Il Ritorno Di Uno Dei Grandi Texani! Joe Ely – Panhandle Rambler

joe ely panhandle rambler

Joe Ely – Panhandle Rambler – Rack’em CD

In realtà non se ne era andato da nessuna parte, ma comunque negli ultimi vent’anni la carriera di Joe Ely, texano doc, ha subito un deciso rallentamento, con una media di almeno quattro anni tra un disco e l’altro (e difatti il suo precedente lavoro, l’ottimo Satisfied At Last, è del 2011). Ma Joe, a parte gli inizi, quando pubblicava un LP all’anno, è sempre stato così, i dischi li ha sempre pensati e meditati, e fatti uscire quando davvero pensava ne valesse la pena, con il risultato di farlo entrare nel ristretto club di musicisti che non hanno (quasi) mai sbagliato un disco (solo un paio di tentennamenti: Hi-Res del 1984, che aveva buone canzoni ma pativa la scelta di Joe di dare al suono una veste moderna ed elettronica, e Happy Songs From The Rattlesnake Gulch del 2007, al quale invece mancavano proprio le canzoni): questo però non gli ha certo aperto le porte della celebrità e del successo, nonostante io (e non solo io) lo consideri uno dei grandi (ma ha sempre avuto anche la stima incondizionata di grandi colleghi, Bob Dylan e Bruce Springsteen su tutti).

E’ stato lasciato a piedi ben due volte da una major (tra l’altro la stessa, la MCA), ma lui se ne è giustamente fregato e, dopo aver girato alcune etichette indipendenti anche di buon nome (Hightone, Rounder), ha deciso dal 2007 di distribuire da solo i propri dischi. Panhandle Rambler (il Panhandle, letteralmente “manico della padella”, è la zona a nord del Texas, quella quadrata per intenderci, nella quale sorgono sia Lubbock, città della quale Joe è originario, che Amarillo, dove è nato) è quindi il suo nuovissimo lavoro: dodici canzoni di puro e classico Joe Ely, nel quale il nostro rivisita un po’ tutti gli stili esplorati durante una carriera ormai quarantennale, passando con disinvoltura dal rock al country, dalla ballata dal sapore messicano al folk, con il sigillo della sua splendida voce, per nulla scalfita dal passare degli anni. Tra i musicisti che lo accompagnano in questa nuova avventura troviamo quasi tutti i nomi presenti anche in album del passato, da Gary Nicholson a Lloyd Maines a Joel Guzman, passando per Glen Fukunaga ed il formidabile chitarrista flamenco olandese Teije Wijnterp (l’ho visto anni fa dal vivo nella band di Joe e credetemi ne vale la pena), in aggiunta ad altri di ottimo valore, sotto la produzione di Ely stesso.

Panhandle Rambler è un buon disco, che ci fa ritrovare un musicista ispirato e ancora voglioso di fare musica anche se non è un capolavoro, ma il classico album da tre stelle e mezza: Joe è andato sul sicuro, si è preso pochi rischi e ha preferito dare ai suoi fans esattamente quello che si aspettano da lui, con qualche guizzo ma anche un paio di episodi minori; inoltre, credo che se si rivolgesse ad un produttore esterno in grado di dare più profondità e sfaccettature al suono (Maines sarebbe perfetto) tutto l’insieme ne guadagnerebbe, così com’è in alcuni punti il sound appare un po’ monolitico (e comunque avercene di dischi così, sia chiaro).

L’album inizia con Wounded Creek: avvio lento, con Teje che arpeggia da par suo, odore di border e la voce limpida e chiara di Joe che avvolge il tutto, un brano comunque simile a molti altri scritti dal nostro in passato. Magdalene è una resa toccante e piena di pathos di una ballad scritta da Guy Clark, gli strumenti sono pochi ma i brividi lungo la schiena non mancano, specie quando entra la fisa di Guzman; Coyotes Are Howlin’, introdotta da un basso pulsante e dalla chitarra flamenco è il tipico brano epico del nostro, una di quelle cavalcate nella prateria alle quali Joe ci ha abituato nel corso degli anni, ma che è sempre un piacere ascoltare. Ogni disco di Ely che si rispetti deve avere almeno una canzone dell’amico Butch Hancock, e qui troviamo When The Nights Are Cold, un’intensa ballata guidata dall’accordion, passo strascicato e struttura classica, cantata da Joe con la consueta espressività; la saltellante Early In The Mornin’ è un gustoso country-folk elettroacustico, con un motivo centrale che si fischietta dopo due ascolti.

La spedita Southern Eyes è un rockabilly texano che uno come Joe è in grado di scrivere mentre dorme, non particolarmente originale (e dura almeno due minuti di troppo), Four Ol’ Brokes ha il classico sapore del western di confine, anche se stenta a decollare, mentre Wonderin’ Where è una rock ballad limpida ed ariosa, una di quelle per cui Joe è noto, ed è una delle più riuscite del CD. Ancora meglio Burden Of Your Load, un intrigante uptempo dalla melodia che si insinua sottopelle ed una performance spettacolare di Guzman, mentre Here’s To The Weary è un godibilissimo western swing fatto alla maniera di Joe, e cioè con un arrangiamento quasi rock. Chiudono il CD la sinuosa Cold Black Hammer e la potente You Saved Me, una rock song elettrica e vibrante che ci fa ritrovare il musicista di dischi come Love And Danger.

Non sarà il suo disco migliore ma, come già detto, questo è il Joe Ely del 2015, prendere o lasciare: e noi, volentieri, prendiamo.

Marco Verdi

Novità Di Settembre Parte III. Marvin Gaye, Richard Hawley, Joe Ely, Mercury Rev, Dave Rawlings Machine

marvin gaye volume one

Ancora un paio di titoli in uscita l’11 settembre e poi passiamo a quelli del 18 settembre. Questo è un cofanetto molto interessante, già uscito mesi fa in versione vinile, contiene i primi sette album di Marvin Gaye, che verranno ristampati, sempre in LP, anche singolarmente. Si intitola Marvin Gaye Volume One 1961-1965 (e quindi fa presumere che si saranno dei seguiti con gli album successivi)  e conterrà i primi dischi usciti per la Tamla Motown:

THE SOULFUL MOODS OF MARVIN GAYE” (1961)
THAT STUBBORN KIND OF FELLOW” (1963)
“WHEN I’M ALONE I CRY” (1964)
“HELLO BROADWAY” (1964)
“TOGETHER” With MARY WELLS (1964)
“HOW SWEET IT IS TO BE LOVED BY YOU” (1965)
“A TRIBUTE TO THE GREAT NAT KING COLE” (1965)

Ovviamente distribuzione Universal e prezzo super speciale, dovrebbe costare una trentina di euro, poco più o poco meno.

richard hawley hollow meadows

Anche Richard Hawley, che ha militato per un breve periodo nei Pulp, pubblica il suo nuovo album, Hollow Meadows, decimo della serie contando anche un paio di mini e un live. L’etichetta è sempre la Parlophone distr. Warner, è stato registrato allo Yellow Arch Studio di Sheffield nella primavera del 2015 e contiene undici brani.Tra gli ospiti Martin Simpson, che suona slide e banjo in Long Time Down, Nancy Kerr, violino e viola in The World Looks Down, I Still Want You e Nothing Like A Friend, un brano ispirato dalla grande folksinger Norma Waterson, Heart of Oak e la partecipazione del vecchio amico Jarvis Cocker in Nothing Like A Friend.

Questo signore è veramente bravo e l’album promette bene.

joe ely panhandle rambler

Un altro signore che non ha bisogno di presentazioni è Joe Ely che pubblicherà il 18 settembre il suo nuovo album Panhandle Rambler su etichetta Rack’em Records. Ci sono poche informazioni sull’album al momento, vado sulla fiducia, anche se David Grissom che è tornato come chitarrista nell’ultimo tour americano non sarà nell’album, i solisti annunciati sono Lloyd Maines, Robbie Gjersoe e Jeff Plankenhorn , più Teye, Glenn Fukunaga al basso, Joel Guzman alla fisarmonica e sempre tra i musicisti anche Davis McLarty, Pat Manske, Warren Hood, questi i titoli delle canzoni:

01. Wounded Creek
02. Magdalene
03. Coyotes Are Howlin’
04. Where the Nights Are Cold
05. Early in the Morning
06. Southern Eyes
07. Four Ol’ Brokes
08. Wondering Where
09. Burden of Your Load
10. Here’s to the Weary
11. Cold Black Hammer
12. You Saved Me

Dave Marsh, che è uno di cui mi fido ha detto che l’album è un classico, e a giudicare dal brano d’apertura dovrebbe averci preso

mercury rev the light in you

Nuovo album anche per i Mercury Rev, titolo The Light In You, etichetta Bella Union, data di uscita sempre il 18 settembre. Non c’è più David Fridmann dietro alla console e quindi la band si autoproduce. Sono passati sette anni dal precedente disco, ma a giudicare da un paio di anticipazioni dal disco che ascoltate sotto, non sembrano avere perso il “tocco”-

dave rawlings machine nashville oboslete

Attribuito a Dave Rawlings Machine, questo nuovo Nashvile Obsolete, come si desume dalla copertina, vede anche la presenza di Gillian Welch, nonché di Paul Kowert (Punch Brothers) al basso, e Willie Watson,  ex Old Crow Medicine Show, alla voce e chitarra. Ospiti Brittany Haas (fiddle) e Jordan Tice (mandolino). Sono “solo” sette canzoni, ma niente paura non è un mini album. almeno a giudicare dalla durata dei brani:

1. The Weekend 5:29
2. Short Haired Woman Blues 6:43
3. The Trip 10:55
4. Bodysnatchers 5:56
5. The Last Pharaoh 3:37
6. Candy 4:10
7. Pilgrim (You Can’t Go Home) 7:57

Etichetta come al solito Acony Records e questa è una anticipazione live di un brano che sarà sul CD.

Questo è quanto ho fatto in tempo a preparare per oggi, il seguito nei prossimi giorni.

Bruno Conti

Una Epica Saga Del West Lunga Quarant’Anni ! Tom Russell – The Rose Of Roscrae A Ballad Of The West

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Tom Russell – The Rose Of Roscrae – Frontera/Proper Records – 2 CD

Con questo ambizioso nuovo lavoro The Rose Of Roscrae (A Ballad Of The West), Tom Russell chiude una trilogia iniziata con The Man From God Knows Where (98), una saga familiare che narra la storia della famiglia Russell attraverso le varie generazioni, dall’Irlanda agli Stati Uniti, proseguita con Hotwalker (05) un viaggio a ritroso nella memoria e nella storia dell’America  (che coinvolge personaggi del calibro di Charles Bukowsky, Jack Kerouac, Lenny Bruce, Virginia Brown, etc), chiudendo il cerchio con questa epica “saga” popolare, che si sposta dall’Irlanda al Texas, dalla California al Messico, attraversa le pianure e raggiunge il Canada, per 52 tracce (molte narrate, la maggior parte cantate) e con la durata totale di 150 minuti, raccolta in 2 CD, di una storia affascinante.

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Prodotto da Tom Russell e Barry Walsh The Rose Of Roscrae dispone di un gotha di leggendari icone americane tra cui: Jimmie Dale Gilmore, David Olney, Johnny Cash, Joe Ely, Ian Tyson, Augie Meyers, Fats Kaplin, Jimmy LaFave, Ramblin Jack Elliott, Jack Hardy, John Trudell, David Massengill, Guy Clark, Dan Penn, e grandi voci femminili come Eliza Gilkyson, Maura O’Connell, Gretchen Peters e altri che non elenco per non rubare ulteriore spazio.

La “saga” racconta la storia di un giovane irlandese di 16 anni nativo di Templemore, tale Johnny Dutton, che raggiunge l’America alla fine del 1880 per diventare un cowboy, lasciandosi alle spalle il suo primo amore, la rosa di Roscrae, e l’overture, come nei migliori colossal è affidata alla voce drammatica di Jimmie Dale Gilmore, poi durante il percorso troviamo la voce inconfondibile di Johnny Cash in Sam Hall, una fantastica ballata irlandese, come la title track The Rose Of Roscrae https://www.youtube.com/watch?v=dBh3sl3vAa8 , e la melodia trascinante di Hair Trigger Heart, cantate con passione da Tom Russell https://www.youtube.com/watch?v=xfv8rmh5B5Q , incontrando poi sulla strada la coppia Jimmy LaFave e Gretchen Peters, alle prese con una delicata Ain’t No More Cane On The Brazos, un’altra dolce ballata texana come The Hands Of Damien, le note commoventi di Carriekfergus con Finbar Furey, passando per i canti indiani Crazy Horse e Custer’s Luck che non potevano che essere cantati da John Trudell, in coppia con Thad Beckman, andando a chiudere la prima parte di percorso con una commovente She Talks To God affidata nuovamente alla voce di Tom Russell  https://www.youtube.com/watch?v=dNQWuga7Gjs. La seconda parte del viaggio vede la bellissima voce di una rediviva Maura O’Connell declamare come una preghiera l’immortale The Water Is Wide, e riprendere dal punto di vista femminile I Talk To God, lasciando poi spazio alle voci di Eliza Gilkyson in The Bear e The Railroad Boy, e ancora Gretchen Peters, in una straziante ninna nanna messicana come Guadalupe https://www.youtube.com/watch?v=5AOvny2s8Pg , andando poi sul sicuro con una nuova versione del classico Gallo Del Cielo del duo Joe Ely e Ian Tyson, e una versione francofona di Bonnie Dobson del tradizionale En Canadien Errant, per poi calare un tris d’assi come Jimmie Dale Gilmore, Guy Clark e Dan Penn in un medley di Desperados Waiting For A Train (una delle più belle canzoni di sempre), per poi ritornare alle atmosfere irish con The Stable, e il viaggio nei ricordi dell’ormai anziano Johnny Dutton, non poteva che chiudersi con la ripresa da parte di Maura O’Connell (e la sua magnifica voce) di The Rose Of Roscrae, per un lavoro che si candida fin d’ora a essere uno dei dischi dell’anno (l’unico piccolo difetto, forse è un po’ troppo lungo).

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Ultimando questa “trilogia” con The Rose Of Roscrae Tom Russell ha firmato il suo capolavoro, il nostro è un artista che per oltre quattro decenni e con 28 album alle spalle (se non ho sbagliato i conti) ha scritto una serie di canzoni che sono state interpretate dai musicisti più disparati, tra i quali ricordiamo Johnny Cash, Joe Ely, Jerry Jeff Walker, Suzy Bogguss, Nanci Griffith, Dave Alvin, Peter Case, Hugh Moffatt, e ancora tra gli altri Barrence Whitfield, con cui ha inciso due splendidi album Hillbilly Voodoo (93) e Cowboy Mambo (94) ormai introvabili, migliorando negli anni la sua scrittura e incidendo dischi che sono delle vere e proprie operazioni culturali, e sarebbe un delitto non accorgersi della bravura di questo personaggio, specialmente dalle nostre parti e  per i lettori (spero molti) di questo blog. Epico!

Tino Montanari

Sotto Un Cappello Texano…Tanta Buona Musica ! Ryan Bingham – Fear And Saturday Night

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Ryan Bingham – Fear And Saturday Night – Axster Bingham Records

Nel giro di qualche anno, a partire dal suo esordio reale con Mescalito (07) (prima erano stati pubblicati Lost Bound Rails, Wishbone Saloon e Dead Horses, dischi da tempo introvabili), Ryan Bingham è diventato un personaggio importante del circuito musicale americano. Dopo il grande successo di Mescalito (accolto benissimo anche dalle nostre parti) https://www.youtube.com/watch?v=MRDNPo1_Q0w , per Ryan obiettivamente era difficile bissare un lavoro così fresco, energico e ispirato, ma il “nostro” c’era, a tratti,  riuscito, prima con i successivi Roadhouse Sun (09) e Junky Star (10), vincendo anche l’Oscar con la canzone The Weary Kind (dal film Crazy Heart di cui era tra gli interpreti) https://www.youtube.com/watch?v=4Aqh7XZUaW4 , poi Bingham ha voluto, o dovuto, cambiare, fondando la sua casa discografica Axster Bingham Records e distribuendosi da solo, una scelta che si è rilevata discutibile, abbandonando il produttore T-Bone Burnett per Justin Stanley, e il risultato è stato  un disco interlocutorio come Tomorrowland (12). Per questo nuovo Fear And Saturday Night, il “texano” si avvale di nuovo di una produzione “importante”, Jim Scott (Wilco, Tom Petty, Stones, Grace Potter & The Nocturnals), e di una nuova band composta da Shawn Davis al basso, Daniel Sprout e Jedd Hughes alle chitarre, Chris Joyner alle tastiere e Nate Barnes alla batteria: risultato, una cinquantina di minuti di musica di nuovo “polverosa”, con testi scritti come da abitudine nella sua roulotte e cantati come sempre con la sua voce rauca intrisa da whisky.

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“Le paure del sabato notte” si aprono con il cadenzato country-rock di Nobody Knows My Trouble https://www.youtube.com/watch?v=cg3HfOaC4KE  e proseguono con una ballata elettrica e “dylaniana” come Broken Heart Tattoos https://www.youtube.com/watch?v=-y0GB5QNj84 , il blues chitarristico di Top Shelf Drug, passando per le atmosfere folk di Island In The Sky https://www.youtube.com/watch?v=4Dz2vSu0kkE, il ritmo da frontiera messicana in Adventures Of You And Me, e la title track Fear And Saturday Night, che è figlia di The Weary Kind, un brano quasi narrato, con la chitarra che traccia le linee armoniche e la voce roca di Ryan che dà il suo meglio. Una chitarra acustica apre My Diamond Is Too Rough https://www.youtube.com/watch?v=aDFpHvTucw4 , poi la canzone si tramuta in una ballata elettrica con un bel percorso di chitarre nel finale, mentre Radio ripercorre i sentieri cari al Neil Young di Harvest, per poi tornare alle pennellate acustiche e romantiche di Snow Falls In June e ad un brano pieno di “pathos” come Darlin, arrivando all’alba delle “paure” con il blues elettrico di Hands Of Time velocizzato in un “Bo Diddley style”, e il fatto di saper fare grande musica lo conferma con la conclusiva Gun Fightin’ Man, cadenzata, sofferta e tesa, con un tocco acido di blues che si fonde in modo mirabile con l’armonica di Bingham.

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Fear And Saturday Night anche se forse non è al livello dei primi lavori, è sicuramente superiore di due spanne al precedente lavoro in studio, (anche per merito di Jim Scott che ha aggiunto quel “quid” che ha reso più efficace la musica di Ryan Bingham), e se anche il nostro non diventerà come Steve Earle o Joe Ely (come qualcuno ha azzardato), ha tutte le possibilità di proseguire un viaggio che potrebbe davvero portarlo a ridosso dei grandi “rocker” del Texas. Per chi scrive, uno dei migliori “road album” di questo inizio d’anno !

Tino Montanari

Non Solo Cowboys, Tantissime Belle Canzoni! Tom Russell – The Western Years

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Tom Russell – The Western Years – Rockbeat Records 2 CD

Tom Russell è uno dei migliori cantautori americani! Partiamo da questo assunto, e lo accantoniamo momentaneamente. L’arte della raccolta (di successi, ma qui non ne vedo), della compilation, se preferite, è un mestiere difficile da praticare. O ti lanci sui Greatest Hits, ma come detto in questo caso neanche l’ombra (per quanto, tra le cover qualcosa c’è), oppure sui Best Of, ma si può provare anche con la raccolta a tema. E questo The Western Years mi sembra rientri di diritto nella categoria. Compilati dallo stesso Russell, con l’aiuto di James Austin (o viceversa) i 2 CD non seguono la sequenza cronologica, che di solito è il modus operandi preferito per questi progetti, ma pescano qui e là nella copiosa discografia del nostro: 8 brani vengono da Indians Cowboys Horses Dogs (già i titoli dei dischi di Tom sono uno spettacolo in sé), 6 da Borderland, 5 da The Man From God Knows Where, uno ciascuno da The Rose Of San Joaquin e Hot Walker, 5 da un’altra antologia, Song Of The West – The Cowboy Collection, uno da Love And Fear e 2 da Blood and Candle Smoke, quello più recente, del 2009, più tre brani registrati dal vivo a Columbus, Ohio il 9/11/97, che sono la quota di inediti di questa antologia.

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Quindi sono raccolti gli anni che vanno dal 1995 al 2009: mancano le “origini”, quelle con Patricia Hardin, in un’altra vita, prima che il nostro amico, californiano di nascita, si trasferisse a New York, per sbarcare il lunario, per un breve periodo, facendo il tassista, come racconta lui stesso in un sapido aneddoto nelle note, che coinvolge il grande paroliere Robert Hunter, a cui uno sfiduciato ma sempre combattivo Russell fece sentire una canzone, che poi si rivelò essere Gallo Del Cielo https://www.youtube.com/watch?v=w2PUuTdei7k . Inutile dire che Hunter lo incoraggiò a riprendere la carriera di cantautore, ma ci voleva un sordo o un rappresentante di qualche casa discografica per non accorgersi del talento di questo signore. Ma questa è un’altra storia, lontana nel tempo, anche se parte tutto da lì, quella che dal 1984 al 1994 lo vide pubblicare una decina di album per la Philo Records, prima di approdare alla Hightone che gli pubblicò tutti gli album da cui attinge questa antologia. Il West è la “scusa” per questa raccolta, ma, diciamocelo francamente, Tom Russell è un grande narratore per canzoni, storie di vita e di eventi, piccoli e grandi, bozzetti che sono come racconti, dove ogni canzone è in sé una piccola poesia in musica (e che musica), il tutto cantato con una passione e una partecipazione che ha pochi riscontri nell’attuale canzone “popolare” americana (al sottoscritto la sua voce ricorda moltissimo quella di Guthrie Thomas, altro “grande”, ingiustamente dimenticato).

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Giustamente lo si accosta al filone texano, Joe Ely, Guy Clark, Terry Allen, Butch Hancock, Robert Earl Keen, Lyle Lovett, e se ne potrebbero aggiungere a decine, sono spiriti affini, ma Russell ha collaborato anche con Dave Alvin e Ian Tyson che certo texani non sono, e il suo autore preferito, spesso eseguito (in questa antologia ci sono due brani) è il sommo Bob Dylan. Però come ricordano alcune interviste riportate nell’interessante libretto che correda questo doppio, Tom si considera una persona del sud ovest, un Southwestern man, nel Texas ormai risiede il suo cuore, e probabilmente anche se vivesse in Groenlandia lo spirito dei suoi brani sarebbe sempre pervaso da questa idea di “West”. Poi le storie possono raccontare di galli da combattimento con un occhio solo, Gallo del Cielo, qui in versione live, ma secondo chi scrive, insuperabile nella versione donata agli annali della musica da Joe Ely in Letter To Laredo, ma anche canzoni tra fiction e realtà, come la bellissima Sitting Bull In Venice, che narra dell’incontro di Toro Seduto con la calli veneziane, quando venne in Europa insieme al circo di Buffalo Bill, https://www.youtube.com/watch?v=fIZlmjfwW4Y  o ancora i piccoli noir alla Raymond Chandler di The Man From God Knows Where che ci raccontano storie ambientate nella Los Angeles anni ’50, nell’infanzia di Russell. Ma anche semplicemente belle canzoni sentimentali e malinconiche come Bucking Horse Moon https://www.youtube.com/watch?v=1yTB0lVQHY0 , per non dire di un brano stupendo come California Snow, scritta con Dave Alvin, che non sentivo da anni e mi è parsa nuovamente bellissima https://www.youtube.com/watch?v=GzJNDxmAuFE . In fondo lo scopo di questa antologia è anche questo: riscoprire vecchie canzoni che magari non si ascoltavano da anni e, sentite tutte insieme fanno proprio un bel effetto.

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Certo comprarsi un doppio per tre inediti live (ovviamente chi ha già tutto, e chi legge questo spazio temo appartenga alla categoria) è una follia, in questi tempi duri di spending review; gli altri due dal vivo sono Navajo Rug https://www.youtube.com/watch?v=5JW_kl-2d78 , cantata con Katy Moffatt e The Sky Above, The Mud Below http://discoclub.myblog.it/2011/09/06/ma-allora-escono-ancora-dischi-belli-tom-russell-mesabi/ . Però so non lo conoscete, o nell’inevitabile “celo/manca”, il secondo prevale sul primo, direi che l’acquisto è imprescindibile! Almeno una hit (non nella versione di Russell) nel CD c’è, El Paso, un n°1 per il suo autore Marty Robbins, anche se nel libretto, unico errore, peraltro veniale, viene attribuita a Woody Guthrie. Ci sono due brani di Dylan, come ricordato, Seven Curses e Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts https://www.youtube.com/watch?v=uonjSyOku5Q  (ma sul recente Mesabi http://discoclub.myblog.it/2011/09/06/ma-allora-escono-ancora-dischi-belli-tom-russell-mesabi/  fa anche una stupenda A Hard Rain’s A Gonna Fall, che qui sarebbe fuori argomento), a dimostrazione della totale sintonia con le canzoni che vengono sempre reinterpretate in modo stupendo. Comunque le giriamo sono 34 canzoni di notevole spessore, tra cui ricorderei anche le cover di Prairie In The Sky di Mary McCaslin, Gulf Coast Highway di Nancii Griffith e The Ballad Of Sally Rose, una delle rare canzoni firmate da Emmylou Harris, con l’allora marito Paul Kennerly, nel primo periodo di carriera. Una curiosità statistica, El Paso, il brano di cui sopra, è stato eseguito ben 359 volte dal vivo dai Grateful Dead, il gruppo per cui proprio Robert Hunter ha firmato alcune delle sue più belle liriche e di cui Tom Russell, sempre nell’ottimo libretto, ricorda la mail che gli inviò in occasione della pubblicazione di Blood And Candle Smoke: “Grande musica. Grandi Testi. Ce l’hai fatta”, che mi sembra possa fotografare alla perfezione il contenuto di questa doppia compilation:

CD 1

  1. Tonight We Ride
  2. East Texas Red
  3. El Paso
  4. Little Blue Horse
  5. Hills Of Old Juarez
  6. Old Blue
  7. California Snow
  8. Sitting Bull In Venice
  9. Bucking Horse Moon
  10. Seven Curses
  11. Chickasaw County Jail
  12. Tramps & Hawkers
  13. Grapevine
  14. Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts
  15. Claude Dallas
  16. The Ballad Of William Sycamore

CD 2

  1. Dance Hall Girls
  2. El Llano Estacado
  3. Part 1 – The Man From God Knows Where
  4. Patrick Russell
  5. Down The Rio Grande (Aka Rio Grande)
  6. Prairie In The Sky
  7. Casey Jones
  8. Stealing Electricity
  9. Racehorse Haynes
  10. Gulf Coast Highway
  11. Bacon Rind, Chief Seattle, The Ballad Of Ira Hayes
  12. The Santa Fe At Midnight
  13. The Ballad Of Sally Rose
  14. American Rivers
  15. Santa Ana Wind
  16. Navajo Rug (Live)
  17. The Gallo Del Cielo (Live)
  18. The Sky Above, The Mud Below (Live)

 

Bruno Conti

“Gregario Di Lusso”? Non Solo Un Grande Chitarrista! David Grissom – How It Feel To Fly

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David Grissom – How It Feels To Fly –  Wide Lode/Blue Rose Records/Ird

Credo che per definire David Grissom il termine “gregario di lusso” possa essere usato tranquillamente, un modo di dire forse abusato ma che rende l’idea in modo chiaro, un po’ come  “non ci sono più le mezze stagioni” o “SPQR – Sono Pazzi Questi Romani” (Asterix)! Scherzi a parte, il musicista texano è proprio l’epitome del musicista for hire, chiedete a Joe Ely, John Mellencamp, James McMurtry, Chris Kinght, e a migliaia di altri che hanno usufruito dei suoi servizi nell’ultimo trentennio e più. Però Grissom ha anche cercato di farsi una carriera in proprio, per esempio negli Storyville (con la sezione ritmica dei Double Trouble, Shannon e Layton, con l’altro “manico” David Holt e con il cantante Malford Milligan), autori di tre album tra il 1994 e il 1998 quando David era stalo licenziato da Mellencamp perché suonava “troppo texano”! https://www.youtube.com/watch?v=pXJzKppxKrg

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E soprattutto una carriera solista dal 2007, che, ad oggi, ha fruttato quattro album, compreso questo How It Feels To Fly, il primo che viene pubblicato anche in Europa dalla tedesca Blue Rose. Naturalmente Grissom non ha cessato la sua lucrativa attività di sessionman (ottima quella nel recente Rhythm & Blues di Buddy Guy), ma nel corso dello scorso anno si è dedicato alla preparazione di questo disco, registrato nei suoi Spicewood Studios e ad un concerto con la sua band, al Saxon Pub, sempre di Austin, Texas, dalla quale sono stati ricavati quattro brani posti in coda del CD. Suonano con lui da qualche anno l’eccellente pianista e organista pavese Stefano Intelisano (che dagli inizi con Fabrizio Poggi & Chicken Mambo è passato alla world domination, suonando anche lui con centinaia di gruppi e solisti), il bassista Scott Nelson (Tony Price, Doyle Bramhall) e il batterista Bryan Austin. Nei pezzi di studio appaiono anche alcuni vocalist di supporto, tra cui Kacy Crowley che firma con lo stesso Grissom il brano Overnight.

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Vi vedo già chiedervi, ma il risultato? Un onesto, a tratti buon album di rock, nobilitato dalla parte dal vivo, dove ci sono un paio di cover straordinarie e percorso in tutta la sua durata, che supera l’ora (a differenza del penultimo Way Down, dove i sei brani presenti faticavano a raggiungere la mezz’ora), dalla chitarra del leader, che è poi il motivo, a ben vedere, per cui si compra un disco del genere, memori degli assolo del nostro, che so, in Letter To L.A. di Joe Ely o in tutto Whenever We Wanted e anche in Human Wheels del “coguaro” Mellencamp, due dei suoi dischi più rock. Peraltro David se la cava discretamente anche come autore (e cantante) in questo How It Feels To Fly, lo si capisce dal riffatissimo blues-rocker iniziale Bringin’ Sunday Mornin’ To Saturday Night dallo spirito stonesiano e nobilitato dal “solito” assolo fumigante di Grissom, breve e cattivo, come è spesso sua caratteristica, linee rapide e pungenti https://www.youtube.com/watch?v=rZhhye1JUdo . How It Feels To Fly, la title-track si divide equamente tra un sound che ricorda gli Who, anche per l’eccellente lavoro delle tastiere di Intelisano e della sezione ritmica, agile e potente al contempo, e come ha rilevato qualcuno, i brani più rock del non dimenticato Tommy Keene.

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Georgia Girl, firmata con Chris Stapleton, si avvale delle armonie del cantautore Drew Womack, e di un sound a metà tra le radici sudiste e il rock di Mellencamp, con qualche deriva di pop orecchiabile ma non commerciale, sempre con quella chitarra che inventa musica gioiosamente. Never Came Easy To Me, con Grissom che si divide tra acustiche ed elettriche forse ricorda il suo lavoro con il Joe Ely più rock, ma ha una bella costruzione sonora, sempre con un sound à la Stones più roots https://www.youtube.com/watch?v=y5DzWVCV-U4 . Way Jose è uno shuffle strumentale che gli permette di misurarsi con alcuni dei suoi ispiratori, da SRV a Freddie King, grandi chitarristi come lui https://www.youtube.com/watch?v=nqQpOmD8cys . La già citata Overnight è una bella ballata elettroacustica, che chissà perché mi ricorda sempre gli Stones (ma anche Mellencamp attingeva da questa musica a piene mani). Gift Of Desperation è un altro bel pezzo rock, molto solare, da sentire su qualche highway americana, ma funziona anche sulle nostre strade e Satisfied, l’altra canzone firmata con Stapleton, una bella ballata deep soul, con acustica e organo che tracciano il suono, chiude la parte in studio.

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Nella parte dal vivo David Grissom si supera, prima con una straordinaria cover di Jessica degli Allman, fatta da Dio https://www.youtube.com/watch?v=8t5zkpq9H50 , dove anche Intelisano si cimenta con successo nella parte che fu di Chuck Leavell , poi con due brani dal proprio repertorio, Way Down Deep e lo strumentale Flim Flam che ne esaltano le grandi capacità chitarristiche https://www.youtube.com/watch?v=wOlL8XaTJZQ , per concludere con una ferocissima Nasty Dogs And Funky Kings che si trovava su Fandango degli eroi di casa ZZ Top. In conclusione, ca…spita se suona, confermo: è il motivo per cui si compra un disco come questo!

Bruno Conti

Una Bella “Signora” Mexicana, E Pure Brava! Patricia Vonne – Rattle My Cage

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Patricia Vonne – Rattle My Cage – Bandolera Records

Tra i tantissimi personaggi di Sin City, il film noir di Robert Rodriguez, c’era pure lei, nel personaggio di Dallas, avvenente e misteriosa autista. La “topona”, al secolo risponde al nome di Patricia Vonne (una vaga somiglianza con la nostra Sabrina Salerno), ma lei non è altri che la sorella di Robert, che l’ha coinvolta in diverse sue avventure (vedi Desperado e  Four Rooms), anche se la grande passione di Patricia è la musica.

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Nata a San Antonio (città di confine tra Stati Uniti e Messico), da padre di origine messicana e madre spagnola, proviene da una famiglia numerosa (ben nove fra fratelli e sorelle), Patricia impara ad amare la musica, dalle canzoni folk latine, suonate dai genitori musicisti e dai dischi di buon rock dei fratelli. A 19 anni si trasferisce a New York per coltivare il sogno (di tanti) di lavorare nel mondo dello spettacolo (ballerina e modella), e nella “Grande Mela” si ferma per ben dieci anni prima di tornare ad Austin, Texas, e ritornare alle sue radici culturali e musicali e pubblicare il suo primo album omonimo Patricia Vonne (03) a cui negli anni seguiranno Guitars And Castanets (05), Firebird (07), Worth It (10), tutti con una musica tra country, rock e sonorità latine, con influenze che vanno dal flamenco al tex-mex e un cantato a cavallo tra inglese e spagnolo. Come detto, parallelamente a quella di cantante (si esibisce a fianco di artisti come Los Lobos, Tito & Tarantula, Chris Isaak, Alejandro Escovedo, Joe Ely e tanti altri http://www.youtube.com/watch?v=kbpc8Kw-_mA ), intraprende una carriera di attrice e una sua canzone Traeme Paz http://www.youtube.com/watch?v=mYkxLhYR9Gc , viene inclusa nella colonna sonora del film “C’era una volta in Messico” con la bella e brava Salma Hayek.

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Il “sound” di Rattle My Cage è tendenzialmente e curiosamente bilanciato fra roots-rock e influenze del tex-mex più aggressivo, supportato dalla sua fidata band composta dal marito Robert LaRoche (ex leader dei The Sighs) alle chitarre, Scott Garber al basso, Dony Wynn alla batteria, David Perales al violino e ospiti di valore, da Bukka Allen alla fisarmonica, a Ian McLagan e Michael Ramos alle tastiere, Johnny Reno al sax, assemblati dal produttore e ingegnere del suono Carl Thiel, per dieci tracce scritte con autori importanti come Alejandro Escovedo, Doyle Bramball, Rosie Flores, Alex Ruiz, Peter Kingsbery, Michael Martin e il fratello Robert Rodriguez.

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Il disco potrebbe essere diviso in due parti, la prima con un robusto rock elettrico a partire dalla title track Rattle My Cage http://www.youtube.com/watch?v=aliEtpnGoCI  (dove sembra di risentire i mai dimenticati Del Fuegos), una Dark Mile che si prenota per il prossimo film di Quentin Tarantino http://www.youtube.com/watch?v=BSQhrkjFJLA , a cui segue Ravage Your Heart che tiene alta la tensione http://www.youtube.com/watch?v=dkRlj-XGkM8 , mentre Que Maravilla è cantata in spagnolo, per poi passare a una This Cat’s In The Doghouse che non ha niente a che fare con quanto ascoltato finora, un disimpegnato rock and roll elettrico con una robusta sezione fiati. La seconda parte, introdotta dalla ballata pianistica Bitter Need  (dove vengono evocate Fiona Apple e Regina Spektor), è fortemente influenzata da canzoni latine a partire dal flamenco di Dulce Refugio, il boogie tex-mex di Paris Trance e un brano come Tequiloros fortemente di tradizione messicana, e chiudere con lo strumentale Mexicali De Chispa, scritta con il fratello Robert, che riporta alla mente le atmosfere classiche alla “spaghetti western”.

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Patricia Vonne Rodriguez (per chi scrive) è una cantautrice assolutamente intrigante, ha una voce grintosa, molto personale (e compone da sola o in coppia tutti i brani dell’album in questione), canta molto bene e la musica che propone viene identificata generalmente come energico roots-rock, ma l’influenza dei suoni che provengono dal “border” (tex-mex e flamenco) e il cantato che si alterna tra inglese e spagnolo, sprigiona indubbiamente un certo fascino.

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Giusto per capirci: se amate la musica di Joe Ely, Los Lobos, Tito & Tarantula con i quali Pat ha diviso spesso il palco, se amate il cinema di Rodriguez e Tarantino con i quali divide famiglia e set, o se siete semplicemente curiosi, Rattle My Cage è il disco giusto, e una Tequila o una birra ghiacciata vi aiuteranno in questo viaggio attraverso il confine fra Texas e Messico.

Tino Montanari

Dal New Jersey (Via Italia), “On The Road Again”! Greg Trooper – Incident On Willow Street

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Greg Trooper – Incident On Willow Street – Appaloosa Records/Ird 2013

Devo ammettere che ho sempre avuto un debole per Greg Trooper, un musicista che è in attività dal 1986 (il suo primo album introvabile è stato We Won’t Dance), che ha scritto tra gli altri per Steve Earle, Robert Earl Keen, Vince Gill, Billy Bragg , Rosanne Cash e la grande Maura O’Connell (di cui purtroppo ho perso le tracce), e da allora è stato tutto un crescendo qualitativo per questo folk singer, precursore del suono che viene etichettato come “americana”. Ottimi infatti i suoi successivi lavori, a partire da Everywhere (92), Noises In The Hallway (96) forse il migliore del primo periodo, Popular Demons (98), Straight Down Rain (2001) il debutto per la Sugar Hill con Floating (2003); in mezzo c’è stato anche uno  live acustico Between A House and A Hard Place: Live At Pine Hill Farm  (venduto purtroppo solo via internet). Il sodalizio con la meritoria indie della North Carolina, prosegue con l’ottimo Make It Through This World (2005), un altro live di difficile reperibilità The Backshop Live (2006), The Williamsburg Affair (2009), Upside-Down Town (2010), fino a questo Incident On Willow Street, distribuito (meritoriamente) dalla nuova Appaloosa Records (indimenticabile creatura del compianto Franco Ratti).

Affiancato da musicisti stellari, a partire dal bravissimo polistrumentista Larry Campbell che suona di tutto, chitarre, pedal steel, mandolino, violino, banjo e bouzuki, Jack Saunders al basso, Oli Rockberger alle tastiere, Kenneth Blevins (dalla band di Hiatt) alla batteria e la brava Lucy Wainwright Roche alle armonie vocali, Greg presenta tredici tracce che spaziano tra folk anglosassone, country, rock e un pizzico di soul, per un suono più variegato rispetto agli ultimi album di studio.

Il viaggio inizia con una delicata All The Way To Amsterdam, mentre il mandolino di Campbell (colonna portante di tutto il disco), spadroneggia in Good Luck Heart, a cui fa seguito la ballata intimista Steel Deck Bridge. Sonorità irlandesi fanno capolino in Mary Of  The Scots In Queens, un folk cadenzato dalla  melodia avvolgente, per poi passare al soul di Everything’s A Miracle  e alle ballate acustiche The Land of No Forgiveness (che si avvale della voce angelica della Roche) e Amelia (dove troviamo alla batteria il figlio Jack). One Honest Man è un bel brano rock valorizzato dalla chitarra di Larry, seguito dalla grintosa Living With You, mentre This Shitty Deal è una ballatona country (alla Los Lobos). Il viaggio si avvia alla fine con la danza campestre di The Girl In The Blue e il country evocativo di Diamond Heart, che sa di vecchio west, con la bella voce di Trooper, che ricorda sapori di altri tempi. La bonus track (solo per il mercato italiano) è una torrida versione dal vivo di Ireland (era sull’album Everywhere), con la fisa a dettare il ritmo alla band (la versione Appaloosa è un bel digipack che contiene una taschina dove c’è il libretto con i testi e traduzione italiana, molto meritorio!).

Greg Trooper è uno di quei rari cantautori che solo l’America sa produrre, ha un talento fuori dalla norma, che lo affianca facilmente a solisti della fama di Steve Earle, Joe Ely e John Hiatt, perché sa scrivere canzoni di grande forza, fa della grande musica che gli sgorga dal profondo dell’anima, non vende illusioni, ma parla d’amore e di speranza.

***NDT: Domenica 27 Ottobre 2013 alle 18,00 suona dalle mie parti, alla Pizzeria Trapani in quel di Pavia, per chi fosse interessato l’ingresso è gratuito, io ci sarò sicuramente. Alla prossima!

Tino Montanari

Un Vero Costruttore…Di Musica! Kevin Deal – There Goes The Neighborood

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Kevin Deal – There Goes The Neighborhood – Blindfellow Records

Ottavo album, a ben quattro (* sarebbero tre) di distanza dal precedente Seven, per il texano Kevin Deal, uno che abbiamo sempre seguito con piacere fin dal suo esordio nel 2000 con Honky Tonk’n’Churches. Deal è un texano di quelli giusti, in tredici anni non si è mai piegato alle leggi del marketing, ha sempre fatto la sua musica nei tempi che ha voluto: un rockin’country decisamente diretto e godibile, ma nello stesso tempo di spessore e ben lontano da certa paccottiglia che viene prodotta a Nashville. Particolare da non sottovalutare (e che si collega al titolo del post): Kevin ha ancora meno problemi a fare una musica che vende poco, solo per il piacere di farla, dato che la sua principale fonte di guadagno è l’azienda Deal Masonry, fondata dal padre e della quale è titolare, una ditta edile che si occupa della costruzione di ville e chiese in pietra (e quindi il titolo del suo primo CD non era casuale), un’attività a quanto pare molto ben avviata.

There Goes The Neighborhood, la sua nuova fatica, prosegue il discorso avviato con i precedenti lavori, stavolta però con una maggiore attenzione verso la musica bluegrass e gospel: non è però un disco a tema, la base di partenza è sì la musica d’altri tempi, ma filtrata ed elaborata secondo i canoni di Kevin, ed il risultato è uno dei lavori più riusciti del nostro. Intanto sono tutti brani originali (tranne uno), è poi il trattamento di Deal e della sua band (Bob Penhall, Miles Penhall, Jim Bownds e Rick Hood) è tipicamente texano, quella miscela di country e rock piena di ritmo e feeling, nobilitata oltremodo dalla produzione (e partecipazione come membro aggiunto della band) del grande Lloyd Maines, che come tutti sapete è il miglior produttore del Lone Star State ed in dischi come questo ci sguazza.

La title track apre l’album, un bluegrass tune che più classico non si può, vivace e godibile, con banjo e dobro protagonisti e la voce di Kevin perfettamente in parte. Cosmic Accident è invece un puro honky-tonk texano, con un bel motivo di fondo ed un train sonoro diretto ed evocativo al tempo stesso. La mossa e godibile I Need Revival è country d’altri tempi, ancora con elementi bluegrass e Kevin calato alla perfezione nel suo elemento; l’annerita Big Prayer è invece un gospel-blues a forti tinte swamp, una canzone che non t’aspetti. Le sorprese continuano con un’intrigante versione del superclassico gospel Amazing Grace, arrangiata però come una rock ballad alla Joe Ely, con il passo tipico del grande texano di Amarillo ed uno splendido assolo di armonica: una versione spiazzante, ma di grande bellezza.

Gideon riprende il discorso country-grass, con il Texas che esce ad ogni nota: gran bella canzone, suonata e cantata alla grande (e la presenza di Maines si sente, eccome); Finish Well è una cowboy ballad coi controfiocchi, dove non mancano echi di Robert Earl Keen (sempre in Texas siamo), mentre la ritmata When Your Name Is Called è puro country di una volta, ricorda quasi certe sonorità dei primi anni settanta della Nitty Gritty Dirt Band. La bucolica A Long Time Ago anticipa l’intensa (più di sei minuti) Just Another Poet, un racconto western che potrebbe essere uscito dalla penna di Guy Clark (NDB. In uscita fra una decina di giorni con il nuovo album, My Favorite Picture Of You). Chiudono un ottimo album la bella King Jesus, un country-rock molto piacevole, ancora con Ely tra le note, e la lunga This Old Cross Around My Neck, elettrica, sfiorata dal blues, con un suggestivo crescendo che ce la fa gustare per tutti i suoi sette minuti abbondanti. Bravo Kevin, ancora un bel disco.

Marco Verdi

*NDB Anche questo, come i Field Report recensito ieri, in effetti è uscito all’incirca un annetto fa, luglio 2012, comunque rimane bello!

A Tutto Country! Kyle Park, Thompson Square, Eric Church, Alan Jackson

Kyle Park – Beggin’ For More – Thirty Tigers CD

Thompson Square – Just Feels Good – Stoney Creek CD

Eric Church – Caught In The Act Live – EMI Nashville CD

Alan Jackson – Precious Memories Volume II – EMI Nashville CD

Oggi vorrei occuparmi di quattro album di musica country usciti di recente, ognuno a suo modo diverso dall’altro, ma tutti per una ragione o per l’altra degni di menzione.

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Se dovessi giudicare dalle foto pubblicate su fronte e retro copertina di questo Beggin’ For More, Kyle Park ha più la faccia da comico del Saturday Night Live che da cantante country. Questo dilemma viene però spazzato via non appena infilo il CD nel lettore: Park è, a discapito del suo aspetto, un countryman di quelli giusti, con una spiccata predisposizione per un suono elettrico e chitarristico, come piace a noi. Texano di Austin (il che spiega molte cose), Park ha già all’attivo tre album più due EP, e se il precedente Make Or Break Me aveva fatto parlare molto bene di sé oltre i confini del Texas, questo Beggin’ For More è a mio parere destinato anche a fare meglio. Country-rock corroborante, tipicamente texano, nel quale anche violini e steel suonano grintosi, tante chitarre, una voce perfettamente a suo agio e canzoni mai banali (tutte scritte da Kyle, da solo o in collaborazione). Tra i musicisti troviamo gente ben nota a noi carbonari, tra cui Glenn Fukunaga, ex bassista della Joe Ely Band, la richiestissima dobroista Cindy Cashdollar ed il fiddler Larry Franklin, tutti sessionmen abituati a suonare con la parte giusta della città. Grinta, forza e feeling (e canzoni): gli ingredienti giusti per fare un disco di vero country.

  

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I Thompson Square sono in realtà un duo formato da Kiefer e Shawna Thompson, che nella vita sono anche marito e moglie. I due hanno già dato alle stampe un paio d’anni fa il fortunato debutto omonimo, che, grazie anche ad un fittissimo passaparola sui social networks, è sorprendentemente arrivato fino al numero 3 delle country charts di Billboard. Just Feels Good, il loro nuovo lavoro, conferma quanto di buono avevano fatto trapelare con il loro esordio: Kiefer e Shawna, oltre ad essere una bella coppia, sono anche bravi, fanno un country molto elettrico, strettamente imparentato con il rock, hanno due buone voci e sanno scegliere le canzoni (scritte da loro e da alcuni writers di Nashville, tra cui il noto David Lee Murphy, già affermato countryman di suo, ma che da anni si occupa solo di scrittura). Ritmo, chitarre, ottimi impasti vocali e ritornelli adatti sia alle radio sia ai lettori CD di ascoltatori più esigenti: se vogliamo trovare un difetto al disco, direi che manca un po’ in spontaneità.

Le canzoni infatti sono talvolta eccessivamente lavorate, con le sonorità studiate a tavolino, apposta per favorire i passaggi nelle radio di settore ed aumentare il parco clienti: emblematico il fatto che la produzione sia accreditata all’enigmatica sigla LV, dietro la quale si nasconde un vero e proprio team di produttori (ben quattro), che quindi mettono mano eccome nel suono dei due coniugi. Intendiamoci, i producers fanno un buon lavoro, in alcuni casi non intervengono più di tanto, ma anche quando ci vanno giù più pesanti si fermano un attimo prima del livello di guardia: quindi il disco risulta pienamente gradevole lo stesso (d’altronde quando ci sono le canzoni si è già a metà dell’opera), soltanto avrei preferito qualche orpello in meno qua e là.   

Ad ogni modo, Just Feels Good darà sicuramente altre soddisfazioni ai coniugi Thompson (mentre scrivo è già al quarto posto, a pochi giorni dalla sua uscita), e, dato che sono comunque bravi, non me la sento di biasimarli a causa di una produzione un filo troppo levigata.

 

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Eric Church, musicista nativo del North Carolina, è diventato in pochi anni e con soli tre dischi alle spalle una vera e propria superstar in USA: il suo ultimo album, Chief, ha venduto la bellezza di 1.300.000 copie (non male in un periodo di crisi discografica), andando al numero uno non solo nella Billboard Country Chart, ma anche in quella generale. La misura della sua popolarità attuale si può desumere dallo splendido CD/DVD Love For Levon, resoconto del concerto tributo a Levon Helm, nel quale Eric è uno dei pochissimi ad avere a disposizione due brani, mentre gente come John Hiatt, John Prine o Gregg Allman cantano una sola canzone a testa. Il fatto quantomeno insolito è che Church per vendere non ha dovuto scendere a compromessi, anzi non ha cambiato di una virgola il proprio suono: un country robusto, molto robusto, con abbondanti dosi di rock e southern music, un sound chitarristico potente e con una sezione ritmica granitica. Non solo forza e grinta comunque, ma anche feeling a dosi massicce ed ottime canzoni (tutte scritte da Eric), ed è quindi abbastanza naturale che, dopo un tale successo, venga pubblicato questo album dal vivo autocelebrativo: Caught In The Act non fa che confermare quanto di buono si era ascoltato sui dischi di studio.

Anzi, se possibile, la dimensione live amplifica ulteriormente le caratteristiche rock delle canzoni di Church, al punto da farci dimenticare che ci troviamo tra le mani un CD di musica country: chitarre, chitarre, basso, batteria ed ancora chitarre, spariti violini e steel, rimangono un banjo ed un mandolino a far capolino ogni tanto. Eric è accompagnato da una band di sei elementi, tra cui spiccano i chitarristi Driver Williams e Jeff Cease e la sezione ritmica composta da Lee Hendricks al basso ed il granitico Craig Wright alla batteria. L’album è registrato a Chattanooga, Tennessee, alla presenza di un pubblico caldissimo che conosce ogni virgola dei brani di Church: il disco ne contiene ben diciassette (tutte autografe, ma un paio di covers le avrei ascoltate volentieri), ma non c’è un solo attimo di noia nei settanta minuti abbondanti di durata.Un ottimo live che afferma Eric Church come una delle più valide realtà nello sterminato mondo della country music: play it loud! 

         

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Sono da sempre un estimatore di Alan Jackson, lo seguo fin dal suo esordio Here In The Real World, e se posso essere in parte d’accordo con i suoi detrattori che dicono che fa tutti i dischi uguali, è anche vero che suona del vero country ed in quasi 25 anni di carriera non ha mai prodotto ciofeche (se si esclude l’inqualificabile Like Red On A Rose, debacle resa ancor più incomprensibile dal fatto che era prodotto da Alison Krauss, diversamente sempre molto brava). Ora il buon Alan pubblica Precious Memories Volume II, seguito dell’omonimo CD del 2006 in cui rileggeva con uno stile più folk che country una serie di classici della musica gospel.

Anche questo secondo volume è pienamente all’altezza, anzi forse perfino un filo meglio: come già nel primo episodio Jackson si fa accompagnare da un ristretto gruppo di musicisti, tutti alle prese con vari strumenti a corda (niente sezione ritmica) e rilegge una serie di noti traditionals, dimostrando di non essere soltanto una macchina da soldi ma di avere anche un’anima profonda (tra i brani troviamo la title track, stranamente assente dal primo volume, Amazing Grace, When The Roll Is Called Up Yonder e There Is Power In The Blood).

Alan non è Johnny Cash (e temo che non lo sarà mai), ma mi sento di consigliare questo album anche a chi non lo segue da anni.

Marco Verdi