Ottimo Cantautorato Dai Confini Del Mondo. Graeme James – The Long Way Home

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Graeme James – The Long Way Home – Nettwerk CD

La Nuova Zelanda, oltre che lontana geograficamente, è una terra abbastanza ai margini anche per quanto riguarda la musica, a differenza della vicina Australia che negli anni ha prodotto diversi artisti di qualità. Graeme James è un cantautore che proviene proprio dall’isola a sud-est della terra dei canguri, e ha esordito nel 2016 con News From Nowhere, titolo che ironizzava proprio sulla posizione ai confini del mondo del suo luogo d’origine. Da allora ha pubblicato altri due dischi, entrambi piuttosto difficili da trovare, mentre a Gennaio di quest’anno si è rifatto vivo con The Long Way Home, che non è il suo esordio come molti hanno scritto ma di certo il suo lavoro finora con una distribuzione più diffusa. Graeme è un songwriter classico, con uno stile molto folk, che ha la particolarità di suonare tutti gli strumenti e cantare tutte le parti vocali, oltre ad occuparsi della produzione. Un vero one-man band, anche se il risultato finale non suona per nulla approssimativo o artigianale, ma anzi il disco risulta piacevole e ben costruito, con una serie di canzoni scritte con uno stile diretto e spesso con un buon senso del ritmo, al punto che sembra essere frutto del lavoro di una band di più elementi.

Le undici canzoni di The Long Way Home sono tutte estremamente gradevoli, e fanno venire in mente spazi aperti ed orizzonti a perdita d’occhio, un paesaggio che in Nuova Zelanda non è certo estraneo. Come nell’apertura di Night Train, un brano saltellante e decisamente godibile, guidato da un mandolino che tiene il ritmo, un basso pulsante ed una melodia fresca ed immediata: Graeme ha una bella voce, profonda e molto musicale, e si dimostra da subito un autore preparato ed un valido polistrumentista (c’è anche un ottimo intervento di violino). Anche The Times Are Changing è introdotta dal mandolino, ed è contraddistinta da un motivo più complesso e non prevedibile, ma pur sempre orecchiabile: lo stile è una via di mezzo tra folk e pop, e Jones non è di certo di quei cantautori che fanno dormire. La title track è più pacata, con un mood molto disteso ed un arrangiamento arioso ed avvolgente, pochi strumenti ma neanche una nota fuori posto; il mandolino è lo strumento principale in quasi tutti i brani, ed apre anche la bellissima To Be Found By Love, una vivace folk tune dal deciso sapore irlandese, con uno strepitoso violino ed una melodia coinvolgente.

Western Lakes è una ballatona ancora dal sapore folk, fluida e rilassata, con il nostro che riesce ad emozionare anche con pochi accordi; in Here And Now al consueto mandolino si affianca una chitarra elettrica, per un pezzo sempre dal passo lento ma dall’approccio più rock: c’è qualche vaga somiglianza con gli U2 degli anni ottanta, cioè quelli buoni. Per contro Reverie è la più acustica finora, un delicato bozzetto per voce, chitarra, mandolino ed uno struggente violoncello; Always è uno slow pianistico (con il piano suonato da Jonathan Crehan, unico musicista esterno del disco), e si impone da subito come una delle canzoni più profonde ed intense del CD. Con The Difference si torna su territori decisamente folk-rock, un brano terso e cadenzato che piace al primo ascolto, Way Up High prosegue sulla medesima falsariga, ma con un feeling ancora più folk (una via di mezzo tra i Lumineers e gli Of Monsters And Men), mentre By & By chiude l’album con una vivace e pura canzone dal sapore tradizionale, incisa in maniera volutamente low-fi (su un registratore portatile).

Un singolo artista è poco per parlare di una scena musicale neozelandese, ma di certo Graeme James non è un songwriter da bypassare senza prima averlo ascoltato.

Marco Verdi

La Musica E’ Buona, Un Po’ Di Contenuti In Più Non Guasterebbero! Bears With Guns – Bears With Guns

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Bears With Guns – Bears With Guns – Highway 125 CD/EP

Negli anni sessanta era pratica comune per le band, accanto a 45 giri e LP, pubblicare ogni tanto degli EP, cioè una sorta di maxi-singolo (o mini album), che solitamente conteneva non meno di quattro brani e non più di sei. Con gli anni questo supporto si è praticamente estinto, ma in periodi più recenti qualche gruppo (o solista) lo ha rivitalizzato, anche se sotto forma di mini CD; non avevo però mai visto una band pubblicare solo EP, almeno fino a quando non ho avuto per le mani questo dischetto omonimo dei Bears With Guns, un quintetto australiano dei dintorni di Sydney, che ho scoperto essere già al terzo EP della loro breve carriera (dopo Taken For A Fool e Only The Quick And The Hungry) https://www.youtube.com/watch?v=PoOS6LOHRBk , durante la quale non hanno ancora pubblicano alcun full-lenght. Scelta alquanto bizzarra dunque, come se i nostri volessero condividere con i fans le loro canzoni in maniera quasi istantanea, senza dover per forza aspettare di avere le canzoni per un CD intero: la cosa che però conta di più è che Bears With Guns è un bel dischetto, molto piacevole e diretto e, data la sua esigua durata (23 minuti, sei canzoni in tutto), non fa in tempo ad annoiare.

I BWG sono formati da Robert Saunders (leader e principale autore), Drew Farrant-Jayet, Ryan Unger, Lachlan Russell ed Angus Taylor, e la loro musica è una fusione decisamente piacevole di folk, rock e pop, con una strumentazione molto classica, nell’ambito della quale si intrecciano strumenti acustici ed elettrici, un buon senso del ritmo ed una serie di melodie immediate, fresche e piacevoli. I ragazzi partono sempre da una base folk, per costruire le loro canzoni in maniera diretta e creativa, ed usando anche le voci di conseguenza, sulla falsariga di gruppi come Of Monsters And Men e Lumineers: dulcis in fundo, il suono è professionale e curato, essendo il mini album passato per le mani di due produttori esperti come Wayne Connolly (The Vines, Boy And Bear) ed Al Clay (Pixies, Blur, Pink…non spaventatevi, qui non siamo da quelle parti).

Il CD si apre con quello che è anche il primo singolo, ovvero Let Go: un delicato arpeggio di chitarra acustica introduce il brano, poi entra la voce, dopodiché arrivano una ritmica vivace ed un bel pianoforte, il tutto per una canzone molto piacevole che si sviluppa fluida e fruibile. The Deep End è più elettrica ed il ritmo è ancora più sostenuto, ma c’è sempre questo modo un po’ etereo e leggero di porgere il brano, e la canzone stessa cresce man mano che si sviluppa; con Taken For A Fool (ripresa dal primo EP, quindi sono pure poco prolifici i ragazzi) torniamo in territori folk-pop, una bella chitarra, voci leggiadre ed una melodia gradevolissima, mentre Wandering Soldier è più strutturata, con la sua alternanza di sonorità acustiche ed elettriche (e la parte elettrica è la più rock del CD), unita a soluzioni ritmiche mai banali, il tutto senza mai perdere il filo conduttore: un brano molto creativo (ci sono anche dei fiati) che ricorda lo stile vulcanico di Edward Sharpe And The Magnetic Zeros. Il dischetto purtroppo si chiude quando  si cominciava a prenderci gusto, con Etheric Thief, fluida rock song con grande uso di piano ed un refrain corale di buon impatto, e con una cover di Backstreet Girl, un pezzo poco noto dei Rolling Stones (era su Between The Buttons), proposto in una rilettura tra il pop ed il bucolico di grande piacevolezza, e che ha il merito di farmi riscoprire una canzone che avevo un po’ dimenticato.

Hanno dei numeri questi Orsi Armati, anche se adesso però sarebbe tempo di pubblicare un vero CD.

Marco Verdi

Se La Sono Presa Comoda, Ma Sono Decisamente Migliorati! The Lumineers – Cleopatra

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The Lumineers – Cleopatra – Dualtone CD USA – Decca/Universal Europa

Uno dei singoli più gettonati del 2012 è stato sicuramente Ho Hey, un brano folk-rock dal ritornello molto orecchiabile ad opera di un terzetto originario di Denver, The Lumineers, un successo che ha trascinato nelle classifiche di vendita anche il loro album omonimo di debutto, un buon disco che però dava la sensazione di essere inferiore a prodotti di altre band che si rivolgevano allo stesso bacino d’utenza, come Mumford & Sons, Low Anthem e Decemberists. Ora si rifanno vivi a ben quattro anni di distanza dall’esordio, un tempo molto lungo per una nuova band, ma devo dire che Cleopatra (da non confondersi con la famigerata etichetta californiana tanto amata da Bruno) è di gran lunga superiore al disco precedente: il loro percorso è quasi l’inverso degli Of Monsters And Men (altra band che si può equiparare ai nostri come stile), in quanto gli islandesi hanno esordito nel 2011 con un ottimo album (My Head Is An Animal) che conteneva un singolo, Little Talks, diventato poi un tormentone mondiale, mentre il loro secondo lavoro Beneath The Skin dell’anno scorso non era male ma non altrettanto esplosivo; al contrario, Cleopatra forse non conterrà una canzone spacca classifiche come Ho Hey ma si rivela un lavoro più unitario e riuscito (e le vendite danno ragione ai ragazzi di Denver, in quanto il disco sta già facendo molto bene ed è andato in testa sia in America che in Inghilterra).

Il trio è sempre composto da Wesley Schultz alla voce e chitarra, Jeremiah Fraites alla batteria e piano e Neyla Pekarek al basso e violoncello, ed in questo album si fanno aiutare da pochi ma selezionati amici, a partire da Simone Felice dei Felice Brothers,, che si occupa anche della produzione (*NDB. E anche dei The Duke And The King, tre splendidi dischi, che fine hanno fatto?), ed inoltre Byron Isaacs, Lauren Jacobson e David Baron: il suono non è cambiato molto dal loro esordio, i brani hanno sempre un forte impianto folk-rock con un retrogusto pop, con influenze che vanno da Bob Dylan (soprattutto) a Tom Petty, passando per Leonard Cohen e Bruce Springsteen (questi ultimi due non li ritrovo molto, ma mi inchino in quanto sono gli stessi membri del gruppo a citarli, anche se poi aggiungono anche Guns’n’Roses, Cars e Talking Heads…), canzoni elettroacustiche ma con la sezione ritmica sempre in grande evidenza, voci spesso cariche di eco e melodie dirette ed immediate. Il suono c’è, dunque, e se aggiungiamo che la qualità media delle canzoni è nettamente migliorata si può dire che Cleopatra contribuisce a mettere i Lumineers sullo stesso piano dei gruppi che ho citato all’inizio (anzi, mi sa che i Mumford & Sons ce li siamo giocati, *NDB 2. A giugno è in uscita un EP Johannesburg, con musicisti sudafricani, dove hanno cambiato ancora genere https://www.youtube.com/watch?v=eCIHPdx1OAs!); undici brani, ma quindici nella versione deluxe (che non ho. *NDB 3. E’ quella in MP3, per il download, che entrambi non amiamo molto) e quattordici in un’altra edizione in esclusiva per la catena americana Target, ma con tre canzoni che non sono le stesse della deluxe “normale” (adoro queste cose: ma non potevano fare una edizione sola, dato che quella regolare dura solo 33 minuti?).

Sleep On The Floor inizia con un drumming secco, un riff di chitarra elettrica e la voce di Schultz che canta un motivo suggestivo ma attendista nel primo minuto e mezzo, poi la ritmica sale ed il pezzo si trasforma in una rock song con tutti i crismi, potente e profondamente evocativa: un avvio migliore non poteva esserci. Ophelia (è il primo singolo, ma non è la stessa di The Band) ha un inizio sospeso, con piano, percussioni e voce, poi prende vivacità, la ritmica si fa saltellante ed arriva il classico ritornello orecchiabile, anche se è il pianoforte a mantenere il ruolo di protagonista: non è immediata come Ho Hey (anche se lo stile non è lontanissimo), ma cresce alla distanza. Cleopatra è un folk-rock elettrico dalla splendida melodia dylaniana, un mood trascinante ad ancora gran lavoro di piano, un brano di grande valore; Gun Song, ancora con Dylan in mente, è più acustica anche se la ritmica è sempre molto sostenuta, una costante nel suono del trio, mentre Angela (è il terzo brano su cinque con un nome di donna come titolo) è più tranquilla, inizia solo voce e chitarra (ma l’eco sulla voce non manca mai), poi entra il resto ed il pezzo cresce in pathos, grazie anche ad uno splendido break strumentale dove è ancora il piano a dettare legge. In The Light è una tenue ballata dalla melodia vincente e dall’arrangiamento semplice ma di grande impatto, con un finale maestoso che la catapulta tra le migliori del CD; ancora Dylan, quello dei primi anni, ad ispirare la limpida Long Way From Home, altro brano di notevole potenza emotiva, mentre Sick In The Head è l’unico pezzo un gradino sotto, a causa di uno sviluppo melodico un po’ incartato su sé stesso. L’album però si chiude molto bene con My Eyes, sempre a metà tra folk e rock, di grande forza nonostante il tempo lento, e con Patience, un breve ma suggestivo strumentale per piano solo.

Hanno avuto bisogno di tempo i Lumineers per dare un seguito al loro esordio, ma con Cleopatra hanno decisamente centrato il bersaglio e dimostrato di essere non solo un gruppo con un singolo fortunato al loro attivo, ma una vera band con un suo stile ed una spiccata personalità.

Marco Verdi

Una “ Piccola Gemma” Indie-Folk ! Ballroom Thieves – A Wolf In The Doorway

ballroom thieves a wolf in the doorway

Ballroom Thieves – A Wolf In The Doorway – Blue Corn Music

Sotto l’impulso dei (primi) Mumford & Sons si sono formate valide formazioni musicali come i Lumineers, un trio di Denver, gli islandesi Of Monsters And Men, e  i sorprendenti Bear’s Den (trovati occasionalmente girando un po’ in rete), come è capitato anche per questi Ballroom Thieves (dal nome bello e furfantesco, Ladri Delle Sale Da Ballo), un trio di musicisti provenienti da Boston, composto da Martin Earley alle chitarre, Devin Mauch alle percussioni, e la graziosa Calin Peters al cello. Dopo due EP sfornati (e accolti favorevolmente dalla stampa specializzata) Devil & The Deep (12) e l’omonimo The Ballroom Thieves (13), vengono messi sotto contratto dalla label indie Blue Corn,  e riescono a farsi conoscere a livello nazionale con questo A Wolf In The Doorway. Li aiutano in questo progetto musicisti di area “bostoniana” tra i quali Ariel Bernstein al piano, Dan Cardinal e Kirsten Lamb al basso, Bret Dale e George Woods alle chitarre elettriche, Abigate Reisman al violino, Mike Irvin alla tromba, e il bravissimo polistrumentista Charlie Rose, per una serie di canzoni folk profonde e suggestive, eseguite con perfette armonie vocali.

Si sale sulla pista da ballo con la tambureggiante Archers, una canzone perfetta per aprire le danze (e muovere i piedini), seguita dal vibrante violoncello che accompagna Lantern, mentre Bullett è un brano tipicamente irlandese, che inizia lentamente e poi si trasforma in una “giga”tutta da ballare. Con Saint Monica arriva la prima splendida ballata del disco, cantata da Devin con sentimento ed emozione, sulle note struggenti di un violino https://www.youtube.com/watch?v=Hhr-8qkNfWo , per poi passare alle atmosfere semi-acustiche di Wild Woman, al blues-folk di una Oars To The Sea con il suono di una bella chitarra “slide”, e tornare alle romantiche note di Bury Me Smiling, cantata con trasporto dalla brava Calin https://www.youtube.com/watch?v=WcrMjYrj2oM , e ricordare i migliori Mumford & Sons con una meravigliosa The Loneliness Waltz. Here. I Stand fa scoprire la parte più rock del gruppo, mentre un delizioso giro armonico accompagna la voce della Peters nella rilassante Anchors, a cui fanno seguito le note acustiche e melodiche di una sussurrata Oak,  infine si spengono le luci in sala sulle note struggenti di un violoncello per una intrigante Wolf, sostenuta da banjo, tromba e clarinetto, brano in cui i Ballroom Thieves ci portano verso il Sud dell’America.

In questi ultimi anni i ladri” si sono trovati ad aprire i concerti di gruppi affermati come i Railroad Earth, e di band abbastanza simili a loro quali Lone Bellow e Houndmouth, proponendo un suono molto distintivo che si basa primariamente sulle radici della musica popolare americana. A Wolf In The Doorway non sarà certamente il “disco dell’anno” (e neppure del mese), ma personalmente faccio fatica a trovare alcun difetto a questo lavoro, in quanto il suono è di prima qualità, le voci sono belle e armoniose, e le canzoni si fanno ascoltare piacevolmente. Consigliato a chi ama il genere, e in modo particolare a tutti quelli che sono rimasti delusi dai Mumford & Sons di Wilder Mind. Da tenere d’occhio !

Tino Montanari

Anticipazioni A Breve E Lunga Gittata Estate 2015, Parte I. Willie Nelson & Merle Haggard, Dawes, Sonny Landreth, Amos Lee, Barenaked Ladies, Of Monsters And Men, Bill Wyman, Neil Young

willie nelson merle haggard django and jimmie

Come al solito prima dell’inizio dell’estate (che ufficialmente parte dal 21 giugno, ma già da inizio mese, di solito, porta i suoi benefici effetti) facciamo un giretto su alcune delle prossime uscite che ci delizieranno in questa stagione. Dei due titoli dei Rolling Stones, di Richard Thompson, dei Dawes, che sono nella lista del titolo del Post, ma qui non appaiono, già detto, e ancora di Rickie Lee Jones, Pete Townshend il Quadrophenia orchestrale, Indigo Girls, slittate, almeno in Europa, a metà giugno, e qualcos’altro che al momento mi sfugge,  ci siamo già occupati, per cui, in queste due puntate andremo scegliendo tra alcune delle proposte discografiche più interessanti. Oltre al nuovo Dawes, prodotto da David Rawlings, ad inizio della settimana prossima è in uscita un nuovo, ennesimo, album di Willie Nelson, questa volta in coppia con Merle Haggard. Il CD, intitolato Django And Jimmie, esce per la Sony Legacy, è prodotto da Buddy Cannon, e come riporta il titolo è un omaggio a Django Reinhardt e Jimmie Rodgers, anche se perlopiù si tratta di brani nuovi, scritti per l’occasione, molti dalla coppia Willie & Merle, ma anche dallo stesso Buddy Cannon, dalla figlia Marla, da Jamey Johnson e da altri (c’è anche una cover di Don’t Think Twice, It’s Allright di tale Bob Dylan), un brano che si chiama Missing Ol’ Johnny Cash, dove oltre ai due appare come ospite anche Bobby Bare; 14 canzoni in totale, per due leggende della country music https://www.youtube.com/watch?v=PRv7BVEsk0w

sonny landreth bound by the blues

Nuovo disco anche per Sonny Landreth Bound By Blues, il primo per la nuova etichetta Mascot/Provogue che sta sempre più raccogliendo nei suoi ranghi molti deii migliori chitarristi elettrici di rock-blues attualmente in circolazione (dopo Joe Bonamassa, Robben Ford, Walter Trout, Kenny Wayne Shepherd, Johnny Lang, Robert Cray, i Gov’t Mule di Warren Haynes, Neal Schon, Eric Johnson, Matt Schofield, eccetera) arriva anche il maestro della slide guitar, Landreth: come si intuisce dal titolo è un ritorno alle sue radici blues e contiene covers di Walkin’ Blues https://www.youtube.com/watch?v=Iij0C8bRASA , Dust My Broom (suonata in stile Zydeco), Key To The Highway, ma anche canzoni originali come lo strumentale Firebird Blues, scritta come tributo a Johnny Winter o Bound By The Blues, che cita nel testo Jimi Hendrix, Muddy Waters e Buffy Sainte-Marie, nonchè questa Where They Will https://www.youtube.com/watch?v=hvTTB8npBDY e The High Side https://www.youtube.com/watch?v=jk6Cx1ikMgw Promette bene, almeno ai primi ascolti.

barenaked ladies silverball

Sempre il 2 giugno, per la Vanguard, gruppo Universal, esce Silverball, il nuovo album dei Barenaked Ladies, band canadese in circolazione dai primi anni ’90, questo è il loro 14° disco di studio e anche se dalla popolarità che hanno dalle nostre parti, leggi Italia, non si direbbe, hanno venduto qualcosa come (esatto!) 14 milioni di copie di dischi. Sentito velocemente in streaming l’album non mi sembra male, questa è la title-track https://www.youtube.com/watch?v=hvTTB8npBDY e questa una piacevole Matter Of Time https://www.youtube.com/watch?v=vTGeB1LbtuI. Niente da strapparsi le vesti, ma del buon pop-rock alternative.

amos lee live at red rocks

Saltando di palo in frasca, il 16 giugno un nuovo album per Amos Lee, cantautore americano che al sottoscritto piace moltissimo. Si tratta di un album dal vivo, registrato nell’agosto del 2014 nella famosa location di Red Rocks, che a giudicare dai dischi e DVD in uscita ultimamente è gettonatissima, probabilmente devono fare la fila per registrare lì. Titolo Live At Red Rocks With The The Colorado Symphony, quindi con orchestra sinfonica di supporto, etichetta ATO, questi i titoli:

1. Windows Are Rolled Down
2. Jesus
3. Keep It Loose, Keep it Tight
4. El Camino
5. Violin https://www.youtube.com/watch?v=uFSDBuqMKB4
6. Colors
7. Tricksters, Hucksters, and Scamps
8. Flower
9. Won’t Let Me Go
10. Sweet Pea
11. Street Corner Preacher
12. Game of Thrones Theme
13. Black River
14. Arms of a Woman

Per il momento è solo in CD, però a giudicare da questo estratto video il tutto dovrebbe essere stato filmato.

of monsters and men beneth the skin

Il 9 giugno tornano anche gli islandesi Of Monsters And Men, che dopo la parziale delusione dell’ultimo Mumford And Sons (non ne ho parlato nel Blog, ma non escludo un ripensamento per esprimere il mio parere) rimangono tra gli alfieri di quel tipo di sound, anche se già la band di Nanna Bryndís Hilmarsdóttir aveva un suono più complesso ed elettrico in My Head Is An Animal. Etichetta, come per il precedente, Republic del gruppo Universal, non può mancare l’edizione Deluxe (ovvero come spillare soldi agli acquirenti con un disco sempre singolo, che costa un tot di più, per due brani extra e due remix) anche per Beneath The Skin; il produttore è Rich Costey, noto per il suo lavoro con i Muse, quindi ci dobbiamo aspettare un suono, per usare un eufemismo, molto più “lavorato”? A occhio (e anche a orecchio) parrebbe di sì, anche se non mi sembra poi male e tanto diverso dal disco precedente https://www.youtube.com/watch?v=tlCkafSYNJI e https://www.youtube.com/watch?v=_-PgPZ3F9P4

Le chitarre acustiche non sono sparite del tutto, almeno per loro, vedremo, anzi sentiremo!

bill wyman solo boxbill wyman back to basics

Doppia uscita per Bill Wyman. Il 16 giugno verra pubblicato dalla Edsel un cofanetto quintuplo, White Lightnin’ The Solo Box, che raccoglie i suoi dischi solisti (quindi niente album con i Rhythm Kings). Ecco il contenuto, ricco di bonus tracks, ben 24, di cui quattro inedite, un album Stuff, uscito solo in Giappone nel 1992 e un DVD con moltissime chicche e rarità. Il tutto ad un prezzo interessante, facendo la tara per la super Sterlina:

DISC ONE

MONKEY GRIP

  • 1. I Wanna Get Me A Gun
  • 2. Crazy Woman
  • 3. Pussy
  • 4. Mighty Fine Time
  • 5. Monkey Grip Glue
  • 6. What A Blow
  • 7. White Lightnin’
  • 8. I’ll Pull You Thro’
  • 9. It’s A Wonder

BONUS TRACKS

  • 10. Wine And Wimmen [early version]
  • 11. It’s Just A Matter Of Time
  • 12. If You Got The Feelin’
  • 13. Five Card Stud
  • 14. Monkey Grip Glue [single edit]
  • 15. What A Blow [single edit]
  • 16. White Lightnin’ [single mix]
  • 17. Pussy [single mix]

DISC TWO

STONE ALONE

  • 1. A Quarter To Three
  • 2. Gimme Just
  • One Chance
  • 3. Soul Satisfying
  • 4. Apache Woman
  • 5. Every Sixty Seconds
  • 6. Get It On
  • 7. Feet
  • 8. Peanut Butter Time
  • 9. Wine And Wimmen
  • 10. If You Wanna Be Happy
  • 11. What’s The Point
  • 12. No More Foolin’

BONUS TRACKS

  • 13. High Flying Bird
  • 14. Back To School Again
  • 15. Can’t Put Your Picture Down
  • 16. Love Is Such A Wonderful Thing
  • 17. A Quarter To Three [single mix]
  • 18. Apache Woman [single mix]

DISC THREE

BILL WYMAN

  • 1. Ride On Baby
  • 2. A New Fashion
  • 3. Nuclear Reactions
  • 4. Visions
  • 5. Jump Up
  • 6. Come Back Suzanne
  • 7. Rio De Janeiro
  • 8. Girls
  • 9. Seventeen
  • 10. (Si, Si) Je Suis Un Rock Star

BONUS TRACKS

  • 11. Rio De Janeiro [single edit]
  • 12. Come Back Suzanne [single edit]
  • 13. Visions [single edit]
  • 14. (Si, Si) Je Suis Un Rock Star [single edit]
  • 15. Come Back Suzanne [demo]
  • 16. (Si Si) Je Suis Un Rock Star [demo]

DISC FOUR

STUFF

  • 1. If I Was A Doo Doo Doo
  • 2. Like A Knife
  • 3. Stuff
  • (Can’t Get Enough)
  • 4. Leave Your Hat On
  • 5. This Strange Effect
  • 6. Mama Rap
  • 7. She Danced
  • 8. Fear Of Flying
  • 9. Affected By The Towns
  • 10. Blue Murder (lies)

BONUS TRACKS

  • 11. Like a Knife [12” single mix]
  • 12. Stuff (Can’t Get Enough) [12” single mix]
  • 13. She Danced [12” mix]
  • 14. Stuff (Can’t Get Enough) [alternate 12” mix]

DVD

FEATURE INTERVIEW

Bill Wyman talks to David Hepworth about the making of the albums

PROMO VIDEOS

  • 1. I Wanna Get Me A Gun
  • 2. Monkey Grip Glue
  • 3. What A Blow
  • 4. (Si, Si) Je Suis Un Rock Star
  • 5. A New Fashion
  • 6. Come Back Suzanne
  • 7. Stuff (Can’t Get Enough)

BBC TV CLIPS

  • 1. Old Grey Whistle Test (featuring White Lightnin’ promo video)
  • 2. Parkinson
  • 3. Kenny Everett Television Show
  • 4. Bonus clips from Newsnight

Il 23 giugno, la settimana dopo quindi, la Proper pubblicherà questo Back To Basics, un album solista che dicono si ispiri alle sue influenze musicali (Tom Waits, Leonard Cohen, JJ Cale, non sapevo, avrei detto più blues, R&B e R&R). Co-prodotto da Andy Wright (che ha lavorato con Jeff Beck, Eurythmics, Simply Red, quindi un bel mah) e con la partecipazione di Terry Taylor, Guy Fletcher (Mark Knopfler), Graham Broad e Robbie McIntosh. Cosa dobbiamo aspettarci? Boh, a parte i Rhythm Kings non ho mai seguito la carriera dell’ex bassista degli Stones e cito i due album in questo spazio, proprio per i seguaci della band. Erano 33 anni che non faceva dischi da solista (titolo giapponese escluso) e non so dirvi se ne sentivamo la mancanza. Questo è un piccolo assaggio…

neil young monsanto years

A proposito di assaggi, circa un mese fa vi avevo anticipato l’uscita di un nuovo album di Neil Young The Monsanto Years. Ora è stata confermata la data di pubblicazione, il 30 giugno, l’etichetta, la Reprise e il fatto che sarà accompagnato dalla band Promise Of The Real, ovvero i figli di Willie Nelson (per chiudere il cerchio con la prima uscita segnalata nel Post): i formati saranno CD+DVD (temo solo audio), vinile Deluxe e download dalla piattaforma Pono Music del vecchio Neil. Questa la tracklist annunciata (sono gli stessi pezzi nel CD e nel DVD, ma in una diversa sequenza, mistero):

01. A New Day For Love
02. Wolf Moon
03. People Want To Hear About Love
04. Big Box
05. A Rock Star Bucks A Coffee Shop
06. Workin’ Man
07. Rules Of Change
08. Monsanto Years
09. If I Don’t Know

The Monsanto Years DVD Tracklist:
01. Big Box
02. A Rock Star Bucks A Coffee Shop
03. Rules Of Change
04. Workin’ Man
05. Monsanto Years
06. A New Day For Love
07. Wolf Moon
08. People Want To Hear About Love
09. If I Don’t Know

C’è già il video nuovo, sempre più incazzoso nel testo, e non sembra per niente male, quindi attendiamo fiduciosi.

Domani il seguito delle uscite future, un paio di luglio e agosto, molto interessanti.

Bruno Conti

Bravi Ma Basta. Of Men And Monsters – My Head Is An Animal

of monsters and men.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Of Monsters And Men – My Head Is An Animal – Universal Republic

Quindi, prendendo spunto dal titolo di una importante “opera” di Lino E I Mistoterital (ma esiste ancora? Il tessuto, non il gruppo!) eccoci a parlare di questa confraternita islandese di “figli di…” e una “figlia di…”(ma ce n’è una anche nella sezione fiati) dove tutti hanno un cognome con un suffisso che finisce per sson e dottir ma non hanno praticamente nulla in comune,almeno a livello musicale, con i connazionali Sugarcubes e Sigur Ros, le altre glorie nazionali.

Tutto comincia nel 2010 quando il gruppo vince il “Musiktilraunir”, ovvero la Battle of The Bands dei gruppi esordienti che procura loro un contratto a livello locale. Nell’estate del 2011 esce in Islanda questo My Head Is An Animal, titolo estrapolato dal brano Dirty Paws che apre l’album. Nella loro isola è subito un successo che attira l’attenzione soprattutto della stampa specializzata americana, Paste e USA Today li inseriscono nei nomi da tenere d’occhio per il 2012 e a marzo di quest’anno sono ospiti al South By Southwest di Austin e iniziano ad avere una buona base di fans soprattutto a Seattle e Filadelfia che poi si sparge in tutti gli States tanto che l’album, pubblicato là il 3 aprile, schizza subito al 6° posto della classifica di Billboard (ma sono già scesi dopo l’exploit iniziale).

Sarà vera gloria? Forse non è un caso che alla manifestazione texana, negli anni precedenti, avevano avuto successo due gruppi come i Mumford and Sons e The Head and The Heart con la musica dei quali questi Of Monsters And Men hanno più di un punto di comune, e si sono fatti anche i nomi dei Decemberists, Arcade Fire, Great Lake Swimmers, Death Cab For Cutie, band che fanno parte tutte di questo fenomeno definito del “neo-folk-rock”. Tutto vero, la loro musica si può avvicinare al sound di queste band, con brani dall’andatura quasi di marcette epiche con dei ritornelli pop in crescendo nella parte centrale del brano e l’utilizzo anche di fisarmonica e fiati a fianco delle classiche chitarre, acustiche ed elettriche, in gran copia, tastiere quanto basta ed una sezione ritmica discreta di stampo folk che è in grado di propellere improvvisamente le canzoni verso euforiche accelerazioni. Sul tutto galleggiano le voci dei due leader (spesso usate all’unisono), quella femminile, vispa ed espressiva, di Nanna Bryndis Hilmarsdottir e quella più piana di Ragnar Porhallsson che sono i punti di forza del gruppo.

Il disco pubblicato dalla Universal differisce leggermente dall’edizione che era uscita per il mercato islandese: è stato aggiunto un brano, From Finner e, in alcuni altri, dietro alla consolle siede Jacquire King, già responsabile del successo di Kings Of Leon, Punch Brothers, Norah Jones, anche Tom Waits e molti altri, quindi perfettamente in grado di maneggiare gli stili più disparati per un suono più professionale. Sin dall’apertura della citata Dirty Paws il copione dei brani è più o meno quello (e forse è l’unico limite, se ce n’è uno, della loro musica), attacco di chitarre acustiche arpeggiate sul quale entrano la voce (o le voci), poi si unisce, spesso in crescendo la band, à la Arcade Fire o Mumford and Sons, cori di gruppo inframmezzati da oh-ah-eh euforici e che catturano l’ascoltatore e brevi pause inserite ad arte prima che il sound d’insieme del gruppo si riappropri del tema musicale del brano.

In King and Lionheart la voce è quella di Nanna, con qualche deriva tonale non dissimile da una Bjork meno “schizzata”, e una pronuncia inglese piuttosto chiara che nel Lionheart ripetuto ad libitum (e nel primo ascolto non avevo capito cosa diceva per via di quello “strano” inglese che usano gli islandesi) si avvicina ai temi sonori cari alla musica folk britannica. Mountain Sound è un’altra marcettina cantata a voci alternate dai due leaders e per certi versi mi ricorda quei brani pop primi anni ’80, ma di quello nobile di Housemartins o Smiths con qualche tocco “celtico” come i primi Big Country. Slow And Steady, come da titolo, rallenta i tempi ma non la loro capacità di fondere tematiche pop, anche gli U2 o i Simple Minds di Street Fighting Years vengono alla mente, temperati dalla voce evocativa della Hilmarsdottir, mentre gli arrangiamenti corali delle voci non mancano di avvincere l’ascoltatore. From Finner potrebbe ricordare i Cranberries di Dolores O’Riordan, quelli più tenui a tinte pastello degli esordi (ed infatti è stato citato come altro punto di riferimento), la fisarmonica è lo strumento guida di questo brano. 

Little Talks, con i suoi fiati euforici e un ritornello irresistibile, è il singolo trainante di questo album, che sta uscendo a pelle di leopardo in questa operazione di conquista del mercato globale: in Italia, Regno Unito e nel resto d’Europa verrà pubblicato a metà maggio (con l’eccezione di Olanda, Svizzera e Germania dove è già uscito con un discreto successo). Alcuni brani hanno un notevole appeal radiofonico quindi non è da escludere che il disco possa diventare un long seller come è stato l’esordio dei Mumford che è tutt’ora nelle classifiche americane. Non tutti i brani sono memorabilizzabili: la seconda parte dell’album è meno fresca e frizzante, Six Weeks cantata dal solo Porhallsson non mi sembra memorabile (se mi passate il gioco di parole) e si risolleva nel finale quando entra la voce di Nanna. Viceversa Love Love Love con le sue atmosfere folk (qualcuno ha detto John Barleycorn?), sognanti e fiabesche, per una volta resiste al tentativo continuo dell’accelerazione sonora a tutti i costi. Your Bones si riallaccia ai brani epici della prima ondata del folk britannico già ripercorse da gruppi come i Decemberists con in più il tocco sonoro delle trombe e dei fiati in genere mutuati dagli Arcade Fire in una riuscita miscela. Sloom, di nuovo cantata dalle due voci soliste alternate parte quieta ed acustica fino al consueto finale più gioioso che li riavvicina nuovamente al suono dei Mumford and Sons.

Pur confermando un piccolo cedimento qualitativo nella seconda parte del CD anche nel finale si può ascoltare una vibrante Lakehouse, di nuovo in area Cranberries e la dolce Yellow Light con una lunga coda strumentale. Tanti i nomi di riferimento ma anche buona musica, vedremo se resisterà alla distanza e agli ascolti ripetuti. Bravi, ma basterà?

Bruno Conti 

Novità Di Aprile Parte V. Jon Cleary, Jerry Jeff Walker, Waco Brothers, Josh Abbott Band, Kevin Ayers, Of Monsters and Men,Oli Brown, Kip Moore, Doug Paisley, Eccetera.

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Ultima lista di uscite discografiche per il mese di Aprile (forse), alcune in uscita oggi 24 aprile altre già disponibili.

Partiamo con il “nuovo” gruppo del momento, perché sapete che quasi ogni settimana ce n’è uno: questi Of Monsters And Men di cui è uscito il 3 aprile (ma non in Italia, dove uscirà il 15 maggio) l’album di debutto, questo My Head Is An Animal, sono una band islandese, ebbene sì, ma non c’entrano nulla con Sugarcubes o Sigur Ror, sono sotto contratto per la Universal Republic e lo scorso anno avevano pubblicato un EP. Al momento sono molto popolari in America dove hanno riscosso un significativo successo al South by Southwest ma anche le riviste specializzate inglesi ne hanno parlato bene e pure in Italia qualcosa si muove (lo sto ascoltando in questi giorni e conto di approfondire nei prossimi giorni). Per il momento diciamo che sono una formazione dove le voci di Nanna Bryndis Hilmarsdottir e Ragnar Porhalsson, quindi una femminile e una maschile, ben si amalgamano in uno stile che è stato paragonato a quello di Arcade Fire, Decemberists, Great Lake Swimmers, Death Cab For Cutie, Mumford and Sons, il filone del cosiddetto “nuovo folk-rock”, vogliamo dire retromani, così facciamo contenti i fans di Simon Reynolds (che mi ricorda un po’ il Catalano dei tempi di Arbore, viste le cose ovvie che dice).

Il pianista e sideman Jon Cleary contrariamente a quanto pensano tutti non è di New Orleans ma è originario del Kent in Inghilterra, comunque la musica della Crescent City è il suo pane quotidiano. Questo Occapella, edito la scorsa settimana dalla Fhq Records, lo vede alle prese con il repertorio di Allen Toussaint, con l’aiuto di Dr.John e della sua frequente datrice di lavoro Bonnie Raitt, entrambi presenti in questo CD. Per chi ama il funky-soul-R&B di New Orleans e il piano.

Doug Paisley è un eccellente cantautore canadese autore di due ottimi album tra cui Constant Companion di cui mi sono occupato per il Blog nell’Ottobre 2010, se volete verificare, temp-3507313775689154ecbe16f0fb3900d1.html. Questo Golden Embers è un mini album con 5 brani che conferma quanto di buono si era detto su di lui. Etichetta No Quarter.

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Tre ristampe interessanti.

La Emi inglese prosegue con la sua meritoria serie di cofanetti quintupli a special price dedicati ai nomi di “culto” che hanno fatto parte del proprio catalogo: Kevin Ayers The Harvest Years 1969-1974 raccoglie i cinque album incisi dall’ex Soft Machine per l’etichetta inglese, nelle versioni rimasterizzate e potenziate uscite qualche anno fa. Se non li avevate già acquistati si tratta di alcuni tra i migliori dischi della musica britannica di quel periodo: Joy Of A Toy, Shooting At The Moon (May I è uno dei brani più eleganti degli anni ’70) , Whatevershebringswesing, Bananamour e The Confessions of Dr.Dream che sono sicuro ai tempi (1974) era della Island, ma comunque è un bel disco e ci sta bene in questa antologia.

Dei T.Rex vi avevo già annunciato da mesi l’uscita di questo Electric Warrior, anche in versione SuperDeluxe oltre a quella canonica doppia distribuita dalla Universal. La settimana prossima riescono a special price anche tutti gli altri album della Band.

Jerry Jeff Walker rimarrà perennemente nella memoria degli appassionati per avere scritto Mr. Bojangles ma nel corso degli anni ha pubblicato anche un consistente (direi una quarantina) numero di album: questa ristampa doppia dell’australiana Raven raccoglie Walker’s Collectibles del 1974 e Ridin’ High del 1975, due tra i migliori, con sei tracce bonus + un raro singolo. Eccellente qualità sonora (anche il prezzo, purtroppo) e confezione molto curata come di consueti.

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Oli Brown, come già ricordato nel Post dedicato a Danny Bryant, fa parte di quella ondata di giovani bluesmen (Matt Schofield, Simon McBride, Ainsley Lister ed altri) che allietano le giornate degli appassionati del rock-blues britannico. Brown, poco più che ventenne, è il più giovane,ma con questo Here I Am è già al suo terzo album per la Ruf Records e conferma quanto di buono avevo scritto su di lui per il Buscadero.

Kip Moore è l’ultimo di una serie di cantanti che dai tempi di Springsteen fonde blue-collar rock e country (vogliamo dire Heartland Rock?). Questo Up All Night che esce in questi giorni per la MCA Nashville ne è un ulteriore esempio. Si aggiunge ad una lista di epigoni springsteeniani da Joe Eddie a Joe D’Urso passando per i molto più dotati Michael McDermott e Will T. Massey. Qui c’è più country ma non è malaccio.

Questo titolo non è pubblicato dalla Left Field Media ma il principio è sempre quello: prendere dei broadcast radiofonici classici e renderli disponibili in questi Live semiufficiali. Cowboy Angels di Emmylou Harris è l’ultimo della serie: con la Hot Band alla Boarding House di San Francisco questo è il periodo d’oro di Emmylou. Etichetta All Access, repertorio del primissimo periodo e molte cover, questi i titoli:

1. Cash on the Barrel Head
2. That s All It Took
3. Feelin Single, Seein Double
4. Coat of Many Colors
5. Amarillo
6. Together Again
7. Return of the Grievous Angel
8. Bluebird Wine
9. Tonight the Bottle Let Me Down
10. Boulder to Birmingham
11. Cry One More Time
12. Ooh Las Vegas
13. Shop Around
14. Hickory Wind
15. Jambalaya

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Tre album che girano tra Blues, roots, country-rock, southern e Americana.

The 44’s, nonostante il titolo del CD, Americana, fanno del blues-rock, con Kid Ramos che suona e produce, fondono i vecchi Canned Heat, Roomful Of Blues e Fabulous Thunderbirds, anche qualcosa dei primi Blasters. Etichetta Rip Cat Records, è il secondo album che fanno (ho come l’impressione che mi capiteranno tra le mani per il giornale)!

I Waco Brothers sono il side group di Jon Langford dei Mekons quando vuole fare del country-punk di qualità, incidono per l’etichetta Bloodshot, da cui il titolo Great Chicago Fire e questa volta è della partita anche l’ottimo Paul Burch dei Wpa Ballclub (ma ha suonato anche con Lambchop, Mark Knopfler, Vic Chesnutt, Exene Cervenka).

Cadenza biennale per gli album della Josh Abbott Band: questo Small Town Family Dreams è il terzo disco per il gruppo texano che fonde Red Dirt, Country e southern rock con ottimi risultati. Già il nome dell’etichetta è tutto un programma, Pretty Damn Tough Records.

E’ tutto, alla prossima.

Bruno Conti