Il Commiato Di Una Piccola Grande Band Folk-Rock Sconosciuta Ai Più. McDermott’s 2 Hours – Besieged

mcdermott's 2 hours

McDermott’s 2 Hours Vs Levellers & Oysterband – Besieged – On The Fiddle Recordings

Premetto che questo CD non è recentissimo, in effetti è uscito nel Febbraio di quest’anno, ma solo in questi ultimi giorni ne sono venuto in possesso, e dato che quasi certamente sarà l’ultimo di una carriera passata ai margini della scena musicale britannica, mi dà l’occasione finalmente per parlarvi di questa piccola grande band. I McDermott’s 2 Hours si sono formati a Brighton nel lontano ’86 dalle ceneri di altri due gruppi, e precisamente degli sconosciuti The Bliffs e The Crack, e sotto la guida del fondatore, compositore, cantante e drammaturgo Nick Burbridge, sono stati tra i primi a pensare di unire il folk irlandese con un tocco di “punk” (con Shane MacGovan come punto riferimento), e in seguito sono quindi diventati una folk-rock band. La formazione originale comprendeva oltre al citato Burbridge, Martin Pannett, Marcus Laffan, e Tim O’Leary, e suonando nei “pub” e nei “club” di Brighton e Londra si sono costruiti una solida reputazione per le loro esibizioni dal vivo “torrenziali” che sono diventate leggenda. Il loro esordio discografico avvenne con il baldanzoso Enemy Within (89), a cui fecero seguito tre album in collaborazione con i più famosi Levellers, e precisamente Wold Turned Upside Down (2000), Claws & Wings (03), e Disorder (04), per poi incidere da soli Goodbye To The Madhouse (07), le cui recensioni all’epoca sono state uniformemente positive; seguì una lunga pausa discografica (in cui si esibivano solo dal vivo), interrotta con la raccolta Anticlockwise (13) un The Best Of McDermott’s 2 Hours (venduto solo ai concerti), fino ad arrivare a questo conclusivo lavoro Besieged, registrato con alcuni amici e componenti sia dei Levellers che della Oysterband (abituali ospiti di queste pagine virtuali).

In quello che sembra l’ultimo capitolo della carriera musicale di Burbridge, il nostro si porta in studio l’ultima line-up della formazione composta dai violinisti Ben Paley e Tim Cottarel, Matt Goorney e Philippe Barnes alle chitarre, con il contributo della parte più “soul” dei Levellers, con Jeremy Cunningham  al basso e Simon Friend alle chitarre, e la sezione ritmica degli ultimi Oysterband con Dil Davies alla batteria, e Al Scott alle percussioni, tastiere, basso, mandolino e bouzouki, con un contributo familiare in veste di “vocalist” della figlia Molly Burbridge, sotto la produzione dello stesso Scott (che ricordiamo ha curato gli ultimi lavori degli stessi Levellers). Questo CD degli “assediati” parte con il potente brano d’apertura Firebird, dove sfacciatamente sembra di sentire il marchio di fabbrica del sound Levellers, seguito da una canzone popolare come Erin Farewell, dove si racconta una meravigliosa storia di lotta e fede, brano che vede protagonisti i tanti irlandesi che sono all’estero, come anche in This Child, altro brano di forte impatto emotivo che narra le sorti di bambini uccisi senza alcuna colpa, con l’accompagnamento dei violini “strazianti” di Ben e Tim.

Le storie proseguono con il grido di protesta di The Last Mile, canzone che pesca dalle influenze musicali dei mai dimenticati Pogues dello sdentato Shane MacGowan, con la band che poi si scatena nell’andamento baldanzoso di Forlon Hope, dove è proprio impossibile non muovere i piedini, mentre la dolce ballata All That Fall si avvale nel finale della voce suadente della brava Molly. Con The Warrior Monk, un’altra storia di guerra, sofferenza, sacrificio e tragedia, ci trasferiamo nel Medio Oriente, con un tessuto musicale di grande aggressività, cantato con rabbia, mentre la deliziosa  Crossed Lines è un’altra dolce ballata cantata da Burbridge in duetto con la figlia, brano che precede gli svolazzi violinistici della title track Besieged, un brano perfettamente in linea con il folk-rock style dei Waterboys. Le storie raccontate da Burbridge purtroppo volgono al termine con una The Damned Man’s Polka, dove tutti sono invitati a ballare sulla pista da ballo, con un crescendo di musica anglo-irlandese dove gli strumenti tradizionali sono in gran spolvero, le danze che proseguono con la tambureggiante All In Your Name, per andare infine a chiudere un lavoro splendido con la commovente e quasi recitativa The Ring, dove come sempre il violino e il cantato di Nick vi accompagnano con la mente e con il cuore attraverso i meravigliosi paesaggi della verde Irlanda.

I Levellers hanno sempre riconosciuto nella formazione dei McDermott’s 2 Hours “una grande influenza formativa”, e ora quindici anni dopo i due gruppi, come ricordato all’inizio, si sono ritrovati in studio  anche con membri della Oysterband, per questo Besieged, che non sembra un commiato finale, ma un lavoro che ha tutto ciò che serve per un album folk, un racconto magistrale di storie, del passato e del presente, con brani incisivi e pimpanti, fortemente radicati nella tradizione, suonati come Dio comanda (violini, percussioni, strumenti tradizionali, cori), e in cui Nick Burbridge non solo dà il meglio come musicista, ma pure come poeta e romanziere, un personaggio che è stato e continua a essere uno dei migliori cantautori di coloro che fanno parte della grande tradizione anglo-irlandese, e se questo veramente fosse il “canto del cigno” sarebbe (per chi scrive) un vero peccato, in quanto ogni ascolto di questo CD è davvero tempo ben speso, se mate il genere, ed è l’occasione di fare conoscenza con una delle folk band più sottovalutate del pianeta, che per motivi che sfuggono agli amanti della buona musica non ha avuto il successo che meritava, e forse neanche lo ha cercato!

*NDT Per chi fosse interessato ad avvicinarsi alla musica della band, ricordo che esiste anche una versione limited in 2 CD dell’album, con allegato proprio il dischetto antologico citato prima, Anticlockwise, il Best Of riepilogativo con altre 14 tracce.

Tino Montanari

Nuovo Album Per “Nostalgici” Da Parte Del Gruppo Di Billy Bob Thornton. Boxmasters – Speck

boxmasters speck

Boxmasters – Speck – Keentone/Thirty Tigers

Nel 2008 i Boxmasters esordivano addirittura con un doppio CD omonimo per la Vanguard , e lo stesso anno usciva anche un disco natalizio, allora il mercato discografico consentiva ancora queste follie. L’anno successivo un altro album per la Vanguard, poi una serie di dischi, cinque, pubblicati tra una esplosione di attività improvvisa e lunghe pause (nessun CD dal 2009 al 2015, poi 4 titoli tra 2015 e 2016 e uno nel 2018), fino ai giorni nostri in cui esce Speck, il nono della loro discografia. Non credo che il titolo faccia riferimento al famoso salume dell’Alto Adige, o forse sì, ma anche ad un granello, una pagliuzza nel mare magnum della musica, come si considera questo terzetto, nato da un’idea del premio Oscar Billy Bob Thornton, da sempre grande appassionato di rock ( e power pop, Atl-Country, Americana, rockabilly, British Invasion, voi lo pensate loro lo fanno), con alcuni album all’attivo, tra cui l’ottimo esordio del 2001 che conteneva una canzone dedicata all’allora consorte Angelina Jolie.

Insieme a Thornton, alla batteria e alla chitarra, ci sono J.D Andrew, basso, chitarre e fonico della band, nonché Teddy Andreadis, tastiere, armonica e altro, uno in pista da 40 anni circa, a lungo negli anni ’80 con Carole King: il risultato è naturalmente quanto più di “derivativo” vi possiate immaginare, a tratti delizioso nei risultati, specie in questo Speck, in cui ha collaborato con loro Geoff Emerick (scomparso lo scorso ottobre), il vecchio ingegnere del suono dei Beatles all’epoca di Revolver, Sgt Pepper, Abbey Road, White Album, che dà quell’accentuato tocco British Invasion, che fa sì che sembra di ascoltare, oltre ai Beatles, anche outtakes varie di Byrds e Big Star, oltre agli altri stili ricordati prima. Non so se sia un bene o un male, ma visto che il tutto ha comunque un forte profumo di sincerità e passione, a me il risultato non dispiace, meglio dichiarare esplicitamente le proprio influenze che camuffarle e presentarle come “nuove” e dirompenti variazioni sui temi del rock classico, come oggi fanno molti. Quindi la musica sarà anche un hobby per Billy Bob, ma visti i risultati diamogli il beneficio di inventario.

I Wanna Go Where You Go sembra un pezzo dei  primi Byrds, quelli influenzati a loro volta in pari misura da Beatles e Dylan, ed è pure bello, ma se lo faceva Tom Petty veniva giustamente osannato (e lo spessore era sicuramente un altro), Anymore è più vicina a classiche sonorità roots-rock con elementi country, la tipica chitarrona twangy con riverbero,  la brevissima acustica Shut The Devi Up, con tanto di trombone, sa di incompiuto, mentre Let The Bleeding Pray, con delicate e complesse armonie vocali, è una bella ballata con una melodia vincente. Here She Comes ha una andatura più mossa, ricorda sempre mille cose già sentite, un agglomerato di tutti i generi ricordati, ancora con retrogusti del Petty più malinconico; Day’s Gone è più dolce ed irrisolta, anche se a tratti affiora quello spirito gentile che era tipico della musica di George Harrison, con i dovuti distinguo.

Watchin’ The Radio è uno dei momenti più brillanti, il suono si ravviva, le chitarre si fanno più pressanti  e si percepisce una maggiore elettricità nell’aria https://www.youtube.com/watch?v=Ot6QtMBVOjU , con Someday che ricorda certe canzoni dolenti dei Byrds dylaniani quando la voce era quella di Gene Clark, sempre con il dovuto rispetto e solo per esplicare una impressione personale. Square torna alle influenze beatlesiane https://www.youtube.com/watch?v=3QgMMMWSCYc (anche per le” trombettine” squillanti alla Penny Lane), quelle sonorità che nei suoi primi anni ha frequentato anche, per intenderci, uno come Nick Lowe, benché nel suo caso i risultati erano ben più consistenti, qui sembra di prendere una tisana per la notte, buona e utile per la digestione, ma non memorabile. Una maggiore grinta traspare nella title track Speck, le chitarre e la batteria sono più presenti, il ritornello è accattivante, le armonie vocali al solito garbate, lasciando il commiato a Somebody To Say, che dopo una partenza attendista prende un po’ di slancio nella parte centrale. Per “nostalgici”, ma gustoso.

Bruno Conti

Due Giorni Con Gli Stones. Parte 2: Bridges To Bremen

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The Rolling Stones – Bridges To Bremen – Eagle Rock/Universal DVD – BluRay – 3LP – 2CD/DVD – 2CD/BluRay

Nel 1994 i Rolling Stones erano tornati alla grande dopo le incertezze degli anni ottanta (e senza Bill Wyman, dimissionario dopo il tour di Steel Wheels) con Voodoo Lounge, un grande album di rock’n’roll come ai bei tempi, al quale era seguita una tournée monumentale che aveva riportato i nostri ai fasti degli anni settanta, e dalla quale era stato tratto lo strepitoso live Stripped (e di recente la sua versione “completa”, l’imperdibile Totally Stripped https://discoclub.myblog.it/2016/06/24/21-anni-fa-era-imperdibile-ora-indispensabile-the-rolling-stones-totally-stripped/ , oltre al bellissimo doppio Voodoo Lounge Uncut dello scorso anno, tratto dal concerto di Miami https://discoclub.myblog.it/2018/11/22/ed-anche-questanno-si-conferma-lequazione-natale-live-degli-stones-the-rolling-stones-voodoo-lounge-uncut/ ). Nel 1997 i quattro (Mick Jagger, Keith Richards, Ronnie Wood e Charlie Watts, ma che ve lo dico a fa?) tornarono a sorpresa con Bridges To Babylon, un altro ottimo lavoro che non eguagliava in bellezza il predecessore ma si rivelava un disco intrigante che cresceva alla distanza. Altro mega tour ed altro live album (No Security, 1998) che però era singolo e preso da date diverse, e quindi non dava l’idea al 100% di un concerto delle Pietre. A rimediare alla mancanza provvede oggi ancora la Eagle Rock, responsabile sia di Voodoo Lounge Uncut sia di tutti i live d’archivio degli Stones usciti negli ultimi anni, con questo magnifico Bridges To Bremen, testimonianza dello spettacolo tenutosi il 2 Settembre 1998 nella città tedesca del titolo, al Weserstadion.

Ed il concerto (che esce nella solita quantità di configurazioni, dove come al solito manca quella solo audio a meno che non vogliate accaparrarvi il vinile) è davvero splendido, forse anche meglio di quello di Miami uscito lo scorso anno: Jagger e soci sono perfettamente rodati da un anno abbondante di tour alle spalle, ed offrono uno show pirotecnico, più di due ore di formidabile rock’n’roll come se non ci fosse domani, coadiuvati dalla solita band che li accompagna dagli anni novanta (Darryl Jones al basso, Chuck Leavell alle tastiere, la sezione fiati comandata da Bobby Keys, che era ancora tra noi, ed i cori di Lisa Fischer, Bernard Fowler e Blondie Chaplin). Lo show inizia subito in maniera potentissima con (I Can’t Get No) Satisfaction, brano che solitamente veniva posto in chiusura ma che funziona magnificamente anche come opener, subito seguita dal una scintillante Let’s Spend The Night Together e dall’allora nuova Flip The Switch, puro rock’n’roll tutto ritmo e chitarre, con poco spazio per tirare il fiato. Bridges To Babylon è rappresentato nella prima parte con l’accattivante (e funkeggiante) singolo Anybody Seen My Baby?, la vibrante Saint Of Me e soprattutto Out Of Control, il brano migliore dell’album del 1997, rock song sontuosa e dal crescendo trascinante. In quel tour i nostri inaugurarono la possibilità per i fans di votare un brano per ogni serata sul sito web della band, brano che poi sarebbe stato puntualmente eseguito: a Brema tocca alla splendida ballata Memory Motel, molto poco eseguita nel corso degli anni, un pezzo toccante che è anche uno dei rari casi (a memoria mi viene in mente solo Salt Of The Earth) in cui Jagger e Richards si alternano alle lead vocals.

A proposito di Richards, il solito spazio di due brani in cui Keith assume la leadership è qui occupato dalla nuova e cadenzata Thief In The Night e dalla rara Wanna Hold You (proviene da Undercover, ed è meglio di molto del materiale contenuto in quel disco); c’è poi un unico omaggio a Voodoo Lounge con la potente You Got Me Rocking, un muro del suono rock incredibile, ed una luccicante Like A Rolling Stone, classico di Bob Dylan che a quei tempi trovava spesso e volentieri spazio in scaletta. Ma un concerto degli Stones che si rispetti è anche una sorta di greatest hits, ed anche qui abbiamo riletture piene di grinta ed energia di una serie di evergreen che letti uno di fila all’altro fanno venire i brividi ancora oggi: Gimme Shelter (strepitosa), Paint It Black (grandissima versione anche questa), Miss You (12 minuti), una It’s Only Rock’n’Roll con l’ombra di Chuck Berry ed un finale da paura con Sympathy For The Devil, Tumbling Dice, Honky Tonk Women, Start Me Up, Jumpin’ Jack Flash, You Can’t Always Get What You Want e Brown Sugar una dopo l’altra, una raffica che lascia senza respiro anche a 21 anni di distanza. La parte video contiene quattro canzoni in più, registrate al Soldier Field di Chicago nell’ambito dello stesso tour: Rock And A Hard Place, Under My Thumb, Let It Bleed e la rara All About You.

Altro grande live album quindi, ennesima imperdibile gemma che entra a far parte della discografia di un gruppo di fenomeni veri, la più grande rock’n’roll band di tutti i tempi.

Marco Verdi

Due Giorni Con Gli Stones. Parte 1: Rock And Roll Circus

rolling stones rock and roll circus

The Rolling Stones & Friends – Rock And Roll Circus – ABKCO 2CD – 3LP – Deluxe 2CD/DVD/BluRay Box Set

Nel 1968 i Rolling Stones erano ai massimi della loro popolarità, avendo dato alle stampe quello che all’epoca era il loro capolavoro, Beggars Banquet (che inaugurò un filotto di quattro album consecutivi da cinque stelle, uno in più se includiamo anche il live Get Yer Ya Ya’s Out, un record ad oggi imbattuto). Per capitalizzare ulteriormente il successo a Mick Jagger e soci venne in mente il progetto Rock And Roll Circus, un vero e proprio spettacolo equestre con trapezisti, clown, mangiafuoco ed attrazioni varie che si alternavano a performance musicali di alcuni degli artisti più in voga all’epoca, con gli Stones stessi nel ruolo di maestri di cerimonie e “numero” principale. Girato in uno studio di Londra da Michael Lindsay-Hogg (che da lì a breve diventerà famoso per essere il regista delle immagini che andranno a formare il docu-film Let It Be dei Beatles, incluso il celebre concerto sul tetto) e con uno stage che ricreava un vero e proprio circo, lo spettacolo vedeva ospiti di grande prestigio: infatti, oltre agli Stones, parteciparono alla serata gli Who, John Lennon (e consorte), Eric Clapton, Taj Mahal, Marianne Faithfull ed una band che all’epoca aveva un solo album all’attivo ma che in futuro avrebbe fatto parlare abbastanza di sé, vale a dire i Jethro Tull (e pare che nell’idea iniziale fossero previsti anche i Led Zeppelin).

Girato nel mese di Dicembre, il film-concerto avrebbe dovuto essere trasmesso dalla BBC durante le feste di Natale, ma la programmazione venne cancellata per motivi mai realmente chiariti (pare che Jagger non fosse del tutto soddisfatto della performance del suo gruppo, a suo dire surclassata da quella degli Who) e poi, anche a causa della morte di Brian Jones avvenuta dopo pochi mesi, finita nel dimenticatoio per ben 28 anni. Nel 1996 infatti venne finalmente pubblicata la versione “broadcast” sia su CD che su VHS, e nel 2004 anche in DVD con varie tracce bonus (in formato solo video): ora la ABKCO, che detiene ancora i diritti sulle canzoni degli Stones per quanto riguarda gli anni sessanta, pubblica forse la versione definitiva, con un secondo CD di brani aggiuntivi (cinque dei quali sono però gli stessi del DVD del 2004, però per la prima volta in formato audio), la prima volta in assoluto in vinile (triplo) ed un box deluxe con i due CD, il DVD ed anche l’esordio del BluRay. Dal punto di vista visivo il film è una tipica e coloratissima espressione dell’epoca in cui è stato girato, con sgargianti costumi che fanno venire in mente la Swingin’ London (ma anche la copertina di Sgt. Pepper), mentre da quello musicale il Rock And Roll Circus è ancora attualissimo oggi, con diverse performance potenti e di grande livello.

 

Dopo un’introduzione circense, ecco proprio i Jethro Tull con la nota Song For Jeffrey, eseguita in playback ma con voce e flauto di Ian Anderson rigorosamente dal vivo (particolare curioso, il chitarrista presente on stage è il futuro fondatore dei Black Sabbath, Tony Iommi, nell’unica testimonianza di sempre come membro dei Tull – fu all’interno del gruppo per appena due settimane – ma siccome la sua traccia è in playback in realtà la chitarra che sentiamo è ancora quella di Mick Abrahams); subito dopo gli Who con una roboante versione della splendida mini-suite A Quick One, While He’s Away: il quartetto è in grande forma, con Keith Moon al massimo della sua devastante potenza ai tamburi, ed offre una delle migliori performance della serata. E’ il turno di Taj Mahal con una vigorosa e grintosa rilettura di Ain’t That A Lot Of Love di Sam & Dave, più rock che soul, con elementi quasi swamp ed ottima prestazione vocale (il secondo chitarrista è Jesse Ed Davis); Marianne Faithfull si distingue con una gentile e leggiadra Something Better, con base strumentale pre-registrata, mentre uno degli highlights della serata è sicuramente l’intervento dei Dirty Mac, un supergruppo estemporaneo con John Lennon alla voce e chitarra ritmica, Eric Clapton alla solista, Keith Richards al basso (!) e Mitch Mitchell della Jimi Hendrix Experience alla batteria: i quattro offrono una versione tostissima della beatlesiana Yer Blues, in cui Lennon si dimostra un grande cantante e Clapton un chitarrista supremo (avrei fatto a meno invece di Whole Lotta Yoko, sempre con i Dirty Mac – ed il violinista israeliano Ivry Gitlis – ma anche con le urla belluine di Yoko Ono).

Ed ecco il piatto forte della serata, cioè la performance dei Rolling Stones, un’ottima prestazione nonostante i dubbi di Jagger, con tre classici che fanno parte ancora oggi delle scalette dei loro concerti (Jumpin’ Jack Flash, asciutta e diretta, You Can’t Always Get What You Want e Sympathy For The Devil), il coinvolgente e ritmato blues Parachute Woman, la splendida No Expectations, con Jones impeccabile alla slide ed il piano di Nicky Hopkins, e soprattutto una limpida rilettura della meravigliosa Salt Of The Earth, tra le ballate più belle di sempre dei nostri. Il secondo dischetto come dicevo prima offre le tracce che nel 2004 erano uscite solo in video: oltre a due performance del pianista classico Julius Katchen abbiamo altri tre pezzi con Taj Mahal protagonista, una stupenda versione del classico di Sonny Boy Williamson Checkin’ Up On My Baby, puro blues d’alta classe, una lunga e vibrante Leaving Trunk (Sleepy John Estes) e la gradevole e solare rock ballad Corinna, che non è il traditional dal titolo simile ma un originale del chitarrista di colore. Ma il pezzo forte di questo CD bonus sono tre brani inediti dei Dirty Mac riscoperti solo di recente, ovvero una versione alternata di Yer Blues https://www.youtube.com/watch?v=UikHIsQl1Kg , una interessante jam di riscaldamento intitolata appunto Warmup Jam e soprattutto un rehearsal basato sul classico dei Fab Four Revolution, perfettamente in equilibrio tra blues e rock’n’roll ma che purtroppo si interrompe dopo due minuti https://www.youtube.com/watch?v=7FD0ffegRZQ  (anche se a dire il vero neppure ora il concerto è completo, in quanto manca ancora Fat Man dei Jethro Tull). Una valida ristampa, imperdibile se non avete le precedenti edizioni: domani ci occuperemo ancora di Rolling Stones, ma con un balzo in avanti di ben 30 anni.

Marco Verdi

La Sua Prima Volta Dal Vivo In Europa. Paul Butterfield Band – Live At Rockpalast 1978

paul butterfield band live at rockpalast

Paul Butterfield Band – Live At Rockpalast 1978 – CD/DVD MIG/Made In Germany

Prosegue la doverosa e nutrita serie di pubblicazioni discografiche dedicate a Paul Butterfield: dopo la recente ristampa del doppio Live del 1970 https://discoclub.myblog.it/2019/05/15/uno-splendido-disco-restaurato-e-ristampato-butterfield-blues-band-live/ , alcune registrazioni inedite del periodo anni ’60 con Bloomfield e Bishop, il box dell’opera omnia 1965/1980, il live inedito dei Better Days, ora tocca a questo disco Live At Rockpalast del 1978, che segnò la prima esibizione dal vivo dell’armonicista e cantante americano in Europa, sotto il moniker Paul Butterfield Band. Volendo proprio essere completamente onesti il concerto era giù uscito una decina di anni fa, ma non nel formato CD+DVD, come Blues Rock Legends Vol. 2, però non essendo più disponibile da tempo, chi lo aveva mancato al primo giro potrebbe farci un pensierino in quanto si tratta di un buon concerto che illustra un lato più vicino al rock, al funky, al soul (presenti comunque anche nella versione anni ’70 di Butterfield), oltre all’immancabile blues: e anche la band che accompagna Paul in questo concerto, registrato alla mitica Grugahalle di Essen per la televisione tedesca il 9 settembre del 1978, è abbastanza inconsueta.

Una sezione ritmica “nera” (ma questo era normale fin dagli inizi della Butterfield Blues Band), con Ernest “Boom” Carter, uno dei primi batteristi della E Street Band, e Bobby Vega al basso, partito con il funky di Sly Stone e la jazz-fusion di Ronnie e Hubert Laws, ben due chitarristi elettrici, di quelli tosti, il rientrante Buzzy Feiten, già nella PBBB sul finire degli anni ’60 (Woodstock compresa), e Peter Atanasoff, poi praticante dell’alternative rock negli anni ’90 con Tito & Tarantula ed altri, quindi niente tastiere e fiati. Il suono è perciò più grintoso, duro e tirato rispetto ad altri periodi della formazione. Lo dimostra subito l’iniziale Fair Enough, una gagliarda esplosione di funky-rock, con le chitarrine impazzite di Feiten e Atanasoff, il basso super rotondo di Vega, su cui si innesta l’armonica di Butterfield, un po’ coperta nel mixaggio, ma sempre capace di grandi virtuosismi in questo strumentale; One More Heartache, un brano di Smokey Robinson, era già nel repertorio del gruppo dal lontano 1967, un pezzo soul gioioso virato verso il blues elettrico con maestria, grazie alla voce potente del nostro, con chitarre ed armonica a dividersi gli spazi solisti. Fool In Love, con un wah-wah travolgente, ricorda per certi versi il suono nerboruto della J.Geils Band, rock e blues che vanno a braccetto https://www.youtube.com/watch?v=T0FTz8msonc , per poi stemperarsi nelle classiche 12 battute di una ritmata e solenne New Walking Blues, di nuovo con l’armonica in grande spolvero, anche se il suono rimane decisamente “elettrico”.

La successiva It’s Alright sposa nuovamente l’arena rock, sia pure di qualità, in auge in quegli anni, poco blues, ma una buona ballata struggente. Di nuovo blues-rock con una travolgente Going Down di Don Nix, a tutte chitarre e con un sound ispirato dalla versione di Jeff Beck, anche se l’armonica cerca di farsi strada nell’impeto quasi hard della band, mentre la classica Born Under A Bad Sign di Booker T. via Albert King, è chiaramente ispirata dalla rilettura dei Cream, sempre in modalità hard-rock. Just When I Needed You Most  è una ballata francamente alla camomilla, scritta da Randy VanWarmer e che forse ci poteva essere risparmiata, in quanto non c’entra molto con il passato glorioso di Butterfield, che comunque si riscatta nella conclusiva lunghissima Be Good To Yourself, da sempre uno dei centrepiece dei concerti dell’armonicista di Chicago, dieci minuti abbondanti dove il blues (rock) venato di funky/soul riprende il sopravvento nella dinamica del concerto, tra chitarre fiammeggianti  e l’armonica suonata sempre con vigore https://www.youtube.com/watch?v=dT0K7pgjzgw . Il DVD contiene anche una intervista di 10 minuti. Una delle ultime oneste prove del buon Paul che il 4 maggio dell’87 ci lascerà a causa di una overdose, neppure a 45 anni. Peccato.

Bruno Conti