Fra Tocchi Di Genio E “Follia” Sonora: Scott H. Biram – Nothin’ But Blood

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Scott H. Biram – Nothin’ But Blood – Bloodshot records/IRD

Ogni volta che mi imbatto, anche per recensire un suo disco, in Scott H. Biram, sono sempre combattuto tra l’ammirazione e la voglia di prenderlo a calci nel culo (si può dire calci?). Il talento nel musicista texano indubbiamente c’è, si è “inventato” questo stile da one man band, o meglio da Dirty Old One Man Band, che però è il classico discendente del cosiddetto “fenomeno da baraccone” delle feste di paese, quelli che girano tuttora per gli Stati Uniti e l’Europa con il loro armamentario (mi ricordo di Otto e Barnelli, lanciati da Arbore, o l’Edoardo Bennato degli inizi, che armato di chitarra, armonica, kazoo e di una grancassa azionata dai piedi, ma non solo, proponevano la loro personale visione del blues).

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Ma c’è tutta una tradizione di musicisti di questo stampo, Biram ha espresso la sua ammirazione per Hasil Hadkins e Bob Logg III, ma come non citare Hammell On Trial e Mojo Nixon & Skid Roper, forse Scott ha aggiunto una componente caciarona, elettrica, che quasi sconfina, di tanto in tanto, nell’hard rock e quasi nel metal, che è quella che gli ha attirato l’attenzione di chi cerca il “diverso” a tutti i costi e che fa girare ogni tanto le balle al sottoscritto. Il nostro amico ha vinto anche parecchi premi ufficiali, che accetta senza problemi, esibendosi tanto al Lincoln Center di New York come al SXSW di Austin, gira l’Europa con regolarità, 16 tour in giro per il continente, ha un buon contratto con la Bloodshot che gli pubblica regolarmente i CD e un discreto riscontro di critica e pubblico.

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Questo Nothin’ But Blood è il sesto album per la Bloodshot e l’undicesimo della sua carriera: non male per uno che nel 2003 era stato praticamente fatto a fettine da uno dei grossi “truck” che girano per le strade degli Stati Uniti e aveva rischiato di morire http://www.youtube.com/watch?v=CAsOX4wSt4U . E l’attacco di questo disco con un brano come Slow And Easy, che fin dal titolo mi aveva fatto pensare che Biram avesse messo la testa a posto e deciso di dedicarsi ad un folk-blues che tiene conto sia degli autori contemporanei texani, quanto di vecchi bluesmen come Mance Lipscomb e Lightnin’ Hopkins http://www.youtube.com/watch?v=VJ6AZzj7JjE , o icone come Leadbelly e Doc Watson: la voce non filtrata, piana e diretta, una chitarra acustica in fingerpicking, una elettrica distorta sullo sfondo, ma sotto controllo, qualche altro strumento a corda sovrainciso ed una atmosfera da “quiete prima della tempesta”. Anche Gotta Get To Heaven mantiene uno spirito minimale, la voce arriva da lontano, distorta ma nei limiti, le chitarre elettriche e qualche percussione aggiungono uno spirito country-blues-gospel al brano, ma siamo sempre in un ambito quasi tradizionale.

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Ma è proprio in Alcohol Blues una cover di Mance Lipscomb che lo spirito da rocker di Scott si manifesta, un riff di chitarra da southern rock della più bell’acqua, un cantato che più che a Townes Van Zandt si rifà a Ronnie Van Zant e un breve assolo di elettrica da vero guitar hero, un uomo solo al comando, però funziona. Never Comin’ Home è un country blues bellissimo, qui vicino allo spirito di gente come Townes, con un testo molto evocativo sulla vita selvaggia e dura del solitario http://www.youtube.com/watch?v=CXkRmEUuPu4 . Ha resistito quattro pezzi ma non è nella sua natura, Only Whiskey sembra un pezzo degli Stooges o degli MC5, senza sezione ritmica, ma con lo spirito punk della chitarra e la voce distorta e incazzosa di Scott Biram http://www.youtube.com/watch?v=HRb2xhcDc2U . Jack Of Diamonds con una slide minacciosa che sembra uscire dalle paludi del Mississippi e dintorni è un altro esempio del buon blues che il texano è in grado di regalare http://www.youtube.com/watch?v=KyK8wWlt4gg . Nam Weed, racconta la sua visione del Vietnam, in un brano che ha l’immediatezza dei migliori Dylan o Prine, perfetto nella sua semplicità.

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Fin qui tutto bene, a parte un paio di inc…ture, ma l’uno-due della cattivissima Back Door Man, Howlin’ Wolf targato Dixon, filtrato attraverso Captain Beefheart, ma profondamente blues, e della riffatissima Church Point Girls, ancora MC5 misti ai primi Canned Heat, però tutto più incasinato, riportano al combat punk e in un attimo siamo di nuovo a I’m Troubled, voce, armonica e acustica che è puro Woody Guthrie o Doc Watson, che l’ha scritta. Ma, senza tregua, arriva il garage punk ai limiti feedback di una violentissima Around The Bend, che richiama addirittura la Summertime Blues dei Blue Cheer, quasi sei minuti cattivissimi che, per chi scrive, appartengono al Biram che vorrei prendere a calci nel culo, meno di altre volte in questo disco. Poi, come se nulla fosse, intona Amazing Grace, solo voce, armonica e gli effetti sonori di un temporale, non è normale uno così, ai limiti del genio, ma al contempo pazzo. Di nuovo country-blues-gospel per una When I Die molto godibile, forse influenzata dalle recenti collaborazioni con Shooter Jennings http://www.youtube.com/watch?v=0Y8s9FwE4ek  e il duetto finale con Jesse Vain per una John The Revelator che vira decisamente verso il blues.                                                                                 

Bruno Conti      

Chi E’ Costui? Non Un Carneade Qualsiasi! Paul Filipowicz – Saints And Sinners

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Paul Filipowicz – Saints And Sinners – Big Jake Records ***

In questo caso un bel “Ma chi è costui?” mi scappa proprio! Soprattutto nella scena americana del Blues e dintorni ci sono decine, centinaia, forse migliaia di musicisti che onestamente tirano la carretta con la loro musica e non più del 10%, a voler essere ottimisti, riesce a varcare, a livello di fama, i confini degli Stati Uniti. Localmente ci sono personaggi conosciuti nella regione dove operano quando non nella contea o nell’area metropolitana e, diciamocelo, francamente, di molti di questi bluesmen non è che sia imprescindibile avere contezza. Prendiamo questo Paul Filipowicz che ho appena finito di distruggere a livello virtuale, la sua area di azione è nella zona di Madison, la capitale del Wisconsin (anche se è nativo di Chicago, e questo gli fa guadagnare punti), che non pare avere regalato alla musica nomi che rimarranno imperituri nella storia: ricordo solo Ben Sidran e Clyde Stubblefield (il famoso “funky drummer” di James Brown, una bella foto dei due insieme c’è comunque), figuriamoci gli altri.

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In effetti in città operavano anche Butch Vig e i suoi Garbage che avevano pure un famoso studio di registrazione in loco, ma ha chiuso nel 2010. E quindi? Niente! Era solo per dire che questo ex giovanotto (è del 1950, 64 anni fra poco), pur non provenendo da zone geografiche dove il Blues vive e prospera, è un buon musicista, ottimo chitarrista, ben addentro al classico Chicago sound, ma con abbondanti spruzzate di rock, e se vince premi a raffica in ambito locale un motivo ci sarà. Con sei album alle spalle, più questo nuovo Saints And Sinners (ma non era di Johnny Winter?), il precedente Chickenwire, un Live del 2007, il migliore; il buon Paul ha iniziato la sua carriera discografica abbastanza tardi, nel 1996, ma era in pista e sui palchi già dagli anni ’70 http://www.youtube.com/watch?v=It2YDncd3-s .

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E tra l’altro, astutamente, alcuni brani, tre, che aveva inciso nel 1982, ma non erano mai stati pubblicati, vedono la luce come bonus del suo nuovo CD. Ma , questo è “repertorio” classico, una domanda sorge spontanea: è bravo? Sì, direi più della media di molti dischetti che ultimamente mi capita di recensire e mi sembrano indirizzati verso un pubblico di già convertiti alle 12 battute classiche, anche piuttosto stancamente. Nel caso di Filipowicz mi pare che ci sia qualcosa in più: la chitarra inizia a “imperversare” dall’apertura con l’ottimo strumentale Hound Dog Shuffle, dove la solista ha una grinta rock che si associa agli axemen più tosti, un sound che il suo vecchio datore di lavoro Luther Allison avrebbe sicuramente apprezzato, ma anche gente come Stevie Ray Vaughan o Buchanan e il Clapton più attizzato. Impressione confermata dall’ottima Bluesman, con la sezione ritmica che pompa di gusto, Jimmy Voegell a piano e organo supporta benissimo la chitarra che continua a fare sfracelli, peccato che il brano venga sfumato brutalmente. Devo dire che Paul Filipowicz, pur non essendo un cantante formidabile, a livello di foga e di grinta ci mette del suo, come conferma il tiratissimo slow blues Your True Lovin’ che potrebbe ricordare gente come il Bugs Henderson del periodo migliore o lo stesso SRV citato prima, Texas blues rock della più bell’acqua, veramente notevole. Hootin’ & Hollerin’ ha qualcosa del bayou rock dei Creedence, alla Suzie Q, ma anche degli Humble Pie dei tempi che furono, la chitarra viaggia alla grande nei quasi 6 minuti del brano e il pianino di Harris Lemberg, l’altro tastierista che si alterna con Voegell, fa il suo dovere pienamente http://www.youtube.com/watch?v=H9B_udZaH04 .

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Good Rockin’ ha uno spirito R&R mutuato dal Johnny Winter di And Live o dall’Alvin Lee delle esibizioni live; “Fat Richards Blues” è uno slow dedicato a Richard Drake, il sassofonista che suonava con lui ad inizio carriera (appare nei brani registrati nell’82) ed è uno strumentale degno del miglior Roy Buchanan, mentre Where The Blues Come From è un’altra “schioppettata” di pura energia chitarristica. Everyday, Everynight ci riporta al blues più sanguigno e genuino, meno di tre minuti ma vissuti intensamente e Hey Bossman, che conclude l’album ufficiale, è un boogie in tutto degno delle migliori cose di ZZ Top o Thorogood, micidiale. In conclusione le bonus del 1982, registrazione un po’ “primitiva”, sempre parecchia grinta ma senza la classe acquisita negli anni: una cover di un classico del funky come Back Door Santa di Clarence Carter http://www.youtube.com/watch?v=zaS3OeTdQ58  e una di How Many More Years di Chester Burnett a.k.a. Howlin’ Wolf, che se non ha la virulenza di quella dei Led Zeppelin, cionondimeno mostra un talento della chitarra già in fase di formazione. Non so dove sia stato “costui” per tutti questi anni, ma ora è veramente bravo, un “Carneade” assolutamente consigliato: il CD è in giro da un annetto, non si trova con facilità ma vale la pena di cercarlo!                

Bruno Conti

Quasi Gemelli Nel Blues, Brandon Santini e Jeff Jensen.

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Brandon Santini – This Time Another Year – Swing Suit Records

Jeff Jensen – Road Worn And Ragged – Swing Suit Records

Quasi una coppia di gemelli del blues, ok “gemelli diversi”, vengono da stati di origine differenti, uno, Brandon Santini, suona l’armonica, l’altro Jeff Jensen, la chitarra, però entrambi hanno scelto come città di elezione musicale, Memphis, dove hanno registrato i rispettivi dischi nei celebrati Ardent Studios, zona Beale Street, una delle mecche della musica delle radici americane, e, cosa più curiosa ed interessante, suonano ciascuno nel disco dell’altro, ma non solo, Jensen produce il proprio e co-produce, con Santini, il disco del “socio”, e usano esattamente gli stessi musicisti per i due album, anche se sono usciti poi in tempi diversi, già da alcuni mesi, ma la reperibilità del materiale di questa Swing Suit Records diciamo che non è tra le più agevoli. La sezione ritmica è composta da Bill Ruffino al basso e James Cunningham alla batteria, Chris Stephenson si occupa dell’organo e, quando serve, in alcuni brani, stesso ospite al piano, Victor Wainwright (che per quanto ne sappia non fa parte della “dinastia”).

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Brandon Santini viene presentato come il nuovo crack dell’armonica, il migliore delle ultime generazioni, anche se io non sottovaluterei Greg Izor (http://discoclub.myblog.it/tag/greg-izor/) , ed in effetti in questo nuovo This Time Another Year, il suono dell’armonica è molto pimpante, classico e moderno al tempo stesso, anche per merito della produzione di Jensen, molto attenta ai particolari e curata negli arrangiamenti. Il fatto di avere una bella voce sicuramente non guasta, il tutto, unito ad un buon talento compositivo (solo un paio di cover, più un riadattamento di un classico, curiosamente, o forse no, come per Jensen, c’è un brano a firma Willie Dixon). La band ha un bel tiro, come testimonia la traccia di apertura, una Got Good Lovin’ che ricorda tanto il suono del british blues, dagli Yardbirds ai Nine Below Zero, quanto gruppi americani come Fabulous Thunderbirds o certe formazioni di West Coast e Texas Blues, con il basso che pompa di gusto, tutti che swingano ed armonica e chitarra che si dividono con misura gli spazi solisti anche se, ovviamente, la mouth harp fa la parte del leone. Nella cadenzata title-track ci si avvicina al classico Chicago Electric Blues, ma miscelato al suono di Memphis, Tennessee, come ricorda lo stesso Santini nel testo autobiografico del brano (dove si fa aiutare da un altro che di armoniche, e di blues, se ne intende, come Charlie Musselwhite), molto intenso, qualche reminiscenza di Help Me, con Jensen e Santini che sono quasi telepatici nei loro interscambi http://www.youtube.com/watch?v=npS_bamUzqI .

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Sempre molto classica la corale What You Doing To Me, dal suono che si avvicina anche a New Orleans, con Wainwright che si prodiga al piano e alle armonie vocali http://www.youtube.com/watch?v=qdfIDe8ybIM ed eccellente uno slow blues come Late In the Evening, dove si percepisce il fantasma di Little Walter http://www.youtube.com/watch?v=CTaB-PHJ5Ck  e degli altri grandi della Chess, ma anche di Sonny Boy Williamson, cui viene reso omaggio pure in un brano firmato appunto con Willie Dixon, una Bye Bye Bird dove il suono si fa più acustico e raccolto. Dig Me A Grave, con l’organo di Stephenson e la chitarra di Jensen molto presenti, ha delle sonorità decisamente più moderne, e lui canta veramente bene http://www.youtube.com/watch?v=IddTP-qJMTc . Things You Putting Down è una di quelle dove si gusta di più l’armonica, mentre nella jazzata Been So Blue Jensen cesella gli accordi sulla sua solista. Coin Operated Woman, scritta ancora da Wainwright, vira di nuovo verso Chicago mentre lo showcase per Santini è una Help Me With The Blues, adattamento di un brano di Walter Horton, dove il piano di Wainwright viaggia come un treno, senza dimenticare la latineggiante Raise Your Window anche questa riadattata da un brano di Sonny Boy Williamson e Elmore James, e a chiudere Fish Is Bitin’, un tuffo tra cajun e folk bues.

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Il disco di Jeff Jensen, Road Worn And Ragged, forse è leggermente inferiore a livello qualitativo globale http://www.youtube.com/watch?v=DDlInpJ4YZM , forse, ma la partenza con un rock blues fulminante come Brunette Woman è da applausi a scena aperta, cantata in modo splendido e suonata anche meglio, con l’armonica di Santini subito in grande spolvero ed un assolo di chitarra di Jensen da sballo, grande apertura http://www.youtube.com/watch?v=CTqAg5_B5zQ . Notevole anche la cover di Heart Attack and Vine di Tom Waits, rivista come se fosse un brano di Howlin’ Wolf, quasi alla Spoonful, con la chitarra lancinante e l’organo di Stephenson in bella evidenza http://www.youtube.com/watch?v=FxNIe0Rw8so . Divertente e frenetico il rockabilly boogie dello strumentale Pepper e raffinato il blues after-hours della jazzata Gee Baby Ain’t I Good To You. Niente male anche le altre due cover, una Little Red Rooster a firma Willie Dixon, in una versione decisamente a velocità accelerata, con il consueto eccellente interscambio con l’armonica scintillante di Santini e Crosseyed Cat, un brano non conosciutissimo di Muddy Waters, che è puro Chicago sound. Raggedy Ann, il brano scritto con Wainwright, è una sorta di blues swingato con ampio spazio per il piano dell’ospite http://www.youtube.com/watch?v=_SXU3ECYy7E  e River Runs Dry è una notevole ballata, quasi da cantautore tradizionale, molta “atmosfera” e poco blues, ma non per questo meno bella, anzi. E si chiude, su una nota brillante, con il funky-soul, proprio da Memphis sound, della ritmatissima Thankful, con un altro assolo da “chitarra fumante” di Jensen, che conclude degnamente questo CD molto eclettico. Bravi entrambi, attenti a quei due!

Bruno Conti 

Suonerà Ancora Il Blues (E Non Solo) Per Voi! Bryan Lee – Play One For Me

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Bryan Lee – Play One For Me – Severn Records

Torna Bryan Lee “giovanottone” quasi settantenne (a seconda delle biografie, già compiuti o meno, con questi bluesmen non si sa mai), residente in quel di New Orleans da lunga data, ma nativo del Wisconsin. E lo fa con il suo primo disco per la Severn, dopo anni di militanza con la canadese Justin’ Time: uno dei migliori stilisti del blues ancora in attività tra le vecchie glorie, in possesso di una tecnica chitarristica notevolee, esplicata soprattutto nei concerti dal vivo, ma anche di una voce potente e vellutata allo stesso tempo, con molti punti di contatto con quella di BB King (anche lui, ormai, suona seduto ai concerti dal vivo). Questo Play One For Me è meno “selvaggio” di altre prove discografiche di Lee, più raffinato e ricercato negli arrangiamenti a cura di Willie Henderson, spesso anche con l’uso di archi e fiati, coordinati dal terzetto di produttori, Kevin Anker, David Earl (il boss della Severn) e Steve Gomes, negli studi di Annapolis, MD, di proprietà dell’etichetta.

Anche il gruppo che accompagna Bryan è una novità per lui: alcuni veterani della scena blues americana, Kim Wilson, armonica e Johnny Moeller, alla chitarra ritmica, dai Fabulous Thunderbirds, Kevin Anker e Steve Gomes che non si limitano a produrre ma suonano anche tastiere e basso e Rob Stupka, un batterista che oltre che con la famiglia Allison (Luther e Bernard) ha suonato con molti nomi del blues contemporaneo, alcuni presenti anche in questo CD. Equamente diviso tra cover e brani originali, cinque per categoria, il disco ha un suono più “tradizionale” rispetto ad altre prove di Bryan Lee più influenzate dal rock, ma ogni tanto si infiamma, come in una “cattiva”, visto anche il titolo, versione di Evil Is Going On che tutti conosciamo semplicemente come Evil ed è proprio il classico scritto da Willie Dixon per Howlin’ Wolf. Altrove Lee è più mellifluo, come nell’ottima cover, ricca di soul, del classico Aretha (Sing One For Me), cantata in origine da George Jackson, ma “coperta” anche da Cat Power nel suo disco di rivisitazioni Jukebox, qui Bryan suona in punta di dita ed è coadiuvato a meraviglia dai suoi pards e dalle sezioni fiati ed archi, per una versione sontuosa di questo brano.

Ma l’omone di Two Rivers, le cui dimensioni ricordano quelle dei due King, B.B. e Albert, è perfettamente a suo agio anche quando rivisita un brano del repertorio del terzo King, Freddie, It’s Too Bad (Things Are Going So Tough), un blues lineare con la solista che scivola sinuosa sulla ritmica felpata del gruppo di Lee. O in una ottima versione di When Love Begins (Friendship Ends), un brano scritto da Aaron Willis per Bobby Womack, che sembra, nel suo andamento maestoso, uno dei classici Stax di Isaac Hayes o meglio ancora del già ricordato Albert King, con gli archi e i fiati che colorano il suono mentre il wah-wah di Moeller discretamente si mette al servizio della solista di Bryan Lee che realizza una delle migliori performance del disco. Di Evil abbiamo detto, aggiungerei l’ottimo lavoro dell’armonica di Kim Wilson, nel brano suddetto e abbiamo un quartetto iniziale di canzoni di grande spessore. Ma anche quando Lee si dedica al proprio repertorio come nella poderosa You Was My Baby (But You Ain’t My Baby Anymore), la chitarra è sempre guizzante e tirata, la ritmica pompa di gusto e i risultati si sentono. L’ultima cover è un brano Straight To Your Heart di un oscuro ma valido bluesman di nome Dennis Geyger, conosciuto da Lee probabilmente nel suo girovagare per concerti negli States, onesto ma non memorabile.

Più vibrante il classico slow-blues dall’andatura caracollante, Poison, che racconta di avventure in quel di New Orleans e ha nel suo DNA il voodoo della città adottiva di Bryan, con voce filtrata e minacciosa, armonica d’ordinanza di Wilson e tutta la band che ripete il rito classico delle 12 battute che sfocia in un assolo tagliente della solista di Lee. Let Me Love You è un’altra slow ballad deliziosa ad alta gradazione soul, tra Memphis e New Orleans, arrangiata con gran classe da Henderson, un piccolo gioiellino, sempre impreziosito dalle evoluzioni della solista. Non male anche Why con l’organo di Anker a duettare ancora una volta con la chitarra, mentre Lee declama con piglio gagliardo il testo della canzone, prima di rilasciare un altro assolo dei suoi. Sixty-Eight Years Young oltre a chiarire il dato anagrafico è un onesto funkaccio, vagamente alla James Brown, con una strana chitarra molto trattata a farsi largo tra i ritmi marcati del pezzo, sempre buono ma inferiore agli altri brani di un disco blues e dintorni dai contenuti notevoli. Bryan Lee ancora una volta non delude!

Bruno Conti

Oh Yes We Can Love: La Storia Della Musica Glam, Dal 28 Ottobre In 5 CD!

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Oh Yes We Can Love: A History Of Glam Rock – 5 CD Universal -28/10/2013

Alcuni dei brani contenuti sono Glam come me e, come nel caso del Box della Rhino sulla Musica Gotica, A Live Less Lived, centrano come i cavoli a merenda (i Bauhaus sono in entrambe le compilations, per essere Glam basta fare un pezzo di David Bowie?), ma è proprio il bello di questi cofanetti, spesso è più interessante l’involucro del contenuto (però francamente Howlin’ Wolf glam, avete presente l’omone e la voce, per non parlare del genere?). E ci sono moltissimi altri esempi.

Per fortuna non costerà neppure moltissimo, sotto i 50 euro. Leggete la lista e giudicate da voi. Vi sembra manchi qualcosa? (Per esempio di Bowie solo una canzone e tra le tante proprio quella!).

DISC ONE
1. Noel Coward: Mad Dogs And Englishmen
2. Chuck Berry: Around and Around
3. Little Richard: Ooh My Soul
4. Vince Taylor & the Playboys: Brand New Cadillac
5. Max Harris: Gurney Slade
6. Anthony Newley: Bee Bom
7. Billy Fury: Jealousy
8. Howlin’ Wolf: You’ll Be Mine
9. Jacques Brel: Amsterdam
10. The Velvet Underground: I’m Waiting For My Man
11. David Bowie: London Bye Ta-Ta
12. The Stooges: 1969
13. The Kinks: Lola
14. Hot Legs: Neanderthal Man
15. Burundi Steiphenson Black : Burundi Black
16. Curved Air: Back Street Luv
17. Fanny: Charity Ball
18. The Murgatroyd Band: Theme From Magpie
19. Chicory Tip: Son Of My Father
20. T Rex: Hot Love
21. Slade :Coz I Luv You

DISC TWO
1. Mott The Hoople: All The Young Dudes
2. Lou Reed: Walk On the Wild Side
3. Roxy Music: Virginia Plain
4. T Rex: Metal Guru
5. The Osmonds: Crazy Horses
6. Dana Gillespie: Andy Warhol
7. Suzi Quatro: Can The Can
8. New York Dolls: Looking For A Kiss
9. Nazareth: This Flight Tonight
10. Sweet: Ballroom Blitz
11. Cozy Powell: Dance With The Devil
12. David Essex: Rock On
13. Wizzard : Angel Fingers (A Teen Ballad)
14. Elton John: Bennie and the Jets
15. Barry Blue: Dancing On A Saturday Night
16. Alvin Stardust: Ma Coo Ca Choo
17. Lulu: The Man Who Sold The World
18. Mick Ronson: Growing Up And I’m Fine
19. Cockney Rebel: Judy Teen

DISC THREE
1. Sparks: This Town Ain’t Big Enough For Both Of Us
2. Hello: Tell Him
3. Mud: Tiger Feet
4. Jook : Bish Bash Bosh
5. Bryan Ferry: The ‘In’ Crowd
6. Patti Smith Group: Piss Factory
7. Cockney Rebel: Tumbling Down
8. The Glitter Band: Angel Face
9. Kenny: The Bump
10. The Rubettes: Sugar Baby Love
11. Fox: Only You Can
12. KISS: Rock And Roll All Nite
13. Sailor: A Glass Of Champagne
14. Ian Hunter : Once Bitten Twice Shy
15. Arrows: I Love Rock and Roll
16. Bay City Rollers: Saturday Night

DISC FOUR
1. Blondie: Rip Her To Shreds
2. Be Bop Deluxe: Ships In the Night
3. The Runaways: Cherry Bomb
4. ELO: Rockaria!
5. The Ramones: Sheena Is A Punk Rocker
6. The RAH Band: The Crunch
7. Rock Follies: OK?
8. Ultravox!: RockWrok
9. Ace Frehley: New York Groove
10. Judas Priest: Take On The World
11. Boney M: Rasputin
12. Generation X: Valley Of the Dolls
13. Human League: Rock and Roll Part Two / Nightclubbing
14. Magazine: The Light Pours Out Of Me
15. Adam and the Ants: “Antmusic”
16. Department S : Solid Gold Easy Action
17. Bauhaus: Ziggy Stardust
18. Dead Or Alive: That’s The Way (I Like It)

DISC FIVE
1. Sigue Sigue Sputnik : Love Missile F1-11
2. Hanoi Rocks : Up Around The Bend
3. Sisters Of Mercy: Emma
4. Morrissey: Glamorous Glue
5. Suede: Metal Mickey
6. The Fall: Glam Racket
7. Carter USM: Glam Rock Cops
8. Glam Metal Detectives: Everybody Up
9. Saint Etienne :Star
10. Earl Brutus: The SAS and the Glam That Goes With It
11. Gay Dad: To Earth With Love
12. Marilyn Manson: The Dope Show
13. Pulp: We Are The Boys
14. The Darkness: Growing On Me
15. Goldfrapp: Strict Machine
16. The Ark: Clamour For Glamour
17. Foxy Shazam: Unstoppable

Ci vediamo domani con la recensione di Tedeschi Trucks Band.

Bruno Conti

Vai Col “Vocione”! Omar Dykes – Runnin’ With The Wolf

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Omar Dykes – Runnin’ with the Wolf – Mascot/Provogue

Dopo la reunion di Omar & The Howlers dello scorso anno con I’m Gone  un-bluesman-texano-del-mississippi-omar-and-the-howlers-i-m.html, che a sua volta era stata preceduta dal tributo a Jimmy Reed in coppia con Jimmie Vaughan e un seguito che sempre intorno all’argomento verteva, come Big Town Playboy, il nostro amico ritorna al suo nome originale e, come, Omar Dykes (senza Kent), si lancia in un tributo ad un altro dei musicisti che hanno segnato la sua carriera (e ai quali spesso è stato accostato), Chester Burnett a.k.a. Howlin’ Wolf, al quale è dedicato ed intorno alla musica del quale ruota questo Runnin’ With The Wolf, senza dimenticarsi  di un altro dei grandi del blues, che tanti brani firmati ha firmato del “Lupo”, come Willie Dixon. Come ricorda lo stesso Omar nelle note del libretto allegato al CD, spesso è stato comparato a Howlin’ Wolf per quel vocione profondo e per lo stile grintoso, feroce e muscolare, ma onestamente riconosce che il paragone non regge: Howlin’ Wolf è una delle leggende del Blues, uno dei più grandi cantanti, autori ed interpreti della scuola di Chicago, mentre lui forse non vale nemmeno un quarto del grandissimo vocalist.

Nonostante ciò ci prova e accanto ad alcuni brani “oscuri” del repertorio di Burnett, ha scelto di interpretare proprio i grandi classici. Se lo dobbiamo fare, facciamolo bene e anche tra i musicisti utilizzati ci sono Howlers nuovi e vecchi: la sezione ritmica con i bassisti Ronnie James e Bruce Jones e i batteristi Wess Starr e Mike Buck che si alternano, l’organo di Nick Connolly usato con parsimonia in alcuni brani, come pure una sezione fiati a due, solo in tre canzoni, senza dimenticare i chitarristi aggiunti Derek O’Brien, Casper Rawls e Eve Monsees, una giovane promessa di Austin, Texas (come Gary Clark Jr), protetta di Omar  e l’armonica di Ted Roddy solo in due pezzi, nel super classico Smokestack Lightning e nell’iniziale Runnin’ With The Wolf l’unico brano non firmato Burnett o Dixon, ma che in quello spirito si crogiola. Ovviamente ascoltando questi brani non si può fare a meno di pensare a tutte quelle band e solisti, che, nella British Invasion, Stones per primi, e poi nell’epopea del British Blues, dagli antesignani Cream di Clapton a tutti gli altri che non citiamo per brevità, ma a cui aggiungiamo almeno Jeff Beck e Hendrix, si sono “ispirati” alla musica di questo omone di quasi 2 metri per 140 chili di peso, una stazza che incuteva rispetto in tutti i suoi interlocutori a fronte di un carisma sconfinato.

Naturalmente sono le ennesime variazioni sul tema, ma fatte molte bene e, nonostante si schermisca, Omar Dykes (con e senza “ululatori”) è in possesso di un vocione in grado di rendere giustizia al repertorio che affronta, come è subito chiaro sin dal tributo iniziale che è una sorta di bigino di tutto quello che verrà dopo nel disco. Siano le evoluzioni in trio di una Hendrixiana Killin’ Floor con il suo riff ripetuto ed insistito e l’assolo tipicamente texano di Omar o l’incedere inconfondibile di uno degli slow per eccellenza come Little Red Rooster, si annusa profumo di buona musica e Dykes ha voglia di strapazzare la sua chitarra come nei giorni migliori della sua carriera. Ma lascia spazio anche alla brava Monsees in una canonica Howlin’ For My Baby e duetta con Derek O’Brien in uno dei classici tra i Classici, una Spoonful che riprende il suo sound elettrico originale lontano dagli eccessi hard che sarebbero venuti negli anni a seguire. Ooh Baby Hold Me, uno dei brani “oscuri” citati, tramite l’utilizzo di un inconsueto wah-wah che duetta con un sax non accreditato nelle note ha un che di hendrixiano nel suo incedere, tipo le jam strumentali della terza facciata di Electric Ladyland, in bilico tra passato e futuro.

Anche Riding In The Moonlight non è notissima ma fa la sua bella figura nella versione in power trio, mentre Who’s Been Talking un altro dei super classici, si avvale di una formazione allargata a sette, con fiato, organo e la chitarra della Monsees ad accompagnare un gigioneggiante Omar. Back Door Man è semplicemente la quintessenza della musica di Howlin’ Wolf, bella versione chitarristica, Worried All Time ha un retrogusto quasi R&R e Smokestack Lighting è …Smokestack Lighting, urlo primevo incluso, con la voce di Dykes che ricorda anche quella del vecchio Capitano (Beefheart), un altro che conosceva bene l’argomento. Do the do, di nuovo fiati e versione allargata, non la ricordavo, ma il riff ha un che di Bo Diddley (altro grande amore di Omar), I’m Leavin’ you ci riporta alle 12 battute classiche e Tell Me What I’ve Done è un altro dei rari slow presenti ma ricco di grinta, prima della conclusione con un altro dei classici firmati da Willie Dixon, quella Wang Dang Doodle ripresa mille volte nella storia del blues, facciamo 1001, vai col “vocione” e non se ne parla più. Bel disco!                   

Bruno Conti

Nuovi Incroci Di Famiglie Blues. Allison Burnside – Express

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Allison Burnside – Express – Jazzhaus Records

Per la serie “Figli di…”, nelle varie combinazioni possibili, l’accoppiata nera tra Bernard Allison e Cedric Burnside ci mancava, ma ora arriva questa Express a colmare la lacuna. Bernard, neanche a dirlo, è il figlio del grande Luther, e con l’ultimo Live At the Jazzhaus, recensito dal sottoscritto, aveva dato segnali di risveglio, dopo un paio di dischi non memorabili di-padre-in-figlio-sempre-blues-ma-bernard-allison-live-at-t.html, Cedric, batteria, chitarra e voce, è il figlio del figlio (ovvero il nipote, ma serviva per il giochino dell’introduzione) di R.L. Burnside,  e oltre al proprio Cedric Burnside Project, ha collaborato con Lightnin’ Malcolm, con i vari fratelli Dickinson, con lo zio Garry e con componenti della famiglia Kimbrough, un casino di intrecci, e nel 2012 ha vinto anche il  premio come miglior batterista Blues ai premi che si tengono in quel di Memphis, Tennessee, ma nel disco ha voluto suonare anche la chitarra. Nelle note del CD, oltre a Dio e parenti vari, i due ringraziano Trenton Ayers, chitarra, Erick Ballard, batteria e Vic Jackson, basso, che hanno condiviso con loro le sessions di registrazione che si sono tenute lo scorso anno in quel di Minneapolis.

Accanto ad una serie di brani originali firmati dalla coppia, spicca un terzetto di cover di sicura presa: Nutbush City Limits, il classico di Ike & Tina Turner, viene riletto come un grintoso blues-rock, molto chitarristico (come gran parte del disco, peraltro), con le due voci che si alternano e si miscelano con successo, Hidden Charms, un brano di Willie Dixon di fine anni ’50, nel repertorio di Howlin’ Wolf, ma che fu anche il titolo del suo ultimo grande album, vincitore di un Grammy nel 1989 e che seguiva di poco le sue vittorie legali con i Led Zeppelin per le accuse di plagio ai suoi brani, ma questa è un’altra storia. Tornando a Hidden Charms, il brano, viene qui rivisitato in uno scoppiettante stile cajun rock, con tanto di fisarmonica, completamente differente dal sound del resto dell’album ma non per questo meno valido e molto trascinante e divertente. L’ultima cover è quella di Going Down, il celebre brano di Don Nix, che, per i misteri del Blues, anche gli Stones, che l’hanno eseguita nei recenti concerti a Newark e Londra con Jeff Beck e John Mayer & Gary Clark Jr.,  hanno presentato come un brano di Freddie King, che per l’amor di Dio l’ha incisa, ma lasciando, per l’ennesima volta, nel dimenticatoio Nix, che l’ha scritta, creando quel riff inconfondibile, che se dovessi scegliere, quasi tutti ricordano nella versione tiratissima di Beck, per la precisione. Bella la versione, in ogni caso, di Allison e Burnside, con doppia chitarra solista e tanta grinta.

Il resto è del sano blues elettrico, non particolarmente innovativo, ma neppure troppo routinario, in una fascia qualitativa medio alta, per bluesofili incalliti, ma che amano anche delle contaminazioni con il rock, senza per questo scadere in caciare esagerate. Dalla classica Backtrack, che si avvicina più allo stile di Allison senior, Chicago blues ad alta densità chitarristica quindi, che allo stile juke-joint sudista della famiglia Burnside. Il riff reiterato, ipnotico, con inserti di chitarra acustica di Do You Know What I Think, è più vicino all’altra scuola mentre Why Did I Do It, con un suono ispirato da Stones, ZZ Top e altri praticanti di uno stile più vicino al rock ma farcito di blues, soddisferà i palati di chi ama North Mississippi Allstars e Black Crowes, ma anche l’Hendrix dei Band of Gyspsys, sempre con quella bella alternanza delle due voci soliste che caratterizza tutto l’album. Anche Southshore Drive ha la giusta grinta rockistica, mentre Fire It Up, è molto più funky e con degli accenti vagamente rappati non particolarmente memorabili. Di Mississippi Blues basterebbe il titolo per capire che è una pausa acustica nel mood prevalentemente tirato di questo Express. Stanky Issues è un breve strumentale che ci permette di apprezzare la tecnica solista dei protagonisti di questo CD mentre That Thang è uno dei quei brani superfunky, francamente inutili, che ogni tanto scappano all’Allison junior, Bernard.

Bruno Conti

Bravo “Fortunato” E Tiene Famiglia Ma…The Lucky Peterson Band Feat. Tamara Peterson – Live At The 55 Arts Club Berlin

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The Lucky Peterson Band Feat. Tamara Peterson – Live At The 55 Arts Club Berlin – Blackbird Music -2 CD o 3 DVD/2 CD

Questa è la testimonianza di un concerto registrato nel corso di una serie di date europee culminate in una data in questo club di Berlino, dove il gruppo aveva già fatto tappa all’inizio del tour. Come capita per molti artisti neri dell’area blues (e rock, e jazz), Lucky Peterson è molto più popolare in Europa che in madrepatria, dove, peraltro, una lunga carriera lo ha inserito tra i più noti performers della seconda generazione del Blues, avviata tanti anni fa, praticamente da bambino, sotto l’ala protettrice di Willie Dixon. Forse Peterson non ha mai avuto un seguito ben definito per questa caratteristica, che per qualcuno è un pregio per altri un difetto se non una iattura, di essere contemporaneamente organista (e pianista) e chitarrista: fa bene entrambe le cose, per l’amor di Dio, ma il suo stile vaga tra Blues, soul, gospel, funky nel battito di un ciglio e non sempre trattiene la sua esuberanza, soprattutto nei dischi in studio che spesso non sono soddisfacenti.

Però, il nostro amico è stato dotato dalla natura di una bella voce, ricca di toni gospel e soul, come dimostra nella esuberante rilettura di Trouble, una bellissima canzone di Ray LaMontagne, che è il terzo brano di questo CD (o DVD), una versione tra picchi e momenti di calma e che fa seguito ad un paio di brani, I’m Back e Smooth Sailing, che ne mostrano il lato più funky, con l’organo Hammond in evidenza, alla Booker T o alla Billy Preston, con sempre presente anche l’anima più rock rappresentata dall’altro chitarrista, il canadese Shawn Kellerman (che avrà poi occasione di sfogare le sue velleità di guitar hero hendrixiano nel terzo DVD della confezione Deluxe). Quando anche Lucky Peterson imbraccia la chitarra per un lungo Blues Medley strumentale di quelli tosti, l’atmosfera del concerto si infiamma, con una sequenza di riff (tra rock e blues) che uno può divertirsi a cercare di indovinare tra mille possibilità e il suono si fa decisamente più duro con le due chitarre che si rincorrono tra loro, il tutto poi sfocia in una versione di You Shook Me, il super classico scritto dal suo mentore Willie Dixon che più che a quella di Muddy Waters si avvicina ad un composito tra quella dei Led Zeppelin e una ipotetica di Buddy Guy (con citazioni di Little Red Rooster), il brano serve anche da introduzione all’ingresso della moglie Tamara, con il colpo di teatro dei due che si incontrano a metà strada nel club.

Quest’ultima forse non è blues woman a tutto tondo ma se la cava egregiamente e poi si passa al suo funky-soul-jazz, probabilmente maturato negli anni passati alla scuola di Dallas, da cui provengono anche Roy Hargrove, Norah Jones e Erykah Badu, prima Knocking (firmata tra gli altri da Ledisi) e poi una serie di brani firmati dalla stessa Tamara Peterson spostano la barra del sound verso un funky un po’ di maniera, cantato anche bene dalla bella signora, ma un po’ anonimo. Fa eccezione un bel lentone scritto dal marito, Been So Long, con tanto di lungo scat introduttivo e improvvise accelerazioni sonore. Lost The Right che conclude la prima parte del concerto ci riporta al blues ed è cantata in duetto dalla coppia, poi si riparte più centrati sul Blues, prima più rock nella tirata Giving Me The Blues, firmata da Rico McFarland l’ex chitarrista della sua band, cantata con slancio da Peterson che pompa sul suo organo mentre Shawn Kellerman centra un bel solo.

Poi si passa alla sezione “classici”, minori, con Ta’ Ta’ You uno slow blues poderoso di Johnny Guitar Watson, It Ain’t safe dell’accoppiata Clarence Carter/George Jackson che è del sano errebì, e importanti, come I’m Ready, sempre di Willie Dixon, arrangiata per organo e sempre molto fluida, Who’s Been Talking del grande Howlin’ Wolf, in una bella versione ricca di pathos, poi passato di nuovo alla chitarra, anche slide per l’occasione, Peterson ci regala una ricca e lunga versione di I Believe I’ll Dust My Brown a metà strada tra Robert Johnson e Elmore James, senza dimenticare una succinta The World’s In A Tangle dal repertorio di Jimmy Rogers. Saltando di palo in frasca torna la consorte per Kiss di Prince e poi per una piacevole Last Night You Left, sempre firmata da Tamara, del soul jazz raffinato che prosegue con Ain’t Nobody Like You che potrebbe ricordare la “compagna di corso” Erykah Badu, anche se con una voce meno duttile, e forse sia i dieci minuti di questo brano che i 14 della successiva Real Music, più funky ma sempre troppo tirata per le lunghe fanno perdere punti al tutto. Del terzo DVD si è detto, per il resto questo primo DVD+CD di Lucky Peterson conferma ancora una volta i suoi pregi e difetti, buono ma non eccelso!

Bruno Conti

“Troppo” Potrebbe Non Essere Abbastanza! Omar And The Howlers – Too Much Is Not Enough

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Omar And The Howlers featuring Gary Primich – Too Much Is Not Enough – Big Guitar Music

Prima che lo diciate voi, e avendolo detto probabilmente tutto l’universo dei recensori blues dell’umano creato, e anche lo stesso Omar Dykes nelle note di questo CD, ebbene sì, aveva già pubblicato un tributo a Jimmy Reed, in coppia con l’amico Jimmie Vaughan, On The Jimmy Reed Highway, nel 2007: ma come dice il titolo di questa “nuova” fatica Too Much Is Not Enough. E poi, sempre come ci ricorda lo stesso Omar Kent Dykes, questo era stato registrato in precedenza e poi accantonato. Ma ora, anche come tributo al recentemente scomparso Gary Primich, che appare all’armonica in dieci dei dodici brani del disco, è stato deciso di pubblicare questo ennesimo omaggio all’arte del grande bluesman Jimmy Reed, questa volta sotto la sigla Omar And The Howlers. E fanno tre dischi a nome del gruppo in questo 2012, nulla per nove anni (escluso un live) e poi il nuovo I’m Gone (un-bluesman-texano-del-mississippi-omar-and-the-howlers-i-m.html ), una Essential Collection e ora questo album. Peraltro, nelle note del dischetto, Omar ci “minaccia” benevolmente – Se pensate che sia andato oltre le righe con Jimmy Reed, aspettate quando pubblicherò il mio materiale su Bo Diddley e Howlin’ Wolf –.

Intanto che aspettiamo,  proprio il vecchio lupo mi sembra il punto vocale di riferimento di questo Too Much…, i brani saranno anche tratti dal repertorio di Jimmy Reed, ma Omar li interpreta come se si fosse reincarnato nello spirito di Howlin’ Wolf, con molte inflessioni che ricordano anche il Captain Beefheart più bluesato. Nel disco sono presenti, oltre alla sezione ritmica, meno selvaggia che nei dischi più rock-blues del gruppo, Jay Moeller, fratello di Johnny, e batterista dei Fabulous Thunderbirds, l’allora giovanissimo chitarrista nero texano Gary Clark Jr., che ha di recente pubblicato l’eccellente Blak and Blu per la Warner, oltre al citato Primich e a Derek O’Brien che completa la pattuglia dei chitarristi. Ma, stranamente, non siamo di fronte ad un disco di chitarra blues, ma semplicemente di Blues: ovvio che la chitarra fa parte delle procedure, ma è usata in un modo molto discreto, alla Jimmy Reed direi, niente svolazzi e assoli selvaggi (che vengono riservati ad altre occasioni, soprattutto dal vivo, perché sono comunque nel DNA del buon Omar), ma un suono classico e tradizionale, con moltissimo spazio lasciato all’armonica, che spesso è la protagonista. Omar Kent Dykes tra l’altro si ostina a voler festeggiare i suoi 50 anni di carriera, con tanto di bollino nel libretto del CD, facendo decorrere l’inizio della sua carriera dal 1962, quando aveva 12 anni e suonava nel suo primo gruppo. Ma dove, mi domando io?

Gary Clark ci delizia con la sua tecnica alla slide in un paio di brani, I Gotta Let You Go e la “Elmoriana” (nel senso di Elmore James), You Don’t Have To Go, tutti i musicisti si divertono nella latineggiante Roll In Rhumba. In Ain’t Got You, Omar torna a quel tempo di boogie del suo materiale classico, dove sembra veramente Howlin’ Wolf o Captain Beefheart alla guida degli ZZ Top con formazione ampliata da un ottimo armonicista come Primich. Mentre nel super classico Shame, shame, shame sembra di ascoltare il Duke Robillard più pimpante. Ma tutto il disco è molto piacevole, fuori dal tempo, con un suono volutamente “antico”, fuori dal tempo. non dissimile da quello che utilizza spesso il suo amico Jimmie Vaughan, per amanti del Blues più tradizionale ma non per questo non apprezzabile da chi ama il rock.

Bruno Conti

Un “Ragazzaccio” Dal Mississippi! Magic Slim And The Teardrops – Bad Boy

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Magic Slim And The Teardrops – Bad Boy – Blind Pig Records

Morris Holt, in arte Magic Slim, viene considerato uno degli ultimi grandi vecchi del Blues elettrico classico (dal sottoscritto parzialmente). Chitarrista e cantante, in pista dalla metà degli anni ’50, come bassista di Magic Sam, che fu il suo mentore, oltre ad essere quello che gli diede il soprannome, Slim, come moltissimi altri bluesmen, non ha avuto una carriera facile, tanto da pubblicare il suo primo album, Born On A Bad Sign, solo nel 1977 (40 anni, per la media, un “giovane”) e per di più per una piccola etichetta francese, la MCM. Poi, da allora, girando più o meno molte delle etichette specializzate, Black and Blue, Alligator, Wolf Records, Rooster, fino ad arrivare alla Blind Pig, ha pubblicato più di 35 album, compresi live e antologie. Il grosso del materiale è uscito proprio per la Blind Pig, dal 1998 ai nostri giorni (ma aveva già fatto qualcosa con loro in precedenza), anche se, forse, il suo periodo migliore coincide con gli anni che vanno dal 1982 al 1995, quando John Primer era il secondo chitarrista della band.

Non a caso il gruppo ha la classica formazione a quattro, tipica di molte delle migliori band nere di blues degli anni ’60 e ’70 (e fino ai giorni nostri), con un secondo chitarrista ritmico che spesso sale anche al proscenio come solista e altrettanto di frequente è un bianco (penso a Margolin con Waters, Debbie Davis con Albert Collins, per citarne un paio), con un sound definito non a caso “houserockin’ blues”, che ha la grinta del R&R e le battute del blues, e di cui Hound Dog Taylor, anche senza bassista, era un maestro. Ma ovviamente nella musica di Magic Slim convivono anche molte altre influenze, dal blues urbano di Chicago a quello del Mississippi, zona da cui Holt proviene. Non a caso nel nuovo album, nella scelta dei brani, appaiono un po’ di tutti gli stili citati.

A scanso di equivoci, ripeto, secondo me Magic Slim non è uno dei grandi maestri della “musica del diavolo” ma sicuramente uno dei comprimari più geniali, prolifici e, allo stato attuale, ancora in gran forma. Bad Boy, un tipico Chicago Blues ruvido e chitarristico, scritto da un altro che di fortuna non ne ha avuta molta, Eddie Taylor, permette di gustare il bel vocione di Magic, ancora potente e incazzato, e il suo stile di chitarra, conciso ma efficace; gustoso il call and response nel ritornello con i componenti del gruppo. Someone Else Is Steppin’ In, in origine era un brano soul scritto da Denise Lasalle ma qui diventa un blues attizzato e cattivo, un po’ sullo stile del suo maestro Magic Sam o di Buddy Guy, anche se l’assolo non ha le note lancinanti dei due grandi chitarristi. Detroit Junior, non è uno dei primi nomi che vengono in mente quando si parla di blues chitarristico (anche perché era un pianista), ma la sua I Got Money fa un figurone nell’interpretazione serrata e con doppia chitarra di questo CD, con la sezione ritmica che pompa alla grande. Sunnrise Blues, scritta dallo stesso Holt, ha sempre quello stile pungente e saltellante tipico del blues urbano mentre Girl What You Want Me To Do, un traditional di autore ignoto, con un abbrivio che avrebbe fatto la felicità dei primi Stones, ha un ritmo incalzante.

Il libretto riporta come sesto brano una Hard Luck Blues ma sul CD parte una sparatissima Highway Is My Home, puro Chess Sound di Howlin’ Wolf che era anche il titolo di uno dei primi dischi di Magic Slim: poco male, perché il brano è uno dei più torridi del disco e si merita la citazione. Ottima anche Gambling Blues, un altro gagliardo originale di Holt, che poi ci regala la sua versione di Chanpagne And Reefer, il classico di Muddy Waters che è uno dei cavalli di battaglia di Buddy Guy, ma lì siamo su un altro pianeta. How Much More (che in questa versione guadagna un Long, ma i brani Blues hanno titoli e paternità spesso dubbie), dovrebbe essere uno standard di JB Lenoir che qui diventa appunto un houserockin’ blues. Matchbox Blues è quella di Albert King, versione grintosa ma non memorabile, anche se la chitarra viaggia, mentre Older Woman è un brano “contemporaneo” di Lil Ed Williams ma sembra autenticamente “antico” come gli altri classici che costellano questo album. Country Joyride è l’ultimo brano originale firmato da Magic Slim per questo CD, un veloce  boogie strumentale, sia per tempo che per durata, che conclude su una nota sostenuta questo disco che sicuramente appagherà gli appassionati del genere Blues. Per gli altri, forse, astenersi.

Bruno Conti