Così Non Ne Fanno Più Molti! Rory Gallagher – The Beat Club Sessions

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Rory Gallagher – The Beat Club Sessions – Capo/Eagle Records/Edel

Rory Gallagher è stato sicuramente una delle figure più carismatiche della scena musicale blues-rock Britannica (irlandese per la precisione) dalla fine degli anni ’60 quando esordiva con i Taste, un grande power-trio nato sulla scia dei Cream e poi come leader di un gruppo che ha portato il suo nome fino alla sua prematura morte avvenuta nel 1995 per le complicazioni in seguito ad un’operazione per sostituire il suo fegato distrutto da anni di problemi con l’alcol.

Gallagher era una specie di eroe nazionale in Irlanda, per valutarne la portata basta ricordare che il giorno della sua morte tutte le televisioni nazionali sospesero le trasmissioni per dare la notizia della sua morte (BBC compresa) e i funerali furono trasmessi in diretta nazionale. Rory Gallagher è stato sicuramente uno dei musicisti bianchi che meglio hanno applicato la lezione del blues alle scansioni del rock realizzando, soprattutto nei primi anni, una serie di album che ancora oggi rimangono tra le cose migliori mai uscite nell’ambito di quel genere definito per convenzione rock-blues: dischi come i 3 dei Taste e tra la produzione solista, il primo omonimo, Deuce, Blueprint e Tattoo, e i fantastici Live In Europe e Irish Tour sono quasi indispensabili per chi è un appassionato di Blues(rock) e di chitarra in particolare.

In possesso di una tecnica irruente, torrenziale, quasi rude ma capace anche di grandi virtuosismi alla slide e con la chitarra acustica, Gallagher è stato sicuramente uno dei dieci più grandi chitarristi nella storia del genere. Dal vivo soprattutto era quasi irrefrenabile, una vera forza della natura, con i suoi immancabili camicioni di flanella spesso a quadrettoni rossi e neri (così l’ho visto al Lirico di Milano nel 1971), la sua Fender scrostata e arrugginita ma con un suono unico da cui era in grado di ricavare un torrente di note, la sua voce cruda e appassionata, i suoi concerti erano degli eventi per chi vi assisteva. Negli anni successivi alla sua scomparsa è già stato pubblicato del materiale inedito: penso al doppio disco delle BBC Sessions ma anche al DVD Live At Montreux e al cofanetto triplo di DVD che raccoglieva le sue partecipazioni al mitico Rockpalast. Il Beat Club era la trasmissione che ha preceduto il Rockpalast, registrato negli studi di Brema tra il settembre 1965 e il dicembre 1972 ha visto transitare nei suoi studi la storia della musica rock, da Jimi Hendrix ai Led Zeppelin, passando per Santana, Who e mille altri, spesso in playback ma molte volte anche in performances dal vivo inedite.

Questo CD di Gallagher raccoglie il meglio delle sue tre apparizioni nella trasmissione tra il maggio del 1971 e il dicembre del 1972: accompagnato dai fidi Gerry McAvoy al basso e Wilgar Campbell alla batteria sciorina il meglio dei suoi primi due dischi di studio, 10 originali e due cover per un totale di 12 brani. Esiste anche una pubblicazione gemella in doppio DVD che oltre a questi brani dal vivo contiene un secondo dischetto con la storia della sua carriera, si chiama Ghost Blues.

Tornando al CD, diciamo che è strepitoso, dalla partenza sparatissima con una scatenata Laundromat, uno dei suoi cavalli di battaglia, con la chitarra che fischia, urla e strepita con il suo sound inconfondibile e poi l’ottima Hands Up molto raffinata, quasi jazzata in alcuni passaggi chitarristici e ancora l’eccellente Sinnerboy dalla partenza in sordina che poi si scatena in un’orgia di slide guitar che nulla ha da invidiare a vituosi come Winter, Cooder o Landreth, anzi! Una pausa acustica con Just The Smile dove le sue origini irlandesi si palesano e il blues con armonica di I Don’t Know Where I’m Going e poi un fantastico slow blues come I Could’ve Have Religion ancora con la slide in overdrive. Used to Be è un altro di quei blues-rock riffatissimi che erano il suo marchio fabbrica, imperdibile mentre In Your Town con la sua andatura boogie era un altro dei suoi brani più noti, qui in una versione devastante ancora con il suono della slide a dettar legge mentre la ritmica macina ritmi forsennati.

Should’ve Learned My Lesson è uno slow blues che, anche in questo caso, non ha nulla da invidiare a quel capolavoro che si chiama Since I’ve been Loving You che trovate sul terzo capitolo degli Zeppelin, entrambi sono dei miracoli di equilibri sonori e virtuosismo nell’ambito del blues, senti che roba!

Crest of a wave è un’altra grande canzone, questa volta rock puro, mentre Toredown è uno dei classici con cui si sono misurati i grandi della chitarra e Messin’ With The Kid, altro cavallo di battaglia, uno dei pezzi blues-rock più irresistibili di tutti i tempi.

Da non perdere!

Bruno Conti

E’ Morto Solomon Burke The King Of Rock’N’Soul – 1940-2010

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Oggi è morto Solomon Burke, mentre era in volo per recarsi ad Amsterdam dove tra due giorni avrebbe dovuto tenere un concerto. Aveva 70 anni (nato a Philadelphia nel 1940, ma secondo alcuni era del 1938 o addirittura del 1936): è stata una delle più grandi voci nella storia della musica, a prescindere dal genere. Cantante strepitoso e performer indimenticabile, il disco da avere assolutamente (ma sono quasi tutti belli) è quella doppia antologia, Home In Your Heart (che potrebbe essere il suo motto) che vedete qua sopra. Raccoglie il meglio del suo periodo anni ’60 con la Atlantic quando era veramente il Re del Soul, Otis Redding ne è stato un grande epigono e i Blues Brothers ci hanno costruito una carriera sopra. Ha continuato a fare dischi eccellenti fino alla fine e anche se non ha raggiunto il sogno dei grandi musicisti, quello di morire sul palco, ci è andato molto vicino.

Eccolo quando era intoccabile, una voce incredibile, il più grande di tutti, la versione degli Stones lo ha solo sfiorato! La versione italiana (se il brano vi sembra familiare) era Come Ti Vorrei di Iva Zanicchi, il suo primo successo.

R.I.P. Solomon.

Bruno Conti

Happy Birthday! John Lennon – Double Fantasy Stripped Down

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John Lennon – Double Fantasy Stripped Down – Capitol Records 2 CD

Oggi avrebbe compiuto 70 anni. Sette belle canzoni, sette un po’ meno, ma accontentiamoci!

Bruno Conti

Novità Di Ottobre Parte II E 1/2. Thorogood Live In Boston E Alcune Variazioni

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Oggi non ho avuto tempo di scrivere un nuovo posto per cui aggiorno quello di un paio di giorni fa. Intanto ho corretto il refuso nel titolo per cui i Belle and Sebastian erano diventati Belle and Sebastina.

Poi aggiungo alle uscite (dimenticato!) questo eccellente Live In Boston 1982 di George Thorogood con materiale dell’epoca Rounder e tratto dal tour dove facevano da spalla agli Stones. Da notare, una versione di 13 minuti di One Bourbon, One Scotch, One Beer di John Lee Hooker. Non ricordo se è lo stesso tour di quando vennero anche a Milano all’Odissea 2001, ma credo che fosse l’anno prima il 1981, concerto bellissimo anche quello, con volumi micidiali e Thorogood che battezzava i presenti vicini al palco con il manico della sua chitarra. Ricordo che alla fine del concerto eravamo tutti addossati al bar, che era dalla parte opposta del locale rispetto al palco, con un principio di tinnito. Non ho sentito niente per due giorni, ma vuoi mettere la soddisfazione!

Aggiornamenti! Neanche due giorni che ho scritto il post e parecchi titoli slittano la loro uscita dal 12 ottobre al 19: tra questi il DVD e il Blu-Ray di Ladies And Gentlemen…degli Stones, il nuovo Lukhater, il disco di Bachman & Turner e Beth Hart My california. Parliamo sempre di uscite per il mercato italiano.

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Già che ci sono vi anticipo due titoli che usciranno il 19 ottobre. Il primo è il secondo volume della serie di Suzanne Vega intitolata Close-Up dove riprende i suoi vecchi brani in nuove versioni acustiche, questo si chiama Vol.2 People & Places, ne seguiranno altri 2 entro la fine del 2011.

Sul fronte italiano che non frequento spesso vi segnalo il nuovo disco di Massimo Altomare Outing. Ricordo che i due dischi di Loy & Altomare Portobello e Chiaro erano tra i dischi italiani degli anni ’70 più vicini alla produzione angloamericana e mi piacevano moltissimo.

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Infine agli Sprinsgteeniani ricordo che è uscito For You 2 A Tribute To Bruce Springsteen, curato da Ermanno Labianca esce a 15 anni di distanza dal volume 1 per la Route 61, distribuzione indipendente quindi di non facile reperibilità, questa è la tracklist:

CD 1
Riccardo Maffoni – “It’s hard to be a saint in the city”
Brando – “Johnny bye bye”
Massimiliano Larocca – “Iceman”
Modena City Ramblers – “The ghost of Tom Joad”
Tenca/Severini/Basile – “Eyes on the prize”
Lorenzo Bertacchini & Elizabeth Lee – “Be true”
PJ Faraglia – “State trooper (instrumental)”
Andrea Parodi & JT Van Zandt – “Racing in the street”
Rusties – “Adam raised a Cain”
Luigi Mariano – “Matamoros banks”
Daniele Groff – “Radio nowhere”
Mardi Gras – “Land of hope and dreams”
CD 2
PJ Faraglia – “Cadillac ranch (instrumental)”
Lorenzo Bertocchini – “Sherry darling”
Srl Freeways – “The train song”
Dust n’ Bones – “Guilty (the judge song)”
Daniele Tenca – “Factory”
Joe Slomp – “Jesus was an only son”
Lowlands – “Soul driver”
Wild Junkers – “Better days”
Sergio Marazzi & Oil – “Nothing man”
Cheap Wine – “Youngstown”
Antonio Zirilli – “Growin’up”
Miami & The Groovers – “Shut out the light”
Francesco Lucarelli – “Tomorrow never knows”

Alla prossima.

Bruno Conti

Ma Che Bello! The Duke And The King – Long Live The Duke And The King

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The Duke & The King – Long Live The Duke And The King – Silva Oak/Loose/Pias/Self

O per dirla tutta come Nino Frassica nei panni di Frate Antonino da Scasazza avrebbe detto “Non è bello ciò che è bello, ma che bello, che bello, che bello”. Dopo questa citazione storica facciamo anche l’altra che tutti si aspettano per dimostrare di avere studiato: The Duke and The King sono due dei  compagni di viaggio di Huckleberry Finn nel famoso romanzo di Mark Twain. Ma vi dirò di più ancora, in questo sfoggio di cultura, il titolo dell’album del 2009 dei Felice Brothers Yonders is the Clock è anche il titolo di un altro racconto di Mark Twain.

Già ma perché i Felice Brothers appaiono subito in questa recensione? Ma è elementare, Watson! Perchè Simone Felice, il leader di questo gruppo è il fratello ed ex batterista e polistrumentista nel gruppo di famiglia, ma “membro minore”  e non come in modo magniloquente viene riportato nel comunicato stampa, cito parola per parola – La nuova incarnazione di Simone Felice, la mente degli americani Felice Brothers…- ma mi faccia il piacere! Chissà come saranno contenti, e sorpresi, i fratelli.

Comunque questo Long Live The Duke And The King è un signor disco, un passo avanti rispetto al già ottimo Nothing Gold Can Stay ed assolutamente alla pari o superiore agli album dei Felice Brothers. Non per nulla, e questo è assolutamente vero, Simone Felice il 16 ottobre prossimo a Livorno riceverà il Premio Ciampi come migliore songwriter americano dell’anno. E questo per il disco dello scorso anno, questo è anche meglio, quindi tenere d’occhio.

Si diceva che questo nuovo LLTDATK (per comodità vista la lunghezza del titolo) è un ulteriore sviluppo rispetto all’album precedente che era nato come sforzo congiunto di una coppia, insieme a Felice c’era Robert “Chicken” Burke, mentre in questo caso l’organico si è allargato a quattro con l’ingresso dell’ottimo batterista Nowell Haskins anche lui con un passato funky con George Clinton come Burke e la componente femminile di Simi Stone. Questo allargamento fa sì che in questo disco si assista di più a uno sforzo di gruppo con varie voci che si alternano e si amalgano, mentre, proseguendo l’analogia Twainiana, il loro viaggio musicale li porta da Bearsville (lo stesso nome degli studi della Band, da cui hanno preso l’abitudine di scambiarsi gli strumenti, ma situata vicino a NY) al profondo sud dei Muscle Shoals per il soul e il gospel passando per California e il sound weastcostiano di CSN & Y, ma anche con tanto country got soul e echi del primo James Taylor (di tanto in tanto sembrano Crosby, Stills And Taylor in un mondo alternativo) e Cat Stevens nella voce particolare di Simone Felice.

Questo signore, oltre a tutto, questa estate se l’è anche vista brutta perché a causa di problemi cardiaci ha dovuto subire una operazione a cuore aperto che per fortuna è andata bene, ma ha sospeso l’andamento del tour estivo e la pubblicazione del nuovo album.

Ma il disco è uscito, è bello, esageriamo? Molto bello! Dieci canzoni per un totale di 38 minuti, conciso, con un bel suono nitido (l’ingegnere del suono è il mitico Bob Ludwig e si sente!) e si fa ascoltare con gran piacere: dall’iniziale Gloria, uno stupendo country-gospel secolare dove la voce di Felice si confronta nel suo “call” con un response “nero” ma con retrogusti serenamente country weast-coast e belle armonie vocali. Shine On You con un’armonica molto younghiana (e pure il suono della chitarra!) e un bel intreccio vocale dei vari componenti del gruppo è un altro brano da grandi spazi mentre Shaky con i suoi riferimenti ai Jackson 5 e le sue ritmiche cariche di negritudine vira verso tematiche più funky ma parte come un gemello diviso alla nascita di For What’s Is Worth dei Buffalo Springfield, e non c’è niente di male in questo se poi il brano diventa così bello e coinvolgente, ancora con quelle voci così deliziose nella loro coralità e echi della psichedelia morbida del Donovan fine anni ’60, il sax nella parte finale aggiunge pepe alle procedure musicali.

Right Now ancora con quei brillanti incroci vocali tra il folk-rock portato da Felice e le derive soul dei componenti neri del gruppo con la voce femminile nel mezzo ad amalgamare il tutto è un altro momento topico del disco. Hudson River è soul puro di ottimo caratura, tra Sam Cooke e il Reverendo Al Green, molto derivativo ma chi se ne importa se il brano ti “acchiappa” e questo lo fa.

Simi Stone è la voce femminile del gruppo (nonchè violinista) e assume il comando delle operazioni nell’esuberante No Easy Way Out, qui il suono si fa più grintoso ma con le consuete dinamiche di alternanza tra rock e momenti più riflessivi. You And I è una meravigliosa ballata acustica, alla Crosby, Stills and Taylor, come si diceva prima, ma a cui le improvvise aperture sonore aggiungono profondità inconsuete al sound del gruppo. Children Of The Sun è un altro brano dove la psichedelia morbida si coniuga con soul e coralità weast-coastiana (qualcuno ha detto Graham Nash?) con il violino della Stone a impreziosire le trame sonore.

Have You Seen It è un altro momento che proviene dal songbook di CSN (& Y) ma dalle prime pagine, quelle migliori e loro lo conoscono bene.

Tutti i brani oscillano tra i 3 e 4 minuti scarsi l’unica eccezione è la conclusiva Don’t Take That Plane Tonight dove le chitarre si sfidano in una bella jam centrale che mi ha ricordato i Blue Rodeo ( e di rimando i momenti epici di Young), molto presente un basso danzante evidenziato dalla estrema nitidezza del suono e il finale che evidenzia a sua volta la vocalità di Simi Stone, vagamente dissonante.

Bello, non aggiungerei altro!

Bruno Conti

Novità Di Ottobre Parte II. Orb & David Gilmour, Syd Barrett, Rolling Stones, Belle And Sebastian, Railroad Earth, Steve Lukhater, Antony & The Johnsons, Beth Hart Eccetera

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Sta uscendo e da qui a Natale uscirà una valanga di novità, per cui, pur scegliendo, il materiale è moltissimo. Questa, in linea di massima è una selezione delle uscite del 12 ottobre 2010, quindi solo settimana prossima. Il disco nuovo, peraltro molto bello, confermo, di The Duke And The King già segnalato nella precedente lista esce anche per il mercato italiano, martedì prossimo.

Darius Rucker è l’ex cantante di Hootie & The Blowfish che con il loro primo disco Cracked Rear View avevano venduto 16 milioni di copie, mica bruscolini, questo è il suo secondo disco da solista, Charleston SC 1966 e prosegue il filone country inaugurato con Learn To Live.

Visto che quest’anno tra ristampe di CD e DVD era uscito poco dei Rolling Stones, per non farci mancare nulla ora esce la versione in DVD e Blu-Ray di Ladies And Gentlemen The Rolling Stones per la Eagle Rock/Edel. Si tratta del famoso film girato durante il tour del 1972, quello di Exile on Main Street, 4 serate in Texas nel 1972. Pubblicato nei cinema nel 1974 da allora era uno delle chicche più attese degli Stones. Qualche spezzone si era visto nel DVD che accompagnava la versione Deluxe di Exile ma qui, oltre al film completo, sono stati aggiunti filmati delle prove del tour in Svizzera e interviste inedite con Mick Jagger.

Tornano i Belle And Sebastian con il nuovo album in studio per Stuart Murdoch e soci. Titolo Write About Love, etichetta Rough Trade/Self, ospiti Norah Jones e l’attrice Carey Mulligan, in un brano ciascuna.

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Sciambola per i fans dei Pink Floyd! Esce, il nuovo album degli Orb featuring David Gilmour Metallic Spheres, etichetta Columbia, Sony/Bmg, in versione singola, con due lunghi brani Metallic Side e Spheres Side, con la chitarra di Gilmour che interagisce con la musica degli OrB. Esce anche una versione deluxe doppia che propone lo stesso album con la nuova tecnologia 3D60 che propone un suono stereo a 360° ma la meraviglia è che funziona su tutti gli impianti, per godere meglio l’esperienza ti consigliano di ascoltarlo in cuffia.

Lo stesso Gilmour ha rimixato molti dei brani più belli della discografia di Syd Barrett per creare questo An Introduction to Syd Barrett che comprende 15 brani dai suoi dischi da solista più Matilda Mother dei Pink Floyd. In 5 brani Gilmour ha aggiunto delle nuove parti di basso suonate per l’occasione. In contemporanea vengono ristampati per l’ennesima volta i tre dischi, Barrett, Madcap Laughs e Opel in versione super economica e con la confezione in digipack vinyl replicas. Etichetta Harvest/Emi, ovviamente!

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Trittico roots-rock, jam band. Nuovo album per gli Old 97’s, che nonostante il titolo The Grand Theatre Vol. 1, non è un live ma un disco tutto nuovo che vede il ritorno di Rhett Miller dopo alcuni dischi da solista. Etichetta New West/Ird

Anche i Sister Hazel pubblicano un nuovo album di studio, Heartland Highway, etichetta Rock Ridge Music, se ne parla molto bene. Loro sono uno dei gruppi rock più interessanti in America.

Nuovo album di studio, il sesto, per i Railroad Earth uno delle migliori jam band americane, si chiama Railroad Earth ed esce per la loro etichetta One Haven. In rete, se vi interessa, sul sito archive.org si trova qualche centinaio di loro concerti per il download gratuito autorizzato dal gruppo (per la precisione a ieri erano 755 concerti)!

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Trilogia femminile. Primo disco natalizio per le Indigo Girls, un misto di classici e brani scritti appositamente, si intitola Holly happy days ed esce per la Vanguard.

Dar Williams è una delle mie cantautrici preferite e questo nuovo album si prospetta interessante sia per i fans come per i novizi. E’ un doppio CD, Many Great Companions, etichetta Razor and Tie: nel primo dischetto ci sono nuove versione acustiche di molti dei suoi brani preferiti, alcune in duetto con Sara & Sean Watkins dei Nickel Creek, Mary Chapin Carpenter, Patty Larkin e Gary Louris dei Jayhawks. Il secondo è una raccolta dei suoi brani migliori. Da scoprire, bravissima!

Torna Beth Hart una delle rockers femminili più toste, il nuovo album che esce per la Mascot/Edel si chiama My California e vede la presenza di Slash in un brano. Negli anni ’90 è stata l’interprete di un musical su Janis Joplin, a cui spesso viene paragonata.

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Ultimo terzetto di uscite per la prossima settimana. Esce il nuovo album di Antony And The Johnsons Swanlights etichetta Rough Trade, disponibile in CD, LP e in una versione limitata con un libro fotografico e iconografico di 136 pagine. Contiene un duetto con Bjork.

Shawn Mullins è uno dei cantautori-rocker più interessanti della scena americana, ultimamente molto popolare negli States perché un suo brano è diventato un successo per la Zac Brown Band, il nuovo fenomeno del rock di qualità in USA, questa settimana direttamente al n.1. Il dischetto di Mullins si chiama Light You Up esce per la Vanguard, raccolte e live compresi è il suo sedicesimo.

Per finire, esce anche un nuovo Steve Lukhater, il suo sesto album da solista, si chiama All’s Well That Ends Well ed esce per la Mascot/Edel. Per non farsi mancare nulla la settimana dopo ne uscirà un altro, dal vivo, con Edgar Winter.

Alla prossima.

Bruno Conti

 

Non Conoscevo. Per Chi Ama L’Armonica Blues. Come Da Titolo. Bob Corritore And Friends

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Bob Corritore and Friends – Harmonica Blues – Delta Groove Music

Quando uno pensa a un armonicista blues bianco oggi i primi nomi che ti vengono in mente sono Charlie Musselwhite, Kim Wilson, Rod Piazza se frughi nella memoria Paul Butterfield e John Mayall ma ce ne sono decine di altri. Ho citato questi non perché siano necessariamente i più bravi ma sicuramente sono i più conosciuti. Viceversa se pensi all’Armonicista per antonomasia il primo nome è sicuramente Little Walter, poi in base a conoscenze e preferenze pensi a Big Walter Horton, Junior Wells, James Cotton, Carey Bell, Howlin’ Wolf, cito a caso i primi che mi vengono in mente, ma sicuramente il nome Bob Corritore non è il primo e forse nemmeno il secondo che pensiamo e invece… Devo dire di non essere mai stato particolarmente attento alla sua vicenda musicale, sì mi è capitato di vedere il suo nome nei credits di molti dischi di blues e quindi l’ho sicuramente sentito ma distrattamente senza prestare una particolare attenzione.

A giudicare da questo album ho sbagliato, c’è sempre da imparare, Bob Corritore è una sorta di eminenza grigia del Blues, un cardinale Richeliu che ordisce le sue oscure trame (visto che non lo conoscono in molti), come musicista, deejay radiofonico, produttore e però si è creato una reputazione di musician’s musician, molto rispettato tra i colleghi Bluesmen che sono pronti ad accorrere al suo richiamo. La sua carriera solista non è molto prolifica, un disco nel 1999, registrato dopo oltre venti anni di carriera per la scomparsa Hightone, anche il quel caso era un summit di amici e poi, in anni più recenti, un paio di dischi con Dave Riley. Ma ha partecipato anche a moltissimi dischi come musicista e produttore ed è anche proprietario di un club dove si suona soprattutto Chicago Blues, città dove è nato nel lontano 1956.

Ho iniziato ad ascoltare distrattamente il CD ma subito la mia attenzione è stata attirata, ma questa la conosco? La voce di Koko Taylor è inconfondibile, What Kind of Man is This ci regala subito dell’ottimo blues con Corritore all’armonica, presenza costante nell’album, ci sono Bob Margolin alla chitarra e Willie “Big Eyes” Smith alla batteria, il brano è registrato nel 2005 (questa è una caratteristica di questo disco che raccoglie materiale registrato in un arco temporale che va dal 1989 al 2009, 20 anni della vita di Corritore che scorrono sotto i vostri occhi). Il classico suono alla Muddy Waters di Tell me ‘bout it ci introduce alla voce e alla chitarra di Louisiana Red registrato giusto lo scorso anno. Non ci sono Grandi Nomi ma nomi che hanno fatto grande il Blues.

Things You Do con l’amico Dave Riley a menare le danze sa un po’ di conflitto di interessi ma è buona musica, quindi perdonato. Nappy Brown registrato nel 1998 con Baby Don’t You Tear my Clothes ha sempre una voce profonda ed espressiva che è un piacere ascoltare, Kid Ramos alla chitarra. 1815 West Rosevelt è il brano più vecchio, quello del 1989, uno strumentale firmato da Bob Corritore che ci permette di gustare le sue qualità tecniche contrapposte al sax di Eddie Shaw e alla chitarra di Buddy Reed anche se non lo inserirei nel novero dei brani straordinari, dell’onesto blues di mestiere. Robert Lockwood Jr. è uno dei grandi Vecchi del Blues e That’s All Right è un perfetto esempio delle classiche 12 battute del blues, Chicago Blues per la precisione, registrato nel 2001 con il piano di Henry Gray che regala qualche emoxione. Tin Pan Alley è un ottimo slow blues dove la combinazione della voce di Big Pete Pearson e l’armonica di Corritore messe assieme stranamente mi hanno riportato alla memoria il John Mayall dei tempi d’oro e le sua atmosfere sonore. Tomcat Courtney non mi è familiare ma questa Sundown San Diego è bella tosta. Eddy Clearwater è ancora in gran forma vocale e That’s My Baby dello scorso anno lo testimonia. Henry Gray è uno degli ultimi grandi pianisti della scena di Chicago e nella sua Things have changed dimostra che nel 1997 aveva ancora anche una grande grinta vocale.

Pinetop Perkins a 97 anni è il decano dei musicisti blues e probabilmente il più vecchio musicista in assoluto in attività attualmente ma le mani volano sulla tastiera come sempre e la voce è ancora pimpante, Big fat mama ne è l’esempio lampante. Chief Schabuttie Gilliame è un incredibile personaggio con una voce alla Howlin’ Wolf che fa ancora un bel “casino” in No More Doggin’! Honeboy Edwards ci regala una onesta Bumble Bee in versione acustica mentre Carol Fran è in grandissima forma vocale in una trascinante e maliziosa I Need To Be Bed’d With, che voce ragazzi. La conclusione è affidata alla voce e alla chitarra di Little Milton in una eccellente e tirata versione di 6 Bits In Your Dollar. Corritore soffia nell’armonica di gusto e coordina le operazioni e alla fine ci lascia soddisfatti, un nome “nuovo”, tanto per cambiare.

Bruno Conti

Un Cantautore Cuoco Dal Minnesota. Ben Weaver – Mirepoix And Smoke

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Ben Weaver – Mirepoix And Smoke – Bloodshot records – 19-10-2010

Quando guardo la pigna di CD che si accumula accanto al lettore (tra promo, advance e CD usciti) non so mai cosa scegliere e mi affido all’istinto e decido all’ultimo istante oppure se qualcosa mi incuriosce: è stato il caso di questo nuovo album di Ben Weaver, il suo settimo e secondo per la Bloodshot. Già il titolo mi aveva incuriosito ma non avevo potuto approfondire visto che l’Advance della Bloodshot ha solo i titoli dei brani e quindi ho fatto delle ricerche in rete.

Intanto il mirepoix (detto volgarmente da un non esperto di cucina) è un insieme di verdure tagliate a piccoli quadrettini che viene utilizzato nella cucina francese ma anche ovunque nel mondo. Quindi perché diavolo un cantautore di Minneapolis (una della twin cities) l’ha messo nel titolo del suo nuovo disco?

Perché nel frattempo Ben Weaver si è trasformato in un cuoco, anzi meglio aiuto cuoco (Prep Cook come dicono gli americani). Dopo l’uscita del suo ottimo album del 2008 The Ax In The Oak (sempre titoli particolari per il nostro amico che ha anche scritto due libri di poesia e si appresta a pubblicarne un terzo, da qui i paragoni con Leonard Cohen), che era un disco più complesso, arrangiato e prodotto dal solito Brian Deck, appena citato per l’album di Nathaniel Rateliff ma anche per Califone e Iron and Wine watch?v=dxt6KdyhBsI. Molto bello, ma pare che avesse prosciugato la vena creativa di Weaver che si è trovato di fronte a un blocco compositivo, nuove canzoni non ne arrivavano ma bisogna pur mangiare.

Quindi quale poteva essere un lavoro creativo che avrebbe potuto sbloccare questa impasse? Evidentemente portato per la materia ha deciso di darsi alla Cucina e per un anno e mezzo ha lavorato in un paio dei migliori ristoranti di Minneapolis (quindi era bravo anche in questa disciplina) e lavorando tra pentole e tegamini ha anche ritrovato l’ispirazione.

Il risultato è questo Mirepoix and Smoke, che è un disco totalmente acustico, solo chitarra o banjo e voce, con l’aiuto di Erica Froman (che sinceramente non conosco) alla seconda voce e piano. Le similitudini con Steve Earle, Greg Brown e il già citato Cohen con questo approccio folk, minimale e vagamente bucolico ovviamente si accentuano (preciso per l’ennesima volta che i nomi che vi lancio sono semplici suggestioni, impressioni ricavate dall’ascolto e che aiutano anche chi ha un minimo di cultura musicale a districarsi tra i “presunti” ispiratori del cantante o gruppo in questione senza volere significare una tendenza al plagio o alla mera copiatura.

Nove brani per poco più di ventinove minuti ma il risultato mi soddisfa: dall’iniziale, scarna Grass Doe (ma quale brano non lo è?), con la bella voce di Ben Weaver contrappuntata da quella sottile della Froman ricorda moltissimo la poetica del primo Leonard Cohen con qualche sfumatura anche alla Drake (Nick ovviamente), veramente molto bella nel riaggiornare la vecchia scuola del folksinger di pregio, una razza in parziale estinzione.

City Girl è ancora più minimale, sostituisce la chitarra acustica del brano precedente con un solitario banjo ma non perde un briciolo di fascino, sempre con quella seconda voce femminile a sottolineare la voce di Weaver e anche una rudimentale batteria a dare un tocco di vivacità alle procedure nella seconda parte del brano. Drag The Hills con la voce posta volutamente in secondo piano rispetto al banjo nel mixaggio sembra provenire da qualche lontano accampamento nella prateria.

Tornano fortissime le impressioni del grande canadese nella raffinata East Jefferson mentre While I’m Gone di nuovo voce e banjo ricorda quel suono primitivo di certi brani della Nitty Gritty dei tempi d’oro o la musica dei monti Appalachi, old-time mountain music potremmo definirla, nella pura tradizione della canzone popolare americana.

Maiden Cliff dal tempo leggermente più movimentato, ma sempre incentrata sul suono del banjo e delle voci di Weaver e in seconda battuta della Froman che aggiunge il suo pianoforte alle procedure e alle atmosfere che rimangono rarefatte ma piacciono per quello. Devo dire che l’effetto di ascoltare un giovane Cohen in alcuni momenti è impressionante, ma un erede potrebbe essere necessario, un brano come Split Ends lascia ben sperare per il futuro. 22 Shells ha qualche vicinanza d’elezione con il folk inglese e nelle sue tematiche può ricordare anche il sound, se non la voce glabra di Greg Brown, uno dei grandi interpreti della canzone d’autore americana degli ultimi trent’anni.

La conclusione è affidata a Rooster’s Wife ancora con la profonda, risonante e affascinante voce di Ben Weaver in bella evidenza.

Direi che il mestiere di cuoco può tenerlo di riserva per i tempi più duri, per il momento meglio come cantante, anche se non ho assaggiato i suoi manicaretti, non si può mai sapere!

Bruno Conti

Janis Joplin 19/01/1943 – 04/10/1970

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40 anni fa oggi veniva trovata morta nella camera del suo motel a Hollywood, Los Angeles Janis Lyn Joplin, la più grande cantante della storia della musica rock (per il sottoscritto). Era nata il 19 gennaio del 1943 a Port Arthur, Texas e quindi ci lasciava a 27 anni, la stessa età di Jimi Hendrix che era morto circa quindici giorni prima, il 18 settembre.

Devo dire che non ci sono state grande commemorazioni dell’evento, neppure a livello discografico: per Hendrix abbiamo avuto Valleys of neptune e a novembre uscirà un cofanetto quintuplo temp-dc65a0b6dc661cf992fcf0c8bf0a5593.html, ma per Janis Joplin non ci sono state pubblicazioni discografiche nel 2010, l’ultima uscita postuma “inedita” è la pubblicazione della registrazione completa del concerto di Woodstock, The Woodstock Experience con allegato I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama! avvenuta a luglio dello scorso anno.

A salvare le apparenze, almeno in Italia, ci ha pensato la Arcana che ha pubblicato la biografia di Janis Graffi in Paradiso… La Vita E I Tempi di Janis Joplin di Alice Echols che contiene anche molto foto inedite, oltre a una serena e accurata disamina della vita di questa grande artista con moltissime interviste realizzate per l’occasione.

Una lettura che vi consiglio, come consiglierei all’estensore dell’articolo sull’Ansa (quindi una delle fonti di notizie più autorevole in Italia, molto ripresa anche da altri siti), dicevo che gli consiglierei anche una bella biografia di Jim Morrison, perchè così dice nel suo articolo…

“L’ultima registrazione di Janis Joplin prima di morire è stata una canzone-regalo per il compleanno di John Lennon incisa il primo ottobre 1970. Il quattro ottobre è stata stroncata da un’overdose di eroina. Quando il nastro arrivò a New York a casa di Lennon, Janis se n’era già andata. Aveva 27 anni. La stessa età in cui sono morti Jimi Hendrix e Jim Morrison, tutti e tre nel ’70: la tragica santa trinita’ del rock.”

Peccato che Jim Morrison sia morto il 3 luglio del 1971! Se volete verificare … visualizza_new.html_1756695918.html.

Tutto questo mi ha fatto venire in mente un vecchio libro degli anni ’60, la Fiera delle Castronerie, molto divertente e molto attuale viewtopic.php?t=786&start=0, sono sicuro che Janis Joplin si sarebbe fatta una delle sue tipiche risatine.

L’autrice di questo meraviglioso brano Ball and Chain, Big Mama Thornton ha detto di lei: “Questa ragazza prova le stesse cose che sento io”

RIP Janis!

Bruno Conti

Il Camilleri D’Oltreoceano. Black Sorrows – 4 Days In Sing Sing

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The Black Sorrows – 4 Days In Sing Sing – CD+DVD Head Records

Com’è ovvio non sono parenti! Parliamo dei due Camilleri, vengono entrambi da isole nel Mediterraneo, Andrea dalla Sicilia mentre Joe Camilleri nasce nel 1948 a Malta e poi all’età di 2 anni si trasferisce con la famiglia in Australia.

Il disco di cui intendo parlarvi (OK, il CD+DVD o viceversa) è uscito già da quasi un anno sul mercato australiano ma visto che (questa volta è proprio il caso di dirlo) nelle nostre lande si è visto poco o niente e credo che nessuno ne abbia parlato, mi sembra giusto dargli lo spazio che merita.

Come avete letto il nostro amico non è proprio di primo pelo, quest’anno ha festeggiato 45 anni di frequentazione del mondo musicale, in varie formazioni e sotto diverse configurazioni: se volete farvi un’idea di chi stiamo parlando esiste una bellissima antologia doppia pubblicata dalla Raven (sempre australiana l’etichetta ma i suoi CD si trovano anche da noi) intitolata I Believe To My Soul – The Best Of 1977-2003, che raccoglie il meglio della produzione di Joe Camilleri, dai tempi del suo primo gruppo importante, Jo Jo Zep and The Falcons e, soprattutto, molto materiale dai dischi dei Black Sorrows nel periodo cruciale 1985-1998.

Ma attenzione, quello che giustamente è stato definito il Van Morrison australiano, non è uno che si sia adagiato sugli allori e questo 4 Days In Sing In Sing di cui tra breve vi magnificherò i contenuti è ancora assolutamente un signor disco. Comunque Camilleri prosegue la sua attività anche negli altri gruppi collaterali in cui milita (e i musicisti sono sempre più o meno quelli del gruppo madre). A partire dai Bakelite Radio che proprio recentemente hanno pubblicato un nuovo disco intitolato Bakelite Radio Volume I, che però stranamente è uscito dopo i tre volumi successivi; l’altro gruppo sono i Revelators che hanno tre album al loro attivo. La differenza tra i vari gruppi, come detto, non sta nel personale ma nel repertorio. Mentre i Black Sorrows sono il veicolo per presentare il nuovo materiale del nostro amico, gli altri gruppi eseguono perlopiù cover di country, R&B, Blues, più acustici i Bakelite, più grintosi i Revelators.

Il vero protagonista in tutti i casi é Camilleri, o meglio la sua voce, una delle migliori in circolazione, in grado di spaziare tra tonalità alla Van Morrison appunto, ma capace di assumere, di volta in volta, la grinta di un Bob Seeger o la classe di un Willy De Ville, il tutto rimanendo sempre fedele a sé stesso, perché non stiamo parlando di un mero copiatore, sono semplicemente dei parametri per inquadrare il personaggio.

Chi conosce già i Black Sorrows non ha bisogno di essere “istruito” ma semplicemente di sapere se questo ultimo album è pari alla qualità dei loro dischi migliori e devo dire che, con mia grande gioia, questo disco ha rinverdito i fasti dell’epoca d’oro, quelli di Dear Children, Hold On To Me, Harley & Rose e Better Times, una serie di CD straordinari che stranamente erano regolarmente editi in tutto il mondo dalla CBS e si trovavano con relativa facilità anche in Italia. In quegli anni nella formazione militavano anche le sorelle Vika e Linda Bull due vocalist straordinarie, soprattutto la prima, definita la Aretha Franklin d’Australia, che contribuivano in modo decisivo alla qualità dei dischi con i loro interventi vocali.

Ma anche questo disco, registrato come dice il titolo, in quattro giorni passati negli studi di registrazione Sing Sing (qualcuno potrebbe aver pensato a un disco nel famoso carcere americano, stile Johnny Cash), situati in quel di Melbourne e in passato utilizzati per Hold On To Me e Harley & Rose. La formula è semplice e vincente: muniti di una troupe televisiva i cinque componenti attuali della formazione del gruppo, oltre a Camilleri, impegnato anche con sax (proseguono le analogie morrisoniane), chitarra, armonica e melodica, il tastierista e chitarrista di ritorno James Black, il chitarrista Claude Carranza, il bassista Joe Creighton e il batterista Tony Floyd, tutti anche ottimi vocalist, aiutati anche da una sezione fiati e da un percussionista, si diceva, che tutti costoro procedono a registrare un disco dal vivo dove rivisitano alcune perle del catalogo Black Sorrows, ma a parte Better Times che proviene dai primi album il resto è materiale degli ultimi anni.

Lo potete guardare nel DVD o ascoltare nel CD, comunque lo giriate si tratta di un disco “streordinario” come direbbe il Mister Sacchi/Crozza: si parte con l’attacco bluesato dell’iniziale (seguo la tracklist del Cd) Best Thing, trainato dalla slide di Carranza e dall’armonica di Camilleri ma tutto il gruppo gira a mille e la voce è rimasta fantastica, potente ed espressiva come sempre.

What Levi Wants è “semplicemente” una canzone bellissima, rootsy e vagamente country, con il basso rotondo e scivolante di Creighton che trascina le tastiere, piano e organo, di Black e le chitarre acustiche ed elettriche di Camilleri e Carranza, mentre il nostro amico con la voce leggeremente filtrata canta divinamente come solo lui sa fare quando l’ispirazione lo cattura.

Si prosegue con Lonesome Road una poderosa canzone di impianto rock classico, chitarristica e nervosa, alla Graham Parker dei tempi d’oro per avere un’idea, Carranza è un chitarrista da tenere in considerazione, ispirato e conciso ma in grado di sfoderare assoli sempre diversi, brano dopo brano. In Lean On Me, una cover di JJ Cale, il basso funky di Creighton è prodigioso, aggiungete i fiati, un piano elettrico malandrino e avrete un brano trascinante con una ritmica agile e insinuante che permette a Camilleri di sfoggiare il suo lato “nero” ben coadiuvato dalle armonie vocali del gruppo, vi assicuro che un JJ Cale così si è sentito raramente.

Don’t Judge Me Too Hard è una ballata mid-tempo tra le migliori nel repertorio del gruppo, semplice ma complessa nell’arrangiamento, sempre cantata alla grande. Lay By My Side con la voce di Camilleri che raggiunge toni bassi quasi alla Leonard Cohen, un ritmo vagamente reggae e una chitarra arpeggiata, in un disco di molti altri artisti sarebbe stata un brano di punta qui deve competere con brani di grande spessore.

Comfort me ci riporta in territori country, cantata da tutto il gruppo e ancora con la slide in evidenza è un’altra delle mille sfaccettature della musica del gruppo. Natural Thing con il suo piano barrelhouse e un tiro rock, ricorda il Bob Seger migliore degli anni ’70, il rocker rauco e senza paura che da Detroit invase il mondo. Midnight Rain, con la melodica di Camilleri in apertura di brano, oscilla tra un accenno di tango e palpiti soul, come sapeva fare il miglior Willy De Ville, quello che nelle sue atmosfere fumose sapeva fondere musica latina e rock’n’soul, i Black Sorrows non sono da meno, raffinati e di gran classe.

The raven è un blues lento che si avvicina moltissimo a classici come Help me o Fever, minacciosa e con improvvise aperture ricorda certi episodi blues di Morrison, con chitarre e tastiere che sostengono la voce filtrata del nostro amico. Sometimes I Wish è più o meno sulle stesse coordinate sonore, un filino meno riuscita o forse è solo la ripetizione di una canzone molto simile alla precedente, qui è in evidenza di nuovo la melodica usata a mò di armonica.

La parte finale è un crescendo inarrestabile: Where’s it all gonna end è un brano che sembra provenire da un disco di Mark Knopfler ma cantato da Van Morrison, il meglio dei due mondi, ma anche semplicemente un’altra bellissima canzone. Better Times con le sue contaminazioni caraibiche potrebbe provenire da un disco di Paul Simon, ma il cantato è tipicamente alla Morrison, con la voce di Camilleri che si libra verso vette di celtic soul della più bell’acqua, mentre i fiati impazzano fino all’assolo liberatorio del sax di Joe, un brano ancora una volta fantastico, sentite anche il lavoro del basso in sottofondo e avvertirete la grande perizia dei musicisti impegnati in questo disco.

La cover di Such A Night di Mac Rebennack/Dr. John mi lascia senza parole, di una bellezza incredibile, assolutamente di pari livello con l’originale con il più l’atout che Joe Camilleri ha una voce formidabile, che questa volta si cala nelle atmosfere di New Orleans con una naturalezza sconcertante come se non avesse fatto altro per anni (e probabilmente lo ha fatto, sui palchi australiani). Little Murders, se esiste una cosa simile, è un reggae-blues che ricorda ancora certe atmosfere alla De Ville, mentre Viva La Money è la seconda visita ai palchi di New Orleans, questa volta attraverso un brano di Allen Toussaint, che vira verso sonorità più funky questa volta alla Meters o Neville Brothers con una chitarra con wah-wah che duetta con la corposa sezioni fiati.

L’ultimo brano si chiama Sumo e in teoria leggendo il display sul lettore dura quasi 13 minuti, in realtà si tratta di un brano strumentale funky  sulla falsariga del precedente, trascinante e ritmatissimo con fiati, sezione ritmica e chitarra in grande spolvero ma…in effetti il disco non finisce qui, ci sono non una ma ben due tracce nascoste alla fine. La prima è una escursione in territori jazzati che consentono a Camilleri di svelare capacità da crooner con il sax e un violino sbucato dal nulla a rendere inconsueta l’atmosfera mentre la conclusione è affidata ad una straordinaria canzone che rievoca lo spirito e la voce del miglior Van Morrison e del miglior Joe Camilleri, con una versione meravigliosa di Hold It Up To The Mirror che originariamente appariva in Harley & Rose e qui rivive in tutto il suo splendore concludendo alla grande un disco che, se riuscite a metterci le mani sopra, vale ogni singolo dollaro australiano che vi costerà. Considerate che allegato al CD c’è anche un eccellente DVD (i filmati sono tratti da lì) che documenta il procedere delle operazioni in tutto il suo splendore, brano per brano e nella sua completezza, dal vivo in studio.

Questa è dal vivo, 25 anni fa, che dire, godere e basta!

Bruno Conti