzoni strepitose del calibro di S.O.B., I Need Never Get Old e Howling At Nothing e diversi altri brani di altissimo livello. Dopo aver tenuto caldi i fans lo scorso anno con l’EP Something Else From, ora Nathaniel ed i suoi ragazzi pubblicano questo Live At Red Rocks, un CD registrato nella suggestiva cornice del titolo (proprio vicino a Denver) il 21 Agosto del 2016: una mossa che potrebbe sembrare prematura, anche se dopo un solo ascolto devo dire…meno male che lo hanno fatto! L’album infatti è semplicemente splendido, uno dei più bei live di un’annata devo dire molto generosa con i dischi registrati on stage: Rateliff è una autentica forza della natura ed un frontman straordinario, ed i suoi “sudori notturni” (Joseph Pope III al basso, Patrick Meese alla batteria, Mark Shusterman al piano ed organo, Luke Mossman alla chitarra, Andreas Wild al sax, Nick Etwell alla tromba, Julie Davis al basso acustico e voce e Joe Richmond alle percussioni) sono un gruppo di rara potenza, ma con un feeling mostruoso, al punto che le canzoni del disco di due anni orsono, che già erano una goduria, suonano completamente trasformate.

Merito notevole va anche alla presenza in diversi pezzi della Preservation Hall Jazz Band, leggendario gruppo di New Orleans composto da sette elementi (quasi tutti fiati), che unita ai nove Night Sweats (anche Nathaniel suona ogni tanto la chitarra) formano un muro del suono di inaudita forza. L’album del 2015 viene suonato interamente, ed in più ci sono due pezzi dall’EP dell’anno scorso ed altri due dal passato discografico di Rateliff, più una cover finale da urlo, ed il disco è talmente bello che quasi ci si rammarica che sia solo singolo. Dopo un’introduzione strumentale in puro stile “Funerale a New Orleans” il concerto inizia con la tonante I’ve Been Failing, un’esplosione di suoni e colori, showcase introduttivo perfetto per ogni membro del gruppo, con menzione particolare per i fiati, il piano e la sezione ritmica. E poi c’è Rateliff, che non è da meno della sua band in quanto a potenza (vocale). Con Look It Here Nathaniel ha già il pubblico (casalingo) in pugno: bellissima canzone, coinvolgente e brillante, suonata in maniera strepitosa e con uno spirito rock che esce da ogni nota, mentre l’introduzione al brano successivo (Howling At Nothing) è una vera e propria canzone improvvisata, un errebi nero fino al midollo dal ritmo forsennato e con un organo caldissimo alle spalle. L’appena citata Howling At Nothing è una soul song dal motivo splendido, che sembra quasi un inedito del grande Sam Cooke, mentre Wasting Time è una ballata decisamente melodica e piena di pathos, con la grande voce del nostro ed i fiati sugli scudi.

La saltellante e gradevole Mellow Out porta ai due brani meno conosciuti, in quanto originariamente contenuti nell’album del 2011 di Rateliff, In Memory Of Loss: Early Spring Till e You Should’ve Seen The Other Guy sono due ballate acustiche e cantautorali davvero intense, che rivelano un altro lato del nostro (e che voce). Lo sballo riprende con la meravigliosa I Need Never Get Old, una delle più belle canzoni del 2015, travolgente ed irresistibile (sentite la reazione del pubblico quando la riconosce dopo due minuti di introduzione https://www.youtube.com/watch?v=61_lewBMWVk ), con la lunga Shake, più di otto minuti di soul-rock insinuante e dal sapore sudista (grandissimi organo e chitarra) e con la fluida e guizzante Out On The Weekend, altro travolgente momento di solido ed energico errebi (e qui è il piano a fare i numeri). Dopo Thank You, vigorosa e saltellante, e I Did It, annerita, roccata e molto anni settanta, arriva il gran finale con la roboante Trying So Hard Not To Know, cantata come al solito da manuale, e soprattutto la strepitosa S.O.B., che è a tutti gli effetti la signature song del nostro https://www.youtube.com/watch?v=Vg4_BRiuvFU , in una versione ancora più potente ed irresistibile di quella in studio (e qui il binomio Night Sweats/Preservation Hall è da applausi a scena aperta). Il pubblico ormai è k.o., ma c’è ancora tempo per una rilettura tutta ritmo, suoni e colori del classico di Sam Cooke Having A Party, ancora una volta dalla forza incredibile. Nathaniel Rateliff non è un fuoco di paglia, ma un musicista vero e terribilmente serio, e questo Live At Red Rocks ne è la splendida conferma: non lasciatevelo sfuggire.

Marco Verdi

E’ Da Un Bel Po’ Di Tempo Che Non Parlavamo Di Loro! Grateful Dead – Red Rocks 7/8/78

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Grateful Dead – Red Rocks 7/8/78 – Rhino/Warner 3CD

So che dopo la scorpacciata a base di Grateful Dead avvenuta lo scorso anno, a cui aggiungerei il bellissimo tributo multiplo Day Of The Dead da me appena recensito per questo blog http://discoclub.myblog.it/2016/05/24/le-celebrazioni-poteva-mancare-bel-tributo-ai-grateful-dead-various-artists-day-of-the-dead-giorno-1/ e  , a qualcuno potrebbe venire la nausea a sentire anche solo nominare lo storico gruppo di San Francisco, ma non considerare questo triplo Red Rocks 7/8/78 sarebbe un vero peccato. Il triplo CD è estratto dall’ennesimo box dedicato ai Dead, un cofanetto di 12 CD, a tiratura limitata di 15.000 copie, intitolato July 1978 e contenente cinque concerti completi registrati appunto agli inizi del settimo mese di quell’anno (a Kansas City, St. Paul, Omaha e due a Morrison, in Colorado,  nella suggestiva location del Red Rocks Amphitheatre, dei quali quello di cui mi accingo a parlare è il primo), e vede la band guidata da Jerry Garcia in forma strepitosa, e con in più un suono eccellente (come capita sempre con le uscite targate Rhino) ed una scaletta decisamente interessante. I Dead forse sono l’unico gruppo della storia il cui stato di forma si misura in annate (proprio come il vino), cosa resa ancor più palese dall’ascolto del box di 80 CD dello scorso anno, ed il 1978 fu uno degli anni in cui la band californiana sembrava tornata agli antichi splendori, dopo un biennio difficile (1975-1976) ed un parziale risollevamento nel 1977: da lì a due mesi i Dead terranno il loro famoso concerto in Egitto, davanti alle piramidi, altro evento già documentato ufficialmente qualche anno fa. In questo tour il gruppo è nella classica formazione a sette, con i due batteristi Mickey Hart e Bill Kreutzmann, il tastierista Keith Godchaux (che sarebbe scomparso due anni dopo) con la moglie Donna Jean (superflua come sempre), oltre naturalmente a Garcia, Bob Weir e Phil Lesh, e questo concerto in particolare offre scintillanti versioni di diversi classici e qualche chicca, il tutto suonato con grande compattezza ma anche con la “liquidità” che ha sempre contraddistinto le loro migliori performances, e anche le voci sono in palla, cosa non sempre scontata in un loro concerto.

La serata si apre con una solare e spedita Bertha, spesso usata per aprire i concerti negli anni settanta, che subito confluisce in una saltellante rilettura del classico degli Young Rascals Good Lovin’, che i Dead includeranno pochi mesi dopo nel loro album Shakedown Street (chiaramente nella versione in studio). Piccolo intermezzo country and western con due grandi canzoni, la splendida Dire Wolf (una delle mie preferite, accolta alla grande dal pubblico) ed il superclassico di Marty Robbins El Paso, con Weir alla voce solista; il concerto entra nel vivo con la bella It Must Have Been The Roses, una delle rare canzoni dei Dead scritte dal solo Robert Hunter, una solida ma non imprescindibile New Minglewood Blues e la cadenzata e fluida Ramble On Rose, più di nove minuti di godimento sonoro. Un po’ di rock’n’roll con l’avvincente Promised Land (Chuck Berry) e soprattutto una Deal più coinvolgente che mai, con Jerry che fa i numeri per davvero; il primo set si chiude con una buona Samson And Delilah ed una sempre bellissima Ship Of Fools, che vede Garcia in ottima forma vocale e straordinario come sempre alla chitarra. La seconda parte si apre con un medley semplicemente devastante e che dura quasi settanta minuti, comprendente Estimated Prophet, The Other One, Eyes Of The World, il solito intermezzo Drums/Space (purtroppo), Wharf Rat e Franklin’s Tower: qui Garcia raggiunge vette semplicemente stellari, ma tutto il gruppo lo segue come un treno, in assoluto stato di grazia, con una menzione di merito per Eyes Of The World e Franklin’s Tower, entrambe tra le migliori mai sentite dal sottoscritto. Una sempre gradevole e trascinante Sugar Magnolia anticipa i tre bis (che costituiscono il terzo CD), e cioè una Terrapin Station più corta del solito (ma sono sempre dieci minuti), ma forse per questo ancora più bella, la roccata One More Saturday Night e, come gran finale, una inattesa e divertita resa di  Werewolves Of London di Warren Zevon, un brano che i Dead hanno suonato solo tredici volte in tutta la carriera, ed uno dei rarissimi casi in cui fanno una cover di una canzone allora appena uscita nella sua versione originale e non con già qualche anno sulle spalle.

Come ho quindi già detto, se non siete stanchi di Grateful Dead, questo triplo CD si può tranquillamente inserire tra quelli che sarebbe un errore ignorare. Di sicuro tra i migliori usciti dopo il loro scioglimento.

Marco Verdi

Tornano Le Uscite Live Rhino/Warner, Anche Per Fans “Normali” Dei Grateful Dead! Red Rocks 7/8/78 Oppure Per Fans “Incalliti” July 1978 The Complete Recordings

grateful dead red rocks 7-8-78 Grateful Dead – Red Rocks 7/8/78 – 3 CD Warner/Rhino 13-05-2016 Non vi avevo ancora segnalato tra le pubblicazioni di maggio (intermedio tra quelle di oggi venerdì e quelle numerose del 20), l’uscita di questo ennesimo triplo album dal vivo dall’archivio immane dei Grateful Dead. Parlando di “fans normali” perché si tratta di un box che uscirà attraverso i canali discografici normali, non richiede prenotazioni sul sito personale della band e, soprattutto, avrà un prezzo molto contenuto, intorno ai 20 euro, poco meno o poco più. Si tratta del famoso concerto nell’anfiteatro di Red Rocks, vicino a Denver, Colorado dell’8 luglio 1978 ed è estratto del box limitato (15.000 copie numerate) in vendita sul sito della band Jully 1978 The Complete Recordings, 12 CD che costeranno 130 dollari circa più le spese e che è quello che vedete qui sotto, in uscita lo stesso giorno del triplo. grateful-dead-1978-prod-shot-stacked Che conterrà questi 5 concerti: • 7/1/78 Arrowhead Stadium: Kansas City, MO • 7/3/78 St. Paul Civic Center Arena: St. Paul, MN • 7/5/78 Omaha Civic Auditorium: Omaha, NE • 7/7/78 Red Rocks Amphitheatre: Morrison, CO • 7/8/78 Red Rocks Amphitheatre: Morrison, CO Mentre il contenuto, track by track, del triplo Rhino sarà il seguente: [CD1] 1. Bertha 2. Good Lovin’ 3. Dire Wolf 4. El Paso 5. It Must Have Been The Roses 6. New Minglewood Blues 7. Ramble on Rose 8. Promised Land 9. Deal 10. Samson and Delilah 11. Ship of Fools [CD2] 1. Estimated Prophet 2. The Other One 3. Eyes of the World 4. Rhythm Devils 5. Space 6. Wharf Rat 7. Franklin s Tower 8. Sugar Magnolia [CD3] 1. Terrapin Station 2. One More Saturday Night 3. Werewolves of London https://www.youtube.com/watch?v=flj4HJ8zZgQ Da lì a poco, in uno dei loro periodi più prolifici (ma quale non lo è stato?) il 15 e 16 settembre la band di Jerry Garcia si troverà a suonare davanti alle Piramidi nei famosi concerti preservati per i posteri in questo Rocking The Cradle Egypt 1978, pubblicato nel 2008 Grateful_Dead_-_Rocking_the_Cradle_-_Egypt_1978 https://www.youtube.com/watch?v=q0BznyjqEt8 Vedete voi, segnalazioni effettuate. Bruno Conti

Ripassi Per Le Vacanze 4. Da “Partner” Di Norah Jones Al Red Rocks Di Denver ! Amos Lee – Live At Red Rocks

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Amos Lee – Live At Red Rocks With The Colorado Symphony – Ato Records

Ryan Anthony Massaro, in arte Amos Lee, è un nome che sta crescendo disco dopo disco, e questo viene ulteriormente certificate dal fatto che nell’Agosto del 2014 ha radunato nella mitica location dell’Anfiteatro di Denver una folla oceanica, per registrare un album dal vivo, accompagnato dai 100 musicisti della orchestra sinfonica Colorado Symphony. Amos Lee è un cantautore americano, prodotto di quella Philadelphia che ha sempre vantato una delle più alte percentuali di popolazione afroamericana, salito alla ribalta del grande pubblico nel 2004 per le sue collaborazioni con la cantante jazz-pop Norah Jones, aprendo i tour di artisti come la citata Jones, Elvis Costello, Bob Dylan, trovando in una sua canzone Colors (in duetto con Norah e usata nelle serie televisive Dr.House e Grey’s Anatomy) la chiave di volta della sua carriera. L’esordio discografico avviene con l’omonimo Amos Lee (05), a cui fanno seguito il folk-soul cristallino di Supply And Demand (06), il delizioso rhythm’n’ blues di Last Days At The Lodge (08), l’ottimo e composito Mission Bell (11) con la produzione di Joey Burns e la partecipazione dei Calexico che l’accompagnano nel disco, con la presenza di ospiti del calibro di Willie Nelson, Iron & Wine, e Lucinda Williams, per proseguire con un disco maturo e dalla bella scrittura come Mountains Of Sorrow Rivers Of Song (13), fino ad arrivare a questo disco dal vivo, dove ripercorre in quattordici tracce il suo intero percorso artistico, pescando dai suoi lavori in studio, includendo ovviamente i  brani di maggior successo, rivisitati appositamente con i fiati, gli archi e le percussioni della Colorado Symphony Orchestra.

L’apertura lo vede subito presentarsi con “singoli” di successo come Windows Are Rolled Down e Jesus (li trovate in Mission Bell), interpretati con la sua distintiva voce “soulful” e una coralità à la Staples Singers, a cui fanno seguito gli archi pizzicati di Keep It Loose, Keep It Tight, le armonie latine di El Camino, le deliziose traiettorie vocali di Violin e la “famosa” Colors, introdotta da magistrali tocchi di pianoforte che accompagnano la voce in falsetto di Lee, mentre la ritmata Tricksters, Hucksters, And Scamps è una divertente “galoppata” con gli svolazzi dell’Orchestra. Si continua con il mid-tempo di una rarefatta Flowers, per poi rispolverare un lento rhythm’n’blues come Won’t Let Me Go, sostenuto da una spolverata di archi romantici e da una chitarra “sensuale”, i fiati di una divertente Sweet Pea, cantata da Amos in stile “New Orleans”, per poi passare alla spavalderia musicale di Street Corner Preacher, e l’imperioso intermezzo di Game Of Thrones Theme con un arrangiamento orchestrale vagamente alla Led Zeppelin, prima dello stordimento finale con la sontuosa ballata Black River (una delle canzoni migliori del suo repertorio, cercatela nell’album d’esordio), qui cantata in coppia con la sua nuova bassista Annie Clements, andando a chiudere il tutto nuovamente con le armonie “soul” di una Arms Of A Woman dove emerge tutta la forza dell’Orchestra al seguito. Applausi!

Questo Live At Red Rocks With The Colorado Symphony è certamente un punto di arrivo, ma anche di ripartenza, per Amos Lee, un artista con un suo stile personale, in possesso di una voce molto espressiva e dalla tonalità limpida, che si rifà dichiaratamente a cantautori folk-soul tipo i grandi Bill Withers e Donny Hathaway, a testimonianza di un talento capace di coniugare melodia e capacità di scrittura e che lo ha portato giustamente a esibirsi sotto le stelle nella cornice spettacolare dell’Anfiteatro di Denver, una delle “location” più belle al mondo.

NDT: Le canzoni sono talmente belle che le porto in vacanza con me, e non vedo l’ora di ascoltarle di nuovo. Alla prossima e per il momento fine dei ripassi per le vacanze da parte del sottoscritto!

Tino Montanari

Nothing But The Blues…And More, Senti Che Roba: Può Bastare?! Joe Bonamassa – Muddy Wolf At Red Rocks

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Joe Bonamassa – Muddy Wolf At Red Rocks -2CD/2DVD/BRD Provogue/Edel

Sappiamo tutti che Joe Bonamassa, per usare un eufemismo, è un artista prolifico, e quindi essendo passati ben sei mesi dall’ultimo, ottimo, album di studio, Different Shades Of Blue http://discoclub.myblog.it/2014/09/10/ebbene-si-eccolo-joe-bonamassa-different-shades-of-blues/ , ci si chiedeva quale sarebbe stata la prossima mossa di Joe. Ma in effetti l’artista di Utica, stato di New York, la mossa l’aveva già pianificata lo scorso 31 agosto del 2014, quando, nel meraviglioso anfiteatro naturale di Red Rocks, a due passi da Denver, Colorado, e di fronte a 9.000 entusiasti spettatori, ha organizzato una speciale serata unica dedicata al Blues ed in particolare a quello di due titani delle 12 battute come Muddy Waters e Howlin’ Wolf, da cui il titolo Muddy Wolf At Red Rocks. Negli ultimi anni il buon Joe sembra avere “messo la testa a posto”: una ottima serie di album, in studio e dal vivo (non ve li ricordo tutti perché sono veramente tanti) ma non sbaglia un colpo, e non è che prima non avesse fatto buoni dischi, ma la sua carriera, quantomeno a livello critico, era stata più discontinua. Diciamo che la collaborazione con il produttore sudafricano Kevin Shirley, ha giovato ad entrambi i personaggi, con un percorso lento ma sempre più sicuro, disco dopo disco, stanno creando un body of work che rivaleggia con quelli dei grandi Guitar Heroes del passato.

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Una delle “piccole lacune” da colmare era quella di un disco dedicato completamente al Blues; in effetti in passato Bonamassa, nel 2003, aveva già dedicato un disco che, fin dal titolo, Blues Deluxe, era un tributo alla musica del diavolo, ed infatti viene considerato uno dei dischi migliori della sua discografia, però, accanto ad alcuni brani classici, c’erano anche un paio di composizioni autografe e la title-track, a firma Jeff Beck/Rod Stewart, peraltro bellissima, che non si possono certo considerare pietre miliari della musica nera. Questa volta tutto è stato fatto a puntino: dalla scelta della band che lo accompagna, i “soliti” Anton Fig alla batteria e Michael Rhodes al basso, solidissima sezione ritmica, l’ultimo arrivato, il tastierista della Florida Reese Wynans, vecchio pard di SRV, ma che era già in pista sul finire anni ’60, con i Second Coming pre-Allmans, la sezione fiati composta da Lee Thornburg, Ron Dziubla e Nick Lane, ormai una presenza fissa negli ultimi anni, e, per l’occasione, il chitarrista americano Mike Henderson, che proprio recentemente ha dato alle stampe un nuovo album, If You Think It’s Hot Here, dopo parecchi anni di silenzio discografico, qui utilizzato, con ottimi risultati, come armonicista e Kirk Fletcher dei Mannish Boys, altro veterano del blues, alla seconda chitarra. Il risultato è un bijou, disponibile in doppio CD o doppio DVD  e Blu-Ray (con vari contenuti extra nei supporti video, tra cui un breve documentario sul viaggio di Kevin e Joe al famoso Crossroads, il dietro le quinte del concerto e materiale d’archivio dedicato a Muddy e al Wolf): secondo me il disco meriterebbe almeno 4 stellette, ma visto che ci sono ancora gli scettici che considerano Bonamassa un volgare caciarone dal suono pesante e violento, gli consiglierei di ascoltarsi questo disco o video dal vivo e ricredersi.

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Si tratta veramente di una serata blues con i fiocchi e controfiocchi: fin dall’introduzione atmosferica dello strumentale We Went Down To The Mississipi Delta, all’ultima nota dei credits che scorrono sulla finale Muddy Wolf, Bonamassa e soci dimostrano come si suona O’blues. La prima parte del concerto è dedicata al repertorio di McKinley Morganfield, in arte Muddy Waters, ed ecco così scorrere, preceduta dalla versione originale, Tiger In Your Tank https://www.youtube.com/watch?v=vlqK4DMhawk , un inizio da brividi, per un brano che molti non considerano uno dei super classici, ma che è perfetto con il suo mood swingante per aprire le operazioni, con Joe che comincia a regalarci il primo dei suoi soli, che saranno numerosi e sempre molto variati, con un perfetto uso della solista, misurata, cristallina e perfetta come in rare precedenti occasioni mi è capitato di ascoltare, sempre misurato ma in grado di regalare le sue proverbiali zampate. Da I Can’t Be Satisfied, dove da perfetto band leader comincia a chiamare gli assolo dei suoi musicisti, il primo, Mike Henderson all’armonica e poi il suo, inserito alla perfezione nel contesto di uno dei cavalli di battaglia di Waters https://www.youtube.com/watch?v=_q3L0my3cao . Ma è con You Shook Me che le cose cominciano a farsi serie, Wynans passa al piano, Bonamassa canta sempre benissimo e comincia a scaldare la sua chitarra, per quello che sarà uno degli interventi solistici più belli della serata, con un fiume lungo e torrenziale di note che inizia a scorrere con grande intensità, sembra di ascoltare il suo idolo Eric Clapton in serata di grazia, grande musica. Che non si ferma neppure con Stuff You Gotta Watch, altro swing-blues dove fiati ed interventi misurati di Henderson, Wynans, Fletcher e un ingrifato Bonamassa ci riportano alle origini del blues https://www.youtube.com/watch?v=wvOwOrBrxNI , prima di tramortirci di nuovo con una versione micidiale di Double Trouble, brano che spesso viene accostato anche alla figura di Otis Rush, ma pure a Clapton che ne ha spesso rilasciato delle versioni da manuale, e qui Joe, di nuovo baciato dall’ispirazione dimostra di nuovo perché è veramente un grande chitarrista, in uno degli altri momenti topici della serata.

Real Love raffredda brevemente gli animi (si fa per dire perché è comunque un gran canzone) ma è un attimo, perché Bonamassa dimostra di essere anche un grande chitarrista slide e indossato il bottleneck ci regala una versione devastante di My Home Is On The Delta, Chicago Blues allo stato puro, per concludere la prima parte della serata con il train time inarrestabile di All Aboard, tra sferzate di chitarra ed armonica. Lo show riprende, preceduto da un breve talking di Howlin’ Wolf che ci spiega cosa è il blues, e si riparte proprio con un super classico come How Many Years, con tutta la band in gran spolvero https://www.youtube.com/watch?v=9Tk-4aC2lok  e poi si susseguono i ritmi sincopati della immancabile Shake For Me, con retrotoni quasi R&B https://www.youtube.com/watch?v=Hv2hGTGrwvI , la scatenata Hidden Charms in odore di boogie e R&R https://www.youtube.com/watch?v=TWh57xQG3wo , prima dell’immortale riff di Spoonful, condita da un altro assolo di chitarra di quelli da sentire per credere, otto minuti di pura magia sonora, che rievocano le migliori serate dei Cream, perché siamo su quei livelli https://www.youtube.com/watch?v=MJMzjqsitq0 , seguita da un altro dei brani più conosciuti della storia, una pimpante e ricca di ritmo Killing Floor che confluisce in un’altra intensa punta della serata, di nuovo il “lupo” più cattivo, ecco il momento del Diavolo, Evil (is going on), uno slow blues dove c’è spazio anche per l’armonica di Henderson, il solito inarrestabile fiume di note di Bonamassa, ispiratissimo ancora una volta, che entusiasma il pubblico, prima di lanciare l’ultimo brano della seconda parte, All Night Boogie (All Night Long), che finisce in gloria la serata con tutto il gruppo al proscenio, musicisti di classe e sostanza come raramente è dato ascoltare in un concerto blues in questi anni moderni.

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La serata non è finita e Joe ritorna per presentare alcuni dei suoi classici, dove potrà dare luogo anche a qualche escursione con il suo pedale wah-wah, raramente innestato nel corso della serata di blues elettrico, ma ora è tempo di rock-blues, e così arrivano, l’omaggio a Jimi Hendrix di Hey Baby (New Rising Sun), Oh Beautiful e Love Ain’t A Love Song, che allora erano nuove per il pubblico presente, una tiratissima Sloe Gin ed un’epica Ballad Of Joe Henry, tra le due quasi venti minuti di rock-blues feroce e selvaggio che illustrano anche il lato più heavy ed entusiasmante della musica del nostro amico. Titoli di coda, fine: uno dei migliori album dal vivo di questi anni, dovrebbe bastare!

Bruno Conti

Ritorno A Casa A Rockville! O.A.R. – The Rockville Lp

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O.A.R. – The Rockville Lp – Black Rock Music/Vanguard Records

Puntualmente il titolare di questo blog, dopo la recensione dello splendido concerto tenuto a Red Rocks, Denver, Colorado, nel 2012 http://discoclub.myblog.it/2012/12/04/tra-le-rosse-rocce-o-a-r-live-on-red-rocks/ , mi permette di parlarvi dell’ultimo lavoro degli O.a.r., una delle live band più considerate della scena americana. Il titolo dell’album prende il nome dalla loro città natale Rockville, Maryland, ed è un omaggio ai ricordi e alle persone che hanno lasciato a casa nel corso dell’ultimo ventennio, durante il quale hanno pubblicato (con questo) otto dischi in studio, cinque album dal vivo e un EP, continuando a viaggiare per il mondo, ottenendo un “oceanico” consenso nelle innumerevoli performance live. L’ascesa degli O.A.R. parte nella prima metà degli anni ’90, quando gli amici d’infanzia Marc Roberge e Chris Culos cominciano ad incidere demos e maturare sogni di rock’n’roll, con l’aiuto del giovane chitarrista Richard On, del bassista Benj Gershman e del sassofonista Jerry DePizzo, costruendosi gradualmente un seguito grazie ai concerti e al passaparola via internet.

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Dall’esordio di The Wanderer (97) ad oggi la fama del gruppo è cresciuta smisuratamente, il numero dei “fans” è andato negli anni aumentando, con il risultato che alcune loro canzoni sono entrate nelle “Top Charts”  nazionali. La band principalmente ruota attorno alla figura del leader, cantante, chitarrista e compositore Marc Roberge (attualmente con gravi problemi familiari, per il cancro diagnosticato alla moglie), che con i suoi abituali “pards” Chris Culos, Richard On, Benj Gersham, Jerry DePizzo e con l’aiuto del co-autore e produttore Nathan Chapman (Taylor Swift, e non è una nota di merito), , bagna il debutto su etichetta Vanguard Records con un album in cui confluiscono tutte le influenze musicali e i vari stili utilizzati nel corso degli anni, ovvero, rock, pop,folk, reggae e un pizzico di light jazz.

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Il brano d’apertura Two Hands Up è un orecchiabile reggae, cui fa seguito  una tambureggiante We’ll Pick Up Where We Left Off e il singolo Peace con uno splendido riff acustico ad accompagnare  la voce piana e tranquilla di Mark https://www.youtube.com/watch?v=PxtQ5cazBtA , mentre le cadenze reggae ritornano nel crescendo di suoni di The Element.

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Con Favorite Song entra in azione il sassofono del bravo Jerry DePizzo, mentre a seguire troviamo l’aura melodia di una ballata come So Good So Far https://www.youtube.com/watch?v=aAJeJ8YkEWM , il ritmo latino di The Architect con tutta la band che gira a mille https://www.youtube.com/watch?v=nWCqM-xOfH0 , e le trame elettroacustiche di Place To Hide, andando a chiudere con una Caroline The Wrecking Ball (co-firmata da Stephen Kellogg) dall’incedere incalzante, e, in conclusione, dal brano più lungo del disco, I Will Find You, nove minuti che iniziano lentamente, per poi svilupparsi in un ottimo crescendo dalla perfetta trama musicale, dove tutta la band lascia scivolare gli strumenti su brillanti derive armoniche https://www.youtube.com/watch?v=gYJwdCfLVYQ .

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Con The Rockville Lp, gli O.A.R. (Of A Revolution, come dicevano i Jefferson Airplane ai tempi) realizzano uno dei loro album più ambiziosi e completi, un lavoro all’altezza della reputazione che si sono conquistati in quasi un ventennio di carriera, accontentando i vecchi “fans” che saranno felici che siano tornati, mentre i nuovi adepti, se vorranno, avranno una colonna sonora da ascoltare durante i viaggi di questa calda estate.

Tino Montanari   

“Tra Le Rosse Rocce”. O.A.R. – Live On Red Rocks

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Live On Red Rocks – O.A.R. –  Wind-up records – 2 CD o DVD

Questo concerto al Red Rocks Amphitheatre di Denver, Colorado(registrato il 15 Luglio 2012), è stato un vero evento, come lo fu il precedente DVD dal vivo Live From Madison Square Garden, filmato nel 2007 su un palcoscenico esclusivo e prestigioso, ambìto da ogni musicista (con 18.000 spettatori presenti). Ancora piuttosto sconosciuti al pubblico internazionale ed ignorati da buona parte della critica, gli O.A.R. (acronimo di Of A Revolution), attivi dalla fine degli anni ’90, nascono come “college band” in Ohio,dove riescono in breve tempo a crearsi un nutrito seguito di fans grazie ai numerosi concerti, e come molte giovani formazioni americane, vendono i propri dischi via internet.

Dall’esordio di The Wanderer (97) ad oggi hanno pubblicato undici album e ben cinque sono dal vivo: Any Time Now (2002), 34th & 8th (2004), il citato Live from Madison Square Garden (2007), Hello Tomorrow EP (2009) e l’ottimo quadruplo Rain Or Shine (2010). Negli Stati Uniti la band è famosa, molto famosa, non come la Dave Matthews Band, ma poco ci manca, e infatti hanno un suono abbastanza simile, proponendo un brillante amalgama sonoro, che contamina il classico rock americano  (Counting Crows) con spruzzate di pop, elementi roots e virate reggae, una musica che dal vivo fa faville e si trasforma in ispirate e colorite jam. Gli O.A.R.  sono: Marc Roberge leader indiscusso voce e chitarra, Richard On chitarra solista, Jerry DePizzo sassofono, Benj Gershman al basso e Chris Culos alla batteria e in questa performance live, si avvalgono di una incredibile sezione fiati (Mikel Paris, Jon Lampley e Evan Oberla), presenza costante durante i concerti delle ultime due estati.

Le due ore abbondanti di Live On Red Rocks si aprono con l’iniziale Dangerous Connection, con un serrato crescendo di percussioni e fiati, seguite dalla sempre trascinante Shattered (Turn the Car Around) con grande partecipazione del pubblico, passando al classico american rock di Gotta Be Wrong Sometimes, fino al vulcanico rock, tra brillanti passaggi strumentali di Heard The World, il divertente reggae-rock di The Last Time e The Wanderer, e gli otto minuti di Delicate Few sospesa tra singhiozzi reggae e il tubare del sax, liberando con improvvise accelerazioni la creatività del brano. Si riprende con la seconda parte del concerto, dove gli O.A.R. svelano l’attitudine che li ha spesso associati al mondo delle jam band liberando nuovamente la creatività, modificando gli arrangiamenti delle canzoni e dilatandone i tempi, a partire dalle ipnotiche pulsazioni di Love & Memories, dalle morbide trame elettroacustiche di Mr. Moon, arricchita da pregevoli rifiniture pianistiche, e poi ancora il brano sincopato dall’intro acustica Ladanday, che acquista gradualmente forza e ritmo su un robusto tessuto sonoro di chitarre e fiati, proseguendo con la  ballata Irish Rose, tra languidi assolo del sax e limpidi ricami dell’acustica di Roberge, le percussioni etniche di Black Rock, il possente reggae-ska di That Was A Crazy Game of Poker, la delicata I Feel Home, e gli oltre 11 minuti di una “psichedelica” War Song preceduta da una lunga introduzione strumentale, a chiusura di un concerto splendido e trascinante.

Gli O.A.R. (per chi scrive) sono la conferma che il rock nato in provincia è molto più radicato nella gente, in quanto la band (originaria del Maryland) fa una musica positiva, vitale ed energica, in cui convergono la melodia del pop, la grinta del rock, i caldi contorni dei caraibici ritmi del reggae e la fantasia delle jam band (ultimamente estrinsecata dall’apporto della sezione fiati), un suono che è il ritratto di una formazione che si è fatta strada con le proprie forze, in modo onesto e sincero, che  raduna una platea infinita in piena estate, cosa che solo le grandi band riescono a fare.

Tino Montanari

NDT: Il DVD riporta la stessa scaletta del CD, più un documentario girato nel corso del “Crush Tour” del 2012, durante il quale si può sentire una canzone nuova degli O.A.R. Inside Out. Meriterebbe di essere visto anche solo per la “location” dove si è svolto (fra le montagne del Colorado). Buona visione o ascolto, o entrambi!