Un Bel Dischetto…Ma Chi Gli Ha Tovato Il Nome Al Gruppo? Giant Panda Guerrilla Dub Squad – Country

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Giant Pand Guerrilla Dub Squad – Country – Controlled Sunstance Sounds Labs CD

Internet è stata senza dubbio l’invenzione più importante del secolo scorso, ma a volte va presa un poco con le molle: se per esempio vi svegliate la mattina con un dolorino alla spalla e cercate online che cosa può essere, vi convincerete dopo mezz’ora di avere al massimo un paio di mesi di vita… Questo per dire che, quando ho cercato sul web informazioni sui Giant Panda Guerrilla Dub Squad (un bel nome, non c’è che dire, ma anche la loro etichetta non scherza), band di Rochester, NY, la definizione più spesso associata a loro era psychedelic reggae.

Ora, io tollero la psichedelia (in alcuni casi la apprezzo anche, ma diciamo che non ucciderei per essa), ma il reggae non lo…reggo (il gioco di parole è involontario): ho sempre avuto grande rispetto per la figura di Bob Marley (ed anche per Jimmy Cliff), ma le probabilità di trovare un disco reggae nella mia collezione (ed io ascolto da Van Morrison ai Whitesnake) sono pari a quelle di vedermi trascorrere le vacanze estive in Afghanistan. Quindi, fedele al verbo del web, comprenderete la circospezione con cui mi sono avvicinato a questo album dei Panda (li chiamo così per brevità), il secondo dopo il debutto del 2006 Slow Down (e due live, infatti i ragazzi hanno una intensa attività dal vivo, dove assumono i connotati di una vera jam band): ebbene, dopo solo un paio di brani i miei dubbi si erano dissolti.

Il titolo del disco, Country, poteva suggerirmi qualcosa, ed in effetti qui non c’è traccia né di psichedelia né di reggae: il quintetto (composto da James Searl, Chris O’Brian, Dylan Savage, Aaron Lipp e Dan Keller, non c’è un leader, i brani sono scritti da tutti insieme e tutti cantano) opera infatti uno sconfinamento dal loro suono abituale, per proporci un riuscito album di vera roots music, con molto country e folk nei cromosomi, una buona dose di rock, ma con una decisa predisposizione per la strumentazione acustica.

Ed il disco è una piccola sorpresa (anche se non ho termini di paragone con quello che fanno di solito), una belle serie di canzoni, tutte originali tranne una, che più che verso la musica giamaicana hanno debiti con gente come Gram Parsons, The Band e, soprattutto, i Grateful Dead più bucolici: il country proposto dai Giant Panda è in realtà una serie di brani di stampo quasi tradizionale, molto semplici nella struttura ma anche molto solari e freschi, con poco spazio per la malinconia. Un album quindi frizzante e godibile, che ci mostra ancora una volta il talento e la versatilità di certe bands, che non si pongono limiti e hanno confini molto allargati: un disco che dovrebbe rimanere però un episodio a sé stante, in quanto, proprio in questi giorni (Country è uscito a fine Gennaio) i Panda hanno pubblicato un altro CD questa volta elettrico, intitolato In These Times, nel quale tornano al loro sound collaudato (non male comunque, sei anni di silenzio dal primo disco e poi due album nel giro di tre mesi). Si inizia subito bene con Sunshine: intro per banjo e violino, ritmica spezzata, voci all’unisono e melodia decisamente solare (come da titolo), un avvio decisamente piacevole.

Far Away è puro country, senza contaminazioni di sorta, più che di Bob Marley i nostri sembrano seguaci del Neil Young di Harvest; anche la title track propone ciò che il titolo lascia presagire, cioè un brano elettroacustico di natura bucolica, puro ed incontaminato, con una bella slide che caratterizza la canzone dall’inizio alla fine.Get Me Through ci offre un’altra orgia di strumenti a corda (ai quali si aggiunge un pianoforte) e la solita atmosfera campagnola quasi d’altri tempi: non conosco i Panda quando suonano reggae psichedelico, ma in questa veste mi piacciono assai. Hanno il piglio dei veterani, sembra che non facciano altro che portare in giro questo tipo di suono. Kids In The Square è più contaminata da suoni rock, ma mantiene lo spirito rurale, e qui si notano molto le somiglianze con i Dead più roots (anche il modo di cantare è in debito con quello di Jerry Garcia); la frizzante e solare Healing lascia intravedere qualche influenza reggae, ma più nella melodia che nel ritmo, rimanendo comunque molto godibile.

In These Times (che, come abbiamo visto, è anche la title track del disco in uscita in questi giorni) è un honky-tonk un po’ sghembo, con interventi quasi da jugband, mentre con New Speedway Boogie siamo in pieno territorio Dead (è infatti proprio il brano tratto da Workingman’s Dead): una cover rispettosa, ma piena di freschezza e perfettamente calata nel mood bucolico-solare del disco. L’album (dieci canzoni) si chiude con la folkie e corale Love You More, una delle mie preferite, e con la saltellante All Night Music, ennesimo brano pieno di brio e allegria. Ora non ci resta che scoprire i Giant Panda Guerrilla Dub Squad (alla fine del pezzo è doveroso citare di nuovo il nome completo…) nei loro territori più abituali, sperando comunque che Country non rimanga un episodio isolato.

Marco Verdi

“Dischi Virtuali”! Tommy Bolin & Friends – Great Gypsy Soul

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Tommy Bolin And Friends – Great Gypsy Soul – Samson Records

La moda del duetto virtuale o del “disco virtuale” si può far risalire alla famosa Unforgettable del 1991, il brano in cui la voce di Nat King Cole fu inserita in modo elettronico su una base con voce già registrata dalla figlia Natalie. Poi nel 1995 fu perfezionata per il brano dei Beatles Free As A Bird dove un demo voce e piano di John Lennon venne completato dai “Threetles” per il primo volume della serie Anthology e nel corso degli anni è diventata una sorta di abitudine, da Celine Dion con Sinatra fino ad arrivare a Kenny G che duetta con Armstrong in What A Wonderful World (ho ancora i brividi, ma non di piacere!). In questa ultima decade la pratica è andata scemando ma non dimentichiamo che questo sistema di registrazione è quasi una prassi tra musicisti viventi: lo scambio di nastri e registrazioni nell’era del digitale, quando persone che spesso vivono in diverse città, stati o anche continenti, e per vari motivi non si possono incontrare, è uno dei metodi quasi più comuni utilizzati per gli album di duetti o i Tributi.

In questo caso, essendo Tommy Bolin scomparso nel lontano 1976, è ovvio che questo poteva essere l’unico sistema di registrazione. A dare una patina di autorevolezza al progetto ha provveduto la presenza di Warren Haynes che insieme a Greg Hampton ha curato la produzione di questo Great Gypsy Soul per la Samson Records e ha anche scritto le note del libretto. In effetti anche se si dice che sono brani “incompiuti” sembra perlopiù trattarsi di outtakes, versioni diverse di pezzi già apparsi originariamente in Teaser (tutti meno uno), che la stessa etichetta aveva pubblicato lo scorso anno in edizione Deluxe e, volendo, di Bolin, nel corso degli anni, sono uscite varie raccolte di inediti e rarità a partire dal cofanetto doppio The Ultimate negli anni ’90 poi ampliato a triplo nel 2008 con l’aggiunta della parola Redux e, sempre lo stesso anno, i due volumi di outtakes Whips And Roses. Come saprete la carriera del musicista americano non è stata particolarmente lunga né gloriosa, quando è morto aveva 25 anni, e aveva suonato con gli Zephyr, poi nella James Gang al posto di Joe Walsh e al momento della morte suonava con i Deep Purple e in contemporanea a Come Taste The Band era uscito Teaser. Ma la sua fama, soprattutto tra gli appassionati di chitarra, è legata alla partecipazione a Spectrum di Billy Cobham, dove i furiosi duetti con la batteria del titolare del disco (e con il synth di Jan Hammer) avevano contribuito alla riuscita di quel disco, che ancora oggi è uno dei migliori esempi del cosiddetto jazz-rock.

Anche Teaser era una sorta di Spectrum più blando, con l’aggiunta della voce, tra funky, hard rock, blues, jazz con la partecipazione di musicisti come Jan Hammer, David Foster, Jeff Porcaro, David Sanborn, Narada Michael Walden, Glenn Hughes e molti altri. Questo Great Gypsy Soul, brano dopo brano, alla voce e alla chitarra di Bolin, aggiunge una lista di “ospiti” impressionante: da Peter Frampton nel funky-rock dell’iniziale The Grind cantata dallo stesso Tommy, che detto per inciso non aveva un gran voce ma compensava in abbondanza con la perizia alla chitarra. In Teaser lo sentiamo duettare con l’ottimo Warren Haynes e in Dreamer, uno dei brani più belli del disco, una ballata dove la voce è quella di Myles Kennedy degli Alter Bridge, l’altra chitarra è di Nels Cline dei Wilco, uno “strano” terzetto ma funziona. Per Savannah Woman, tra jazz e latino, vagamente Santaneggiante, il duetto virtuale è con John Scofield mentre per Smooth Fandango uno dei brani migliori che ricorda i ritmi frenetici di Spectrum si aggiunge l’ottimo Derek Trucks. Nella reggata e francamente irritante People People ci sono Gordie Johnson con i canadesi Big Sugar, meglio il rock di Wild Dog anche se c’è l’Aerosmith “sbagliato” Brad Whitford.

Homeward Strut è un funkaccio strumentale molto anni ‘70 con Steve Lukather e le chitarre viaggiano. Sugar Shack con Glenn Hughes e la slide di Sonny Landreth non so da dove arriva (non era su Teaser) ma è un solido blues-rock, Crazed Fandango è l’occasione per pirotecnici scambi strumentali con Steve Morse e il sax di Sanborn. La conclusione è affidata alla lunga e scintillante Lotus con Glenn Hughes che si porta l’amico Joe Bonamassa per duettare con Nels Cline. Ovviamente si tratta di un disco per fans e completisti di Bolin e/o della chitarra nelle sue varie forme, non male e credibile nel risultato finale. Solo per il mercato americano, in esclusiva su Amazon.com ne è uscita una versione doppia Deluxe con quattro lunghe jam dove i vari partecipanti si “accoppiano” strumentalmente tra loro!

Bruno Conti

Cosa Hanno Fatto Durante Le Vacanze Estive? Counting Crows – Underwater Sunshine

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Counting Crows – Underwater Sunshine (Or What We Did On Our Summer Vacation) – Collective Sound/Cooking Vinyl/Edel

Come molti gruppi prima di loro, anche i Counting Crows hanno realizzato il miglior disco ad inizio carriera, con lo splendido August and Everything After, pubblicato sul finire del 1993 per la produzione di T-Bone Burnett. L’album, trainato dal singolo Mr.Jones, vendette moltissimo (per usare un eufemismo, oltre sette milioni di copie nel mondo) e fu giudicato tra i migliori di quell’anno dalla critica. Tra l’altro proprio Mr. Jones, contrariamente a quanto pensano molti, non ha riferimenti con il Signor Jones della Ballad Of A Thin Man di Dylan ma era un omaggio a Marty Jones, il bassista degli Hymalayans, una delle prime bands californiane in cui ha militato Adam Duritz, a sua volta collegata con i Tender Mercies uno dei gruppi “oscuri” (ma amici, e questo spiega tutto) di cui i Counting Crows hanno reinterpretato un brano (no, due) in questo disco di cover.

Perchè, ebbene sì, di disco di cover trattasi: fate la faccia sorpresa, anche se ormai si sa da mesi, e ne hanno parlato tutti in anteprima! Questa volta arrivo per ultimo con la recensione (ma l’anticipazione sull’uscita c’era già a febbraio nel Blog), comunque voglio dire anch’io il mio parere rispetto a quanto  hanno scritto “illustri colleghi” in rete e sulle riviste specializzate. Intanto ho notato che nessuno ha fatto un collegamento tra il sottotitolo dell’album e uno dei brani compresi nel CD. E’ una mia speculazione (non confermata) ma Meet On The Ledge dei Fairport Convention (qui presente peraltro in una splendida versione) non appariva nel secondo album del gruppo inglese che si chiamava, guarda caso, What We Did On Our Holidays? Due indizi dovrebbero fare una prova, potrebbe essere un omaggio alla band di Richard Thompson? Un’altra curiosità rispetto alla scelta dei brani da inserire in questo Underwater Sunshine è l’assenza di una canzone di Van Morrison. Ci siamo forse dimenticati che ad inizio 1993 nell’induzione di Van Morrison alla Rock And Roll Hall Of Fame i Counting Crows (allora degli illustri sconosciuti) furono chiamati all’ultimo momento per sostituire il grandissimo ma incazzoso irlandese ed eseguirono una stupenda versione di Caravan? E che spesso Duritz è stato avvicinato a Morrison per lo stile musicale e vocale? Direi che lo abbiamo dimenticato!

Quindi due Dylan e zero Morrison. No fermi tutti, come due Dylan. E sì perché i brani di Bob presenti sono due: solo che uno, Girl From The North Country, è presente soltanto nella versione di iTunes dell’album. So che in varie interviste avevano detto che per questo disco hanno realizzato la scorsa estate un totale di venti brani, quindici dei quali utilizzati per il CD e gli altri accantonati perché non riusciti nel modo voluto. E invece mentivano e i fruitori del download digitale, come accade spesso ultimamente, si cuccano anche, oltre al brano di Dylan, una versione di Borderline di Madonna, spesso eseguita dal vivo.

A proposito di live, la prima uscita ufficiale della band da “indipendenti” a livello discografico è proprio stata una versione eccellente in concerto del loro disco August And Everything After:Live At Town Hall, mentre l’ultimo per la Geffen era sempre stato un CD dal vivo, Saturday Nights & Sunday Mornings (e anche in questo caso c’era stato un titolo solo per iTunes, Live From So-ho). Sono ragazzi tecnologici.

Tornando ai pareri della critica, tutti sono stati concordi nell’affermare che questo è un signor disco, probabilmente il migliore dai tempi dell’esordio, e in questo caso anch’io mi associo: dall’apertura con la grandiosa rock ballad Untitled (Love Song) dei Romany Rye, altra band amica dalla California, resa in una versione scintillante (e Duritz assicura che sono bravissimi anche in proprio), passando per la stupenda Start Again di Norman Blake dei Teenage Fan Club, uno dei gruppi inglesi che meglio ha saputo fondere il suono tipicamente britannico e pop con il power rock americano in una serie di album molto belli che vi consiglio di (ri)scoprire. Hospital di Coby Brown (da non confondere con il cestista, anche perchè quello si chiama Kobe Bryant) è un altro brano notevole di un artista “minore” ma molto valido e qui potete ascoltare e scaricare l’originale, se volete, http://www.cobybrown.com/.

Mercy dei già citati Tender Mercies è uno dei brani più belli (ma ce ne sono di brutti?), una hard ballad chitarristica (Immergluck, Bryson e Vickrey). Mentre nella versione di Meet on The Ledge il piano di Charlie Gillingham si divide con le chitarre gli onori dell’arrangiamento: il brano di Richard Thompson è già bellissimo di suo ma questo arrangiamento dei Counting Crows è da manuale del rock. Notevole anche la cover di Like Teenage Gravity un brano del poco conosciuto (ma non dagli appassionati del buon rock) Kasey Anderson, bella ballata dalle atmosfere sospese e raffinate che poi si apre in un finale in crescendo, coinvolgente. Amie è un brano firmato da Craig Fuller dei Pure Prairie League, uno dei gruppi di country-rock migliori, a cavallo tra anni ’70 e ’80, con alcuni album notevoli da ascoltare. Bella versione con mandolino e fisarmonica in evidenza. Coming Around è un altro brano di una band inglese spesso sottovalutata dalla critica a causa del loro successo, i Travis di Fran Healy, molto british con un ritornello accattivante.

Un’altra band inglese, ma di ben altro spessore, sono stati i Faces di Rod Stewart, Ron Wood e Ronnie Lane, questi ultimi autori di Ooh La La che era il disco con Petrolini in copertina, solita fusione di rock e atmosfere acustiche come era ai tempi del miglior Rod Stewart, che nei primi anni della sua carriera non sbagliava un disco, da solo o con il gruppo. Poi ci sono i colleghi californiani, i Dawes, che sotto la produzione di Jonathan Wilson hanno sfornato due perle di musica westcoastiana, questa versione di All My Failures dei Counting Crows è meglio dell’originale, intensa, con l’organo in evidenza e con Duritz che ci regala una delle sue migliori intrepretazioni vocali dell’album. Il rappresentante per antonomasia della musica californiana è Gram Parsons e una delle sue canzoni più rappresentative è sicuramente Return Of The Grievous Angel, la sua cosmic american music in questo caso riceve un trattamento sontuoso che ricorda anche gli Stones più country, molto bella.

Ottimo anche l’altro brano dei Tender Mercies, Four White Stallions con una pedal steel in primo piano e la voce di Duritz che in certi momenti mi ha ricordato il Michael Stipe migliore (anche in Mercy), come pure di buona qualità la versione di Jumping Jesus degli sconosciuti (ma sempre amici personali) Sordid Humor, un bel pezzo rock, vibrante, che pur non conoscendo l’originale piace al primo ascolto. Dylan, Byrds e ancora Parsons per un brano come You Ain’t Going Nowhere che si riconosce dalla prima nota e si gusta con piacere assoluto in questa versione con il mandolino di Immergluck, il piano di Gillingham e l’elettrica di Vickrey, di volta in volta, in evidenza. Per finire con The Ballad Of El Goodo dei Big Star, i Teenage Fun Club americani (più o meno), una delle rare collaborazioni di Alex Chilton e Chris Bell, uno dei più sublimi esempi nell’arte della canzone pop perfetta.

Come pure questo disco è un grande esempio nell’arte della “Interpretazione”, con la I maiuscola.

Già indicato tra i migliori dell’anno, almeno da me, sarà retrò come direbbe Simon Reynolds nel suo libro, ma allora i Beatles o Elvis Presley prima di loro, o gli Stones, cosa erano, almeno agli inizi? Degli interpreti di R&R, R&B e Blues, riveduto con classe immensa, per la serie nulla si crea, per il sottoscritto conta solo il talento! E qui ce n’è!

Bruno Conti   

“Potere E Gloria” Di Un Songwriter! Bill Mallonee

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Bill Mallonee – The Power & The Glory Self-released– 2012

A distanza di sette anni dall’ultimo lavoro Friendly Fire (2005) (ma ne ha pubblicati altri 3 di difficile reperibilità, come quest’ultimo), torna Bill Mallonee, ex-leader dei Vigilantes of Love, che sono stati una delle più fertili e ignorate formazioni del circuito roots-rock, attivi dalla fine degli anni ’80 e veri precursori del suono “americana”. Purtroppo il talento di Bill non è mai stato troppo valorizzato, nonostante amicizie importanti (per esempio Peter Buck dei R.E.M.) e alcuni album davvero notevoli per sostanza, qualcuno inciso anche per la prestigiosa Capricorn Records (su tutti per chi scrive Blister Soul  del 1995). Per inquadrare meglio il personaggio di cui stiamo parlando, questo “longevo” songwriter di Athens in Georgia (una carriera che dura da più di 20 anni), è stato inserito dalla prestigiosa rivista musicale Paste, fra i 100 autori viventi più importanti (per gli amanti delle statistiche al 65° posto).

L’amore profondo per la musica di artisti quali Dylan e Neil Young, ha lasciato un segno indelebile nella sua scrittura, che spazia da un folk-rock lirico a energiche ballate che ricordano lo Young appena citato, fino a brani che riportano ai tempi del “college rock” americano dei primi R.E.M.. In questo The Power & The Glory, Bill Mallonee (voce, chitarre e armonica), si affida ad una sezione ritmica collaudata formata da Bert Shoaff al basso e Kevin Heuer alla batteria e percussioni, mentre la novità è rappresentata dalla presenza della graziosa moglie Muriah Rose al piano, organo e voce, che si dimostra ideale contrappunto alle varie tematiche musicali del marito.

Le iniziali Carolina, Carolina e The Shakers & Movers sono puro rock’n’roll con riff di chitarra e feedback, mentre la seguente Just to feel the Heat sembra uscita dai solchi del grande Tom Petty. From the Beats Down to the Buddha è una ballata aperta dall’accompagnamento classico, chitarra, organo e basso, con una melodia memorizzabile, mentre Go To Sleep With the Angels è forse il brano più normale del disco. The Ghost That I Run With è un country rock cadenzato dal refrain orecchiabile, cui segue un’ariosa Stop Breaking’ Down che piacerebbe di sicuro a Willie Nile.

Bring You Around ha una base puramente rock ed un ritornello vincente, mentre Spring in Your Spirit è una ballatona affascinante, dallo script solido come una roccia ed un accompagnamento tenue ma di grande impatto, con la Muriah Rose al controcanto. Grande brano. Si alza il tiro con Keep The Home Fires Burning che sembra suonata dai mai dimenticati Crazy Horse, seguita dalla folkeggiante Ever Born Into This World, inizio attendista, ma poi si sviluppa in un “sound” aperto e ruspante. Chiude il disco la lunga Wide Awake With Orphan Eyes dal ritmo sostenuto e chitarre in spolvero nella parte centrale, un brano generoso con tanto “feeling”.

Bill Mallonee è un autore coi fiocchi (anche per quanto riguarda le liriche), scrive canzoni corpose, classiche, piene di sostanza, suonate in maniera impeccabile e senza sbavature, accompagnate da una voce molto espressiva con influenze talvolta “dylaniane”.  In definitiva una qualità medio alta (sarebbe un peccato non ascoltare queste incisioni), che segna in ogni caso un ritorno positivodopo una lunga pausa di Mr. Mallonee. Bentornato!

Tino Montanari

Canzoni E Album “Pasquali”

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E ancora una volta come tutti gli anni è tornata Pasqua, quindi Auguri. Essendomi giocato lo scorso anno il Jolly dell’album pasquale per antonomasia, Easter di Patti Smith sono andato a frugare nei miei archivi e devo dire che non esiste molto sull’argomento, dischi o canzoni, molti prodotti per l’nfanzia ma non per “bambini” cresciuti appassionati di musica, ma qualcosa ho trovato.

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Per “pasquali” psichedelici ci sarebbe Easter Everywhere dei 13th Floor Elevators ma lì, secondo me, vedevano conigli non per effetto della colomba o dell’uovo di Pasqua!

Un Dylan “festivo” ci sta sempre bene.

Se avete gusti più tradizionali e “antichi” ci sarebbe Easter Parade, in questo caso di Perry Como ma la faceva anche Judy Garland.

Poi c’è Easter? con punto di domanda cantata dalla grande Grace Slick con i Jefferson Airplane in Long John Silver.

Per i più raffinati ci sarebbe pure Watermelon In Easter Hay di Frank Zappa.

Per gli amanti delle bleugrass jam bands ho trovato East Nashvile Easter della Yonder Mountain String Band.

E che ne dite dei Marillion per il progressive rock seconda generazione?

Ce ne sarebbero anche altre (non tantissime per la verità), ma collegati alle feste pasquali della Resurrezione ci sono anche alcuni brani di stampo gospel tra i quali il più celebre è sicuramente Oh Happy Day che molti pensano sia un brano natalizio (anche perché storditi dai fiumi di spumante che erano legati ad un famoso spot pubblicitario) ma nasce come inno pasquale: “Washed My Sins Away, Oh Happy Day”: The Edwin Hawkins Singers!

E se proprio vogliamo, sempre legati ai riti pasquali ci sono alcuni brani “profani” sulla Crocefissione tra i quali uno dei miei brani preferiti di sempre, una stratosferica Calvary Cross dalla fertile penna di Richard Thompson, con uno degli assoli di chitarra più sofferti e lancinanti della storia della musica rock!

Per concludere, comunque questa la mettiamo lo stesso, in una versione che non so in quanti conoscono (a giudicare da YouTube almeno 655.000!). Buona Pasqua!

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Happy Easter Everywhere!

Bruno Conti

Attenti Alle “Tartarughe Musicali”! Trampled By Turtles – Stars And Satellites

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Trampled By Turtles – Stars And Satellites – Banjodad Records in uscita il 10-04-2012

Sulla scena da circa otto anni  i Trampled By Turtles sono uno dei gruppi di Alternative o Americana o Roots music, vedete voi, più interessanti e stimolanti dell’attuale scena a stelle e strisce. Non sono paragonabili a nessuno, ma, se proprio volete, fanno diretta concorrenza,  inizialmente, agli Old Crow Medicine Show, e ultimamente agli Avett Brothers. Non sono dei novellini, vengono da Duluth (Minnesota), la patria di un certo Bob Dylan e hanno sei dischi al loro attivo: Songs from a Ghost Town /2004), Blue Sky and the Devil (2005), il rarissimo Live at Lucè (2006), Trouble (2007), Duluth (2008) e Palomino (2010) che ha dato una certa visibilità alla Band, vendendo oltre 50.000 copie.

Oltre al leader indiscusso Dave Simonett (canta, compone, arrangia e produce), il gruppo è formato da Tim Saxhaug basso e voce, Dave Carroll banjo e voce, Erik Berry mandolino e Ryan Young al violino, e il loro “sound” spazia fra bluegrass, country, folk e una certa musica degli Appalachi. Per Stars and Satellites il quintetto si è rintanato in una capanna nei boschi di Duluth e le sessioni di registrazione si sono sviluppate musicalmente attraverso la convivenza e partecipazione del gruppo, con il risultato di sfornare un lavoro che mischia tradizione e attualità.

Indubbiamente non si resta indifferenti all’apertura di Midnight on the Interstate, voci all’unisono e una deliziosa melodia scandita da violino, mandolino e banjo, come nella successiva e bellissima Alone con una parte finale dirompente, con gli strumenti che si accavallano in modo vorticoso. Walt Whitman cresce immediatamente e ci porta nel mondo dei TBT, senza un attimo di tregua con un ritmo accesissimo, seguita da High Water una splendida oasi melodica, ballata di grande respiro con il violino di Ryan Young che le danza attorno. Si arriva con Risk al primo brano strumentale del lavoro, molto bluegrass, con gli strumenti che si rincorrono, mentre Widower’s Heart inizia come una ballata tradizionale, con il violino che traccia la melodia, mentre un banjo lo segue a ruota, e la voce di Simonett è molto simile a quella degli Avett.

Con Sorry si riprendono a macinare suoni, con un ritmo che diventa frenetico, per poi tornare ad atmosfere confessionali con Beautiful, brano lento scarnificato, ma decisamente bello. Don’t Look Down è un altro brano strumentale travolgente, con il banjo che va a mille, mentre Keys To Paradise con gli strumenti arpeggiati ad arte, dà la misura della bravura dei TBT. Chiude The Calm and the Crying Wind, e ancora una volta Dave mette da parte il ritmo, per proporre un valzerone nostalgico volutamente “old fashioned”.

Ascoltandoli con attenzione si scoprono sfumature e melodie, che rivelano passaggi e intuizioni che al primo ascolto possono essere sfuggiti, una musica in cui il bluegrass e il folk sono un patrimonio epico, su cui costruire il futuro. Se gli Avett Brothers sono uno dei vostri gruppi preferiti, chiudete gli occhi e vi troverete davanti una Band molto simile, dall’anima antica e dallo spirito giovane. Consiglio per l’ascolto: recatevi nel bosco più vicino (possibilmente non da soli), sdraiatevi sull’erba , guardate le stelle, e lasciatevi trasportare dalla musica dei Trampled By Turtles.

Tino Montanari

Un Curtis Tira L’Altro Ma Anche “Questo Non Me Lo Aspettavo”! Curtis Stigers – Let’s Go Out Tonight

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Curtis Stigers – Let’s Go Out Tonight – Concord Jazz/Universal

Lo so, il titolo l’avevo già usato, cambiando il nome, per Jonathan Edwards e Jonathan Wilson, e anche il “sottotitolo” se è per questo, ma dopo oltre 900 Post in questo Blog ogni tanto mi “scappa” di riutilizzare un titolo quando rende l’idea. E quindi, dopo l’ottimo Curtis Salgado, eccomi a parlare di questo CD di Curtis Stigers: confesso che mai e poi mai mi sarei aspettato di recensire un album di questo cantante americano. Il suo genere, nel passato, è sempe stato “l’Anticristo” della musica che mi piace, e ne ascolto di ogni tipo, ma lo smooth pop prima e jazz in seguito, dell’ex lungocrinito interprete di Boise, Idaho mi aveva sempre convinto poco. Il suo primo album omonimo era stato un notevole successo nell’America dei Kenny G, Michael Bolton e Co. e quindi lo avevano chiamato per la colonna sonora di The Bodyguard ma poi il suo stile si era man mano trasformato, lungo l’arco di una decina di album, da un “leccato” pop con venature soul in un altrettanto levigato, ma mai esaltante, jazz da crooner leggero.

E poi, al decimo disco, mi fa questo Let’s Go Out Tonight e mi spiazza completamente. Intanto la scelta del repertorio, brani di alcuni cantautori pescati tra la crema della musica rock, pop e soul e non dal classico songbok americano dei Cole Porter, Gershwin e Rodgers & Hart. Nonché un produttore come Larry Klein, che oltre ad essere stato il bassista e marito di Joni Mitchell, nel corso degli anni si è creato un CV come architetto di suoni tra i più raffinati in circolazione: artisti come Madeleine Peyroux, Holly Cole, Julia Fordham, Vienna Teng, Rebecca Pidgeon, Walter Becker, Tracy Chapman, Melody Gardot e nel passato Mary Black, Shawn Colvin, David Baerwald, oltre naturalmente a Joni Mitchell, si erano rivolti alle sue sapienti mani per creare un suono caldo ed avvolgente, ricco nei particolari e di gran classe, anticipatore, in parte, dello stile di T-Bone Burnett e, soprattutto, Joe Henry. Non per niente in questo disco suonano i musicisti abituali di Burnett e Henry: Jay Bellerose alla batteria, Dean Parks alla chitarra, Larry Goldings e Patrick Warren alle tastiere, David Piltch al basso (Klein non pratica quasi più lo strumento, peccato perché era un bassista quasi ai livelli di Jaco Pastorius) e l’eccellente John Sneider alla tromba, oltre allo stesso Stigers che in alcuni brani utilizza il suo sax con ottimi risultati.

Si diceva della scelta oculata dei brani e dei loro autori: si parte alla grande con una versione di Things Have Changed di Robert Dylan (giuro, è scritto così sul libretto, il nome d’arte è Bob, sarebbe come se Iggy Pop diventasse Iguana o Ignazio Pop, per dire), il brano chiunque l’abbia scritto è comunque bellissimo e appariva nella colonna sonora del film con Michael Douglas The Wonder Boys, un Dylan come avrebbe potuto interpretarlo Tom Waits se avesso avuto la voce di Neil Diamond, rasposa, leggermente roca e vissuta ma non esageratamente profonda come quella di Waits, diciamo quella degli anni ’70 che molti ancora oggi preferiscono (ho alzato timidamente la mano) e anche lo stile è quello, con assolo libidinoso di tromba che è la ciliegina sulla torta di questo pezzo. David Poe (altro musicista raffinato e poco conosciuto che ha avuto un disco prodotto da Burnett) è l’autore, nonché alle armonie vocali, nel brano Everyone Loves Lovers, una dolcissima slow song per innamorati dove la voce di Stigers pennella la note e l’arrangiamento di Klein ricorda quelli del Burt Bacharach dei tempi d’oro, l’interscambio tra la chitarra “trattata” di Parks, l’organo di Goldings, i fiati di Sneider e lo stesso Stigers è ai limiti della perfezione per questo tipo di canzone. Oh How It Rained è un vecchio brano soul di Eddie Floyd e Steve Cropper che qui diventa un blues sofferto e primigenio.

Goodbye di Steve Earle, è un brano che già di suo è molto bello, come quello appena citato di Dylan, in questa versione soffice diventa una canzone totalmente diversa ma altrettanto valida, e questo sarebbe il compito di coloro che chiamiamo “interpreti”, fare propria la canzone, ma ci riescono solo quelli bravi e in questo disco Stigers centra pienamente l’obiettivo: la tromba, il piano, l’organo e la ritmica delicata al servizio della voce partecipe di Stigers, bellissima. Into Tempation è un brano di Neil Finn, il leader dei Crowded House per intenderci, ma in questa versione diventa un’altra ballata notturna e fumosa. Otis Clyde è stato un autore nero-americano minore ma il suo posto nella storia se l’è meritato con Route 66 e comunque questa This Bitter Earth è strepitosa, la faceva Dinah Washington, ma la versione di Stigers è notevole, sembra un brano del Ray Charles più ispirato, sia per come è cantata, con l’inflessione vocale di “The Genius” ma anche per l’arrangiamento ricalcato sul sound degli album Modern Sounds in Country & Western, con la pedal steel di Parks ad adagiarsi insinuante sulla tromba di Sneider.

Ma a dispetto di tutti questi brani di autori grandissimi il capolavoro dell’album è una versione di quella meraviglia che si chiama Waltzing’s For Dreamers, una canzone di una bellezza disarmante scritta dal geniale Richard Thompson, e questa versione è da pelle d’oca e lacrimuccia anche se non siete sentimentali. A questo punto sarebbe impossibile fare meglio ma anche Chances Are scritta da Hayes Carll ha molte frecce al suo arco, una ballata solare ancora una volta con uso di tromba e con Stigers che canta in assoluta souplesse sillabando il testo con perfezione quasi assoluta, altra piccola perla ancora una volta con quell’effetto Diamond meets Charles. You’re Not Alone non è quella di Michael Jackson ma un brano scritto da Jeff Tweedy dei Wilco per Mavis Staples, ancora una volta con quel tipo di sound raffinato tipo la Mitchell fine anni ’70, primi ’80, quando collaborava con Klein o un Van Morrison d’annata, che non avevamo ancora nominato, ma ci sta, bello l’assolo di sax di Stigers, breve e pertinente. La title-track Let’s Go Out Tonight firmata da Paul Gerard Buchanan (perché il nostro amico è uno preciso con nomi e cognomi) è un brano tratto dal repertorio della band di Buchanan, i Blue Nile forse il gruppo che ha la maggiori similitudini sonore con il contenuto di questo album, altra ballata notturna e intimista sempre caratterizzata da quel mood malinconico impersonato dalla tromba di John Sneider.

Una bella sorpresa, non me l’aspettavo!

Bruno Conti 

E Chi Sono Costoro? I Festeggiamenti del 50° Dei Beatles Non Partono Benissimo!

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Prima l’annuncio che James McCartney, il figlio di Paul, vorrebbe lanciare i Beatles 2.0 una sorta di Sons Of The Beatles, 50 anni dopo, in questi giorni l’annuncio che a settembre al Prince Of Wales Theatre nel West End londinese partirà la stagione del nuovo musical Let It Be dedicato ai Fab Four. Ora, io non ho nulla contro i Rain, la cover/tribute band che canterà i brani dei Beatles e che saranno bravissimi visto che hanno fatto varie produzioni per Broadway dedicate ai quattro di Liverpool, ma Mark Lewis, Joey Curatolo, Joe Bithorn and Ralf Castelli chi sono costoro?

Spero che per festeggiare il 50° anniversario dell’uscita del primo singolo Love Me Do avvenuta nell’ottobre del 1962, il 5 per la precisione, riescano ad inventarsi qualcosa di meglio. Paul, Ringo, Yoko Ono, Dhani & Olivia Harrison “Parlatevi, siete ancora in tempo”!

Se proprio devo scegliere preferisco questa di Let It Be!

Bruno Conti

Record Store Day 2012

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Come forse saprete, se no vi sto informando, il 21 aprile sarà il Record Store Day, la giornata dedicata ai negozi indipendenti in giro per il mondo che vendono ancora musica in un luogo fisico. Come tutti gli anni in quel giorno (ma anche nel Black Friday, che è a fine novembre) escono una serie di dischi, soprattutto in vinile, a tiratura limitata, edizione apposite preparate per l’occasione con materiale spesso esclusivo.

Anche quest’anno il piatto è ricco, se volete questo è il sito e vi andate a vedere le liste complete Home: se siete pigri o non avete tempo vi segnalo le cose più interessanti. Intanto, in questa edizione 2012 ci sono pochissimi CD in uscita. è quasi tutto vinile, spesso a prezzi proibitivi: ci sarà l’edizione speciale di Mermaid Avenue:The Complete Sessions in 3CD+DVD di Billy Bragg & Wilco che però uscirà anche normalmente nei negozi. E poco altro: un Grace Potter & The Nocturnals che sono dei fedelissimi della giornata visto che avevano già pubblicato un Live at Skowhegan nel 2009 e per questa occasione fanno uscire, anche in vinile, Live From The Legendary Sun Studio registrato nel 2008. Matt Nathanson Left And Right volume 2 con materiale dal vivo. Questo è interessante: King Crimson 21st Century Bundle RSD, una confezione che comprende due box da 4CD ciascuno con oltre 100 brani registrati tra il 1969 e il 2003 dal vivo e in studio, con una maglietta esclusiva per il Record Store day.

Un CD Live At Amoeba dei Civil Wars registrato nel famoso negozio di Hollywood il 14/06/2011. E questo, per quello che so io dovrebbe essere tutto per le versioni in CD. Tra le cose interessanti, le chicche in vinile, uscirà un EP 12″ con 5 brani di Leonard Cohen Live In Fredericton, registrato nel 2008 e inedito. Un doppio LP dei Black Keys El Camino, che in questa versione contiene anche un 45 giri con due brani dal vivo e un CD bonus. Un 78 giri, ebbene sì, di Luther Dickinson con 4 brani. C’è anche il 45 giri di Rocky Ground di Springsteen ma il lato B “inedito” è un brano tratto dal DVD che c’era nel boxone di Darkness On The Edge Of Town. Il Secondo volume dei Quadrophenia Demos di Pete Townshend che fa il paio con quello che era uscito a Novembre e il famoso Spot The Pigeon dei Genesis, tanto per citare alcune tra le cose più interessanti. Se siete interessati al vinile il resto ve lo andate a vedere sul sito nel link sopra.

That’s all.

Bruno Conti

Ora Anche In Versione Digitale (E Altro)! Paul McCartney – iTunes Live From Capitol Studios

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Paul McCartney – iTunes Live From Capitol Studios

Sapete che di solito sono contrario ai dischi disponibili solo in versione digitale, ma se non c’è in altro modo…comunque ve lo segnalo.

Questo iTunes Live From Capitol Studios di Paul McCartney è stato registrato (e mandato in onda in streaming) giovedì 9 febbraio scorso, durante la giornata nella quale Paul (alla presenza di Neil Young e Costello) ha ricevuto anche la sua stella nella famosa Walk of Fame di Los Angeles, che è situata proprio di fronte ai Capitol Studios. Il nostro amico, sempre in gran forma, era in California per il lancio dell’ultimo album Kisses On The Bottom uscito quella settimana e per partecipare ai Grammy Awards. Anche se il McCartney rocker, dal vivo, regala ancora ben altre emozioni nei suoi concerti non si può negare che questi nove brani emanano gran classe. Restando in attesa del disco di “heavy rock” per il quale pare sia in contatto con Dave Grohl dei Foo Fighters, vogliate gradire.

E comunque, volendo, si trovano anche le altre quattro parti del filmato qui sopra.

Quest’anno si festeggiano i 70 anni di McCartney ma anche il 50° dall’esordio discografico dei Beatles. Speriamo che, per i festeggiamenti (anche se la EMI è stata venduta), non esca soltanto la già annunciata, ennesima, versione di Yellow Submarine Songtrack il CD, data di uscita il 29 maggio in concomitanza con la riedizione del DVD e Blu-ray!

E comunque, nell’attesa, usciranno Early Takes vol.1 di George Harrison il CD, già presente nella versione Deluxe di Living In The Material World (il 1° Maggio) e le varie versioni della ristampa di Paul McCartney Ram (il 22 maggio) su cui ritornerò con più dettagli prossimamente.

Bruno Conti