Uno Splendido Commiato Per Una Grandissima Artista! Joan Baez – Whistle Down The Wind

joan baez whistle down the wind

Joan Baez – Whistle Down The Wind – Proper CD

Alla veneranda età di 77 anni, anche Joan Baez, dopo decenni di battaglie, ha deciso di appendere la chitarra al chiodo in grande stile, e cioè con un ultimo disco ed un ultimo tour. La storia della nostra musica è piena di finti addii, ma ultimamente certi annunci sono (purtroppo) diventati credibili, un po’ per problemi di salute (vedi il caso recente di Neil Diamond, affetto dal Parkinson), un po’ a causa della carta d’identità, come nel caso proprio della Baez. C’è da dire che Joan negli ultimi anni non è stata particolarmente attiva discograficamente: il suo ultimo album di studio, Day After Tomorrow, risale a ben un decennio fa, mentre due anni orsono venivamo deliziati dal bellissimo live autocelebrativo 75th Birthday Celebration. Per il suo ultimo disco, Joan ha fatto le cose in grande, prendendosi tutto il tempo necessario ma consegnandoci uno dei suoi lavori più belli in assoluto: Whistle Down The Wire è infatti un album splendido, con dieci canzoni scelte personalmente dalla Baez nel repertorio di altri artisti contemporanei (Joan è sempre stata principalmente un’interprete, anche se la sua Diamonds And Rust è una delle canzoni più belle degli anni settanta), eseguite con una classe che con l’età è ulteriormente aumentata. La voce non è più potente come negli anni sessanta (quando si diceva che potesse rompere un bicchiere di cristallo con un acuto), ma la limpidezza è rimasta inalterata, ed il tempo le ha conferito una profondità ed una serie di sfumature che prima erano meno evidenti.

Come produttore, Joan ha scelto uno dei migliori sulla piazza: Joe Henry, supremo architetto di suoni e grande musicista a sua volta, che ha portato in session un manipolo di strumentisti formidabili, tra cui il fido batterista Jay Bellerose, il bassista David Piltch e, soprattutto, il bravissimo Tyler Chester al piano (strumento chiave nel suono del disco) e gli altrettanto validi Greg Leisz e Mark Goldenberg alle chitarre. Il resto lo fa Joan, ancora perfettamente in grado di regalare emozioni nonostante l’età, a partire dalla title track, un brano di Tom Waits arrangiato in modo splendido, una folk ballad straordinaria, toccante, profonda, con la nostra che emana classe e carisma ogni volta che apre bocca. Con un inizio così il resto del CD è in discesa: Be Of Good Heart è un brano di Josh Ritter, e la Baez lo ripropone con una veste sonora molto classica: voce, una chitarra, mandolino, ottimi rintocchi di piano a riempire gli spazi (qui c’è lo zampino di Henry) ed una percussione leggera, e la bellezza della melodia fa il resto. Another World è una scelta sorprendente, in quanto è un pezzo di Anohni (cioè Anthony Hegarty, uno che personalmente non ho mai sopportato, fin dai tempi in cui faceva il controcanto a Lou Reed): Joan spoglia il brano da ogni orpello e lo riduce all’essenziale, voce, chitarra e percussione, riuscendo a farla sua senza problemi (non dimentichiamo che la Baez è anche una brava chitarrista), anche se come songwriting non è tra le mie preferite. Splendida per contro Civil War, una canzone portata in dote proprio da Joe Henry, una struggente ballata pianistica, suonata alla grande e cantata da Joan al meglio delle sue possibilità (che sono ancora altissime).

Mary Chapin Carpenter è una delle cantautrici più apprezzate dalla Baez, e la sua The Things We Are Made Of riceve dalla nostra un trattamento regale: la canzone, già bella di suo, viene impreziosita da un’interpretazione di grande intensità, con i soliti noti che ricamano di fino sullo sfondo (domina Leisz, un fenomeno). Zoe Mulford è un’autrice non molto conosciuta, in cui Joan si è imbattuta per caso sentendo un giorno alla radio (mentre era in macchina) la sua The President Sang Amazing Grace, restandone folgorata a tal punto che ha deciso di farla sua: canzone splendida, dal sapore leggermente gospel, lenta, pianistica e con una performance da pelle d’oca da parte della Baez, probabilmente il brano migliore del disco, sentire per credere. Dopo un pezzo del genere era dura mantenersi sullo stesso livello, ma Joan ci riesce con una versione sentita e molto folkeggiante di Last Leaf, secondo brano di Tom Waits. Anche Ritter fa il bis come autore, e Silver Blade è, manco a dirlo, interpretata da Joan in maniera scintillante, e resa quasi drammatica dall’accompagnamento forte e quasi marziale da parte della band. Per gli ultimi due brani la nostra musicista dai capelli d’argento si rivolge a due autori meno noti, Elisa Gilkyson e Tim Eriksen: The Great Correction è tra le più dirette ed orecchiabili, un pezzo dal sapore quasi country che si ascolta tutto d’un fiato, mentre I Wish The Wars Were All Over (un titolo emblematico per chiudere l’ultimo album di una che ha fatto del pacifismo una ragione di vita) è puro folk d’altri tempi, con un marcato feeling irlandese.

Un disco straordinario questo Whistle Down The Wind, che chiude alla grande una delle carriere più luminose della storia della nostra musica, e proprio per questo ancora più prezioso.

Marco Verdi

Finalmente E’ Arrivato Anche Il Suo Momento! E Che Disco! Bob Weir – Blue Mountain

bob weir blue mountain

Bob Weir – Blue Mountain – Columbia Legacy/Sony CD

Era una vita che Bob Weir, 69 anni tra pochi giorni, non faceva un disco da solista: dopo la scomparsa nel 1995 di Jerry Garcia, Bob si è caricato sulle spalle la responsabilità di portare avanti l’eredità dei Grateful Dead, con le ristampe, i dischi dal vivo, come leader dei The Other Ones prima e dei The Dead dopo e, nell’ultimo periodo, è stato il promotore della tournée di addio dello scorso anno e del concerto tributo a Jerry (che uscirà tra un paio di settimane), oltre a girare ancora gli States con i Dead & Company. Il suo ultimo album di studio risaliva a ben sedici anni fa (Evening Moods, pubblicato con i Ratdog), ma se ci limitiamo ai dischi accreditati a lui da solo, senza quindi le sue varie bands come Kingfish e Bobby & The Midnites, dobbiamo andare indietro fino addirittura al 1978, allorquando usci il non eccelso Heaven Help The Fool. Per questo, ma non solo per questo, Bob non è mai stato considerato per quanto avrebbe meritato, in quanto è sempre stato visto un po’ nell’ombra di Garcia, obiettivamente più dotato di lui come compositore e chitarrista (ma come cantante non so), quasi come se fosse un miracolato: eppure, a ben vedere, di belle canzoni dentro e fuori dai Dead ne ha scritte molte anche lui, ed alcune sono diventati comunque dei classici (qualche titolo sparso: Sugar Magnolia, Cassidy, Jack Straw, Playing In The Band, Estimated Prophet, One More Saturday Night, Feel Like A Stranger). Ma un grande disco non lo aveva mai fatto, con la sola possibile eccezione di Ace del 1972: ma se quell’album era infarcito dalla prima all’ultima nota di puro Dead-sound (anzi, il gruppo era proprio usato come backing band, Garcia compreso), questo nuovo Blue Mountain è diverso da qualsiasi cosa mai fatta prima da Weir.

Infatti le dodici canzoni del CD, scritte tutte da Bob con l’aiuto del noto musicista Josh Ritter (che sostituisce il suo abituale partner John Barlow) hanno sì elementi rock, ma un rock classico, americano, con decisi elementi western e persino qualcosa di country e folk; Weir predilige le ballate, che vengono suonate con arrangiamenti ariosi, profondi, a volte quasi crepuscolari: suoni che fanno venire in mente spazi aperti, praterie infinite sferzate dal vento, paesaggi al tramonto. Weir (che appare invecchiatissimo sulla copertina, ma secondo me se si tagliasse barba e baffi qualche anno se lo toglierebbe) si accompagna solo alla chitarra acustica, mentre il resto è nelle sapienti mani, tra i tanti musicisti presenti, di Josh Kaufman, che suona alla grande il pianoforte e produce anche il disco, Sam Cohen alle chitarre, Joe Russo e Ray Rizzo alla batteria, oltre ai due leader dei National, Aaron e Bryce Dessner, che in atmosfere come in quelle di questo disco ci sguazzano, presenti in parecchi brani. Indicativa del sound del disco la canzone d’apertura, Only A River, una ballata dal tono epico (pare che Bob avesse iniziato a scriverla più di 50 anni fa!), strumentata con misura e caratterizzata dal timbro profondo del nostro (in ottima forma vocale), un brano quasi rarefatto ma di grande fascino, che nel ritornello ripropone il testo e la melodia della mitica Shenandoah: splendido l’uso del piano da parte di Kaufman ed il crescendo progressivo. Già da questo pezzo si capisce che i Dead sono lontani anni luce. Cottonwood Lullaby è splendida, una western song moderna, profonda, notturna, con un suggestivo coro tra una strofa e l’altra ed ancora la voce di Bob, vera sorpresa del disco, al centro di tutto: canzone perfetta per un cowboy movie girato oggi, ma in bianco e nero; Gonesville è più spedita, una godibilissima miscela tra country, western e rockabilly, con Weir che nel cantato, parole sue, si è ispirato ad Elvis: incredibile che sia lo stesso Bob Weir che suonava con il Morto Riconoscente.

Lay My Lily Down è leggermente più elettrica e roccata, tendente al blues, con un mood annerito ed un’anima quasi southern, mentre Gallop On The Run, ancora lenta e rarefatta, rimanda alle atmosfere tipiche di Daniel Lanois, con una melodia che va dritta al cuore e la voce di Bob senza la minima sbavatura. Anche Whatever Happened To Rose è lenta e riflessiva, con un altro splendido coro alle spalle ed una melodia di stampo quasi tradizionale: è possibile che la frequentazione da parte di Weir dei National abbia avuto qualche influenza su di lui, qui c’è molto delle atmosfere dei fratelli Dessner. Ghost Towns è più elettrica e cadenzata, e possiede un’andatura proprio da musica per film western: Bob canta con sicurezza un motivo fluido, che sfocia in un affascinante ritornello corale. Darkest Hour è ancora splendida, una turgida ballata dalla melodia quasi country, poco strumentata (ma che bel pianoforte), ma eseguita con un feeling incredibile; bellissima anche la folkeggiante Ki-Yi Bossie, seppur eseguita dal solo Bob con la sua chitarra, ma con la partecipazione straordinaria del leggendario Ramblin’ Jack Elliott e di un coro alle backing vocals (e yodel): alla fine vi troverete senza accorgervene a canticchiare il ritornello assieme a Bob. La maestosa Storm Country ha tracce di psichedelia, ma non nel senso dei Dead, ma piuttosto somiglia al genere molto Laurel Canyon di uno come Jonathan Wilson, con quelle sonorità sospese e circolari; il CD si chiude con la title track, ancora con Bob in perfetta solitudine, e con l’intensa One More River To Cross (si finisce come si è iniziato, con una canzone che parla di un fiume), nella quale il nostro trova un’altra melodia vincente, l’ennesima di un disco che definire sorprendente è riduttivo.

E’ finalmente giunto il momento che il mondo si accorga di Bob Weir: anche se non siete mai stati dei fans dei Grateful Dead, Blue Mountain è un disco da tenere in forte considerazione. Perfetto per le prossime serate autunnali, da alternare magari con l’ultimo Van Morrison ed il prossimo Leonard Cohen.

Marco Verdi

Rest Of The Best 2015. Allmusic, Entertainment Weekly, Pop Matters, Rough Trade, The Guardian, The Telegraph

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Siamo all’ultima puntata delle classifiche sui migliori dischi del 2015 (manca ancora quella integrativa del sottoscritto che posterò domani, giorno di Natale, ed eventuali liste di riviste e siti italiani che presumo saranno disponibili a inizio 2016, non ho ancora fatto ricerche, sicuramente quella del Buscadero sarà pubblicata nel nuovo anno): nel Post di oggi una miscellanea di siti, riviste e anche una catena di vendita. I titoli, con qualche eccezione, sono più o meno sempre quelli, quindi non tutti in linea con i gusti del Blog, ma per documentare li pubblico ugualmente li pubblichiamo, saltando a piè pari una pletora di altri siti e riviste le cui scelte mi hanno fatto cadere le braccia (e anche altro). Iniziamo con Allmusic, il sito di informazioni discografiche, che pubblica una classifica in ordine alfabetico, quindi ne ho scelti io una decina.

Allmusic Best Of 2015

ashley-monroe the blade

Ashley Monroe – The Blade

bilal in another life

Bilal – In Another Life (genere: vintage-modern psychedelic soul, qualsiasi cosa voglia significare)

bjork vulnicura

Bjork – Vulnicura

courtney barnett sometimes i sit

Courtney Barnett – Sometimes I Sit And Think… (uno dei titoli più ricorrenti nelle liste di fine anno, insieme a Kendrick Lamar, non vi dico quale dei due preferisco, ma potete immaginarlo)

destroyer poison season

Destroyer – Poison (questo è molto interessante, chamber pop e  stile cantautore molto raffinato https://www.youtube.com/watch?v=GcWD_CroKhc , gran bel disco)

eric church mr. misunderstood

Eric Church – Mr. Misunderstood (country music di buona qualità)

father john misty - i love you

Father John Misty – I Love You, Honeybar

fred thomas all are saved

Fred Thomas – All Are Saved (non male anche questo signore, sembra un Jonathan Richman per il nuovo millennio)

jaxe xerxes fussell

Jake Xerxes Fussell – omonimo (uno dei tanti folksingers prodotti dall’ottima etichetta Paradise Of Bachelors)

julia holter have you

Julia Holter – Have You In My Wilderness

Olivia Chaney The Longest River

Olivia Chaney – The Longest River  (per me è un bellissimo disco, sarà nella mia lista aggiuntiva ed è uno dei candidati ai recuperi di fine anno, se trovo il tempo)

Entertainment Weekly The Best Albums of 2015

Visto che si ripetono molto con altre liste, bastano (e avanzano le prime 5 posizioni)

1) Kendrick Lamar – To Pimp A Butterfly

2) Carly Rae Jepsen – Emotion 

3) Adele – 25

4) Jamie xx – In Colour

5) A$AP Rocky – At Long Last A$AP

 

pop matters bestmusic2015-albums

Pop Matters Best Of 2015. 

Questo sito, comunque interessante, mette addirittura 80 titoli, ne ho pescati alcuni dalla lista completa http://www.popmatters.com/feature/the-80-best-albums-of-2015/

ruby amanfu standing still

75) Ruby Amanfu – Standing Still (una delle voci nere più interessanti del 2015, molto bella la cover del pezzo di Brandi Carlile)

dungen allas sak

70) Dungen – Allas Sak (torna la band psichedelica svedese in cui milita Reine Fiske che suona anche con gli Amazing, nuovo album, l’ottavo, come al solito cantato completamente in svedese)

leon bridges coming home

65) Leon Bridges – Coming Home

ryley walker primrose green

52) Ryley Walker – Primrose Green (l’erede di John Martyn?)

torres sprinter

35) Torres – Sprinter

josh ritter sermon on the rocks

32) Josh Ritter – Sermons On Rocks (un ritorno ai suoi migliori livelli)

mountain goats beat the champ

29) Mountain Goats – Beat The Champs (ne abbiamo parlato sul Blog http://discoclub.myblog.it/2015/04/14/gli-eroi-del-giovane-darnielle-mountain-goats-beat-the-champ/

houndmouth little neon

26) Houndmouth – Little Neon Limelight

joanna newsom divers

18) Joanna Newsom – Divers

alabama shakes sound & color

10) Alabama Shakes – Sound And Color

jason isbell something more than free

8) Jason Isbell – Something More Than Free

chris stapleton traveller

5) Chris Stapleton – Traveller

I primi 3 sono i soliti, per cui ve li risparmio: Lamar, Barnett e Father John Misty!

 

Rough Trade Albums of the Year 2015

Una catena di vendita indipendente, con negozi sparsi in tutto il mondo, ecco i loro Top 5

bjork vulnicura

1) Bjork – Vulnicura

father john misty - i love you

2) Father John Misty – I Love You. Honeybear

courtney barnett sometimes i sit

3) Courtney Barnett – Sometimes I Sit And Think…

ezra furman - perpetual

4) Ezra Furman – Perpetual Motion People (uno dei dischi indie alternative più piacevoli dell’anno)

max richter from sleep

5) Max Richter – Sleep (questo è addirittura su etichetta Deutsche Grammophon)

E per finire due quotidiani molto famosi.

The best albums of 2015

The Guardian music critics’ favourite albums this year, to reveal 2015’s best release

Sono i soliti, più o meno (la fantasia non regna sovrana ai primi posti)

1) Kendrick Lamar – To Pimp A Butterfly

sufjan stevens carrie & lowell

2) Sufjan Stevens – Carrie & Lowell (al sottoscritto piace, anche se al buon Marco Verdi, per usare un eufemismo, è piaciuto poco)

3) Father John Misty – I Love You, Honeybar

4) Julia Holter – Have You In My Wilderness

5) Bjork – Vulnicura

The-Telegraph-logo

E per finire, The Telegraph, che si affida alla scelta in ordine alfabetico: una delle più diversificate rispetto alle altre, a mio avviso, ma gli One Direction e Justin Bieber, come direbbe qualcuno, che c’azzeccano con il resto? Al solito ne ho pescate alcune tra le meno comuni:

blur the magic whip

Blur – The Magic Whip

bob dylan shadows in the night

Bob Dylan – Shadows In The Night

enya dark sky island

Enya – Dark Sky Island

frank turner postive songs

Frank Turner – Positive Songs For Negative People

gus garvey courting the squall

Gus Garvey – Courting The Squall (primo disco solista del leader degli Elbow, anche questo un bel dischetto)

john grant grey tickles

John Grant – Grey Tickles, Black Pression (le parti più elettroniche non mi fanno impazzire, ma nell’insieme un buon disco)

laura marling short move

Laura Marling – Short Movie (questo album purtroppo c’è in poche liste rispetto alle eccellenti critiche ricevute al momento dell’uscita, ma rientra senz’altro tra le mie scelte di fine anno e domani ci sarà)

waterboys modern blues

Waterboys – Modern Blues  (anche l’ultimo album di Mike Scott e soci l’ho visto in poche classifiche di fine anno, ma è meglio dell’80, facciamo 90%, di altri titoli che non dirò neppure sotto tortura, ma potete immaginare. E il brano qui sotto è veramente epico!

Direi che è tutto. Domani Post natalizio con le mie scelte suppletive!

Bruno Conti

Tenere E Delicate “Canzoncine”! Dawn Landes – Bluebird

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Dawn Landes – Bluebird – Western Vinyl

Dopo l’EP Mal Habillée, dedicato alle canzoni delle Ye Ye Girls francesi (pare che la nostra amica sia molto popolare in Francia, in effetti il primo disco, dawn’s Music, inizialmente, era uscito solo per quel mercato), che francamente non aveva entusiasmato, torna Dawn Landes, con un nuovo album, Bluebird, il quinto della sua discografia, più due EP, incluso quello citato sopra https://www.youtube.com/watch?v=qL-peHeVum0 . Il disco è co-prodotto da Thomas Bartlett (The National, Sharon Van Etten, Rufus Wainwright, Antony and the Johnsons) e dalla stessa Dawn, che, forse non molti lo sapranno, ha iniziato a muovere i suoi primi passi nel mondo della musica proprio come produttrice ed ingegnere del suono, lavorando con Philip Glass e contribuendo all’apertura dei Saltlands Studios a Brooklyn, di cui credo sia tuttora una socia.

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Se devo esprimere un parere il suo album che preferisco è Fireproof, il CD uscito nel 2008 per la Fargo https://www.youtube.com/watch?v=eR4Ir16IQdQ , ma anche Sweetheart Rodeo (i Byrds non c’entrano nulla) del 2010 non era per niente male https://www.youtube.com/watch?v=NsmdXfaQVHk . Lo stile è principalmente acustico e folkie, una voce morbida, piana, quasi sussurrata, ma “forte” nella sua apparente semplicità, le canzoni sono molto belle e, attenzione, anche se a lei dispiace ammetterlo (ma poi lo dice nelle interviste), questo è il suo “divorce” album https://www.youtube.com/watch?v=Ue5Ct1MmcyY . Se siete curiosi suo marito era Josh Ritter, proprio lui, “quel” Josh Ritter (che ha già raccontato la storia, vista dalla sua parte, in Beast In His Tracks) https://www.youtube.com/watch?v=xH8KG09xYsQ !

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Lo si intuisce chiaramente da quello che è il “centrepiece” (meglio in inglese, rende di più l’idea che centrotavola o trionfo, che ne sono la traduzione italiana, anche se la seconda…) del disco: Cry No More, un brano che suggerisce dal testo che le lacrime sono alle spalle, ma dalla voce non si direbbe, ad aiutarla un’altra signorina che si intende di struggimenti del cuore, Norah Jones, seconda voce e piano, in questo brano (come avrebbe detto Stanlio “Come due piselli in un baccello!”), vagamente country-folk ed assolutamente delizioso, e nell’altrettanto bella Love Song, sempre solo per piano, chitarra acustica, un basso (Tony Scherr o Catherine Popper).

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Peraltro un po’ tutto il disco è molto minimale, quasi scarnificato nei suoni, con il sound che si adegua al mood malinconico della sua autrice: Bluebird, sta tra la Mitchell dei primissimi tempi e l’ultima Laura Marling, contrabbasso, le tastiere di Bartlett, la solita acustica arpeggiata dalla Landes, la doppia voce a rafforzare gli arrangiamenti https://www.youtube.com/watch?v=dChn32CwbpA , e così pure nella successiva Try To Make A Fire https://www.youtube.com/watch?v=Os2q6YyKjiw . L’approccio è proprio quello delle “vecchie” folksingers, niente inutili modernismi, se non servono, forse si giocherà qualche apparizione in spot, serie televisive o colonne sonore, per la mancanza del solito pezzo orecchiabile, ma tant’è. Bloodhound ha un afflato ancora più folk, vicino ai “colleghi” inglesi dell’epoca del primo folk revival, anche se qualcuno ci ha scorto del bluegrass (?).

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Heel Toe introduce l’elettrica di Rob Moose e la batteria di Ray Rizzo, che è anche la seconda voce del brano e suona pure l’armonica, e, anche per il timbro della voce di Dawn Landes, al sottoscritto ha ricordato molto certe cose “spaziali” dei Cowboy Junkies, decisamente bella comunque. Di Cry No More si è già detto, Oh Brother, con due acustiche in fingerpicking, forse anche un violino pizzicato, sempre da Moose, le tastiere sullo sfondo, il solito contrabbasso, aderisce perfettamente all’atmosfera “ombrosa” e malinconica dell’album. Diamond Rivers è una tenue ballata pianistica, molto eterea, quasi una ninna nanna, con violino e viola che insieme alle tastiere danno una improvvisa profondità al suono. A proposito di ninne nanne, anche Lullaby For Tony, fin dal titolo, rientra nella categoria, mentre la conclusiva Home è uno struggente valzer pianistico con Bartlett ad accompagnare dolcemente gli arpeggi dell’acustica della Landes. Se non fossimo alle soglie della primavera, direi un album tipicamente autunnale, almeno nei sentimenti, da “uccellini teneri” o Bluebirds se preferite!

Bruno Conti

Novità Di Marzo Parte I. Jimi Hendrix, Dido, Stereophonics, Laura Mvula, Son Volt, Josh Ritter, Madeleine Peyroux, Ashley Monroe, Roddy Woomble

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Confermata per domani 5 marzo l’uscita di Jimi Hendrix People, Hell And Angels, il disco “inedito” già annunciato sul Blog a fine gennaio (in tutto il mondo, Italia inclusa, ma esclusa misteriosamente l’inghilterra, dove uscirà il 1° aprile), etichetta Sony Legacy. Confermato anche Memphis di Boz Scaggs, di cui avete già letto le recensione completa pochi giorni fa.

Torna, per dirla alla Chico di Zagor o come Brian Eno, Dido Florian Cloud De Bounevialle O’Malley Armstrong, per darle il suo nome completo: il disco Girl Who Got Away, Rca Sony, è il primo dal 2008, e naturalmente esce anche in versione Deluxe doppia con 6 brani in più. Il fratello Rollo, dei Faithless, è sempre al suo fianco come autore e c’è anche un duetto con il rapper Kendrick Lamar. Già da anni aveva annunciato che l’album avrebbe avuto un approccio elettronico ma, per fortuna, non ha mantenuto totalmente le promesse, anche se… 

Anche i gallesi Stereophonics rompono un silenzio che durava dal 2009 e pubblicano per la Stylus Records/EMI, domani 5 marzo, il nuovo CD Graffiti On The Train. C’è la versione Deluxe? Che domanda, certo! Anche se i 6 brani nel secondo dischetto, a parte uno, Overland, sono versioni alternative, acustiche o remix.

 

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Tre voci femminili, piuttosto diverse tra loro, ma tutte interessanti.

Laura Mvula, all’esordio con questo Sing To The Moon, pubblicato sempre dalla RCA, è la scoperta di quest’anno di BBC e Brit Awards, tra i “names to watch” (e listen). Prodotto, attenzione, da Steve Brown (quello di Rumer) e mixato da Tom Elmhirst (quello di Adele), in Inghilterra, dove la fantasia non manca di certo alla stampa, anche troppo, è stato definito un disco di gospeldelia. Più semplicemente, per chi scrive, una bella voce, raffinata, con arrangiamenti anche complessi, misti a brani più semplici, influenze (e cover di) Nina Simone, George Gershwin e Bjork. Sembra interessante. Sì, c’è la versione doppia Deluxe con 6 tracce extra. 

Non sono passati neanche due anni dal precedente Standing On The Rooftop ed esce già un nuovo disco di Madeleine Peyroux, titolo The Blue Room, prodotto nuovamente da Larry Klein, dopo la parentesi con Craig Street, l’album inizialmente doveva essere un tributo al Ray Charles di Modern Sounds In Country & Western Music, e, tratte da quel disco, oltre a I Can Stop Loving You ce ne sono altre tre, a cui si aggiungono Guilty di Randy Newman e Bird On The Wire di Leonard Cohen, nonché Gentle On My Mind, il brano di Glen Campbell scritto da John Hartford, il tutto molto buono, ai suoi migliori livelli. Questa volta prima di parlarvi della versione Deluxe (che c’è), vi ricordo che per le strane traiettorie della discografia miderna, il disco esce, su etichetta Decca/Emarcy, il 5 marzo negli States, il 26 marzo in Italia e l’8 aprile in Inghilterra, mah! La Deluxe, in questo caso, contiene un DVD con un documentario di 30 minuti, il video di Changing All Those Changes (che è un brano di Buddy Holly) e un video unplugged di I Can’t Stop Loving You. Nel CD, come ciliegina sulla torta, c’è anche una bellissima versione di Desperados Under The Eaves di Warren Zevon.

Ashley Monroe, chi è costei? E’ una che fa country ed è anche brava. Ha fatto un bellissimo disco con le Pistol Annies (Miranda Lambert e Angaleena Presley) nel 2011 e uno, Satisfied, a nome suo nel 2009 e per quelli che seguono, è la tipa che duettava con i Train in Bruises. Per questo nuovo album, che esce solo in Usa, sempre il 5 marzo (una brutta notizia, non c’è la deluxe!), titolo Like A Rose, Warner Bros, per la title-track si è scomodato anche Guy Clark che l’ha firmata insieme a lei e c’è un duetto con Blake Shelton, produce Vince Gill. La nuova Dolly Parton?

 

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Sempre parlando di country, anzi Honky Tonk, è il titolo del nuovo disco dei Son Volt. Jay Farrar torna nei ranghi, e dopo l’operazione Gob Iron e quella per Woody Guthrie di New Multitudes, pubblica, come di consueto, per la Rounder/Universal questo nuovo album, con più pedal steel e due violini rispetto al solito sound, ma la voce è la solita, inconfondibile (che mi evoca sempre ricordi del non dimenticato Gene Clark). Sono già due dischi che non c’è la versione Deluxe, comincio ad essere preoccupato, quasi quasi me la invento.


Ma per il nuovo Josh Ritter c’è, anzi ce ne sono addirittura due, più che altro formati “strani”. The Beast In Its Tracks, etichetta Yep Rock, esce in vinile, con il CD allegato, o nuovamente in LP, con CD e 45 giri allegati, sono dei geni del marketing! Naturalmente il prezzo sale esponenzialmente a seconda delle versioni. Per fortuna il disco è bello, forse i suoi problemi amorosi (si è lasciato con la moglie, musicista anche lei, la bravissima Dawn Landes, dopo solo 18 mesi di matrimonio) hanno contribuito alla riuscita di questo nuovo album. Lui è veramente bravo, quindi non mi meraviglia più di tanto. Penso che qualcuno poi farà la recensione completa del disco sul Blog, per il momento un estratto…

E Per finire: Roddy Woomble era il leader degli Idlewild, qualcuno li ricorda? Band scozzese, che in teoria è in pausa indefinita, per permettere la carriera solista di Woomble, che collabora spesso con Kris Drever, John McCusker, Kate Rusby, Karine Polwart, Eddie Reader, Boo Hewerdine, tutta gente brava e anche lui non è male, come dimostra questo Listen To Keep pubblicato dalla Reveal. Come diceva qualcuno anni fa, provare per credere, questa Making Myths è bellissima!

Alla prossima.

Bruno Conti

Novità Di Febbraio Parte III. Nanci Griffith, Tindersticks, Lambchop, Sinead O’Connor, Cranberries, Damien Jurado, Field Music, Kevn Kinney, Eccetera

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 Questa settimana sono in ritardo per l’aggiornamento delle news, pensavo che uscisse poco materiale e invece quando ho controllato la lista ho visto che stanno per essere pubblicati parecchi titoli interessanti, per cui, mentre mi sparo il nuovo Springsteen (di cui avrete letto sui quotidiani, non so, per ora mi riservo il giudizio, anche se l’amore per la sua musica è imperituro e un paio di ballate, Jack Of All Trades in primis, ricordano gli splendori del passato e il suono del disco per la presenza costante del violino ha degli agganci con le Seeger Sessions, pure fisarmonica e fiati fanno sentire la loro presenza, anche se il breve intermezzo rap uhm, non volevo parlarne ma vengo risucchiato dalla passione, basta!), vi aggiorno sulle novità di martedì 21 febbraio.

Partiamo con Nanci Griffith che approda anche lei a casa Proper con questo nuovo Intersection, il 20° della sua carriera, dodici brani di cui 5 cover e sette originali. Registrato come al solito in quel di Nashville, Pete & Maura Kennedy co-producono, suonano e cantano con l’aiuto di Pat McInerney alle percussioni e con alcuni ospiti come Eric Brace e Peter Cooper alle armonie vocali in una ripresa di Just Another Morning Here, tratta da uno dei suoi dischi più belli Late Night Grand Hotel. Richard Bailey degli Steeldrivers al banjo in High On A Mountain Top che è una delle cover, dal repertorio di Loretta Lynn, così come ce n’è una scritta da Blaze Foley, If I Could Only Fly. Mi sembra bello.

Nuova casa discografica per i Tindersticks che approdano alla Lucky Dog/City Slang con questo The Something Rain ma, niente paura, lo stile musicale è sempre quello e Stuart Staples non ha perso l’abitudine di scrivere belle canzoni anche se in effetti il video non è il massimo.

Anche i Lambchop incidono per la City Slang e il nuovo album è un po’ meno Alt Country del solito per la band di Nashville. Comunque questo Mr. M mi piace e la versione con DVD contiene 5 brani registrati dal vivo e una presentazione track by track del disco da parte di Kurt Wagner.

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Il nuovo disco di Sinead O’Connor, il titolo una scioglilingua How About I Be Me And You Be You?, esce con due copertine ( e due date) diverse in Europa e negli Stati Uniti. Etichetta One Little Indian, prodotto dal “solito” John Reynolds, nove canzoni nuove e una cover di Queen Of Denmark di John Grant. Ma allora le piace la buona musica?

Dolores O’Riordan ha deciso di ritornare al vecchio marchio di fabbrica Cranberries che da solo garantisce vendite doppie rispetto ai dischi solisti e a 11 anni dall’ultimo album di studio Wake Up And Smell The Coffee arriva questo Roses, il primo per la Cooking Vinyl, prodotto da Stephen Street, quello di Smiths, Blur e Cranberries appunto. C’è l’immancabile versione Limited doppia (ma al prezzo di uno) con il secondo CD che contiene 16 brani registrati ad un concerto del 2010 a Madrid.

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Plumb dei Field Music, ad essere sinceri, è già uscito la scorsa settimana per la Memphis Industries ma lo avevo “saltato” nelle mie liste. Invece sono andato a sentirlo ed è molto bello, sembrano gli Xtc del periodo d’oro, pop music di quelle con arrangiamenti e suoni scintillanti e raffinati, la musica buona inglese degli anni ’80 con richiami anche ai sixties (qualcuno ha detto Beatles?).

Josh Ritter esce con un nuovo EP intitolato Bringing In The Darlings. Pare che il mini album, come evidenziato anche da quello di Amos Lee, sempre 6 brani, sia tornato di moda. Registrato in coppia con il produttore Josh Kaufman che suona tutti gli altri strumenti, “esce” per la Pytheas Recordings.

Esordio di Jim White per la Yep Rock Where It Hits You, dopo tanti anni con la Luaka Bop di David Byrne, cinque anni di silenzio e quella strana collaborazione nei Mama Lucky con Linda Delgado e Tucker Martine. Non ho  ancora capito che genere faccia (penso neanche lui) però lo fa bene. Vogliamo dire Alternative Country?

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Un paio di nuove ristampe della Wounded Bird. Il primo è il classico In Concert dei Blood Sweat and Tears uscito come doppio vinile per la Columbia nel 1976, con David Clayton Thomas rientrato in formazione è l’occasione per risentire il loro pop rock funky jazz esplosivo e una delle più belle voci della musica americana.

Phil Everly era il meno bravo degli Everly Brothers, o meglio, era quello che cantava meno parti soliste rispetto a Don. Questo Star Spangled Springler è uno dei suoi rari album solisti pubblicato in origine nel 1973, con la partecipazione di Warren Zevon, James Burton, Duane Eddy, Buddy Emmons e Victor Feldman. Curiosità nella curiosità o “non tutti sanno che”, contiene The Air That I Breathe che l’anno successivo sarebbe diventato un mega successo per gli Hollies in tutto il mondo. Questa di Phil Everly si pensa che fosse la prima versione del brano ma in effetti lo aveva già registrato nel 1972 il suo autore Albert Hammond quello di It Never Rains In Southern California che non era americano ma nativo di Londra e per continuare la serie degli intrecci è il babbo di Albert Hammond Jr. quello degli Strokes. Aggiungo altro? L’ingegnere del suono nella versione di The Air That I Breathe degli Hollies era Alan Parsons. Esagero? Albert Hammond e Mike Hazlewood appaiono anche come co-autori di Creep dei Radiohead in quanto fu riscontrato che il brano aveva più di un punto in contatto con la loro canzone.

Michael Martin Murphey è uno dei re delle Cowboy Songs ma questo Campfire Songs, sottotitolo Live And Alone ce lo propone in concerto e in solitaria alle prese con alcuni classici del suo repertorio. Varrebbe la pena solo perché canta Geronimo’s Cadillac, una delle più belle canzoni degli anni ’70. Etichetta Western Jubilee.

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Un trio di cantanti americani di quelli “giusti”. Kevn (senza la i, mi raccomando) Kinney è uno dei migliori rocker americani nonchè leader dei Drivin’n’Cryin’, e questo A Good Country Mile registrato con i Golden Palominos (che poi sarebbero la sigla che usa il batterista Anton Fier) è uno dei dischi di rock classico più belli che ho sentito in questi primi mesi del 2012 (ma per il download e distribuito sul suo sito e ai concerti circolava già dall’estate scorsa). Con chitarre fumanti, ritmi tirati e belle canzoni, tutti gli ingredienti immancabili per un disco di culto. Dimenticavo, e una bella voce, caratteristica. Prodotto autogestito, quindi auguri, però cercare perchè ne vale la pena, uno dei migliori della sua carriera solista e non.

Anche Tommy Womack è un country-rocker di culto spesso in coppia con Will Kimbrough. Ha registrato una manciata di album, questo Now What! dovrebbe essere il quinto. Non dimenticate che i suoi brani sono stati cantati da Jimmy Buffett, Todd Snider, Jason Ringenberg, Dan Baird, Scott Kempner, tutti spiriti affini. E poi uno che ha anche scritto un libro intitolato Cheese Story: The True Story Of A Rock’n’Roll Band You’ve Never Heard Of è bravo a prescindere. Etichetta Cedar Creek Music. Il video è geniale.

Di Damien Jurado avevo parlato su questo Blog in termini più che lusinghieri del precedente album damien-jurado-saint-bartlett.html, questo nuovo Maraqopa, sempre pubblicato dalla Secretly Canadian ha tutte le carte in regola per ripetere lo stesso successo di culto del precedente. Stesso produttore Richard Swift stesse atmosfere rarefatte e raffinate, se amate i cantautori questo fa per voi.

Direi che anche per oggi di carne al fuoco ne abbiamo messa parecchia. Alla prossima!

Bruno Conti