E Dopo Bob Sinatra Ecco A Voi Willie Dylan: Comunque Un Grande Disco! Willie Nile – Positively Bob

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Willie Nile – Positively Bob: Willie Nile Sings Bob Dylan – River House/Pledge CD

Robert Noonan, meglio conosciuto come Willie Nile, è un rocker di razza, ed è forse il mio preferito tra i  molti outsiders della musica americana: Willie è uno che non ha mai deluso, a partire dal fulminante esordio omonimo del 1980 (un disco da cinque stelle anche dopo 37 anni), passando per il suo seguito, l’inferiore ma sempre ottimo Golden Down (1981), per l’album della rinascita Places I Have Never Been (1991, forse il suo lavoro più “mainstream”, e comunque avercene), ma anche se si parla dei dischi usciti nel nuovo millennio, tra i quali i più riusciti sono senz’altro Streets Of New York (2006), American Ride (2013) ed il recente World War Willie (2016). Tutti album di puro rock’n’roll, suonato a cento all’ora da parte di uno degli artisti più sinceri ed onesti in circolazione; ma Nile non è solo un (grande) rocker, è anche un cantautore di alto livello, cosa che si notava appieno nel sorprendente If I Was A River (2014), intensissimo ed inatteso album di ballate pianistiche, tra gli episodi più riusciti della sua carriera. Oggi però Willie decide di riporre momentaneamente la penna per omaggiare in maniera lussuosa uno dei suoi miti assoluti, Bob Dylan, e lo fa con un lavoro bellissimo, Positively Bob: Willie Nile sings Bob Dylan, un disco nel quale il nostro riprende dieci gemme del leggendario cantautore di Duluth (volevate che dicessi menestrello?), dieci capolavori assoluti che Willie rifà in maniera decisamente intelligente, lasciando cioè intatte le melodie e le strutture di base, ma dando il suo tocco personale e condendo il tutto con una gran dose di ritmo e chitarre, rockeggiando alla grande e portando a casa quindi il risultato pieno: merito anche della solida band che lo accompagna (tra i cui membri troviamo la nostra vecchia conoscenza James Maddock alla chitarra, doppiato da Matt Hogan, con Johnny Pisano al basso e l’ex Spin Doctors Aaron Comess alla batteria) e del produttore Stewart Lerman, che ha dato al disco un suono diretto e potente.

Willie (che pare abbia anche pronto un disco di brani originali) ha realizzato l’album con il crowdfunding, tramite la piattaforma Pledge Music, e, se vogliamo, Positively Bob ha come unico difetto il fatto che contiene solo dieci pezzi (in un primo momento ne erano stati annunciati nove): due o tre brani in più, data anche la durata non lunghissima di quelli presenti, non avrebbero infatti guastato (ad esempio avrei visto benissimo Positively 4th Street, così da ricollegarsi anche al titolo del disco, un brano che secondo me Willie avrebbe rifatto in maniera meravigliosa). The Times They Are A-Changin’ apre il CD, ma la canzone, da inno folk che era, diventa un tipico rock’n’roll di Willie, ritmo alto e chitarre in gran spolvero: la melodia resta intatta ma il brano ne esce completamente trasformato ed anche, perché no, rivitalizzato. Con Rainy Day Women # 12 & 35 Nile è nel suo ambiente naturale: cadenzata, con una bella slide a dare un sapore bluesato, e con il motivo un po’ cambiato, risulta però decisamente trascinante; Blowin’ In The Wind è una sorpresa: velocissima, quasi punk, con un feeling alla Ramones e chitarre decisamente in palla, davvero strepitosa.

A Hard Rain’s A Gonna Fall (come vedete Willie predilige il Dylan dei sixties) è invece trasformata in un valzerone lento, una versione scintillante e piena d’anima di uno dei vertici assoluti del songbook dylaniano, anche se manca la drammaticità dell’originale, mentre I Want You ha una veste completamente diversa dal classico proveniente da Blonde On Blonde, è più intima, quasi folk, ma non per questo meno interessante, con un leggero feeling bucolico ed ottimi “fill” di piano. Subterranean Homesick Blues è puro rockabilly, anche se i ripetuti interventi dei backing vocalists sono forse superflui (ma rimane godibile), Love Minus Zero/No Limit era già splendida in origine, e qua Willie fa una mossa intelligente non cambiandola più di tanto, solo accelera leggermente il ritmo e ci consegna uno degli highlights del disco (sempre per il discorso che non basta cantare dei capolavori per fare un bel disco, bisogna anche essere bravi): davvero bellissima; Every Grain Of Sand è la più recente (1981), ma qui la versione di Bob è di quelle che non si possono avvicinare: Willie comunque se la cava egregiamente, con un delizioso accompagnamento elettroacustico (ed ancora un tempo un tantino più mosso). L’album si chiude con una squisita rilettura in puro country style di You Ain’t Goin’ Nowhere, nella quale il nostro tiene presente la versione dei Byrds, e con la rara Abandoned Love (una outtake di Desire che Dylan recuperò su Biograph), un folk-rock cristallino e dalla melodia stupenda, che Willie interpreta alla grande.

Positively Bob è dunque uno dei dischi più piacevoli da ascoltare tra quelli finora usciti in questo 2017, ed in generale anche nella discografia di Willie Nile, e mi ha messo una gran voglia di ascoltare il bis, nel quale magari il rocker di Buffalo potrebbe omaggiare il suo amico Bruce Springsteen.

Marco Verdi

Per La Legge Di Compensazione, Il Passato, Il Presente E Anche Il Futuro Del Cantautorato Inglese. Thea Gilmore – The Counterweight

thea gilmore the counterweight

Devo ammettere che è sempre un piacere parlarvi di Thea Gilmore, considerata da chi scrive senza ombra di dubbio, una delle migliore cantautrici inglesi delle ultime generazioni. In pista dal finire degli anni ’90, Thea,  un amore sviscerato per la musica d’autore americana (con ovviamente Bob Dylan e Joni Mitchell come principali fonti di ispirazione, ma anche la Denny, di cui tra un attimo), nella sua ormai lunga carriera è riuscita sempre ad alzare l’asticella della qualità, con lavori” imperdibili”, tra i quali mi piace ricordare Avalanche, Harpo’s Ghost, Murphy’s Heart, John Wesley Harding (rilettura dell’omonimo album di Dylan), Don’t Stop Singing with Sandy Denny (il titolo dice tutto http://discoclub.myblog.it/2013/06/08/la-piu-americana-folk-singer-inglese-thea-gilmore-regardless/ ), e i più recenti Regardless http://discoclub.myblog.it/2013/06/08/la-piu-americana-folk-singer-inglese-thea-gilmore-regardless/  e Ghosts And Graffiti http://discoclub.myblog.it/2015/06/17/pagine-antiche-nuove-rara-bellezza-thea-gilmore-ghosts-graffiti/ , recensiti puntualmente su queste pagine.

Questo The Counterweight è il diciassettesimo lavoro (contando anche Ambitious Outsiders, che stranamente non viene mai elencato nelle varie discografie), casualmente, ma non troppo, è stato concepito e poi registrato nei mesi della Brexit, e in alcuni brani iniziali e finali dell’album, la situazione viene proprio documentata e certificata da un’artista attenta e provocatoria come la Gilmore: sono un totale di 18 canzoni nell’edizione deluxe (ma va benissimo anche la versione standard con 13 brani), in cui il marito polistrumentista Nigel Stonier (eccellente cantautore anche di suo) suona di tutto, con l’apporto del noto chitarrista Robbie McIntosh (Pretenders),  di Paul Beavis alla batteria, di James Kelly alla e-bow guitar in un pezzo,, il tutto con la particolarità di una sezione di archi composta da 9 elementi, guidata da Peter Whitfield, ad accompagnare le delicate interpretazioni della cantautrice “anglosassone”.

I “contrappesi” della Brexit (ma non solo, in generale dei tempi che viviamo, come ci ricorda anche la bella copertina dell’album) iniziano ad oscillare sulle note di un pianoforte nella tenue Fall Together, cantata in uno stile quasi alla Annie Lennox, e proseguono con i suoni leggermente “pop-tecno” di Leatherette, il ritmo costante della politica Reconcile, per poi sfoderare violini e altri archi nell’ariosa Sounds Good To Me. Con la bellissima Rise si ritorna alle ballate pianistiche d’atmosfera, mentre con Johnny Gets A Gun Thea vuole omaggiare tutte le vittime dell’odioso attentato avvenuto ad Orlando in Florida, per passare al ritmo incalzante di Another Damn Love Song, e ad una ancora una accorata Slow Fade To Black dove emerge il lato più intimistico e delicato della Gilmore. La parte finale del inizia con la spettrale litania di The Lucky Hum, a cui fa seguito il pop-rock “sinfonico” di New, un commovente brano pianoforte e voce come Here’s To You, e chiudere con la bella e sofferta The War, a ricordare l’omicidio della politica britannica Helen Joanne “Jo” Cox, avvenuto il 16 Giugno dello scorso anno, proprio nel pre-Brexit.

Le bonus tracks, a differenza di altre occasioni, completano un lavoro di spessore con la ballata pianistica Shiver, una divertente pop-song come Debt,, l’intrigante ritmo di una ammaliante There Was A Wedding, che vuole stupire l’ascoltatore, per ritornare alle atmosfere acustiche di Walkaway, e a quelle eleganti e pacate di una rilassante ballata come I Lift My Lamp. Questo The Counterweight è sicuramente uno dei dischi meno commerciali della Gilmore (anche se a tratti lo è, per la legge dei contrappesi), e forse anche per questo uno dei suoi migliori, proponendo come al solito un “cocktail” musicale che passa dal pop al folk, attraverso il rock di chiara impronta americana, consolidando Thea Gilmore ancora una volta un artista di vaglia, dotata di una penna incisiva e tagliente (e particolarmente prolifica visto le regolari uscite durante la sua carriera), se Bruce Springsteen e Joan Baez sono suoi fans,  evidentemente merita almeno di essere ascoltata. Chapeau, come sempre!

Tino Montanari

Questo Invece E’ Proprio Inutile, Senza Parentesi! Grateful Dead – Smiling On A Cloudy Day

grateful dead smiling on a cloudy day

Grateful Dead – Smiling On A Cloudy Day – Rhino CD – LP

Il 1967 non è stato solo l’anno di Sgt. Pepper dei Beatles e del binomio Wild Honey/Smiley Smile dei Beach Boys, celebrato nel doppio 1967: Sunshine Tomorrow in uscita in questi giorni http://discoclub.myblog.it/2017/06/25/anche-questo-succedeva-50-anni-fa-ancora-grande-musica-beach-boys-sunshine-tomorrow/ , ma anche della famosa e mitizzata Summer Of Love, un periodo irripetibile in cui si credeva veramente che con le canzoni si potesse cambiare il mondo (e nello stesso anno si tenne anche il leggendario Monterey Pop Festival, la prima grande kermesse a base di pace, amore e musica che ebbe due anni dopo in Woodstock il suo picco), dominato dagli hippies e dalla scena musicale di San Francisco. La Rhino decide di celebrare i cinquant’anni di quella estate con una serie di ristampe limitate in vinile (usciranno a  metà Luglio, il giorno 14) che non sempre però hanno una grande attinenza con il periodo, sia come genere musicale che come anno (si passa infatti con disinvoltura da Electric Prunes, Love ed Arlo Guthrie, che hanno un senso, a scelte incomprensibili come il mitico Astral Weeks di Van Morrison, album leggendario ma che nessuno si è mai sognato di associare alla Summer Of Love, anche perché è uscito l’anno successivo, oppure anche Aretha Arrives di Aretha Franklin, mentre mancano incredibilmente, penso per motivi di diritti discografici, i Jefferson Airplane). Ma le due uscite considerate di punta dalla Rhino sono due compilation (uniche ad essere pubblicate anche su CD): la prima, intitolata appunto Summer Of Love, si occupa dei Monkees (ed è interessante se non conoscete il gruppo di Los Angeles, anche se ci sono diverse licenze, come la scelta di un brano preso dal loro ultimo album di studio, Good Times!, uscito lo scorso anno), mentre la seconda, Smiling On A Cloudy Day, comprende dieci brani tratti dal periodo “psichedelico” del gruppo di Jerry Garcia, e per l’esattezza dai primi tre album (più Dark Star, nella versione breve uscita solo su singolo), ma tutti nelle versioni conosciute, senza neppure una alternate take di studio od una rilettura inedita dal vivo, una scelta che probabilmente farà soprassedere anche il Deadhead più fanatico, ma che a mio parere ha scarsissima attrattiva pure verso il neofita.

Questa, comunque, la tracklist

1. The Golden Road (To Unlimited Devotion)
2. Cream Puff War
3. Morning Dew
4. That’s It For The Other One (Cryptical Envelopment I)/The Other One (Cryptical Envelopment II)
5. Born Cross-Eyed
6. Dark Star (Single Version)
7. St. Stephen
8. China Cat Sunflower
9. Doin’ That Rag
10. Cosmic Charlie

Grande musica, ma che più o meno possiedono già tutti quelli interessati: mi spiace, ma questa volta passo!

Marco Verdi

Un Ennesimo Cofanetto Fondamentalmente (In)Utile. Elvis Presley – A Boy From Tupelo: The Complete 1953-1955 Recordings

elvis presley a boy from tupelo

Elvis Presley – A Boy From Tupelo: The Complete 1953-1955 Recordings – 3 CD Rca/Legacy – 28-07-2017

Per elaborare meglio sul titolo: fondamentalmente (in)utile escluso per i fans sfegatati di Elvis Presley, che però questo box potrebbero averlo, in quanto era già stato pubblicato nel 2012, a tiratura limitata, dall’etichetta FTD (Follow That Dream) specializzata proprio nella riedizione di rare chicche dell’opera di Presley. A tutti gli altri ricordo che esiste (oltre ad una tonnellata di uscite più o meno ufficiali, dove questo materiale si trova in abbondanza e in disparate versioni) il cofanetto, della serie di tre volumi dedicati dalla RCA alla opera omnia di Elvis, intitolato The King Of Rock’N’Roll, che come sottotitolo fa proprio The Complete 50’s Masters, e quindi, a differenza degli altri due, riporta già tutte le registrazioni ufficiali complete degli anni ’50. Per i fan(atici) comunque questo triplo comprende anche quel bel libro che vedete effigiato sopra, curato dallo specialista Ernst Mikael Jørgensen, 120 pagine che raccontano gli eventi di quei due anni in cui furono registrate le canzoni per la Sun Records di Sam Phillips, oltre ad un secondo CD con alcune alternate takes e frammenti di brani incisi all’epoca (ma già apparsi, come detto prima, nelle miriadi di ristampe uscite in questi ultimi 15 anni), e un terzo CD, con registrazioni dal vivo, soprattutto al Louisiana Hayride, di Shreveport, Louisiana, dove pare sia contenuta “ben” una versione (forse) inedita di I Forgot to Remember to Forget, registrata nel 1955. Scusate l’ironia, ma qui siamo al feticismo puro e oltre.

Comunque ecco la tracklist completa dei contenuti del cofanetto:

CD1]
1. My Happiness
2. That’s When Your Heartaches Begin
3. I’ll Never Stand In Your Way
4. It Wouldn’t Be the Same Without You
5. Harbor Lights
6. I Love You Because
7. That’s All Right
8. Blue Moon of Kentucky
9. Blue Moon
10. Tomorrow Night
11. I’ll Never Let You Go (Little Darlin’)
12. I Don’t Care If the Sun Don’t Shine
13. Just Because
14. Good Rockin’ Tonight
15. Milkcow Blues Boogie
16. You’re a Heartbreaker
17. I’m Left, You’re Right, She’s Gone
18. Baby, Let’s Play House
19. I’m Left, You’re Right, She’s Gone
20. I Forgot to Remember to Forget
21. Mystery Train
22. Trying to Get to You
23. When It Rains, It Really Pours
24. That’s All Right
25. Blue Moon of Kentucky
26. I Love You Because
27. Tomorrow Night

[CD2]
1. Harbor Lights (Takes 1 – 2, 3/M)
2. Harbor Lights (Take 4)
3. Harbor Lights (Takes 5 – 8)
4. I Love You Because (Takes 1 – 2)
5. I Love You Because (Take 3)
6. I Love You Because (Takes 4 – 5)
7. That’s All Right (Takes 1 – 3)
8. Blue Moon of Kentucky
9. Blue Moon (Takes 1 – 4)
10. Blue Moon (Take 5)
11. Blue Moon (Takes 6 – 8)
12. Blue Moon
13. Dialogue (Fragment before “Tomorrow Night”)
14. I’ll Never Let You Go (Little Darlin’) [Incomplete Take]
15. Good Rockin’ Tonight (Fragment from Vocal Slapback Tape)
16. I Don’t Care if the Sun Don’t Shine (Takes 1 – 3/M)
17. I’m Left, You’re Right, She’s Gone (Slow Version, Take 1)
18. I’m Left, You’re Right, She’s Gone (Slow Version, Take 2)
19. I’m Left, You’re Right, She’s Gone (Slow Version, Take 3)
20. I’m Left, You’re Right, She’s Gone (Slow Version, Takes 4 – 5)
21. I’m Left, You’re Right, She’s Gone (Slow Version, Takes 6 – 7)
22. How Do You Think I Feel (Guitar Slapback Tape, Rehearsals + Take 1)
23. When It Rains It Pours (Vocal Slapback Tape, Take 1)
24. When It Rains It Pours (Vocal Slapback Tape, Take 2 – Rehearsal 1
25. When It Rains It Pours (Vocal Slapback Tape, Take 5/M)
26. When It Rains It Pours (Vocal Slapback Tape, Takes 6 – 8)

[CD3]
1. That’s All Right (Live from the Louisiana Hayride, Shreveport, Louisiana)
2. Blue Moon of Kentucky
3. Shake, Rattle And Roll
4. Fool, Fool, Fool
5. Hearts of Stone
6. That’s All Right (Live from the Louisiana Hayride, Shreveport, Louisiana)
7. Tweedlee Dee (Live from the Louisiana Hayride, Shreveport, Louisiana)
8. Shake, Rattle and Roll
9. KSIJ Radio commercial with DJ Tom Perryman
10. Money Honey
11. Blue Moon of Kentucky
12. I Don’t Care If the Sun Don’t Shine
13. That’s All Right (Louisiana Hayride, Shreveport, Louisiana)
14. Tweedlee Dee
15. Money Honey
16. Hearts of Stone
17. Shake, Rattle and Roll
18. Little Mama
19. You’re a Heartbreaker
20. Good Rockin’ Tonight
21. Baby, Let’s Play House
22. Blue Moon of Kentucky
23. I Got a Woman
24. That’s All Right
25. Tweedlee Dee
26. That’s All Right
27. I’m Left, You’re Right, She’s Gone
28. Baby, Let’s Play House
29. Maybellene
30. That’s All Right (Live from the Louisiana Hayride, Shreveport, Louisiana)
31. Bob Neal Radio Promotion Spot
32. I Forgot to Remember to Forget

Per chi non dovesse averli già, temo in pochi, ma non è detto, un acquisto quasi obbligato, anche per i fans compulsivi che non mancano e le grandi majors contano su questo. Inoltre, come tutti gli anni, si avvicina agosto, il 18, che sarà il 40° l’anniversario della morte di Elvis Presley. Vedo già i simboli dei dollari che scorrono, a mo’ di slot machine, sotto gli occhialoni da sole dei manager, visto che il cofanetto non te lo regalano! Io vi informo, poi decidete voi: la musica comunque, al di là di tutte le considerazioni fatte finora, come direbbe un mio “collega” televisivo, è epocale.

Bruno Conti

Blues Got Soul Da Una Voce Sopraffina. John Németh – Feelin’ Freaky

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John Németh – Feelin’ Freaky – Memphis Grease Records

John Németh è un cantante ed armonicista nativo dell’Idaho, di solito viene etichettato come blues, ma il suo è un Blues Got Soul che di quest’ultimo genere ne ha “acchiappato” veramente molto, soprattutto quando dal 2013 si è trasferito in quel di Memphis, Tennessee. Il disco precedente, molto bello, si chiamava Memphis Grease http://discoclub.myblog.it/2014/05/13/soul-blues-ottima-qualita-john-nemeth-memphis-grease/, per questo nuovo album ha addirittura fondato la propria etichetta che si chiama, guarda caso, Memphis Grease. Registrato nella culla della Deep Soul music, il nuovo album è prodotto da Luther Dickinson dei North Mississippi Allstars, e si avvale della band di Nemeth, i Blue Dreamers, ovvero Matthew Wilson al basso, Danny Banks alla batteria e Johnny Rhoades alla chitarra. Al limite, quando serve, impiega il grande Charles Hodges della Hi Rythm Section, all’organo, sentito di recente nello splendido ultimo lavoro di Robert Cray, e pure una sezione fiati con Marc Franklin alla tromba e Art Edmaiston al sax, nonché una piccola sezione di archi, con risultati veramente eccellenti.

Se nel disco precedente, accompagnato dai Bo-Keys, si era avventurato in una focosa rivisitazione di classici del soul, del R&B, ma anche del blues e del rock, questa volta John Németh ha composto tutti gli undici brani di Feelin’ Freaky, ma il risultato (quasi) non cambia, sempre “blue eyed soul” di gran classe e sostanza, ovviamente grazie ad una voce che è una piccola meraviglia della natura, bianco nei lineamenti ma “nero” nel profondo. Under The Gun sembra qualche perduto singolo della Stax dei tempi d’oro, un ritmo coinvolgente, con fiati sincopati ed armonie vocali deliziose, una ventata di leggerezza rinfrescante in questi tempi di musica plastificata, e pure S.T.O.N.E.D. non scherza, aggiungete una armonica guizzante, un giro super funky di basso, una chitarra “cattiva” ed elementi più blues a variare il menu, ma la qualità non accenna a diminuire. Feelin’ Freaky è un galoppante R&B misto a rock, di nuovo con l’armonica in primo piano  e la chitarra che sputa riff a ripetizione, mentre Rainy Day è una di quelle soul ballads “imploranti”, con tanto di archi e fiati, e il tocco magico dell’organo di Hodges, in cui Nemeth sguazza come una papera nello stagno.

You Really Do Want That Woman è molto simile, anche nel titolo, ad un vecchio brano di Nemeth che si chiamava Do You Really Do Want That Woman?: come nella settimana enigmistica, trovate la differenza, oppure “accontentatevi” di un grasso e umido errebì tutto groove. Però è nelle canzoni d’amore in cui il nostro eccelle, come nella insinuante My Sweet Love, con una armonica alla Stevie Wonder, belle armonie vocali e sprazzi fiatistici old school, o ancora nella splendida Gave Up On You, dove la sua voce (e anche tutto il resto, tra blues e soul) rimanda al miglior Robert Cray oppure al grande Al Green, eccellente persino il misurato assolo di chitarra di Rhoades e il lavoro dell’organo di Hodges. Get Offa Dat Butt, come da titolo, è più danzereccia e funky, ma non per questo meno godibile, con il nostro che si diverte anche all’armonica, come pure nella successiva I’m Funkin’ Out, dove sono i fiati ad affiancare l’armonica e la voce di Nemeth per far muovere i fianchi dell’ascoltatore, anche se negli ultimi brani più carnali, lo fa forse a scapito dell’intensità, ma è un peccato veniale. Riscattato nel funky-blues della gradevole Kool-Aid Pickle e soprattutto in una di quelle deep soul ballads in cui John Németh è maestro, come la conclusiva Long Black Cadillac cantata con sentimento e a pieni polmoni dal nostro, mentre tutta la band costruisce un impianto sonoro di grande fascino.

Ci fossero stati altri due o tre brani di questo livello il disco sarebbe stato perfetto, rimane comunque un eccellente album.

Bruno Conti

Non Si Smentisce Mai, Per Fortuna, “Finalmente” E’ Uscito Anche Questo ! Joe Bonamassa – Live At Carnegie Hall: An Acoustic Evening.

Joe Bonamassa Live At Carnegie Hall An Acoustic Evening

Joe Bonamassa – Live At Carnegie Hall: An Acoustic Evening – Mascot/Provogue 2 CD/2 DVD /Blu-Ray 

*NDB Finalmente è uscito, proprio lo scorso venerdì 23 giugno, ho aggiornato il Post aggiungendo anche l’ultimo video pubblicato The Valley Runs Low. Magari ve ne eravate dimenticati o vi era sfuggito, ma il disco merita davvero: buona lettura di nuovo.

Il nostro vecchio “Beppe” Bonamassa” (ormai siamo in confidenza, il dizionario inglese traduce così Joe) è abbastanza noto che una ne pensa e cento ne fa. In attesa di tornare in pista con i riformati Black Country Communion, il nostro amico ci regala la registrazione di uno dei due concerti “acustici” che si sono tenuti il 21 e 22 gennaio del 2016 alla Carnegie Hall di New York. Forse qualcuno dirà che la carta del concerto acustico l’aveva già provata, con il peraltro splendido An Acoustic Evening At The Vienna Opera House del 2013, ma non essendo Joe Bonamassa Paganini, per una volta può anche ripetersi, tenendo conto che le platee americane non avevano potuto gustare quella sciccheria. Che sia prolifico è un fatto ormai noto e risaputo, ma, come detto in altre occasioni, il chitarrista di New York riesce comunque a creare sempre interesse intorno a questi eventi, presentandoli sotto spunti e forme sempre diverse: una volta è il concerto alla Royal Albert Hall con Clapton, un’altra la serata al Beacon Theatre di New York, oppure ancora la serata acustica a Vienna, e poi l’anno dopo l’accoppiata ad Amsterdam con Beth Hart, i quattro concerti londinesi consecutivi in locali di diverse dimensioni e con repertorio diversificato, il concerto nello splendido anfiteatro naturale di Red Rocks, per una serata di blues dedicata a Howlin’ Wolf e Muddy Waters, e poi quella al Greek Theatre incentrata sui tre King, Albert, B.B. e Freddie http://discoclub.myblog.it/2016/10/03/finche-fa-dischi-cosi-belli-puo-farne-quanti-ne-vuole-joe-bonamassa-live-at-the-greek-theater/ , e non li abbiamo citati neppure tutti, però c’è sempre un’idea diversa alla base dei progetti (e manca ancora all’appello il tour dedicato al British Blues, Clapton, Beck, Page e soci).

Questa volta la scintilla è l’idea di proporre una sorta di East Meets West in veste acustica, ma essendo Bonamassa al timone il tutto viene realizzato in modo faraonico, con nove musicisti sul palco: la sua band, tre coriste abbigliate all’indiana, ma si riconosce Mahalia Barnes alla guida delle vocalist, la cellista acustica ed elettrica di origine cinese Tina Guo (impegnata anche al erhu) e il percussionista egiziano Hossan Ramzy (che era quello utilizzato da Page & Plant per l’album No Quarter e nel Unledded Tour). Nella band di Bonamassa a fianco dei soliti Reese Wynans (piano), e Anton Fig batteria), troviamo anche Eric Bazilian, l’eccellente multistrumentista degli Hooters, alle prese con mandolino, hurdy-gurdy, sax, chitarra acustica e voce di supporto. E il risultato è notevole: un suono raffinato e corposo al contempo, arrangiamenti ricchissimi e complessi di canzoni del repertorio di Bonamassa, e anche alcuni brani mai eseguiti in precedenza, il tutto eseguito in modo abbastanza diverso rispetto al suono più folk o “classico” del precedente concerto viennese, l’anima è acustica, ma la presenza della batteria garantisce comunque anche una grinta rock, mista a sviluppi quasi etnici (toglierei il quasi), senza dimenticare il blues sempre amato dal nostro. Come potete rilevare all’inizio del Post il concerto esce in vari formati, questa volta divisi, e visto che sto scrivendo la recensione in netto anticipo sull’uscita prevista per il 23 giugno, quanto leggete è basato sulla versione audio in doppio CD, ma il doppio DVD avrà anche una parte di contenuti extra con ulteriori 45 minuti di dietro le quinte. Diciamo che il live viennese era Bonamassa solo circondato da vari strumenti e con musicisti ospiti, mentre questo nuovo lavoro è più il frutto di una band all’opera con un solista straordinario.

Il concerto si apre con This Train, tratta da Blues Of Desperation, che alla data di registrazione del concerto non era ancora uscito, introduzione pianistica di Wynans, poi arriva l’acustica di Joe e a seguire tutta la band, in un vortice blues elettroacustico di sicura efficacia, con l’effetto “ferroviario” che caratterizza il tempo del brano, e la Guo che inizia a tessere le sue melodie al cello, mentre la Barnes e soci scalpitano sullo sfondo, Drive mantiene questo tema del viaggio, una ballata quieta e sognante, con il mandolino di Bazilian, di nuovo il piano e il cello e l’erhu della Guo a cullare la voce di Bonamassa, poi il ritmo cresce, entrano le percussioni e le altre voci, finché non parte uno splendido assolo dell’acustica.

Prosegue la presentazione dei brani dell’album, è la volta di una The Valley Runs Low che viaggia verso lidi quasi celtici, un’altra delicata ballata resa al meglio, anche con retrogusti gospel e country; Dust Bowl viene dal disco omonimo del 2011, con un flauto sullo sfondo )o forse è l’erhu) e un’atmosfera sospesa e misteriosa, su cui si inserisce il lavoro della chitarra. Driving Towards The Daylight è la title track dell’album del 2012, quasi una via di mezzo tra i Led Zeppelin o i Jethro Tull più pastorali, molto bella in ogni caso, sempre corale nello sviluppo sonoro; Black Lung Heartache ancora da Dust Bowl, vede inizialmente Bonamassa impegnato alla slide per un blues quasi in solitaria, che poi nella seconda parte vira verso sonorità decisamente più “esotiche”, con la Guo ancora in bella evidenza. Da Black Rock viene estratta Blue And Evil uno dei pezzi che meglio illustra questo East Meets West del concerto, tra blues, folk e musica etnica, e un finale di nuovo alla Zeppelin.

Livin’ Is Easy sempre dall’ultimo album all’epoca, con Bazilian al sax, si sposta verso un blues vecchio stile, polveroso e ciondolante, con Get Back My Tomorrow, tratta da Different Shades Of Blue, uno dei brani più ritmati e vicini al rock, anche se l’uso del banjo e della  strumentazione acustica ne attutiscono l’impatto, comunque è l’occasione per un bel duetto vocale tra Joe Bonamassa e Mahalia Barnes. Mountain Time apre il CD 2 ed è uno dei brani più vecchi, targato 2002, una canzone affascinante che fa molto Led Zeppelin III, ma si distingue per l’uso del piano di Wynans. Poi a sorpresa arriva una versione del blues di Alfred Reed How Can A Poor Man Stand Such Times and Live, che rivaleggia nella sua diversità con quelle di Ry Cooder Bruce Springsteen, come la giri questa canzone è comunque sempre splendida e la Barnes ci mette di nuovo del suo; molto bella è pure una lunghissima versione di Songs Of Yesterday, uno dei brani migliori dei Black Country Communion, che non soffre nella transizione da pezzo rock durissimo a raffinata ballata elettroacustica con la Guo fine protagonista al cello e con i continui cambi di tempo e le accelerazioni e le pause, nuovamente molto reminiscenti dei migliori Led Zeppelin, tra mandolini, chitarre acustiche e percussioni impazzite, e che finale. Woke Up Dreaming era uno splendido blues elettrico su Blues DeLuxe, qui diventa un travolgente duetto tra l’acustica di Joe e la Guo al suo strumento. Hummingbird, con uno splendido Reese Wynans al piano è un omaggio al bellissimo brano di Leon Russell, in una versione magnifica, con gran finale blues della chitarra di Bonamassa, mentre la sorprendente cover di The Rose, il brano di Bette Midler dalla colonna sonora di quel film, è anche un indiretto omaggio a Janis Joplin, una splendida ballata cantata con impeto e passione da Joe, Mahalia Barnes e Bazilian. Mi cito da solo: “Finché Fa Dischi Così Belli, Può Farne Quanti Ne Vuole”!

Bruno Conti

Ma Sarà Vero, O Ci Ripensa? Neil Young – Hitchhiker In Uscita Il 4 Agosto. Infatti Ci Ha Ripensato.

neil young hitchhiker

*NDB Le ultime notizie sono che l’uscita è stata spostata al 4 agosto, sempre per l’edizione in vinile, mentre per ora nulla si sa sul CD, ma potrebbe cambiare ancora idea. Ora è confermato “ufficialmente” per quella data anche il CD, forse: quando lo vedo ci credo!

La data di uscita sembra confermata sui siti americani (almeno per la versione in vinile già prenotabile, etichetta Reprise/Warner, il CD non ancora), ovvero il 14 luglio, la stessa data della presa della Bastiglia, ma essendo Neil Young appunto Neil Young, non sarebbe la prima volta che il nostro amico ci ripensa o rimanda. Comunque non è un disco nuovo, o meglio è inedito in questo formato: si tratta di un album acustico, registrato nel 1976, agli Indigo Ranch Studios a Malibu, California, come dice lo stesso Neil:

“I spent the night there with David and recorded nine solo acoustic songs, completing a tape I called Hitchhiker.

It was a complete piece, although I was pretty stony on it, and you can hear it in my performances. Dean Stockwell, my friend and a great actor who I later worked on Human Highway as a co-director, was with us that night, sitting in the room with me as I laid down all the songs in a row, pausing only for weed, beer, or coke. Briggs was in the control room, mixing live on his favorite console.”

Questi sono i brani:

1. Pocahontas
2. Powderfinger
3. Captain Kennedy
4. Hawaii
5. Give Me Strength
6. Ride My Llama
7. Hitchhiker
8. Campaigner
9. Human Highway
10. The Old Country Waltz

Dovrebbero essere le sessions completamente acustiche, registrate dopo On The Beach, per l’album Homegrown, con due canzoni completamente inedite, una delle due è questa sotto.

Sarà vero? Nei prossimi giorni si dovrebbe sapere, forse.

Bruno Conti

Anche Questo Succedeva 50 Anni Fa, Ancora Grande Musica! Beach Boys – 1967 Sunshine Tomorrow

beach boys sunshine tomorrow

The Beach Boys – 1967 Sunshine Tomorrow – 2 CD Capitol – 30-06-2017

Oltre a Sgt. Pepper’s dei Beatles http://discoclub.myblog.it/2017/06/01/it-was-really-fifty-years-ago-today-ovvero-era-giusto-50-anni-fa-oggi-the-beatles-sgt-peppers-lonely-hearts-club-band/, nel 1967 uscivano anche due dischi dei loro rivali storici oltreoceano, i Beach Boys: a settembre Smiley Smile, e a dicembre Wild Honey. Proprio in questi giorni la Universal, nuova proprietaria dei diritti degli album Capitol del gruppo americano, pubblica il doppio CD che vedete effigiato qui sopra, e che è una sorta di “combinato disposto” dei due album in questione, ma arricchito da una quantità spropositata di bonus tracks ed al prezzo di un CD (ogni tanto i miracoli accadono, delle ristampe a “prezzi umani). Vediamo (e sentiamo) cosa contiene. Prima di tutto vi riporto nuovamente la lista completa dei contenuti, poi andiamo ad esaminarla più nel dettaglio.

CD 1

Wild Honey (New Stereo Mix) (original mix released as Capitol ST 2859, 1967)
(New stereo mix, except as noted *. Recorded September 15 to November 15, 1967 at Brian Wilson’s house and at Wally Heider Recording in Hollywood, California)

1. Wild Honey (2:45)
2. Aren’t You Glad (2:16)
3. I Was Made To Love Her (2:07)
4. Country Air (2:21)
5. A Thing Or Two (2:42)
6. Darlin’ (2:14)
7. I’d Love Just Once To See You (1:49)
8. Here Comes The Night (2:44)
9. Let The Wind Blow (2:23)
10. How She Boogalooed It (1:59)
11. Mama Says * (Original Mono Mix) (1:08)

Wild Honey Sessions: September – November 1967 (Previously Unreleased)
12. Lonely Days (Alternate Version) (1:45)
13. Cool Cool Water (Alternate Early Version) (2:08)
14. Time To Get Alone (Alternate Early Version) (3:08)
15. Can’t Wait Too Long (Alternate Early Version) (2:49)
16. I’d Love Just Once To See You (Alternate Version) (2:22)
17. I Was Made To Love Her (Vocal Insert Session) (1:35)
18. I Was Made To Love Her (Long Version) (2:35)
19. Hide Go Seek (0:51)
20. Honey Get Home (1:22)
21. Wild Honey (Session Highlights) (5:39)
22. Aren’t You Glad (Session Highlights) (4:21)
23. A Thing Or Two (Track And Backing Vocals) (1:01)
24. Darlin’ (Session Highlights) (4:36)
25. Let The Wind Blow (Session Highlights) (4:14)

Wild Honey Live: 1967 – 1970 (Previously Unreleased)
26. Wild Honey (Live) (2:53) – recorded in Detroit, November 17, 1967
27. Country Air (Live) (2:20) – recorded in Detroit, November 17, 1967
28. Darlin’ (Live) (2:25) – recorded in Pittsburgh, November 22, 1967
29. How She Boogalooed It (Live) (2:43) – recorded in Detroit, November 17, 1967
30. Aren’t You Glad (Live) (3:12) – recorded in 1970, location unknown

31. Mama Says (Session Highlights) (3:08)
(Previously unreleased vocal session highlights. Recorded at Wally Heider Recording, November 1967)

CD 2

Smiley Smile Sessions: June – July 1967 (Previously Unreleased)
(Recorded June and July 1967 at Brian Wilson’s house, Western Recorders, SRS, and/or Columbia Studios, except as noted *)
1. Heroes And Villains (Single Version Backing Track) (3:38)
2. Vegetables (Long Version) (2:55)
3. Fall Breaks And Back To Winter (Alternate Mix) (2:28)
4. Wind Chimes (Alternate Tag Section) (0:48)
5. Wonderful (Backing Track) (2:23)
6. With Me Tonight (Alternate Version With Session Intro) (0:51)
7. Little Pad (Backing Track) (2:40)
8. All Day All Night (Whistle In) (Alternate Version 1) (1:04)
9. All Day All Night (Whistle In) (Alternate Version 2) (0:50)
10. Untitled (Redwood) * (0:35)
(Previously unreleased instrumental fragment. Studio and exact recording date unknown. Discovered in tape box labeled “Redwood”)

Lei’d In Hawaii “Live” Album: September 1967 (Previously Unreleased)
(Recorded September 11, 1967 at Wally Heider Recording in Hollywood, CA, with additional recording September 29, 1967 (except as noted *). Original mono mixes from assembled master ½” reel, dated September 29, 1967, discovered in the Brother Records Archives.)
11. Fred Vail Intro (0:24)
12. The Letter (1:54)
13. You’re So Good To Me (2:31)
14. Help Me, Rhonda (2:24)
15. California Girls (2:30)
16. Surfer Girl (2:17)
17. Sloop John B (2:50)
18. With A Little Help From My Friends * (2:21)
(Recorded at Brian Wilson’s house, September 23, 1967)
19. Their Hearts Were Full Of Spring * (2:33)
(Recorded during rehearsal, August 26, 1967, Honolulu, Hawaii)
20. God Only Knows (2:45)
21. Good Vibrations (4:13)
22. Game Of Love (2:11)
23. The Letter (Alternate Take) (1:56)
24. With A Little Help From My Friends (Stereo Mix) (2:21)

Live In Hawaii: August 1967 (Previously Unreleased)
(The Beach Boys recorded two complete concerts and rehearsals in Honolulu on August 25 and 26, 1967. Brian Wilson rejoined the group onstage for these shows; Bruce Johnston was not present. The following tracks derive from the original 1″ 8-track master reels discovered in the Brother Records Archives.)
25. Hawthorne Boulevard (1:05)
26. Surfin’ (1:40)
27. Gettin’ Hungry (3:19)
28. Hawaii (Rehearsal Take) (1:11)
29. Heroes And Villains (Rehearsal) (4:45)

Thanksgiving Tour 1967: Live In Washington, D.C. & Boston (Previously Unreleased)
(The touring Beach Boys – Mike, Carl, Dennis, Al, and Bruce – embarked on a Thanksgiving Tour immediately after delivering the finished Wild Honey album to Capitol Records. For this tour, the band was augmented by Ron Brown on bass and Daryl Dragon on keyboards.)
30. California Girls (Live) (2:32) – recorded in Washington, DC, November 19, 1967
31. Graduation Day (Live) (2:56) – recorded in Washington, DC, November 19, 1967
32. I Get Around (Live) (2:53) – recorded in Boston, November 23, 1967

Additional 1967 Studio Recordings (Previously Unreleased)
33. Surf’s Up (1967 Version) (5:25)
(Recorded during the Wild Honey sessions in November 1967)
34. Surfer Girl (1967 A Capella Mix) (2:17)
(Previously unreleased mix of Lei’d In Hawaii take from the Wally Heider Recording sessions in September 1967)

Come vedete in tutto 65 brani, di cui ben 54 tracce inedite, in studio e dal vivo, con Wild Honey che appare su CD mixato per la prima volta in stereo. La sequenza cronologica vorrebbe che prima vengano le sessions per l’album Smiley Smile, iniziate al 3 giugno del 1967 e terminate a luglio (poco dopo l’ultima sessione del maggio 1967 per il leggendario Smile, che verrà poi accantonato per uscire postumo, solo nel 2011), mentre quelle per Wild Honey si tennero tra il 15 settembre e il 15 novembre dello stesso anno, con in mezzo, tanto per gradire, anche alcune registrazioni dal vivo, vere e “fasulle”, in quella a Honolulu dell’agosto del 1967 c’è anche Brian Wilson, e una traccia registrata pure nel 1970. Nel doppio 1967 Sunshine Tomorrow la sequenza viene rovesciata, nel senso che nel primo CD troviamo il materiale di Wild Honey (e molto altro), mentre nel secondo CD quello di Smiley Smile. Andiamo a sentire!

Wild Honey è il loro album soul/R&B, diciamo visto da una prospettiva “bianca”, ma comunque assai godibile, forse leggero, benché di buona qualità: negli anni addirittura è stato rivalutato a livello critico, anche se non mancano i detrattori. Al sottoscritto non dispiace per nulla, certo, se doveva essere la risposta (insieme a Smiley Smile) al Sgt, Pepper’s dei Beatles, forse non ci siamo, ma alcuni giornalisti musicali americani, tra cui lo stimato Robert Christgau del Village Voice, lo hanno addirittura inserito nella loro Top 10 all time, e anche il produttore Tony Visconti lo inserisce tra i suoi preferiti di sempre, mentre Rolling Stone lo cita tra i migliori “dischi estivi” (e visto il gruppo ci sta). Non mancano i detrattori come detto, ma visto che stiamo facendo una recensione positiva, al limite ve li andate a cercare voi. Le undici canzoni (per 25 minuti scarsi di durata!) sono tutte firmate da Brian Wilson Mike Love, meno una da Love, con Brian Johnston, Al Jardine Carl Wilson, più una cover della celebre (e molto bella) I Was Made To Love Her di Stevie Wonder. La title track è un classico brano alla Beach Boys metà anni ’60, con gli effetti sonori (vale a dire un uso più marcato delle testiere) che Wilson iniziava a padroneggiare in grande souplesse, unito a questo stile R&B “bianco”, che era una primizia; Aren’t You Glad sembra quasi un brano di Bacharach dell’epoca, quindi bello, piacevole pure la cover di I Was To Made To Love Her, anche se Carl Wilson forse fatica a calarsi in questo ruolo di “nero bianco”. Country Air è uno dei loro pezzi cantati coralmente, con le solite splendide armonie vocali, e non male, per usare un eufemismo, l’intricata One Thing Or Two; Darlin’, cantata nuovamente da Carl, rivaleggia con le loro migliori canzoni di sempre. A seguire i due brani cantati da Brian, I’d Love Just Once To See You Here Comes The Night, al solito allegre e spensierate, magari forse non dei super classici. Ottime ancora Let The Wind Blow, scritta e cantata coralmente dai fratelli Carl e Brian e dal cugino Mike e anche la danzereccia How She Boogalooed, scritta da tutto il gruppo. A chiudere il tutto la cortissima e a cappella Mama Says. E nella brevità delle canzoni sta forse l’unico limite di questo album, la più lunga dura due minuti e 40 secondi, le altre meno. Ottimo comunque il nuovo mix stereo.

Tra le chicche inedite, tutte molto belle, nel primo CD, dalle sessions di Wild Honey: Lonely Days, non inserita nell’album, la malinconica e quasi sperimentale Cool Cool Water, incisa per Smile, e pubblicata poi su Sunflower in un’altra versione. La quasi barocca Time To Get Alone, uscita poi su 20/20 e anche Can’t Wait Too Long, che uscirà addirittura solo nel 2008 nel disco solo di Brian Wilson, That Lucky Old Sun. Con l’aggiunta di questi quattro pezzi probabilmente Wild Honey sarebbe stato un signor album, in grado forse di rivaleggiare con Pet Sounds, forse. Poi nel CD troviamo diverse versioni alternative e frammenti di canzoni inserite nell’album, tra cui una  I’d Love Just Once To See You più bella dell’originale e una I Was Made To Love Her più lunga e grintosa. A seguire cinque o sei inserti strumentali assai interessanti che ci fanno tuffare nel mondo del gruppo, il migliore forse quello di Darlin’. Ci sono poi alcuni pezzi dal vivo del 1967, qualità sonora ottima e sorprendente, soprattutto le versioni di Wild Honey Country Air a Detroit e quella di Darlin’ a Pittsburgh, sono quasi pari agli originali di studio, alla faccia della scarsa tecnologia live dell’epoca; e molto interessante il lungo ed intricato estratto vocale per le prove in studio di Mama Says. 

Il secondo CD contiene alcune versioni alternative di brani che erano stati pubblicati su Smiley Smile, l’altro album del 1967 dei Beach Boys: partendo con due capolavori come Heroes And Villain Vegetables, come pure i due frammenti di All Day All Night che sarebbe uscita come Whistle In sull’album. Il famoso disco Lei’d In Hawaii avrebbe dovuto essere un album dal vivo registrato a Honolulu, ma paventando il disastro fu cancellato all’ultimo minuto, e ri-registrato dal vivo in studio, come direbbe The Donald un fake album Live, inciso ai Wally Heider Recording Studios di Hollywood, CA, l’11 settembre del 1967, e che sentito oggi, è un concerto della Madonna: ricco di cover sorprendenti e splendide e di alcuni classici (si fa per dire, visto che sono solo sette pezzi in tutto), tra cui The Letter dei Box Tops e una delicatissima With A Little Help From My Friends dei Beatles cantata da Brian Johnston (che curiosamente anni dopo sarebbero state incise entrambe da Joe Cocker)Help Me Rhonda, California Girls Sloop John B. A seguire troviamo le prove senza pubblico del concerto di Honolulu, con versioni da sballo di God Only Knows, Good Vibrations e le due cover appena citate. E anche 5 brani registrati davvero dal vivo ( lo si capisce dal pubblico urlante) alle Hawaii, ripescati dagli archivi della band, insieme ad altri tre registrati a fine anno tra Washington e Boston, tra cui una splendida California Girls e una malinconica Graduation Day, il tutto con qualità sonora (e di esecuzione) sorprendentemente buona. L’ultima rarità  inclusa nel secondo CD è una lunga versione di Surf’s Up che verrà poi inclusa nell’album omonimo nel 1971, ma che in questa versione venne registrata nel novembre del 1967.

Esce venerdì 30 giugno: come si usa dire in queste occasioni, imperdibile!

Bruno Conti

Valeva La Pena Di Attendere. Selwyn Birchwood – Pick Your Poison

selwyn birchwood pick your poison

Selwyn Birchwood  – Pick Your Poison – Alligator Records/Ird

Sono già passati tre anni dal precedente? Così pare, comunque torna il prodigioso chitarrista di Orlando, Florida, Selwyn Birchwood, uno dei migliori delle nuove generazioni del blues: il nuovo album si chiama Pick Your Poison e non ha nulla da invidiare al suo predecessore, sempre su Alligator, Don’t Call No Ambulance http://discoclub.myblog.it/2014/06/14/piccoli-alligatori-pettinature-afro-selwyn-birchwood-dont-call-ambulance/ . Una scarica di pura energia, tra cavalcate boogie, deep funky soul e R&B, atmosferiche canzoni dove strapazza da par suo la lap steel in modalità bottleneck o la sua classica Gibson, coadiuvato da un gruppo, dove brillano sia il sassofonista, flautista Regi Oliver, come il bassista Huff Wright, e pure il nuovo batterista Courtney “Big Love” Girlie, anche lui pescato in Florida, non scherza. Tredici nuovi pezzi, tutti firmati dal super riccioluto musicista americano, che si conferma una vera forza della natura, con la sua solista sempre pronta ad intessere assolo dopo assolo, con una continuità ed una varietà di temi sonori impressionante ed ammirabile, veramente uno dei nuovi maestri della 6 corde più interessante attualmente in circolazione.

Se aggiungiamo che Birchwood è anche un eccellente cantante è difficile rimanere indifferenti di fronte alle sue evoluzioni: siano quelle vorticose dell’iniziale blues-rock Trial By Fire, dove in un inconsueto interscambio tra flauto e slide siamo attirati nel mondo sonoro di questo talentuoso musicista, o nel boogie a tutto velocità di una divertente e divertita Even The Saved Need Saving, con sax e chitarra con slide più wah wah che si inseguono con brio, per poi scatenarsi in un finale dove irrompe anche un magnifico inserto a tempo di gospel, con tutto il gruppo che canta con libidine, pardon, visto l’argomento, direi più con fervore https://www.youtube.com/watch?v=G2dCpHX7-og . Guilty Pleasures ha qualche retrogusto à la Tom Waits, se il cantautore di Pomona si immergesse più a fondo nel blues, la voce è molto simile (al Waits giovane), ma slide e sound complessivo sono di pura marca Alligator, con la slide furiosa che rievoca un Hound  Dog Taylor (sempre peraltro nato sull’etichetta di Chicago), “aggiornato” ad un modello 2.0; tra gli stili in mostra nel menu non manca il funky irriverente della title track Pick Your Poison, sempre interessante negli scambi strumentali tra sax e chitarra, che poi parte per la tangente in un assolo quasi zappiano https://www.youtube.com/watch?v=DbJ-kQGeJh4 . E ovviamente il nostro Selwyn maneggia con grande perizia anche lo slow blues, in un torrido ed intensissimo attacco alle coronarie dell’ascoltatore con una vibrante Heavy Heart, dove gli strali della sua Gibson sono lancinanti come richiede il miglior blues elettrico.

Haunted vira verso il rock, sempre con questo strano connubio tra sax e chitarra che cerca di scombinare le gerarchie tipiche delle 12 battute, riuscendoci. Are Ya Ready? ha ancora quello “strano”approccio zappiano al blues, con tempi sghembi, ma quell’amore sconfinato per le misure metriche tipiche di questa musica, solo viste senza troppa deferenza verso il passato, in modo fresco e variegato https://www.youtube.com/watch?v=M2g7d-CGpeU ; anche quando ci si immerge nelle paludi del Mississippi per una elettroacustica Reapimg Time il sound rimane comunque variegato, con l’acustica slide maneggiata con classe. R We Crazy è un altro funky dai tempi sghembi e obliqui, quasi jazzati, con un riff irresistibile, Police State è un Chicago Blues acustico a tutta slide, come Alligator insegna. Un altro ironico pezzo è My Whiskey Loves My Ex, dove comunque a livello musicale la band gira di brutto, con Selwyn Birchwood sempre magistrale ed irruente con la sua Gibson in un brano che ha un finale quasi alla Thorogood. Lost In You è una rara ballata notturna con assolo di sax di Oliver e il nostro che sfoggia un timbro vocale quasi da crooner per l’occasione, per poi rituffarsi in un errebì/funky alla James Brown per la conclusiva Corporate Drone, dove Selwyn dà un ultimo scossone alla sua solista per la gioia dei suoi ammiratori, a conferma del suo talento.

Bruno Conti

L’Altro “Master Of The Telecaster”. Albert Collins And The Icebreakers – At Onkel Po’s Carnegie Hall Hamburg 1980

albert collins at onkel po's

Albert Collins And The Icebreakers – At Onkel Po’s Carnegie Hall Hamburg 1980 – 2 CD Jazzline/Delta Music/Ird

Sono passati ormai quasi 24 anni dalla scomparsa di Albert Collins: il chitarrista texano è morto nell’ottobre del 1993 a Las Vegas, all’età di 61 anni per un cancro (ma nel gennaio di quell’anno, accompagnando gli Allman Brothers, suonava ancora così https://www.youtube.com/watch?v=koJT6JL_yc0). Come il collega Roy Buchanan anche lui considerato un “Master Of The Telecaster”, Collins era nato in Texas, ma ha comunque svolto la sua carriera in giro per gli Stati Uniti, prima a Houston a metà anni ’50, dove è rimasto fino alla metà delle decade successiva, incidendo solo qualche singolo, poi nel 1968 è stato notato dai Canned Heat che gli fecero avere il suo primo contratto discografico con la Imperial, mentre nel frattempo si era spostato in California. Dopo un album con la Tumbleweed, che fallì in fretta, passeranno diversi anni prima di avere un nuovo contratto per la Alligator, con la quale, in una decina di anni, pubblicherà i suoi dischi migliori, fino all’opera finale, Iceman, uscita nel 1991 per la Pointblank. Questa, per sommi capi, la sua storia discografica: quindi una decina di album scarsi in studio, ma anche parecchi dal vivo, che si sono moltiplicati con l’uscita di numerosi dischi postumi. Gli ultimi due sono usciti abbastanza recentemente: il Live At Rockpalast è dello scorso anno, mentre questo At Onkel Po è cosa di questo giorni. Entrambi sono stati registrati nel 1980, tutti e due in Germania, dove Albert Collins era molto popolare, e la formazione che lo accompagna, gli Icebreakers, è la stessa.

Pure il repertorio, a grandi linee, è simile, anche se non identico, forse il doppio di cui ci stiamo occupando si fa preferire per una maggiore lunghezza del concerto. Collins giustamente viene considerato uno dei grandi della chitarra elettrica nel Blues, diciamo delle ultime generazioni, perché se aveva cominciato molto presto, la fama è giunta solo sul finire degli anni ’70 (e poi anche negli anni ’80, persino sul palco del Live Aid con George Throgood https://www.youtube.com/watch?v=D8N8SXVZNV4 ). Anche se la sua “signature song” Frosty, risaliva al 1965, il periodo migliore della carriera di Albert coincide proprio con questo doppio album: accompagnato da una band eccellente, dove brillano anche l’altro chitarrista Jackson Marvin, il sassofonista A.C. Reed (prima nella band di Buddy Guy) e una efficace sezione ritmica, con Johnny B.  Gayden al basso e Casey Jones alla batteria. Band che aveva il compito di scaldare il pubblico e a cui il nostro delegava ampi spazi: infatti il concerto si apre con ben quattro tracce eseguite dai cosiddetti “comprimari”, ma le versioni di Sweet Home Chicago, tirata e grintosa, una morbida e deliziosa Dock Of The Bay di Otis Redding, l’eccellente Talk To Your Daughter dove si apprezzano sia il sax di Reed come la chitarra del bravissimo Marvin, che si ripetono nella successiva Howlin’ For My Darling. A questo punto, preceduto dalla solita magniloquente introduzione tipica delle Blues Revue, entra in scena Albert Collins, prima in punta di piedi (o meglio di mani) con la funky Listen Here di Calvin Harris, che non ha nulla da invidiare al migliore James Brown, con la voce rauca e vissuta di Collins, e soprattutto la sua chitarra che si impadroniscono del proscenio, pur lasciando ancora ampi spazi ai sui soci, per esempio a Marvin che esegue un vibrante assolo nella prima parte dello slow blues I Got A Mind To Travel (uno dei tanti che verranno eseguiti nella serata all’Onkel Po, uno dei locali storici per il Blues in Germania), con le chitarre che iniziano a “fumare”, soprattutto nelle parti strumentali, quando non si tratta di brani totalmente strumentali, tipo la super classica Frosty.

Ma anche i brani cantati come il lungo lento Cold, Cold Feeling vivono soprattutto sulle lunghe improvvisazioni della solista di Collins, vero mago dello strumento, con il suo classico suono dalle linee ora lunghe e lavorate, ora brevi e lancinanti, per non parlare degli oltre 15 minuti di una vorticosa Ice Pick, dove tutto il gruppo è veramente magnifico, ma soprattutto il lavoro della solista, incredibile. Molto bella e particolare anche una versione di Stand By Me, cantata dal batterista Casey Jones, spesso voce solista, con il sax di Reed che svolazza leggero. Il secondo CD, un’altra ora e un quarto di musica, si apre con una vibrante Mojo Working, seguita da una delle numerose presentazioni del concerto, questa volta per A.C. Reed, che esegue il funky sanguigno di I’m Fed With The Music e il blues sincopato di She’s Fine, ben spalleggiato da Marvin; poi è il turno del R&B classico, Mustang Sally in versione strumentale, e di nuovo una ballata blues come The Things I Used To Do, il jump blues di Caldonia (con o senza e nel titolo) di Louis Jordan, e il finale con un trittico di brani firmati da Collins, prima Master Charge, poi un altro torrido blues lento come Conversations With Collins, dove il nostro gigioneggia alla grande con il pubblico, e infine la lunghissima, quasi 20 minuti complessivi, Cold Cuts, dove tutti i musicisti si prendono i loro spazi, anche se il protagonista principale, forse fin troppo prolisso è il bassista Gayden. Un ennesimo buon documento della classe e del valore di Albert Collins, eccolo insieme all’altro “Master Of The Telecaster” https://www.youtube.com/watch?v=yIeZSUevSuc.

Bruno Conti