Quattro “Giovani” Signore E Un’Amica! Dorothy Morrison, Tracy Nelson, Angela Strehli, Annie Sampson The Blues Broads – Live

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The Blues Broads – Live – CD+DVD – Delta Groove

In questo album (CD+DVD, ok!) ci sono più di due secoli di esperienze musicali (e oltre, se consideriamo anche la Blues Broad onoraria, la pianista e cantante Deanna Bogart): le primavere delle quattro protagoniste di questo concerto dal vivo non sono poche. Tracy Nelson, calcava già i palcoscenici della Bay Area nel 1964 in compagnia di Charlie Musselwhite e poi come leader dei Mother Earth fece parte della scena blues-psichedelica di San Francisco insieme a Janis Joplin e Grateful Dead (per non parlare di oltre 40 anni di dischi blues, soul e gospel a nome suo), Dorothy Morrison era la voce originale di Oh Happy Day il celeberrimo brano di Edwin Hawkins, ma che leggenda (e lei stessa) vuole che sia stato scritto proprio dalla Morrison, adattandolo da un traditional. Annie Sampson, più o meno in quegli anni, fine ’60, inizio ’70, era la voce solista degli Stoneground, il gruppo che poi sarebbe diventato i Pablo Cruise, mentre la più giovane, “The First lady Of Texas Blues” come viene chiamata Angela Strehli, è in pista da metà anni ’70, quando muoveva i primi passi nella scena texana con il giovane Stevie Ray Vaughan. E proprio lei è la più Blues del lotto, perché poi i generi che si avvicendano in questo Live sono i più disparati nell’ambito della musica delle radici.

La Nelson e Annie Sampson dividono il microfono nel brano iniziale, Livin’ The Blues, una sorta di dichiarazione di intenti scritta dalla stessa Tracy, che conferma ancora una volta di avere una voce strepitosa. La Sampson si situa appena un gradino al di sotto nella propria Bring Me Your Love, un mid tempo soul dove èaiutata” dalla Morrison, che in questo augusto consesso è quella che ha la voce più incredibile. A rendere il tutto più appetibile non guasta che il gruppo che le accompagna ha grinta da vendere e un sound di quelli tosti, a partire dalla citata Bogart, che si cimenta anche al sax, proprio nel brano di cui sopra. Se proprio vogliamo essere pignoli, la più scarsa a livello vocale, ma tra tante virgolette, è proprio Angela Strehli, che peraltro, forse per smentirmi, canta alla grandissima una Two Bit Texas Town, che è proprio un blues Texas shuffle che permette di gustare l’eleganza del chitarrista Gary Vogensen. A proposito di Dorothy Morrison, quando raggiunge il centro del palcoscenico per cantare una versione poderosa di River Deep Mountain High, non puoi mancare di meravigliarti come un simile talento vocale sia sempre rimasto ai margini della musica, confinata, se così si può dire, nel circuito del gospel, le altre signore la spalleggiano e si dividono l’impatto vocale di questo capolavoro dell’accoppiata Phil Spector/Ike & Tina Turner. Blue Highway è un pigro country-blues-soul scritto da Angela Strehli che è anche la voce solista del brano.

It Won’t Be Long permette di godere della gran classe pianistica di Deanna Bogart che anche come vocalist, insieme alle altre, non scherza, un brano che trasuda R&B da tutte le parti e che non per nulla era nel repertorio della giovane Aretha Franklin. Walk Away è un intenso slow blues cantato con sentimento e voce da brividi da Tracy Nelson che poi lascia spazio a Vogensen per un altro eccellente assolo. In tutti i brani, le quattro vocalists sono spesso impegnate anche come voci di supporto che, dato il livello in campo, alza ulteriormente la quota di godimento per l’ascoltatore. Mighty Love è una ballata soul mid-tempo cantata con assoluta nonchalance e una potenza devastante da una deliziosa Morrison.

Un ulteriore esempio dell’amalgama delle voci è dato da Jesus I’ll Never Forget, un gospel cantato a cappella con assoluto rigore, prima del gran finale con una versione assolutamente coinvolgente del super classico Oh Happy Day:”When Jesus Washed…”, everybody sing!  In tutto sono dieci brani, che diventano undici nella versione DVD (ormai queste confezioni CD/DVD stanno diventando una bella realtà, sempre più spesso), cambia la sequenza delle canzoni e viene aggiunta una splendida versione di It’s All Over Now, Baby Blue di Bob Dylan, cantata da Annie Sampson e con un bel assolo di sax della Bogart. Se vi piacciono le belle voci qui c’è da godere!  

Bruno Conti  

E Anche Questa Volta Ci Hanno Fregato! Rolling Stones GRRR! Tracklist Definitiva

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The Rolling Stones – GRRR! – Universal – 3 CD Standard (50 Brani) e Super Deluxe 5(!!) CD + 7″

Alla fine ancora una volta, per la serie “It’s Only Rock’n’Roll But I Like It”, ce lo hanno messo in quel posto, ma non ci piace! Qualche tempo fa vi avevo annunciato l’uscita di una ennesima raccolta di successi dei Rolling Stones, GRRR!, in due versioni: una tripla da 50 brani e una quadrupla con 80 canzoni, ma non erano ancora state annunciate le liste complete dei brani. Ora sono definitive, entrambe hanno le due canzoni nuove, Doom And Gloom e One More Shot, ma la versione quadrupla è diventata da 5 CD, con l’aggiunta di un bonus con 5 brani registrati agli IBC Studios di Londra, l’11 Marzo del 1963, e in più è stato aggiunto un 7 pollici con ulteriori quattro brani registrati per la BBC, tutte covers e tutte inedite. Naturalmente la Super Deluxe Edition avrà anche altro materiale: un libretto da 36 pagine, una serie di cartoline e un poster relativi ai tour e un libro formato grande (A3) da 96 pagine. Il tutto costerà ben oltre i 100 euro.

Qui sotto le tracklists, versione da 5 CD:

CD 1

  1.  Come On
  2. I Wanna Be Your Man
  3. Not Fade Away
  4. That’s How Strong My Love Is
  5. It’s All Over Now
  6. Little Red Rooster
  7. The Last Time
  8. (I Can’t Get No) Satisfaction
  9. Heart Of Stone
  10. Get Off Of My Cloud
  11. She Said Yeah
  12. I ’m Free
  13. Play With Fire
  14. Time Is On My Side
  15. 19th Nervous Breakdown
  16. Paint It, Black
  17. Have You Seen Your Mother, Baby, Standing In The Shadow?
  18. She’s A Rainbow
  19. Under My Thumb
  20. Out Of Time
  21. As Tears Go By

CD 2

  1. Let’s Spend The Night Together
  2. Mother’s Little Helper
  3. We Love You
  4. Dandelion
  5. Lady Jane
  6. Flight 505
  7. 2,000 Light Years From Home
  8. Ruby Tuesday
  9. Jumpin’ Jack Flash
  10. Sympathy For The Devil
  11. Child Of The Moon (rmk)
  12. Salt Of The Earth
  13. Honky Tonk Women
  14. Midnight Rambler
  15. Gimme Shelter
  16. You Got The Silver
  17. You Can’t Always Get What You Want
  18. Street Fighting Man
  19. Wild Horses

CD 3 

  1. Brown Sugar
  2. Bitch
  3. Tumbling Dice
  4. Rocks Off
  5. Happy
  6. Doo Doo Doo Doo Doo (Heartbreaker)
  7. Angie
  8. It’s Only Rock ‘N’ Roll
  9. Dance Little Sister
  10. Fool To Cry
  11. Respectable
  12. Miss You
  13. Shattered
  14. Far Away Eyes
  15. Beast Of Burden
  16. Emotional Rescue
  17. Dance Pt. 1
  18. She’s So Cold
  19. Waiting On A Friend
  20. Neighbours

CD 4

  1. Start Me Up
  2. Undercover Of The Night
  3. She Was Hot
  4. The Harlem Shuffle
  5. Mixed Emotions
  6. Highwire
  7. Almost Hear You Sigh
  8. You Got Me Rocking
  9. Love Is Strong
  10. I Go Wild
  11. Like A Rolling Stone
  12. Anybody Seen My Baby?
  13. Saint Of Me
  14. Don’t Stop
  15. Rough Justice
  16. Rain Fall Down
  17. Streets Of Love
  18. Plundered My Soul
  19. Doom And Gloom
  20. One More Shot

BONUS CD – IBC DEMOS

  • Diddley Daddy – iBC Demo Session
  • Road Runner – iBC Demo Session
  • Bright Lights Big City – iBC Demo Session
  • Honey What’s Wrong – iBC Demo Session
  • I Want To Be Loved – iBC Demo Session

7” VINYL EP / SIDE A

  • Route 66 – BBC Session
  • Cops And Robbers – BBC Session

7” VINYL EP / SIDE B

  • You Better Move On – BBC Session
  • Mona – BBC Session

Versione da 3 CD:

CD 1

  1. Come On
  2. Not Fade Away
  3. It’s All Over Now
  4. Little Red Rooster
  5. The Last Time
  6. (I Can’t Get No) Satisfaction
  7. Time Is On My Side
  8. Get Off Of My Cloud
  9. Heart Of Stone
  10. 19th Nervous Breakdown
  11. As Tears Go By
  12. Paint It, Black
  13. Under My Thumb
  14. Have You Seen Your Mother, Baby, Standing In The Shadow?
  15. Ruby Tuesday
  16. Let’s Spend The Night Together
  17. We Love You

CD 2

  1. Jumpin’ Jack Flash
  2. Honky Tonk Women
  3. Sympathy For The Devil
  4. You Can’t Always Get What You Want
  5. Gimme Shelter
  6. Street Fighting Man
  7. Wild Horses
  8. She’s A Rainbow
  9. Brown Sugar
  10. Happy
  11. Tumbling Dice
  12. Angie
  13. Rocks Off
  14. Doo Doo Doo Doo Doo (Heartbreaker)
  15. It’s Only Rock ‘N’ Roll
  16. Fool To Cry

CD 3

  1. Miss You
  2. Respectable
  3. Beast Of Burden
  4. Emotional Rescue
  5. Start Me Up
  6. Waiting On A Friend
  7. Undercover Of The Night
  8. She Was Hot
  9. Streets Of Love
  10. Harlem Shuffle
  11. Mixed Emotions
  12. Highwire
  13. Love Is Strong
  14. Anybody Seen My Baby?
  15. Don’t Stop
  16. Doom And Gloom
  17. One More Shot

Il tutto è in uscita 13 novembre.

Bruno Conti

Il Disco Live Dell’Anno? Paul Simon – Live In New York City

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Paul Simon – Live In New York City – Hear Music 2CD/DVD

In realtà per decidere se questo sarà il disco dal vivo dell’anno dovrei aspettare l’uscita di Celebration Day dei Led Zeppelin, ovvero quella che considero la più grande rock band di tutti i tempi (sorry Stones, sorry Fab Four, sorry Who), anche se sono quasi tentato di escluderli dalla tenzone. E’ troppo facile infatti fare un grande concerto nel 2007, pubblicarlo ben cinque anni dopo e pretendere la vittoria: posso concedere ad un disco dal vivo di presentare un’esibizione, al massimo, dell’anno precedente all’uscita, se no non vale, perché se no io che mi chiamo Bruce Springsteen, decido di pubblicare Live at Hallenstadion Zurich 1981 e vi fotto tutti!

Facezie a parte, sono qui per parlare del nuovo doppio CD di Paul Simon, Live In New York City (gioca in casa, gli piace vincere facile), registrato il Giugno dello scorso anno alla Webster Hall della Big Apple: Simon nel corso della sua carriera, da solo e con Art Garfunkel ha pubblicato diversi live tra LP (e poi CD), VHS e DVD, ma devo dire che uno così bello non lo aveva mai prodotto. Certo, il famoso concerto in Central Park con Garfunkel ha il suo perché, ma forse più per una questione emotiva che tecnica: a me, sempre a Central Park, era piaciuto molto il live del solo Paul uscito nel 1991, ma questo secondo me è anche meglio.

Simon ha un songbook incredibile, tra i primi cinque al mondo, ma molto spesso questo non è bastato per fare un bel concerto: io l’ho visto varie volte dal vivo, e non sempre mi sono entusiasmato (qualche anno fa, era la tournèe seguita al mediocre Surprise, mi aveva addirittura deluso), ma lo scorso anno l’ho rivisto in una piovosa serata di fine Luglio all’Arena Civica di Milano e mi era piaciuto parecchio, più partecipe e convinto, forse grazie anche alle buone reazioni ricevute dalla sua ultima fatica in studio, So Beautiful Or So What, non eccezionale ma un deciso passo avanti rispetto a Surprise e You’re The One, forse i due dischi peggiori della carriera di Paul (assenti per fortuna da questo live). Paul non è mai stato uno caldo sul palco, spesso è scostante e non molto simpatico, ma in questo disco ci mette l’anima ed il risultato si sente.

Simon è accompagnato come di consueto da musicisti formidabili, un ensemble di otto elementi che suona a memoria, con un deciso uso delle percussioni e dei fiati, ma anche più chitarristico del solito, con sonorità molto solari e Paul molto ispirato ed ineccepibile anche nel canto: come ciliegina sulla torta, il CD ha un suono spettacolare (non scontato nei dischi dal vivo), decisamente scintillante; non ho ancora visto il DVD ma presumo che anche le immagini non siano da meno. Paul suona solo quattro brani dal nuovo disco (Rewrite e The Afterlife le migliori), e poi è un profluvio di classici, una serie di canzoni incredibili per le quali molti autori ucciderebbero (e ne mancano: ci sono solo due brani del periodo con Garfunkel, e poi anche molti capolavori solisti non ci sono, tra cui Me And Julio Down By The Schoolyard e American Tune), suonate alla perfezione da una band in stato di grazia.

Non è il caso che vi faccia una disamina brano per brano, ma senz’altro vanno citate la coinvolgente The Obvious Child, che apre la serata, la gospel-oriented dai ritmi caraibici Mother And Child Reunion, il cajun irresistibile That Was Your Mother, vari estratti dal capolavoro Graceland (ma manca stranamente la title track), tra i quali una Diamonds On The Soles Of Her Shoes da sballo, le classiche Hearts And Bones e Slip Slidin’ Away, puro Simon-sound.

Ho detto solo due brani di Simon & Garfunkel: ovviamente non può mancare The Sound Of Silence (acustica), un brano capace di dare i brividi anche al millesimo ascolto, ma la vera sorpresa è The Only Living Boy In New York, un brano che in radio non passano mai, ma che a mio parere è tra i cinque-sei più belli mai scritti da Paul (se non sbaglio anche il titolare di questo blog approva), e la versione proposta in questo disco è semplicemente da pelle d’oca.

Il finale è in crescendo, con Kodachrome, Gone At Last (bellissima), Late In The Evening e Still Crazy After All These Years sparate una dopo l’altra, per il godimento del pubblico presente e dell’ascoltatore casalingo. Unica pecca a mio parere (il compito del critico è anche cercare l’ago nel pagliaio) è l’assenza di The Boxer: in questa serata sarebbe stata forse la versione definitiva.

Ma non ci si può lamentare: un disco da non perdere assolutamente, due ore da favola trascorse in un battibaleno. Paul Simon si è finalmente ricordato chi è.

Marco Verdi

Tra Mancini Ci Si Intende! Eric Gales – Live

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Eric Gales – Live – Blues Bureau/Shrapnel CD/DVD

Come moltissimi altri chitarristi in circolazione, anche Eric Gales è uno degli accoliti della “parrocchia virtuale” degli adoratori della trinità rock-blues/power trio in cui, senza voler essere blasfemi, Jimi Hendrix è il “Padre”, Stevie Ray Vaughan è il “Figlio” e Albert King è lo “Spirito Santo”. Oltre a tutto Eric Gales, rispetto ad altri concorrenti nella categoria, suona pure da mancino, quindi le similitudini, spesso smentite in interviste e comunicati stampa, sono piuttosto evidenti : domanda tipica: “Ma ti ispiri a Jimi Hendrix?” risposta: “Ma quando mai, amo moltissimo Segovia!”. Peraltro non è un vizio solo suo (più delle case, devo dire), quando non ci sarebbe nulla di male nell’ammetterlo, ma bisogna distinguersi e tra le sue influenze viene citato anche Eric Johnson (che evidentemente fa figo). Eric viene da una famiglia musicale numerosa, tra i suoi fratelli, Eugene, il bassista, ha condiviso una parte della sua carriera come Gales Brothers, mentre un altro fratello, Manuel, usava lo pseudonimo di Little Jimmy King, altro mancino dalla tecnica favolosa, più legato al Blues, purtroppo scomparso per un infarto nel 2002, a soli 38 anni.

Comunque, magari Eric Gales predica male, ma razzola benissimo. I suoi dischi sono stati sempre un “conforto” per gli appassionati della chitarra dalle sonorità diciamo energiche, ma non aveva mai affrontato la prova del disco dal vivo, che è la dimensione ideale per questo tipo di musica. Tra l’altro, stranamente per un disco Live di questo tipo, non c’è neanche una cover, tutti brani originali firmati dallo stesso Gales e dal boss dell’etichetta Blues Bureau e amico, Mike Varney, che è il quinto disco che gli pubblica. Vi risparmio le solite ovvietà sul fatto che per questa formula musicale l’album dal vivo è come “un pisello nel suo baccello” e passo ad una veloce disamina dei contenuti di questo CD e DVD. I brani nelle due versioni sono gli stessi (uno in più nel DVD) e cambia leggermente la sequenza delle tracce. Il brano di apertura del disco, The Open Road, ha quella tipica andatura Hendrixiana, blues e rock miscelati in un sound vagamente futuribile, con la chitarra che costruisce veloci scale ispirate anche dall’Eric Johnson citato prima e che mette subito in chiaro la perizia tecnica di Eric e del suo trio, gli altri sono Aaron Haggerty alla batteria e Steve Evans al basso. La voce, a chi scrive, ricorda, tra tutti, vagamente, quella di Jerry Garcia, anche se il genere musicale non c’entra nulla, ma quel modo di cantare dall’aria pigra, sorniona e rilassata stimola il paragone.

Layin’ Down The Blues, non sarà una cover, ma due o tre punti in comune con il suono di SRV ce li ha tutti. The Change In Me ha un riff di partenza che è il fratello gemello separato alla nascita di La Grange degli ZZ Top, poi lo sviluppo è tra southern boogie e derive hendrixiane, sempre con ampio spazio per le evoluzioni chitarristiche di Gales, che per l’occasione innesta anche il pedale del wah-wah. Freedom From My Demons è il classico slow blues atmosferico in crescendo che permette di apprezzare nuovamente la sua tecnica, mentre Make It There accelera nuovamente i tempi nella classica scansione scat tra voce e chitarra di chiara derivazione hendrixiana. Senza stare a citarle tutte, essendo canzoni non note se non siete dei fedelissimi della sua discografia, il succo è comunque quello, il brano è solo un pretesto per introdurre il “solismo” del nostro amico e quindi i brani non sono mai particolarmente memorabili come costruzione musicale, forse fanno eccezione lo strumentale Universal Peacepipe dalla struttura più complessa e la lunga e meditativa Wings Of Rock And Roll, entrambe veicoli ideali per godersi questo vero virtuoso dello strumento. In fondo dovete tenere conto che questo tipo di musica e di formula ha, giustamente, un suo pubblico che apprezza questi musicisti e sicuramente Eric Gales è tra i migliori nel campo, una sorta di chitarrista per chitarristi, veri o presunti (davanti allo specchio!). Diciamo che in questo disco l’influenza blues di Albert King non è molto presente, proprio per porre un discrimine per gli eventuali fruitori di questo album.

Bruno Conti

L’Ultima “Trasgressione”! Trespassers Wiliam – Cast

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Trespassers William – Cast – Saint Marie Records 2012 – 2 CD

E’ arrivato (purtroppo) il canto del cigno dei Trespassers William. Sottovalutata band californiana, composta dalla voce sognante di Anna-Lynne Williams, dalla chitarra di Matt Brown e dalla sezione ritmica di Jamie Williams e Ross Simonini, sono in pista da circa 17 anni, prima come duo e poi come gruppo, e per tutta la durata della loro carriera. hanno tracciato un solco con una musica prevalentemente onirica, con un suono rarefatto e sognante, che si ispirava chiaramente al suono “soft” dei Cowboy Junkies, e in parte a quello dei compagni di scuderia Hem.

Esordirono con Anchor (99) distribuito dalla casa indipendente Records Sonikwire (ormai fuori stampa), cui fecero seguito Different Stars (2002) un disco con recensioni entusiastiche (e un risultato di vendite molto interessante), al punto che la Nettwerk, una delle etichette indipendenti più valide del panorama americano (The Be Good Tanyas e Old Crow Medicine Show), li mise sotto contratto ripubblicando il disco con un nuovo brano in aggiunta, per finire con il notevole Having (2006) prodotto da Dave Fridmann (Flaming Lips). All’inizio del 2012, hanno deciso di sciogliere il gruppo e questo Cast raggruppa gran parte del lavoro degli ultimi sei anni, con un primo CD di Rarities e B-Sides e nel secondo CD viene riproposto l’EP The Natural Order Of Things al completo, con altro materiale accantonato nell’uscita originale.

Le Rarities si aprono con la deliziosa Believe Me con la voce della Williams alla ribalta, mentre la melodica Tomorrow On The Runway  è una classica pop-song con radici californiane. Never You è un triste lamento, Left Of Center è una versione alternativa di un brano di Suzanne Vega, riletto in modo esemplare, l’opposto di Maybe A Sad Song canzone rappresentativa di un paesaggio sonoro cinematografico. The Natural Order Of Things si apre con i sei minuti di Surrounded (stranamente lasciata fuori dall’EP), seguita dalla coinvolgente The Lids, dalla tranquilla tensione di Red, dalla percussiva Lives And Dies, per chiudere con la splendida e profonda Blue.

La musica dei Trespassers William è stata spesso caratterizzata da un suono ricco, che avvolge le canzoni portando alla luce melodie nascoste che riescono a creare immagini magiche e oniriche, che trasportano l’ascoltatore in un mondo immaginario, dove la fantasia può muoversi a piacimento. Se amate la musica soffusa, le atmosfere sognanti, le sonorità morbide, i Trespassers William fanno al caso vostro (in fondo costano molto meno di una seduta da uno psicanalista). Da ascoltare dopo la mezzanotte, e possibilmente in dolce compagnia.

Tino Montanari

*NDT: I progetti solisti di Anna-Lynne Williams, sotto lo strano pseudonimo di Lotte Kestner, sono già due, China Mountain del 2008 e Stolen, un disco di cover del 2011 . Per quanto mi riguarda, mi mancheranno.

“Gregari Di Lusso” O Qualcosa di Più? Scrapomatic – I’m A Stranger And I Love The Night

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Scrapomatic –  I’m A Stranger And I Love The Night – Landslide Rec. 

Quando Derek Trucks e Susan Tedeschi hanno deciso di unire le forze sciogliendo le rispettive band, si sono lasciati alle spalle alcuni “cadaveri”, in senso metaforico naturalmente. Mike Mattison era il vocalist della Derek Trucks Band, mentre nella Tedeschi Trucks Band svolge il ruolo di background vocalist, occasionale percussionista ed autore, un ruolo che oggettivamente gli va stretto. I due chitarristi degli Scrapomatic, Paul Olsen, che è anche il secondo vocalist e co-autore con Mattison del materiale del gruppo, e Dave Yoke, l’ultimo arrivato, in passato hanno suonato nella band della Tedeschi, come occasionalmente hanno fatto anche i due componenti della sezione ritmica, Ted Pecchio, il bassista e Tyler Greenwell, il batterista. Quindi è una sorta di famiglia allargata, se aggiungiamo che gli Scrapomatic (come duo o trio) spesso aprono i concerti della band dei due coniugi. Ovviamente la band ha anche una vita propria, indipendente, nata nel lontano 1994 dall’incontro di Mattison e Olsen nelle Twin Cities e poi sviluppata in lunghi anni di concerti, fino ad approdare all’esordio discografico indipendente nel 2002 con un disco omonimo che comprendeva sia un CD che un DVD nella confezione. Poi nel 2006 sono approdati alla Alligator per Alligator Love Cry e nel 2008 alla Landslide per l’ottimo Sidewalk Caesars e ora, con calma, arriva questo I’m A Stranger And I Love The Night che, curiosamente, si apre con un brano Alligator Love Cry che non era presente nel disco dallo stesso titolo.

Mattison, forse non lo abbiamo detto, è un nero, un vocalist in possesso di una voce allo stesso tempo vellutata e rasposa come la carta vetrata, una sorta di Taj Mahal dei giorni nostri, blues, soul e rock, convivono nei suoi geni e Olsen e Yoke sono i suoi Jesse Ed Davis e Ry Cooder, sintomatico di quanto detto è quella Alligator Love Cry più volte citata, che ha un doppio riff chitarristico bluesato, alla Rising Sons o Allman, su cui Mattison appone il suo tipico vocione da bluesman vissuto. Ma il nostro buon Mike è in grado di spaziare pure in territori più rootsy, per esempio nella bellissima ballata country got soul I’m A Stranger… dove sono in evidenza anche le morbide armonie vocali di Olsen e una bella slide insinuante. O nel bar room rock di Rat Trap che ricorda la frenesia live anche del primo Springsteen alle prese con le riprese dei classici anni ’60, il tutto con le solite chitarre “cattive” in evidenza e una ritmica assolutamente in palla con il basso quasi dominante. Night Train, Distant Whistles, con la voce di Mattison che mi ricorda il primo John Popper, e i ritmi funky che si rifanno ancora ad Allmans e famiglia Trucks, ma anche all’ottimo combo JJ Grey & Mofro, altro gruppo di musicisti che sa come trattare l’argomento. Don’t Fall Apart On Me è una gentile ballata dal sapore quasi country e acustico mentre I Surrender sempre ballata è, ma di chiaro stampo sudista, ricca di deep soul e con un bell’intervento della solista di Yoke (o Olsen) che sono chitarristi di sostanza ma anche di finezza, belle le tipiche armonie vocali di sottofondo.

The Mother Of My Wolf, dal testo surreale, viceversa, è un assatanato garage rock bluesato, con la ritmica in overdrive e la voce di Mattison rauca e urlata al punto giusto e le chitarre “sporche” come si conviene. Crime Fighter è uno slow blues “lavorato” e intenso dove Mattison sfodera un falsetto fantastico mentre Malibu (That’s Where It Starts) è un’altra morbida ballata dall’apertura quasi Westcoastiana che si incattivisce strada facendo sulle ali di un’altra ottima interpretazione vocale del leader e con un inconsueto solo di sax nella parte finale. How Unfortunate For Me è uno strano brano dalla costruzione old fashioned, quasi jazzy, con una cornetta e un’aria stralunata di fondo che, come direbbe Di Pietro poco c’azzecca con il resto. The party’s over è un altro brano dalle sonorità morbide, cantato in coppia con Olsen e con le due soliste in evidenza, bello ma forse un po’ scontato e che fa calare ulteriormente la tensione del disco. Anche Gentrification Blues si muove su territori più acustici, un country blues tipo gli Stones di Beggars Banquet, ma senza quel quid in più. Tutto bello, ma dal gruppo mi sarei aspettato qualcosa in più, comunque è solo pignoleria da appassionato, perché loro sono veramente bravi e il disco merita!

Bruno Conti

Brutte Figure E Altro! Beatles E Who

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Come certo saprete (l’ho anche segnalato sul Blog) il 5 ottobre si festeggiava il 50° anniversario dell’uscita del 1° singolo dei Beatles, Love Me Do. Per l’occasione la EMI aveva annunciato la pubblicazione di un vinile limitato commemorativo. Ma…come avrete notato cercandolo, se ne sono perse le tracce. E’ successo che il giorno prima della uscita la casa ha ritirato tutte le copie del 45 giri definendole “fallate”. Secondo alcuni non si tratta di un problema tecnico ma pare che sia stata scelta e stampata la versione sbagliata. Ovvero, ai tempi della registrazione George Martin, non soddisfatto della parte di batteria di Ringo Starr nella canzone, chiamò Andy White per registrare di nuovo la pista della batteria nel brano, versione che uscì poi nel singolo originale, mentre nell’album Please Please Me venne riutillizzata la parte di Ringo. Non so quale delle due versioni la Parlophone/EMI avesse intenzione di fare uscire ma sembra che sia uscita quella “sbagliata”. Non è ancora chiaro se ne verranno stampate altre copie per una nuova data di fine mese o se verrà cancellato. Mi sembra che le celebrazioni del cinquantenario partano alla grande. Speriamo in meglio per le edizioni varie di Magical Mystery Tour in uscita la settimana prossima.

A proposito di brutte figure. Un paio di anni, a novembre del 2010, la Universal ha pubblicato una 40th Anniversary Special Edition degli Who Live At Leeds lussuosissima, che è quella che vedete effigiata qui sopra. E che è andata esaurita quasi subito, con grande dispiacere di molti. Il punto di forza di quella versione era la presenza del famoso concerto di Hull registrato il giorno successivo di quello di Leeds, il 15 febbraio del 1970. La domanda era: ma uscirà mai una edizione separata di quel concerto per chi non si vuole ricomprare per l’ennesima volta il Live At Leeds? E la risposta fu, ma quando mai!

E infatti il 20 novembre p.v. la Universal pubblicherà il doppio CD di Live At Hull, in tutto il suo splendore. Una serata che rivaleggia con quella di Leeds nel presentare gli Who all’apice della loro forza. Dovrebbe anche costare come un singolo CD o poco più. Mai credere, se possibile, alle case discografiche!

Bruno Conti

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P.s. Martedì prossimo anche il DVD di Live In Texas ’75 degli Who, annunciato qualche tempo orsono. Da vedere, alla faccia di chi diceva che il gruppo era “cotto” a quei tempi. Una delle ultime apparizioni ufficiali di Keith Moon

 

Un “Piccolo Classico”! Nine Below Zero – Live At The Marquee

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Nine Below Zero – Live At The Marquee – Fontana/Universal CD+DVD 23-10-2012

Torna in circolazione, in edizione rimasterizzata e potenziata, uno dei “piccoli classici” di culto del rock britannico dello scorso secolo. Un album, Live At The Marquee, registrato nello storico locale di Londra nel giugno del 1980 e pubblicato, a distanza di pochi mesi, nello stesso anno. Un esordio folgorante e un’idea brillantissima, quella di iniziare direttamente una carriera discografica, con un album registrato dal vivo, che fosse testimonianza dell’incredibile carica che emanava dai live shows del quartetto, come vogliamo definirlo, Blues? Ci aggiungiamo pub rock, l’energia del punk migliore, boogie e rock’n’roll, ampie spruzzate di soul e r&b, persino un pizzico di beat, il tutto condito dalla classe della frontline della band: Dennis Greaves, chitarrista dalla tecnica notevole ma anche dalla pennata pesante e con il riff facile, e Mark Feltham, armonicista potente e dallo stile coinvolgente, entrambi impegnati pure come cantanti e trascinatori di un pubblico molto eterogeneo, che vedeva tra le proprie fila non solo esteti del blues, ma anche punkettari, estimatori della NWOBHM (New Wave Of British Heavy Metal), nonché “nostalgici” del pub rock dei grandi Dr.Feelgood, forse il gruppo più speculare rispetto ai Nine Below Zero.

Tutti felici e contenti, impegnati a cantare con il gruppo a squarciagola, brani come Homework di Otis Rush o Ridin’ On The L&N, una canzone scritta da Lionel Hampton, ma conosciuta ai più per la versione dei Bluesbreakers di Mayall, apparsa su Hard Road. Non proprio dei singalongs, al limite brani che uno si può aspettare di sentire in qualche fumoso locale di Chicago. Ma i NBZ li fanno loro con delle versioni tiratissime e strabordanti, dove la chitarra di Greaves e l’armonica di Feltham sparano veloci e stringati solo e la sezione ritmica pompa ritmi che fanno muovere il piedino e anche tutto il resto del corpo. Ma Dennis Greaves è capace di estrarre dal cilindro una versione di I Can’t Quit You Baby di Willie Dixon, che per eloquenza chitarristica e tiro non ha nulla da invidiare alla versione dei Led Zeppelin.  O tutto il gruppo è capace di scatenarsi e scatenare il pubblico in un uno-due soul/errebì da casa Motown con I Can’t Help Myself  e Can I Get A Witness. Ma che la temperatura non sia “Nove Gradi Sottozero” si intuisce fin dall’iniziale rilettura di un classico come Tore Down, un classico di Freddie King anche nel repertorio di Clapton, ma che qui viaggia a velocità supersonica e ricorda tra tanti, a chi scrive, quelle cavalcate tra boogie, blues e R&R dei Ten Years After più arrapati dal vivo, qualcuno ha detto “Hau, hau, hau”?

Anche Straighten Her Out, scritta dai componenti del gruppo, non ha nulla da invidiare ai brani più tirati dei Dr.Feelgood, o anche a un Thorogood o un Johnny Winter d’annata, lo spirito è quello. Dopo le delizie citate prima, il gruppo ci regala delle versioni al fulmicotone di Hootchie Cootchie Coo di Hank Ballard e una deragliante Woolly Bully, proprio quella di Sam The Sham & The Pharaos, con armonica e chitarra a sostituire il Farfisa dell’originale. Stop Your Naggin’, sempre più frenetica, tanto da far sembrare la parte centrale di I’m Going Home, un brano al ralenti, è un originale di Greaves. Una versione sontuosa di Got My Mojo Working che avrebbe reso orgoglioso il suo titolare Muddy Waters, ma anche i suoi discepoli Animals, Stones, Them e Pretty Things, nei primi anni di carriera, precede una Pack Fair And Square che sembra presa di sana pianta da Johnny Winter And Live, rock’n’rollin’ blues alla ennesima potenza, mentre Watch Yourself è Chicago Blues Elettrico di gran classe.  Conclude il concerto uno strumentale tra boogie e swing, Swing Job appunto, dove tutti i componenti del gruppo danno il meglio di sé.

E questo è solo il disco originale; ora, nella versione espansa, ci sono anche gli Encores, altri 7 brani fenomenali. Una Rocket 88 da multa per eccesso di velocità nel Blues, (Just) A Little Bit, un R&B roccato con la chitarra di Greaves e l’armonica di Feltham (che ricorda un poco il sound di John Popper dei Blues Traveler), Twenty Yards Behind  è pub rock misto a ska accelerato e punkizzato, grandissima versione, super classica, di Stormy Monday, a sancire le loro credenziali Blues. Un altro estratto da Johhny Winter And Live è il R&R iper vitaminizzato di Is That You mentre chiudono Keep On Knockin’ in una versione violentissima come neppure gli MC5 dei tempi d’oro e una Madison Blues con bottleneck d’ordinanza e un tiro musicale che ricorda ancora le annate migliori di Thorogood e Winter. I Nine Below Zero non si sono mai più ripetuti a questi livelli, ma questo Live At the Marquee basta e avanza per ricordarli con piacere tra gli outsiders di lusso. Il DVD contiene filmati d’epoca girati a 16 mm, da una vecchia VHs trasmessa dalla Rai ai tempi e altre chicche. L’imperativo è comprare!         

Bruno Conti      

Lungo Il Fiume Del Country Blues. Malcolm Holcombe – Down The River

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Malcolm Holcombe – Down The River – Gispy Eyes Music 2012

Vita dura per i folksingers di talento come Malcolm Holcombe: il “nostro” nasce e cresce a Weaverville, un paesino dei monti Appalachi nella Carolina del Nord, e in gioventù impara a suonare la chitarra tra i boscaioli del posto. Dopo la morte di entrambi i genitori, Malcolm, nella migliore tradizione americana, si mette “on the road” con una rock band, i Redwing, e la strada lo porta a Nashville, dove si esibisce nelle caffetterie e gli avventori sono conquistati dal suo stile innovativo, grezzo, carico di blues e soul. Dopo il promettente esordio con A Far Cry From Here, nel ’96 firma un contratto con la Geffen Records, sembra la svolta della sua carriera, ma per gravi problemi di alcolismo, non riesce a tenere fede ai suoi impegni e la casa discografica rinuncia a pubblicare il suo disco, che uscirà soltanto nel ’99, lo stupendo A Hundred Lies. Segue un periodo buio, che si manifesta in sbronze e una forte depressione, poi il ritorno in North Carolina e il taglio netto con l’alcool, lo rimettono sulla giusta via e nel periodo successivo autoproduce una serie di dischi di ottima qualità a partire da Another Wisdorn (2003), I Never Heard You Knocking (2005) e Not Forgotten (2006), che lo riabilitano all’onore dell’ambiente musicale. Con Gamblin’ House (2007) riceve finalmente l’apprezzamento della critica , con ottime recensioni sulle riviste del settore (Rolling Stone e Billboard Magazine), e partecipazioni ai più importanti programmi radio e TV americanei Sull’onda del tardivo successo, seguono For The Mission Baby (2009) che ospita partecipazioni importanti (come Tim O’Brien e Mary Gauthier) e To Drink The Rain (2011).

A breve distanza dall’ultimo lavoro, Holcombe si riunisce con Ray Kennedy (produttore degli ultimi dischi) negli Room & Board Studios di Nashville, e affiancato da musicisti di valore, tra i quali Ken Coomer batteria e percussioni (ex Uncle Tupelo e Wilco), Victor Krauss al basso, Russ Pahl al banjo e pedal-steel, più una serie di “personcine” in qualità di ospiti come Tammy Rogers al violino e mandolino, Steve Earle all’armonica, Darrell Scott alle chitarre, e ai cori la moglie del produttore Siobhan Kennedy, Perry Coleman e due promesse che scommetto faranno strada, Kim Richey e una certa Emmylou Harris.  Down The River  ha sfumature elettriche più accentuate ed un fascino multiforme, cercando di unire le diverse anime del suo songwriting, e brani come il country-blues delle iniziali Butcher in Town e I Call the Shots ne sono la testimonianza.

La purezza folk-rock della sua scrittura è tutta nell’apertura di Gone Away At Last, mentre The Crossing, The Door e The Empty Jar (con lo straziante violino di Tammy Rogers) sono dolci ballate rurali cantate con la voce ruvida e malinconica di Malcolm. Si ritorna ad alzare il ritmo con Twisted Arms, cui fa seguito una splendida In Your Mercy con la dolce voce di  Emmylou Harris al controcanto, mentre Whitewash Job è un ringhioso sincopato country-blues. L’armonica di Steve Earle introduce Trail O’Money cantata in duetto con il protagonista, per chiudere con il capolavoro del disco una Down The River dove tutti gli strumenti dei musicisti (chitarre, dobro, violino, banjo) disegnano un multiforme tessuto sonoro, arricchito dai cori, per uno dei momenti più emozionanti del disco.

Malcolm Holcombe è uno “storyteller” di prima grandezza, racchiude in sé il fascino rude di un Greg Brown, l’asprezza bluesy di Dylan , l’intensità lirica di texani come Townes Van Zandt o Guy Clark, miscelato con lo spirito di chi vive tra boschi e baracche. Down The River è il lavoro (per il vostro umile recensore) più riuscito ed equilibrato dai tempi indimenticabili degli esordi, una piccola gemma cantautorale che non merita di passare inosservata, al cospetto di tanti songwriters (erroneamente) celebrati.

Tino Montanari