Ascoltate Ancora Un “Buon Consiglio”! Basia Bulat – Good Advice

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Basia Bulat – Good Advice – Secret City Records

Prosegue la carriera della bionda e non più giovanissima canadese Basia Bulat , membro onorario della comunità polacca dell’Ontario, che con Good Advice giunge al quarto capitolo discografico, un disco che segna un’ulteriore cambio di genere dopo il folk raffinato dei primi due album Oh, My Darling e Heart Of My Own, e il seguente Tall Tall Shadow dalla forma classica cantautorale, si giunge a questo ultimo lavoro che spazia anche nel pop d’autore (Sarah Blasko o in tempi meno recenti Stevie Nicks). Sorprendentemente la produzione dell’album, voluta dalla stessa Bulat, è affidata a Jim James dei My Morning Jacket, che suona pure gran parte degli strumenti, e che riesce a dare ai dieci brani di Good Advice un suono particolarmente ricco e vario (come succede sempre anche negli album della sua band), con arrangiamenti dai leggeri tratti“sixties” che valorizzano il nuovo percorso musicale di Basia.

Il brano d’apertura La La Lie  è trascinante con una forte connotazione relativa a quel periodo, a cui fanno seguito una ballabile Long Goodbye (perfetta forse per una discoteca alternativa), il sincopato disordine di Let Me In, passando per una perfetta “pop song” come In The Name Of, e per la più dolce. variegata  ed ammaliante Time. Si prosegue con la title track Good Advice forse il brano meno convincente del disco, per poi dare spazio ai due singoli tratti dall’album (firmati dalla stessa Bulat), una tambureggiante Infamous e la gioiosa e cadenzata Fool, condensando nelle ultime due tracce le cose migliori, una eterea e molto profonda The Garden, e una lunga e meravigliosa ballata quasi “gospel” come Someday Soon https://www.youtube.com/watch?v=nP7YMzPkoOw .

Le canzoni di Good Advice sono state arrangiate e registrate seguendo certe regole di quello che viene considerato il miglior “indie pop” del momento, e anche se personalmente la preferivo nelle versioni precedenti,meno alla moda e glamour (come ricorda pure l’immagine della copertina del disco), questo ultimo lavoro ascolto dopo ascolto riesce comunque ad attirare la giusta attenzione,  per merito della bella voce e della personalità di questa ragazza, a riprova di un talento che meriterebbe magari una maggiore attenzione da parte del pubblico e della critica di settore, che pure ha sempre guardato con favore ai suoi dischi (noi compresi http://discoclub.myblog.it/2010/02/24/piccoli-talenti-crescono-basia-bulat-heart-of-my-own/ e http://discoclub.myblog.it/2013/11/08/due-fanciulle-che-meritano-attenzione-basia-bulat-e-star-ann/).

Negli ultimi anni Basia Bulat ha condiviso il palco con colleghi affermati come gli Arcade Fire, i National, Nick Cave, Daniel Lanois, Sufjan Stevens, Andrew Bird, e altri meno noti tra i quali Beirut, Destroyer, Tune-Yards, Sondre Lerche e Owen Pallett, a dimostrazione che questa “biondina” di Toronto ne ha fatta di strada dal folk intimista degli esordi (quando veniva spesso paragonata alla grande Joni Mitchell https://www.youtube.com/watch?v=GPpcmqcqKZM ), fino ad arrivare a questo tentativo di pop in forma “elegante”, che rimanda sicuramente, per chi scrive, a Natalie Merchant e ai suoi 10.000 Maniacs.

Tino Montanari   

Recuperi (E Sorprese) Di Inizio Anno 4. Due Voci Femminili Da Scoprire: Olivia Chaney & Joan Shelley

Olivia Chaney The Longest Riverjoan shelley over and even

Proseguendo nei recuperi ecco due cantautrici assolutamente da (ri)scoprire, una inglese ed una americana, accomunate da comuni inflessioni folk: della prima Olivia Chaney, vi avevo già parlato brevemente nella rubrica delle anticipazioni discografiche, mentre di Joan Shelley vi avevo fatto un breve accenno nelle varie liste di fine anno delle migliori uscite discografiche del 2015: partiamo proprio con lei.

Joan Shelley – Over And Even – No Quarter

Questo è già il quarto album pubblicato dalla folksinger americana, ma i primi due, pubblicati a livello autogestito, sono praticamente introvabili, mentre il precedente Electric Ursa, leggermente più complesso, pubblicato sempre dall’etichetta No Quarter (quella di Doug Paisley, Bob Carpenter Endless Boogie) nel 2014 è disponibile sul mercato americano, anche se non di facilissima reperibilità. Joan Shelley viene dai pressi di Louisville, Kentucky, dove a gennaio dello scorso anno è stato registrato questo Over And Even, con Daniel Martin Moore, produttore ed ingegnere del suono, il suo collaboratore fisso, l’ottimo Nathan Salsburg alle chitarre, la stessa Joan anche lei chitarre e banjo, ed un manipolo di collaboratori esterni impegnati ad abbellire il sound in alcuni pezzi. Ma fondamentalmente si tratta di un album di folk di vecchio stile, quello classico, il migliore, che oltre alle chitarre del duo gira soprattutto intorno alla bellissima ed espressiva voce della Shelley:un contralto in grado di virare al soprano, una tonalità calda ed accogliente, quasi piana, ma con improvvise impennate che rendono piacevole l’ascolto dell’album. Prendete l’iniziale Brighter Than The Blues, le due chitarre acustiche a fronteggiarsi, un tamburello, suonato da James Elkington, che è il jolly del disco, in questo brano impegnato anche all’harmonium e alla steel, pochi giri di accordi, ma una musica che ti entra subito in circolo.

Nell’affascinante e deliziosa Over And Even, il corregionale Will Oldham (o se preferite Bonnie “Prince” Billy) è la voce duettante in un’intrigante canzone di stampo country-folk, mentre una chitarra elettrica colora il suono sullo sfondo, e la voce della Shelley è quasi mitchelliana nei suoi timbri. La title-track Over And Even aggiunge organo e piano elettrico Fender Rhodes, suonati dal poliedrico Elkington e miscelati alla quasi twangy elettrica di Salsburg (i due, come chitarristi, duettano anche nel recente CD Ambsace, uno dei quattro dischi strumentali a nome di Nathan Salsburg), mentre la voce sale e scende tra accenti sempre tra la Mitchell e certo folk britannico, penso a Linda Thompson. Bellissima anche la ballata pianistica Not Over By Half, dove il piano di Rachel Grimes affianca le immancabili chitarre in fingerpicking e la voce di supporto alle armonie è quella di Glen Dentinger. Nella breve e riflessiva Ariadne’s Gone Dan Dorff, uno dei vari tastieristi impiegati è al pocket piano, mentre la Shelley quasi scandisce i versi di questo suggestivo brano. Più elettrica No More Shelter dove l’organo di Elkington e la chitarra di Salsburg tracciano magiche traiettorie che consentono alla voce di Joan di brillare ancora di più.

Easy Now è una traccia dal sound quasi californiano anni ’70, quelle canzoni che Jackson Browne e James Taylor, ma anche la stessa Joni Mitchell o la misconosciuta Judee Sill, sfornavano ai tempi quasi a getto continuo, e l’intreccio tra piano e chitarre acustiche è sempre piacevolissimo. Lure And Line, brevissima, quasi un intramuscolo, sognante ed eterea, sulle note di una steel spettrale, sempre di Elkington, e della vocalità intima della Shelley, viaggia in territori che possono ricordare il Nick Drake più malinconico (cioè quello di qualsiasi brano), anche grazie al glockenspiel di Dorff, mentre Jenny Come In, di nuovo con la seconda voce di Oldham a rendere più affascinante lo spettro sonoro della canzone, impreziosita dagli interventi al piano di Dorff, è un altro dei migliori episodi di un album che non ha momenti di debolezza. Wine And Honey ritorna alla formula più semplice delle due chitarre più la voce della Shelley, ma si gusta sempre con lo stesso piacere, come pure My Only Trouble, dove la voce provoca brividi di piacere all’ascoltatore, prima di congedarlo con la conclusiva Subtle Love, dove il piano della Grimes e le armonie vocali di Will Oldham sono gli elementi aggiunti, peraltro non indispensabili, benché sempre graditi, ad una tavolozza di colori, semplice ma classica nei suoi risultati finali. Un nome da segnarsi con la matita rossa tra quelli da seguire.

 

Olivia Chaney – The Longest River – Nonesuch

Se i nomi di riferimento che vengono alla mente (almeno a chi scrive) per Joan Shelley, sono Joni MItchell e Linda Thompson, ma non solonel caso di Olivia Chaney, cantante e polistrumentista inglese (ma che incide per una etichetta americana importante come la Nonesuch, casa di Natalie Merchant, tra i tanti), il nome che mi è balenato subito, anche per la costruzione sonora del disco, è quello di Sandy Denny (e in parte anche della sua erede, la appena citata Natalie Merchant), senza dimenticare l’immancabile Joni Mitchell, di cui tutti da anni, intravedono la potenziale erede, un po’ come ai tempi si cercava il nuovo Dylan https://www.youtube.com/watch?v=VipgQCfu824. La Chaney è al suo album di esordio completo, questo The Longest River, ma già nel 2010 aveva pubblicato un EP  e in seguito ha partecipato a un paio di compilations pubblicate dalla Folk Police Records, oltre ai lavori di colleghi inglesi come Alasdair Roberts Seth Lakeman, con cui condivide la passione per gente come Bert Jansch e i Fairport Convention, ma anche Bob Dylan, grazie alla collezione di dischi del padre, dove si trovavano molti altri illustri cantautori che hanno contribuito alla sua formazione musicale. La nostra amica, è solo una curiosità, nasce in Italia, a Firenze, nel 1982 ed è diplomata alla Royal Academy Of Music di Londra, oltre ad essere più che proficiente a piano, chitarra, harmonium e cello, tutti strumenti che padroneggia con abilità e suona nel disco, si disimpegna anche a dobro, organo, synth, glass harmonica, piano elettrico Wurlitzer e ha curato gli arrangiamenti per archi dell’album, e pure la co-produzione con Leo Abrahams, anche chitarrista in questo The Longest River. Quindi un piccolo genio. Se aggiungiamo che ha pure una bellissima voce, era difficile che il risultato non fosse più che soddisfacente, come è stato.

Diciamo che il folk-rock britannico degli anni ’70 è l’elemento guida, su cui si inseriscono tutte le influenze citate. False Bride, per iniziare, è proprio un brano folk tradizionale, come quelli che si incontravano nei dischi degli artisti citati, con la voce cristallina della Chaney accompagnata solo da una chitarra acustica arpeggiata con grande maestria, su cui poi si inserisce un elegante arrangiamento di archi che ci permettono di gustare la voce della titolare, splendido inizio. Imperfections è una bellissima ballata pianistica che ricorda uno sfortunato soggiorno in quel di New York, ancora con la splendida voce di Olivia che ricorda sia Sandy che Joni e la canzone che nel finale si arricchisce ulteriormente con l’arrivo degli archi e dell’harmonium. Waxwing scritta dal talentuoso Alasdair Roberts ci rimanda addirittura ai leggendari dischi di Shirley Dolly Collins (sarà l’harmonium?), con la seconda voce di Jordan Hunt, che è anche l’autore, insieme alla Chaney, dei bellissimi arrangiamenti orchestrali, oltre a suonare il violino. Loose Change è un’altra piccola perla, in questo caso solo la voce, accompagnata da una rintoccante chitarra elettrica e da un piano in sottofondo. Swimming In The Longest River, nuovamente con l’accompagnamento minimale dei un piano, ci rimanda alla Michell di Blue, racconta di amori, anche carnali ed erotici, con una intensità che è difficile riscontrare in molti dischi moderni. Leggiadra addirittura The King’s Horses, sempre quella voce cristallina che si libra sugli arpeggi di una solitaria chitarra acustica, con Too Social, pianistica e più “americana” nella costruzione sonora, grazie anche al lavoro dell’ingegnere del suono Jerry Boys, uno che ha lavorato con i grandi del folk inglese che hanno influenzato la musica della Chaney, e sa come metterne in evidenza la voce, raddoppiandola qui e là, come in questo caso.

La Jardinera, un brano cileno di Violeta Parra, ricorda addirittura certe escursioni di Joan Baez nella musica popolare sudamericana, di nuovo con il multitracking a rendere ancora più magica l’atmosfera e There’s Not A Swaim scomoda il compositore classico Henry Purcell per volare verso virtuosismi vocali che lasciano a bocca aperta anche per la grande naturalezza con cui vengono eseguiti e con un arrangiamento musicale complesso e ricco di improvvisi crescendi. Holiday è una ballata pianistica più formale, dalla struttura avvolgente, con un mood malinconico che rieccheggia certe canzoni bellissime della migliore Sandy Denny, con Blessed Instant che ai apre con uno strumento a corda pizzicato e la voce solitaria della Chaney, poi il violino e gli archi si aprono e il brano scritto da Sidsel Indresen, una cantante norvegese che mi dicono molto brava ma non conosco, diventa più complesso e raffinato, quasi orchestrale, ma sempre in linea con il tessuto sonoro di questo bellissimo album, che si chiude con Cassiopeia, una ulteriore affascinante ballata pianistica che illustra i talenti di questa “esordiente” di lusso!

Se amate il rock e la musica orecchiabile meglio non farvi tentare da questi due album, gli altri potrebbero avere delle piacevoli sorprese.

Bruno Conti

Interludio Di Mezza Estate: Una Piccola Gemma “Nascosta”! Susan James – Sea Glass

susan james sea glass

Susan James – Sea Glass – Susan James Music

Come certo saprete, il titolare del Blog e il sottoscritto, che coincidono nella stessa persona, hanno una comune passione per le voci femminili (condivisa anche con Tino Montanari), meglio se poco conosciute, ma non è un fattore dirimente, l’importante è che abbiano talento e si distinguano nel proprio campo musicale, quanto più eclettico e diversificato il loro sound, tanto più interessante ai nostri occhi, ma anche questo non è un dogma assoluto. Prendiamo Susan James, cantante di gran talento di Los Angeles, California, in pista già dagli anni ’90, con una carriera divisa in due fasi, la prima che ci ha regalato due album in quel periodo di fine secolo scorso, ed una seconda che l’ha portata alla pubblicazione di tre eccellenti album tra il 2011 e il 2015., questo compreso Se volete leggere quanto avevo scritto su di lei in relazione a Highways, Ghosts, Hearts & Home andate qui http://discoclub.myblog.it/2011/03/20/temp-ce08440afc5fb26c5bb040bb377c17ab/, (magari c’è una piccola inesattezza perché parlavo di quarto album, che sarebbe uscito solo nel 2013 sotto forma del sempre ottimo Driving Towards The Sun).

Quindi perché proprio oggi mi ritrovo a parlare del nuovo album di Susan James? Guardate nei commenti a lato sul Blog, a nome Shawn, e trovate la risposta: in effetti volevo parlare del nuovo disco degli australiani Waifs, di cui da vari giorni rimando la recensione, ma poi ascoltando il nuovo disco della James mi sono appassionato a quanto sentito ed ho deciso di dedicarle un “breve”, ma al solito non troppo, anzi, spazio, so quando inizio ma non quando finisco. Come l’addetto stampa di Susan (che forse aveva letto quanto scritto su di lei nel mio Blog) ci segnala, il nuovo disco Sea Glass è già uscito dal 16 giugno scorso, ma devo dire che purtroppo se ne sono accorti in pochi, almeno in Europa (dove credo sia prevista una distribuzione dal mese di ottobre), in quanto il CD è disponibile solo sul mercato americano, attraverso la sua etichetta personale, e quindi non di facile reperibilità. Ed è un peccato perché il dischetto (o il download) è una piacevole sorpresa (sia pure ascoltato solo in streaming al link segnalatomi, e devo dire che ultimamente mi capita spesso di usare questo formula di ascolto, che non amo moltissimo, sia per il Buscadero che per il Blog, ma ce ne facciamo una ragione, se non sì può fare diversamente): il suono, rispetto ai dischi precedenti, vira da quel quel country-folk-rock californiano che caratterizzava la James dei dischi precedenti https://www.youtube.com/watch?v=vQBfykLsQ-o , ad un alt-country-psych-folk, che è ben rappresentato dal brano che potete ascoltare nel video inserito poco sotto. Poseidon’s Daughter, la traccia che apre il nuovo album è un piccolo gioiellino di folk-pop barocco con celestiali armonie vocali, intricati lavori di chitarre acustiche (la nostra amica, come dimostrato anche nei precedenti album, è appunto una eccellente praticante dell’arte della solista acustica), atmosfere che attingono dal pop vocale e strumentale dei Beach Boys o dei Beatles di Abbey Road (seconda facciata, il cosiddetto long medley) grazie alla presenza dell’irlandese Sean O’Hagan, non dimenticato fondatore dei Microdisney e degli High Llamas, tra gli anni ’80 e ’90 frequentatore di quel pop raffinato e multistrato che attinge dalla grande tradizione britannica e che la fonde, nel disco in questione, dove svolge la funzione di arrangiatore di archi e strumentazione varia, con il sound californiano di Susan James, che secondo il sottoscritto ha anche degli agganci con la parte più bucolica e pastorale degli album di Jonathan Wilson, altro musicista californiano che ama pure la musica inglese leggermente psichedelica dei primi anni ’70.

Se aggiungiamo al tutto che Susan, come ricordato in passato, ha una voce che evoca cantanti “storiche” come la Mitchell o Carly Simon, ma in questo disco, a chi scrive, ricorda pure la non dimenticata Annie Haslam dei Renaissance, con le sue tonalità pure ed elaborate che si inseriscono nel substrato strumentale creato da O’Hagan, dove tastiere analogiche ed archi, violini, celli, viole, si fondono con melodie di morbido pop anni ’70, caratterizzate da cascate di chitarre acustiche e florilegi vocali di gran classe. Nella colta recensione presa dal LA Weekly, che trovate sempre al link http://susanjames.bandcamp.com/album/sea-glass, vengono citate anche, come punti di riferimento, Nancy Priddy (che conosco di nome, per un album pubblicato nel 1968, prodotto da Phil Ramone, considerato un piccolo classico del folk-psych, ma non avendolo mai sentito, mi astengo) e Judy Henske, grande folk-singer anni ’60, prima per la Elektra e poi Reprise, sullo stile Judy Collins, ma autrice anche di un paio di album, con il marito Jerry Yester, proprio quello dei Lovin’ Spoonful, pubblicati tra il 1969 e il 1971 dalla Straight di Frank Zappa, e che sono in effetti altri piccoli classici del folk psichedelico e in questo caso, conoscendoli, confermo che meriterebbero essere investigati, Farewell Aldebaran Rosebud.

Tornando a questo Sea Glass, sono solo dieci brani, compreso un intermezzo di meno di un minuto, piacevoli ed intensi:  dopo l’eccellente apertura proseguono in questa raffinata cavalcata, che, nonostante in definitiva nasca da transatlantici incontri via Skype tra la James, nel suo studio di Topanga Canyon e O’Hagan sul suolo britannico (si chiama tecnologia) suona proprio come un disco fatto e finito, come in effetti è, dalla strumentazione ricca e rifinita fin nei minimi nei particolari di canzoni come Awful Lot, raffinata e arrangiata come fosse quasi un prodotto delle collaborazioni tra Brian Wilson Van Dyke Parks, o qualche gemma perduta di un Bacharach che allunga la sua produzione con Dusty Springfield fino ad incrociare i Beatles più orchestrali, sempre con quella voce bellissima in evidenza. Hey Julianne vira ancora di più verso i Beach Boys, ma con Paul McCartney e il suo dancing bass agiunto in formazione; Calico Valley, dal ritmo leggermente più incalzante, ma sempre immersa in florilegi deliziosi di tastiere e archi che rendono preziosi gli arrangiamenti. Ay Manzanita è una ballata malinconica che mette in evidenza ancora una volta la bellissima voce della James, che raggiunge tonalità vicine a quelle della ricordata prima Annie Haslam, con i suoi Renaissance, fautori di un pop-rock orchestrale, qui virato su tonalità spagnoleggianti.

Dopo il brevissimo interludio strumentale di Odyssea, arriviamo a Sea Glass, la title-track, altra confezione sonora complessa e di grande fascino, senza sezione ritmica, mentre Truth Of Consequence introduce di nuovo intricati passaggi vocali di rara bellezza, su una base più rock e vivace, ancora più accentuata nella vivace Tell Me Cosmo, altro esempio di quel morbido folk-rock-psych più volte citato, con tanto di flauto “cosmico”, se non è un mellotron. Come nei dischi seri l’ultima canzone si chiama giustamente Last Song, di nuovo in aria del miglior prog psichedelico dei primi anni ’70, tra voci sognanti e archi avvolgenti. Che dire ancora, bel disco, i rimandi e le citazioni ad altri musicisti sono ovviamente voluti e spero non casuali!

Augh, ho parlato, adesso sta a voi cercare il disco, diciamo che per noi italici l’esborso finanziario, soprattutto a livello spese di spedizione, potrebbe risultare oneroso, ma ne vale la pena, se non vi fidate, al link di cui sopra,  potete ascoltare l’intero album in streaming. Nel frattempo cercherò di scoprire se esiste questo fantomatico sesto album, che non mi torna nella discografia.

Bruno Conti

Dischi Dal Vivo, “Nuovi E Vecchi”, Più O Meno Ufficiali! Parte 2: Flying Burrito Brothers, Moby Grape, Blues Project, Frank Zappa & Captain Beefheart, Joni Mitchell, Doobie Brothers

flying burrito brothers seattle pop festival

Anche questo CD dal vivo è stato pubblicato dalla Keyhole, più o meno a ottobre dello scorso anno, e riguarda i Flying Burrito Bros al Seattle Pop Festival July 27th 1969 al Gold Creek Park di Woodinville, Washington in un Festival a cui parteciparono anche Chicago, Santana, Chuck Berry, Byrds, Led Zeppelin. La qualità sonora, in questo caso, non è fantastica, comunque non orrrida visto il periodo da cui proviene, ma il concerto è interessante, con questa scaletta:

1. Close Up The Honkytonks
2. Dark End Of The Street
3. Mental Revenge
4. Image Of Me
5. Christine’s Tune
6. Sin City
7. Out Of Control
8. Wake Up Little Susie
9. You Win Again
10. We’ve Got To Get Ourselves Together
11. She Thinks I Still Care
12. Dream Baby
13. Lucille
14. Take A Message To Mary
15. Train Song
16. South Cave Blues

moby grape live at stony brook

Nuovamente Keyhole e ancora più indietro nel tempo andiamo per questo CD dei Moby Grape Live At Stony Brook University, NY, October 22nd 1968. Qualità sonora variabile, mediamente non memorabile, il concerto però è notevole, grande versione di Can’t Be So Bad, questi i brani contenuti nel dischetto:

1. Mr. Blues
2. 8:05
3. Trucking Man
4. If You Can’t Learn From My Mistakes
5. Can’t Be So Bad
6. Sitting By the Window
7. Murder In My Heart For the Judge
8. Fall On You
9. After All
10. Hey Grandma
11. It’s a Beautiful Day Today
12. Miller’s Blues/Omaha

blues project live at the matrix

Sempre edito dalla Keyhole anche questo CD, un doppio dei Blues Project Live At The Matrix September 1966, quindi sempre più indietro nel tempo, 17 brani con la formazione originale guidata da Al Kooper all’organo, Danny Kalb alla chitarra solista, Steve Katz alla seconda chitarra e armonica, Andy Kulberg al basso e al flauto e Roy Blumenfeld alla batteria. Grande concerto, qualità sonora più o meno simile ai live ufficiali dell’epoca, ma la durata è di quasi due ore, c’è anche la versione originale di Ma Che Colpa Abbiamo Noi, Cheryl’s Going Home e due versioni di Flute Thing, oltre a I Can’t Keep From Crying Sometimes, Lousiana Blues, Wake Me Shake Me e tutti gli altri classici.

frank zappa captain beefheart providence

La registrazione di questo doppio CD viene dallo stesso tour da cui fu estratta la parte live del mitico Bong Fury. Siamo nell’aprile del 1975 Frank Zappa & Captain Beefheart insieme al Providence College, Rhode Island, broadcast radiofonico di buona qualità dove scorrono Camarillo Brillo, Stink Foot, The Torture Never Stop, Montana, e molte altre con e senza Don Van Vliet, oltre due ore di concerto, il doppio della durata di Bongo Fury, che non era neppure tutto dal vivo, quindi direi fondamentale per gli zappiani e chi non ce l’ha già come bootleg https://www.youtube.com/watch?v=HRd1h0gImM4. Etichetta ancora Keyhole.

joni mitchell newport folk festival

Continuiamo con i titoli della Keyhole, questo è uscito a fine gennaio del 2015: Joni Mitchell Newport Folk Festival 19th July 1969, la qualità sonora è molto buona, l’unica critica è che ci sono 8 brani, poco più di mezz’ora di musica, ma possiamo ascoltare:

1. Chelsea Morning
2. Cactus tree
3. Night in the City
4. For Free
5. Willy
6. The Fiddle and the Drum
7. Both Sides Now
8. Get Together

Bellissimo concerto, uno dei migliori degli anni del periodo folk https://www.youtube.com/watch?v=DXe95iTtci0

doobie brothers ultrasonic studios

Uscito circa un mese fa, indovinato, è della Keyhole, fa parte della serie di concerti registrati agli Ultrasonic Studios di cui si è parlato anche recentemente sul Blog (Little Feat, Bonnie Raitt, Lowell George, Ry Cooder), titolo dedicato aid Doobie Brothers Ultrasonic Studios, West Hampstead, NY, 31st May 1973, siamo nel periodo di maggiore splendore della band (e un live ufficiale della band in CD non esiste, considerando che il Farewell Tour, Rhino o giapponese circola solo prezzi assurdi, e comunque è relativo al periodo 1983, quando il gruppo era in fase calante, pur essendo un buon concerto). Sentite come suonavano in quell’anno https://www.youtube.com/watch?v=zPNOTTZdeM0 e in questo concerto trasmesso dalla radio WLIR FM 92.7 anche meglio, poco importa se ci saranno stati 18 spettatori (per dire) e la qualità sonora non è meravigliosa, sound un po’ crudo però una sequenza Long Train Running, Listen To The Music, China Grove e Rockin’ Down The Highway non è malaccio.

Domani proseguiamo e concludiamo con altri titoli Live.

Bruno Conti

Quanto A Talento Anche Qui Non Si Scherza, “L’Album Americano” Di Laura Marling – Short Movie

laura marling short move

Laura Marling – Short Movie – Ribbon Music/Caroline/VIrgin/Universal

Laura Marling ha compiuto 25 anni il 1° febbraio scorso, ma in cinque anni di carriera ha già pubblicato cinque album; il primo Alas, I Cannot Swim, uscito in concomitanza del suo 18esimo compleanno. Ed è uno dei rari casi, in presenza di musica di qualità, in cui il successo commerciale e quello di critica sono sempre andati a braccetto. Mi è capitato alcune volte di parlare dei dischi della Marling sul Blog e non ho potuto giustamente esimermi dal magnificarne la bellezza, e anche per questo Short Movie non posso che confermare: siamo di fronte ad un talento in continuo divenire ed il nuovo album è assolutamente da gustare senza remore di alcun tipo. Nel titolo del Post parlo di “album americano”,  solo in quanto lo stesso è stato concepito ed influenzato dalla permanenza di Laura sull’altro lato dell’oceano, California e New York, soprattutto la prima, i luoghi dove ha vissuto per un paio di anni, anche se nel frattempo, alla fine del 2014, è tornata a vivere a Londra. Proprio a Londra era stato comunque completato e registrato il disco, con l’aiuto dei produttori Dan Cox Matt Ingram, quest’ultimo anche batterista e percussionista all’interno dell’album; il vecchio amico Tom Hobden dei Noah And The Whale (dove Laura aveva militato tra il 2006 e il 2008, fino alla fine della sua relazione amorosa con Charlie Fink), al violino e archi, Nick Pini (che nella presentazione del CD avevo erroneamente chiamato Pinki) al basso e la collaboratrice storica Ruth De Turberville al cello, completano il cast dei musicisti utlizzati nel disco. La stessa Laura Marling si è occupata delle chitarre, acustiche ed elettriche.

E qui sta la sorpresa nel sound del nuovo disco: il babbo di Laura le ha regalato una Gibson ES 335, e come lei stessa ha detto in varie interviste questo fatto ha inlluenzato profondamente il sound delle canzoni, tanto che in fase di presentazione aveva parlato addirittura (spaventandomi non poco) di album “elettronico”, forse anche per l’uso dei Pro-tools, utilizzati dagli assistenti al mixaggio. Per fortuna gli ingredienti tecnici e strumentali, per quanto importanti, non hanno inficiato la qualità dei brani, come al solito molto elevata e anche se possiamo parlare di un suono più elettrico, a tratti, lo stile della Marling rimane quel folk classico con innesti rock e la vicinanza ai nomi classici del cantautorato, Joni Mitchell in primis, ma anche Suzanne Vega, e gli alfieri del nuovo folk-pop, oltre ai citati Noah And The Whale, Mumford and Sons, Johnny Flynn, spesso suoi compagni di avventura, senza dimenticare quelle influenze di Pentangle (quindi Renbourn e Jansch, ma anche Donovan e Incredible String Band) Fairport Convention, Sandy Denny, Linda Thompson, e dischi classici del rock britannico, come Led Zeppelin III o i Pink Floyd più bucolici. Ovviamente per molti di questi nomi si può che parlare di influenze indirette, magari la nostra amica manco li conosce o li frequenta, ma si “respirano” nel panorama inglese e nei suoi dischi, forse incosciamente https://www.youtube.com/watch?v=mUnZybH1nTE .

Questo “lavoro” sul timbro della voce conferisce a tratti un’aura sognante alle canzoni, come nell’iniziale Warrior, percorsa anche da effetti sonori e percussioni varie che arricchiscono il tessuto del brano, per il resto sorretto solo dall’arpeggio della chitarra acustica, ma l’eco, la voce che si avvicina e si allontana danno un tocco di magia che la rende più affascinante, inizio intrigante. In False Hope appare la prima chitarra elettrica, il suono si fa decisamente più rock, un riff “sporco” e ripetuto che prelude all’ingresso della batteria, ma sempre con effetti e tocchi geniali che rendono più incisivo il risultato sonico, che qualcuno ha paragonato alle cavalcate di PJ Harvey,  eroina del rock alternativo britannico, altri ci hanno visto echi di Patti Smith e dei Velvet Underground, comunque lo si veda brano eccellente, canzone ispirata dall’incontro ravvicinato con l’uragano Sandy a New York, e che nei primi reportage sul disco era stata presentata erroneamente come Small Poke (mi ero fidato anch’io di quanto letto, ciccando di brutto). I Feel Your Love, una canzone su un amore contrastato almeno a livello cerebrale, vive sugli spunti della chitarra acustica fluida e vivace della Marling, e si colloca musicalmente a metà strada tra la divina Joni e Suzanne Vega, con il lavoro del cello e degli archi che nebulizzano il suono. Walk Alone con la sua chitarra elettrica gentilmente pizzicata profuma di California e della gloria mai passata della West Coast più geniale, con Laura che cerca anche degli arditi falsetti che ricordano sempre quella signora di cui sopra, mentre il solito cello provvede a rendere più corposo il tutto. In Strange Laura Marling assume una tonalità vocale sardonica, maliziosa, quasi “perfida”, nel suo fustigare questo uomo sposato che ama la protagonista della canzone, ma diventa a sua volta il protagonista negativo del brano, che musicalmente, tra percussioni e chitarre acustiche, si situa in quella nicchia che sta tra i Led Zeppelin e i cantautori acustici dei primi anni ’70. Don’t Let It Bring You Down racconta della sua permanenza californiana a Sliver Lake, il primo luogo da poter chiamare casa, dopo sei anni vissuti girovagando, il pezzo sembra, anche vocalmente, una canzone dei primi Pretenders di Chrissie Hynde, se avessero voluto dedicarsi al folk-rock, e prende il meglio di entrambi i mondi, l’eleganza del folk e la briosità del pop.

laura marling 1 laura marling 2

Easy contiene un verso tra i più visionari del disco “How did I get lost, looking for God on Santa Cruz? Where you go to lose your mind.  Well, I went too far this time” e musicalmente naviga ancora i mari della folk music più raffinata, con influenze quasi orientaleggianti nel cantato onirico e nel fingerpicking della chitarra. Gurdjieff Daughter’s cerca di raggiungere la “quarta via” proposta dal mistico e filosofo armeno, ma musicalmente sembra quasi un brano dei primi Dire Straits, un bellissimo pezzo elettrico cantato in piena souplesse dalla Marling, che si gode questo tuffo in una canzone costruita secondo la migliore tradizione della musica pop e rock, fin nel tintinnare delizioso delle chitarre elettriche. E anche Divine, che ha quasi gli stessi accordi del brano precedente, in versione acustica, con armonie vocali appena accennate e le solite sparse coloriture del gruppo di musicisti presente nel disco, si ascolta con grande piacere, mentre How Can I, è Joni Mitchell allo stato puro, tra Blue e Hejira, con le sue percussioni dal colpo secco, il borbottio del contrabbasso, le chitarre acustiche nervose e piccoli accenni di elettrica, forse il centrepiece dell’intero album, breve ma bellissima. Howl At The Moon è una sorta di blues elettrico, leggermente psichedelico, con la chitarra elettrica che disegna una traiettoria circolare quasi onirica e il cantato molto rarefatto, volutamente minimale, che moltiplica il fascino austero della canzone. Short Movie, la canzone che dà il titolo a questa raccolta, è uno dei brani più “strani” del disco, con degli archi dal suono leggermente dissonante, una sezione ritmica incalzante, inserti sonori che illustrano questo ipotetico “film breve” che raggiunge il suo climax nel crescendo finale https://www.youtube.com/watch?v=DdCdT_dcmUI . Si conclude con Worship Me, una ode quasi mistica a Dio, condotta nella prima parte solo da una chitarra elettrica, che poi viene avvolta dalle volute malinconiche della sezione archi, per questa mini sinfonia concertante, che illustra ancora una volta la costante crescita di questa magnifica cantautrice.

Esce domani.

Bruno Conti

Dal Nostro Inviato Nel Passato! David Crosby – Live At The Matrix, December 1970

david crosby live at the matrix

DAVID CROSBY – Live At The Matrix, December 1970 – Keyhole Records

Ehm…ma come? Siamo già alle soglie del 1971? No…non è possibile, ho appena comprato Chunga’s Revenge ed il primo ottobre sono andato a vedere gli Stones al Palalido con mio padre (grazie Palo!)….vuoi mika dire che quel quadratino di umida carta assorbente, con il volto ghignante di Yuri Gagarin stampigliato sopra, mi abbia scombussolato così tanto???  Mah….non ho più il fisico, si vede…

*NDB Questo è il bootleg completo!

Comunque, al momento ho tra le mani questa registrazione pirata, ma con una buona qualità audio, di David Crosby & Friends. In  pratica un’anteprima live al Matrix di San Francisco del suo primo album solo, che dovrebbe uscire il prossimo anno e che si preannuncia molto, molto interessante. Accompagnato da Captain Trips in persona, Jerry Garcia, e da due suoi adepti quali Phil Lesh e Mickey Hart, ci propone alcune sue nuove composizioni, un brano già conosciuto ed alcuni pezzi degli stessi Grateful Dead.

david and the dorks live matrix 70

Il Matrix deve essere un bel posticino accogliente ed informale, al punto da mettere i 4 a loro agio ed in assoluto relax dato che, dopo una bluesata e preparatoria versione di Drop Down Mama, eseguono un meraviglioso brano, per ora inedito, dal titolo: Cowboy Movie. Crosby lo introduce ironizzando e dicendo che insieme ad amici, erano seduti sul divano di casa a guardare la televisione, a mangiarsi appunto una TV dinner e a vedere un B Movie su indiani & cowboys, che ha poi ispirato il pezzo. Trattasi di un vero e proprio capolavoro, che mette in pratica la cosiddetta Legge di Miles: less is more.

La voce di David è perfetta nel declamare le lente e sognanti strofe, che narrano la storia di alcuni banditi che, dopo una rapina al treno, tornano al loro accampamento e vengono traditi dalla bella squaw, che in realtà è una rinnegata dello sceriffo, insomma una della legge. E’ lei che distrae il nostro eroe con le solite moine, il quale, ferito e sconfitto, morirà tristemente alla periferia di Albuquerque, “nella più desolata visione che abbiate mai avuto”.

david crosby live 1970 1

Penso sinceramente che questa sia una delle canzoni più belle che abbia mai ascoltato in vita mia. Il basso di Lesh, con il suono fatto di  gomma liquida è grandioso, la batteria di Hart è discreta e  rarefatta, incalzante quando necessario. Ma è la chitarra davvero lisergica e lacerante di Garcia a definire l’atmosfera, insieme alla splendida voce di David, rendendo il brano praticamente un raga di oltre 9 minuti, che vorresti non finisse mai. Mi aspetto che, incisa in studio con tutti i crismi e gli arrangiamenti definitivi, questo pezzo diventi uno dei massimi esempi della musica rock contemporanea. Ma, almeno in questo caso, la bellezza non ha confini e si prosegue con un altro grande pezzo di Crosby, cioè quella Triad rifiutata dai Byrds (che poi ci hanno ripensato) ma registrata dai Jefferson Airplane nel loro album del ’68 Crown Of Creation, anche questa in una grande interpretazione, intensa, rilassata e fluida.

david crosby live matrix 2

Poi è il turno di The Wall Song, anch’essa inedita e forse non ancora debitamente compiuta, ma  sempre nel puro stile di Crosby; quindi Bertha e Deep Elem Blues, dal repertorio classico dei Dead. Quasi a chiudere, ma prima dell’ultima perla, una buona versione dello standard Motherless Children. Dulcis in fundo, il concerto termina con un altro fantastico inedito, Laughing, di 10 minuti abbondanti, in cui tutta la sensibilità e la classe dell’autore e della band che lo accompagna, si manifestano in un brano etereo e spirituale, quanto sublime. Alla fine non resta che rimettere la puntina sul primo solco e riascoltare il tutto ancora molte volte, quasi increduli, abbandonandoci alle paradisiache vibrazioni fluttuanti dallo stereo.

david crosby if i could only

Insomma questo 1970, già ricco di altri capolavori come American Beauty, Zeppelin III, Abbey Road, il Jack Johnson di Miles Davis, solo per citarne alcuni, finisce in grande bellezza, anche se lo scioglimento dei Fab Four, prorio all’inizio del nuovo decennio, mi ha causato una certa paranoia. Quindi non vedo l’ora di ascoltare questo primo album solista di Croz che, stando ad alcune indiscrezioni fatte filtrare dal settimanale Melody Maker, sarà affiancato da tutto il gotha musicale della West Coast. Si sussurra infatti delle collaborazioni di Young, Nash, Joni Mitchell, di alcuni membri dei Jefferson Airplane e dei Dead, altri amici e nomi illustri: insomma le basi per un album davvero epocale ci sono tutte e quindi basta solo attendere https://www.youtube.com/watch?v=Q18Tht5bBtg .

Buon 1971 a tutti & Happy Trails!

Un ringraziamento al mio amico Paolo Canevari, promettente chitarrista, per i suggerimenti storico-biografici.

Jimmy Ragazzon

 

P.s

Da una verifica casuale mi sono accorto che questo è il Post n° 2000 del Blog, e li trovate ancora tutti in rete, quindi tanti auguri in tutti i sensi!

Bruno il Blogger

Non Il Solito Disco Natalizio! Blue Rodeo – A Merrie Christmas To You

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Blue Rodeo – A Merrie Christmas To You – Warner Music Canada

In questo periodo dell’anno si rinnova quella simpatica usanza del disco Natalizio, anzi per le abitudini (nord)americane siamo addirittura in ritardo, spesso i cosiddetti “album stagionali” escono quando l’estate è ancora in corso, o come dicevano i Righeira (citazione colta) sta finendo. Diciamo che, mentre l’album natalizio classico è quasi sempre una raccolta di brani celebri, anche pescati dalla tradizione religiosa, quello stagionale si rivolge più a canzoni, magari originali, scritte per l’occasione, che trattano di argomenti relativi al periodo invernale e non solo alle feste, ma è un sottile distinguo. Il CD di cui stiamo per parlare, questo A Merrie Christmas To You dei Blue Rodeo, direi che, nonostante il titolo, si colloca più nel filone dei dischi stagionali: sono dieci brani, due originali, scritti dalla inossidabile coppia Jim Cuddy/Greg Keelor, un traditional come O Come All Ye The Faithful, un super classico come Have Yourself A Merry Little Christmas, e sei cover di brani intonati al periodo, ma che sono anche l’occasione per la band canadese di rivisitare il songbook di alcuni grandi autori, Alex Chilton, Merle Haggard, Joni Mitchell, Paul Simon, Gordon Lightfoot e Robbie Robertson.

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E anche se io sono di parte, perché considero il gruppo canadese uno dei migliori gruppi sulla faccia del pianeta terra http://discoclub.myblog.it/2013/11/14/festeggiano-25-anni-e-spiccioli-di-carriera-con-un-grande-di/ , mi sembra che la missione di fare un bel disco di Natale per il 2014 (e per gli anni a venire) sia perfettamente riuscita. I Blue Rodeo, per chi scrive, sono sempre stati il vero anello mancante, tra i Buffalo Springfield, la West Coast e il country-rock, e il cosiddetto insurgent o alt-country di Uncle Tupelo, poi dei primi Wilco e Son Volt, i Jayhawks, e altri gruppi che nell’ultima decade del secolo scorso hanno tenuto alta la bandiera di questo movimento. Cuddy, Keelor e soci, sono venuti prima, unendo quel meraviglioso gusto della melodia mista al rock del connazionale Neil Young, e degli americani Stephen Stills e Richie Furay, poi anche nei Poco, con la grande tradizione della Band, per l’uso delle tastiere, e gli intrecci vocali mozzafiato presi sia dal country, quanto dalla West Coast music, come dai dischi dei Beatles, soprattutto lato McCartney. Tutti elementi che sono presenti anche in A Merrie Christmas To You, magari l’uso dei cori è meno accentuato,ma sempre presente, soprattutto nelle prime canzoni, dove le voci di Jim Cuddy e Greg Keelor operano più da cantanti solisti, ma è un piccolo appunto che poi si appiana nella seconda parte del CD.

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L’apertura è affidata alla bellissima canzone di Alex Chilton,Jesus Christ was born today, Jesus Christ was born”, con chitarre tintinnanti e cristalline e la voce di Keelor in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=ZmBSFBLebiE , che lascia posto a quella di Cuddy per una deliziosa rilettura, nel solco della più pura tradizione natalizia di Have Yourself A Merry Little Christmas, con pedal steel e tastiere in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=NzbGCAYrn0k e il nostro Jim che la propone quasi fosse un devoto del Paul McCartney più melodico (quale credo sia) con tanto di classici wooo wooo beatlesiani, molto piacevoli. Ancora pedal steel e organo sugli studi, ma in ritmi di puro country per una bellissima versione di If We Make It Through December, dal repertorio di Merle Haggard, cantata in solitario da Greg Keelor. Poi è il turno di una delle canzoni più belle di tutti i tempi che parlano del periodo di Natale (e non solo), River di Joni Mitchell, cantata stupendamente da Jim Cuddy, con piano, organo, pedal steel e le chitarre che si amalgano alla perfezione in un tutt’uno veramente emozionante, grande versione, con alcuni falsetti da brivido. O Come All Ye The Faithful, il brano tradizionale, è fatto come se fosse una canzone dei Fairport Convention, con l’organo al posto del violino, ma la stessa grinta del miglior folk-rock della band britannica https://www.youtube.com/watch?v=Kf312WUMCrs .

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Getting Ready For Christmas Day non la ricordavo tra i brani di Paul Simon, ma in effetti si trova sull’ultimo So beautiful or so what, versione molto à la Graceland, pimpante e ritmata, con un piano elettrico a menare le danze (l’ottimo Michael Boguski, peraltro grande protagonista in tutto al disco alle tastiere) che ricorda molto anche il sound di Get Back https://www.youtube.com/watch?v=1BCkg5z2QPg , ben supportato da, chitarra elettrica organo e mandolino (Bob Egan, nel resto dell’album alla pedal steel) a seguire i due brani nuovi, Glad To Be Alive e Home To You This Christmas, https://www.youtube.com/watch?v=IVVo0YlvftA  classici esempi di Blue Rodeo sound, melodie avvolgenti, grandi armonie vocali, chitarre spiegate, le immancabili tastiere, bellissime entrambe, come pure la cover, molto raccolta, di un pezzo del grande Gordon Lightfoot, Song For A Winter’s Night e la conclusione, per chiudere il cerchio, con la trascinante Christmas Must Be Tonight, scritta da Robbie Robertson per Islands, l’ultimo album della Band Mark I, ed eseguito dai Blue Rodeo, che in Canada ne vengono considerati gli eredi, in modo eccellente https://www.youtube.com/watch?v=O3TBdry3btQ . Come tutto l’album d’altronde, non solo un bel album natalizio, ma anche, volendo!

Bruno Conti

P.s Il CD è solo di import canadese, quindi non si trova facilmente!

Novità Di Fine Novembre, Parte I. R.e.m., Coldplay, Jeff Beck, Wilko Johnson & Roger Daltrey

remtv

Mentre in questi giorni sono usciti i cofanetti già annunciati dei Velvet Underground (la  ristampa Deluxe del 3° album in 6 CD), Joni Mitchell Love Has Many Faces, i primi due box da 2 CD + DVD (O Blu-Ray) della serie Live From The Vault dei Rolling Stones, è in uscita ad inizio settimana prossima in Europa (ma già disponibile negli States dal 18 novembre) quello da 4 CD dei Wilco di materiale d’archivio, Alpha Mike Foxtrot: Rare Tracks 1994-2014, nell’ultima settimana di novembre escono altri titoli interessanti da portare alla vostra attenzione, per il resto, quando possibile, cerchiamo di darvi recensioni specifiche, alcune già pubblicate, altre che lo saranno nei giorni a venire. Tra le uscite più interessanti, soprattutto per i fans dei R.e.m. c’è quella confezione da 6 DVD (non esiste, almeno al momento, il Blu-ray) dedicata al materiale video della ex band di Athens, Georgia. Intanto, comprende il materiale relativo ai due MTV Unplugged, recentemente pubblicati in CD e che molti si erano chiesti perché non uscissero anche nella loro contraparte visiva, ma si tratta solo del primo dischetto di questa lussuosa confezione, il resto è quanto segue:


DVD1
Unplugged 1991
Outtakes 1991
Unplugged 2001
Outtakes 2001

DVD2
VH1 Storytellers
Storytellers Outtakes
The Cutting Edge
Livewire
MTV 10th Anniversary Special
Video Music Awards 1993
Video Music Awards 1995
European Music Awards 1998
European Music Awards 2001
Rock And Roll Hall Of Fame Induction 2007
The Colbert Report 2008

DVD3
R.E.M. In Dallas
R.E.M. Uplink At Bowery Ballroom
Live In Cologne
Live In Cologne Outtakes

DVD4
R.E.M. At The Tabernacle, London
MTV Sonic Milan
Rock AM Ring
Rock AM Ring Outtakes

DVD5
Live At Rolling Stone, Milan
Live At Oxegen Festival
R.E.M. Live In Athens, Greece

DVD6
R.E.M. By MTV
Deleted Scenes

Ovviamente non si tratta dei concerti completi tenuti nella località indicate (a parte gli Unplugged) ma di quanto andato in onda negli anni in televisione (una televisione https://www.youtube.com/watch?v=099QC_mzfbU , da qui il nome del cofanetto, uscito per la Warner Rhino il 25 novembre.

jeff beck live in tokyo

Sempre parlando di DVD, martedì è uscito anche questo Jeff Beck Live In Tokyo, per la Eagle Rock Entertainment, ormai parte del gruppo Universal, ma non in tutti i paesi del mondo dove sono ancora in essere contratti di distribuzione con case diverse, ad esempio in Italia con la Edel. Si tratta del concerto tenuto alla Tokyo Dome City Hall il 9 aprile di quest’anno con la nuova formazione che accompagna Beck: Jonathan Joseph (drums), Nicolas Meier (guitars) and Rhonda Smith (bass). Questi i brani della track-list: 1) Loaded 2) Little Wing 3) You Know You Know 4) Hammerhead 5) Angel (Footsteps) 6) Stratus 7) Yemin 8) Where Were You 9) The Pump 10) Medley: Goodbye Pork Pie Hat / Brush With The Blues 11) You Never Know 12) Danny Boy 13) Blue Wind 14) Led Boots 15) Corpus Christi 16) Big Block 17) A Day In The Life 18) Rollin’ And Tumblin’ 19) ‘Cause We Ended As Lovers 20) Why Give It Away, per un totale di 112 minuti, compresi alcuni extra e alcuni brani che faranno parte del nuovo disco del chitarrista inglese, in uscita nel 2015. Esiste anche il Blu-Ray.

coldplay ghost stories live cd+dvd

Sempre parlando di live, una band che di solito non è famosissima per i propri concerti dal vivo (ma ne fanno parecchi) pubblica una ennesima confezione CD+DVD Ghost Stories Live 2014 che esce per la Parlophone/Warner a soli due anni di distanza dal precedente Live e registrato, in parte, nel marzo del 2014, due mesi prima della pubblicazione del nuovo disco, in un piccolo anfiteatro costruito ad hoc negli studi Sony di Los Angeles di fronte ad un pubblico ad inviti. Poi il progetto è stato ampliato, aggiungendo un CD registrato in vari concerti in giro per il mondo e nella parte video, i clip di 8 canzoni e altro materiale vario, come leggete qui sotto:

CD
1. Always In My Head (Live At The Royal Albert Hall, London)
2. Magic (Live At The Enmore Theatre, Sydney)
3. Ink (Live At Le Casino De Paris, Paris)
4. True Love (Live At The Enmore Theatre, Sydney)
5. Midnight (Live At The Royal Albert Hall, London)
6. Another’s Arms (Live At The Beacon Theatre, New York)
7. Oceans (Live At E-Werk, Cologne)
8. A Sky Full Of Stars (Live At The Royal Albert Hall, London)
9. O (Live At Royce Hall, Los Angeles)

DVD
1. Always In My Head
2. Magic
3. Ink
4. True Love
5. Midnight
6. Another’s Arms
7. Oceans
8. A Sky Full Of Stars
9. O
10. Midnight
11. Magic (Extended Director’s Cut)
12. A Sky Full Of Stars
13. True Love
14. Ink (Live At The Royal Albert Hall)
15. All Your Friends (Visual)
16. Ghost Story (Visual)
17. Always In My Head (Artwork Animation)
18. Always In My Head (Alternate Live Take)
19. Oceans (Alternate Live Take)
20. Magic (Making Of)
21. Ghost Stories (Making Of)
22. Credits

Sempre uscito il 25 novembre, c’è anche il Blu-Ray!

wilko johnson roger daltrey going back home deluxe

Mentre l’ex leader dei Dr.Feelgood, Wilko Johnson, continua a lottare gagliardamente contro la sua malattia (e spero che i soldi di questa Deluxe Edition doppia possano servirgli per pagare le spese mediche delle sue cure), non riesco a capire questa mania delle case discografiche di pubblicare nuove edizioni ampliate di dischi usciti da poco tempo, in questo caso la Universal, non è più semplice farne uscire uno nuovo?

Evidentemente no: questa edizione ampliata comprende 1 brano “nuovo” Muskrat, 4 versioni alternative di brani contenuti nel disco di studio originale, 6 canzoni registrate allo Shepherd’s Bush Empire dal vivo il 25 febbraio e 7, sempre Live, tratte dal Teenage Cancer Trust 2014 show alla Royal Albert Hall, curato da Roger Daltrey, con entrambi i musicisti presenti. Si parla anche addirittura di un nuovo disco di studio per Wilko, speriamo, lunga vita(il più possibile) al nostro amico! Comunque se ve lo siete perso al primo giro, una buona occasione per rimediare.

Il resto delle uscite di fine mese domani, siamo ancora in novembre!

Bruno Conti

Suadenti Atmosfere, Sempre Dal Canada ! Lynne Hanson – River Of Sand

lynne hanson river of sand

Lynne Hanson – River Of Sand – Continental Song/IRD

In questi ultimi anni non è stato infrequente incontrare ed apprezzare nuovi talenti femminili apparsi quasi improvvisamente alla ribalta musicale, in particolare delle “ladies” della musica d’autore dal paese delle “Giubbe Rosse”. La “signorina” in questione porta il nome di Lynne Hanson, arriva da Ottawa, Ontario, è giunta al quarto lavoro, dopo l’esordio con Things I Miss (06), seguito da Eleven Months (08), e l’acclamato Once The Sun Goes Down (10), vincitore del Colleen Peterson Award, In questi ultimi anni si è fatta conoscere girando tutto il Canada e Stati Uniti, approdando anche in Europa (Scozia e Olanda) con una serie di concerti che oltre a dimostrare il suo talento, evidenziavano una progressiva crescita sia nella qualità del “sound”, sia nella cura dei testi, aiutata dalla sua amica e produttrice canadese Lynn Miles (un’altra cantautrice da riscoprire, con ottimi dischi alle spalle e vincitrice del Juno Award).

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Anche questo River Of Sand è prodotto dalla Miles, e vede la Hanson accompagnata da bravi musicisti di “area”, tra i quali Phil Shaw Bova, MJ Dandeneau, Andres Derup, Mike Dubue, Jonathan Ferrabee, Keith Glass, Fraser Holmes, Gilles LeClerc, Lyndell Montgomery, Bob Stagg, e come coriste Rebecca Campbell e la stessa Lynn Miles, il tutto per quarantacinque minuti di tematiche sulla solitudine.

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Si incomincia a risalire il fiume con la melodia che scorre dalla title track River Of  Sand https://www.youtube.com/watch?v=2fdauZd1FYE , indi passando per le note alcooliche di Whiskey And Tears, una ballata di dolore come This Too Shall Pass https://www.youtube.com/watch?v=SuhUeIvaEww , e l’eclettico drumming di Waiting By The Water, con la pedal steel in bella evidenza. Il viaggio lungo la sabbia del fiume prosegue con il suono ammaliante di Heaven And Hell https://www.youtube.com/watch?v=wBYBKd5ymIU , il dolce suono del mandolino nell’acustica Tightrope, lo splendido assolo della pedal steel in una ballata dolcissima come Foolish Things, e lo spiazzante “uptempo” di Good Intentions. Ci si avvicina alla foce del fiume con le note vellutate di un pianoforte in Colour My Summer Blue, gli arpeggi malinconici di una commovente That Old House, attraccando a riva con le sonorità country di Trading In My Lonesome, firmata insieme alla  Miles. Sentendo questo River Of Sand, viene da chiedersi come faccia da decenni il freddo Canada a  sfornare cantautrici di vaglia (a partire dalla più brava, Joni Mitchell, passando per K.D. Lang, Buffy Sainte-Marie, Jane Siberry, Sarah Harmer, Kathleen Edwards, Mary Margaret O’Hara, e tantissime altre), tutte depositarie di una tradizione fortemente radicata con il cantautorato nordamericano, con suoni dalle belle melodie, strumentazione acustica in evidenza, su un tessuto di brani folk di rara bellezza. Aggiungo che Lynne Hanson è in possesso di una delle voci più belle, duttili ed espressive attualmente in circolazione, che, se volete approfondire, vi accompagnerà in queste piovose giornate autunnali, e non solo!

Tino Montanari

Non Il Cofanetto Che Ci Si Aspettava Da Lei! Joni Mitchell – Love Has Many Faces

joni mitchell love has many faces

Joni Mitchell – Love Has Many Faces – 4 CD Rhino – 17-11-2014

Nel 2012 la Rhino aveva pubblicato un box da 10 CD intitolato The Studio Albums 1968-1979, ora la stessa etichetta ne pubblicherà uno da quattro CD, Love Has Many Faces, in data 17 novembre. Ma nessuno dei due, purtroppo, è quello che era stato annunciato alcuni anni or sono, inserito anche nelle liste di uscita del gruppo Warner, e poi cancellato, all’epoca si disse per problemi di budget. Quel box, in 4 CD e 1 DVD, avrebbe dovuto contenere una cornucopia di materiale, tra cui moltissimi inediti audio e video, che ripercorrevano tutta la carriera della bionda cantante canadese. Anche mettendo insieme le due “nuove” uscite, però, non riusciamo a trovare neppure un miserrimo brano inedito. Comunque vediamo di cosa tratta questo nuovo cofanetto, che nasce da una idea della stessa Joni Mitchell.

joni mitchell studio albums

Un progetto che ha richiesto prima 18 mesi, per trovare e mettere in sequenza tutte le canzoni di Joni che parlavano di amore, inizialmente in un solo disco, e poi altri due anni per ottenere questo album, più complesso, che porta come sottotitolo A QUARTET, A BALLET, WAITING TO BE DANCED. Quindi la cantautrice ha voluto creare questo balletto in quattro parti dedicato all’amore, pescando da 53 canzoni della sua discografia di 17 album, messe in sequenza tra loro per ottenere l’effetto di un balletto in quattro parti (o atti, come riportano i singoli dischetti) o quattro balletti, con i brani riuniti in ogni singolo album, o parte del balletto stesso, in base alla loro aderenza tematica alla propria visione.

joni mitchell ottobre 2014

Come sempre, progetto ambizioso quello della geniale autrice, cantante, e ora, per le note ma misteriose vicissitudini di salute (almeno a giudicare dalla foto qui sopra, presa il 12 ottobre, e nel video registrato alla celebrazione del suo 70° compleanno, il 18 giugno dello scorso anno https://www.youtube.com/watch?v=XdpTGFZSgfA e comunque le scelte, anche di ritirarsi, si rispettano, però si può cambiare idea!), soprattutto pittrice ed artista visiva. Se non altro tutti i brani sono stati rimasterizzati nel 2014 per ottenere questo collage sonoro e nelle parole della Mitchell dovrebbero suonare sia familiari che nuove in questa sequenza ad hoc che, si spera, sarà un viaggio interessante attraverso la sua opera, con le canzoni che nelle sue intenzioni interagiscono l’una con l’altra, nel tentativo di creare una sorta di opera cinematografica, un documentario sonoro sulla sua vita. Questo almeno sulla carta, poi vedremo se si tratterà solo di una ennesima, sia pure Super, raccolta di successi, con i brani scelti dalla stessa Joni Mitchell, tra 40 anni di registrazioni. In ogni caso le canzoni sono queste:

CD1
1. In France They Kiss On Main Street
2. Ray’s Dad’s Cadillac
3. You Turn Me On I’m A Radio
4. Harlem In Havana
5. Car On A Hill
6. Dancin’ Clown
7. River
8. Chinese Cafe/Unchained Melody
9. Harry’s House/Centerpiece
10. Shades Of Scarlett Conquering
11. Number One
12. The Windfall (Everything For Nothing)
13. Come In From The Cold

CD2
1. Court And Spark
2. No Apologies
3. Trouble Child
4. Not To Blame
5. Nothing Can Be Done
6. Comes Love
7. Moon At The Window
8. Blue
9. Tax Free
10. The Wolf That Lives In Lindsey
11. Hana
12. Hejira
13. Stay In Touch
14. Night Ride Home

CD3
1. You’re My Thrill
2. The Crazy Cries Of Love
3. Love Puts On A New Face
4. Borderline
5. A Strange Boy
6. You Dream Flat Tires
7. Love
8. All I Want
9. Be Cool
10. Yvette In English
11. Just Like This Train
12. Carey
13. The Only Joy In Town

CD4
1. Don Juan’s Reckless Daughter
2. Two Grey Rooms
3. God Must Be A Boogie Man
4. Down To You
5. A Case Of You
6. The Last Time I Saw Richard
7. Raised On Robbery
8. Sweet Sucker Dance
9. Lakota
10. Cool Water
11. Amelia
12. Both Sides Now
13. My Best To You

Le canzoni sono tutte belle, la sequenza è intrigante, la confezione pure, ci saranno anche un poema per ogni singolo brano, sei dipinti e dei commenti dell’autrice sul processo di registrazione dei brani originali: vedremo e, come al solito, soprattutto sentiremo. Il prezzo dovrebbe essere onesto, sui 60 dollari negli USA e sotto i 50 euro in Europa, indicativamente.

Bruno Conti