Non E’ Ancora Finita: Eccoli Di Nuovo. Savoy Brown – Ain’t Done Yet

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Savoy Brown – Ain’t Done Yet – Quarto Valley Records

Puntuale come un orologio svizzero, quasi ogni anno, Kim Simmonds ci presenta un nuovo album: questo Ain’t Done Yet dovrebbe esssere il numero 41 o 42 (parliamo solo di quelli di studio, se aggiungiamo Live e antologie il numero cresce in modo esponenziale), in 55 anni di carriera. Quindi virus o non virus, non è ancora finita, o se preferite non sono finiti: prosegue la saga dei Savoy Brown, forse la più longeva band del blues-rock britannico, non contando nel novero ovviamente gli Stones; la formazione del gruppo si è stabilizzata da una decade abbondante, con Garnett Grimm alla batteria e Pat DeSalvo al basso, tanto che lo scorso anno hanno realizzato un ottimo album con City Night e pure negli anni precedenti erano usciti CD più che adeguati, soprattutto quelli dal vivo.

La nuova prova, targata 2020, conferma le tendenza positiva, e anche se, come mi è capitato di dire molte volte, Simmonds non sarà mai un gran cantante, diciamo adeguato negli ultimi anni, però compensa abbondantemente come chitarrista, e in effetti anche nelle dieci canzoni di Ain’t Done Yet il lavoro alla solista di Kim è la parte più godibile del lavoro. All Gone Wrong parte subito forte, groove gagliardo della sezione ritmica, rafforzato dai riff di Simmonds, che poi inizia a rilasciare una serie dei suoi tipici assoli ancorati al classico suono del British Blues d’antan, quello di Ten Years After, Chicken Shack, i primissimi Free, più che ai Bluesbreakers di John Mayall, anche se il produttore era quasi sempre il leggendario Mike Vernon.

La lunga Devil’s Highway introduce uno dei temi preferiti del nostro amico, che diavoli, streghe e presenze oscure cita spesso nelle sue canzoni, come peraltro nella migliore tradizione delle 12 battute, qui la parte musicale è molto fluida e scorrevole nella lunga improvvisazione strumentale con le linee sinuose della solista di Simmonds sempre degne della sua reputazione, mentre l’elettroacustica River On The Rise si spinge verso il Mississippi Delta Blues, con Kim che lavora di fino alla slide.

La minacciosa Borrowed Time ha un suono decisamente più duro ed aggressivo, che risente delle influenze accumulate da Simmonds nella sua lunghissima residenza sul suolo americano, dove vive da diverse decadi. Ma il classico shuffle energico della title track dimostra che non ha dimenticato il sound dei gloriosi sixties; la sognante Feel Like A Gypsy, con qualche tocco latineggiante è quasi un omaggio ai Fleetwood Mac di Peter Green, con qualche tocco del Chris Rea anni ‘80 https://www.youtube.com/watch?v=eYiNKJoHgr0 . Jaguar Car è un robusto boogie tra Canned Heat e ZZ Top dove Simmonds si divide tra bottleneck e armonica, con Rocking In Louisiana che ci porta dalle parti di New Orleans sulle ali dell’acustica di nuovo in modalità slide, brano pigro e laidback che JJ Cale e i Creedence avrebbero apprezzato. Soho Girl alza decisamente i watt del sound, testo nostalgico ma ambientazione sonora contemporanea da classico power trio con Simmonds che ci dà dentro alla solista, mentre il raffinato strumentale Crying Guitar illustra un altro dei tanti lati dello stile multiforme del musicista britannico, ancora uno dei migliori manici in circolazione.

Bruno Conti

Thin Lizzy – Rock Legends. Il 23 Ottobre Esce Anche Un Cofanetto Per Celebrare I 50 Anni Della Grande Band Irlandese.

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Thin Lizzy – Rock Legends – 6 CD + 1 DVD UMC/Universal Music – 23-10-2020

Ok, a voler essere pignoli, Phil Lynott, il leader, fondatore della band, bassista, cantante e autore delle canzoni, era nato a West Bromwich, ma ha vissuto gran parte dei suoi anni formativi a Dublino, Eric Bell, nei Thin Lizzy Mark I, veniva da Belfast, Irlanda del Nord, come Gary Moore, presente in alcune fasi del gruppo, Scott Gorham, proveniva dalla California, mentre Brian Robertson, l’altro chitarrista, era scozzese, ma i Thin Lizzy sono sempre stati considerati giustamente una sorta di gloria nazionale della Emerald Island. E quindi per festeggiare il 50° Anniversario, anche se il nucleo dei Thin Lizzy si unì nel Dicembre del 1969, e il primo disco omonimo fu pubblcato nel 1971, ecco questo bel cofanetto. Come altri box usciti in questo periodo, anche Rock Legends ha avuto una lunga gestazione: si è iniziato a parlarne addirittura nel 2012, quando si vociferava  di circa 700 canzoni ritrovate tra i 150 nastri che Lynott aveva nei suoi archivi.

Poi i tempi si sono fatti lunghi, ma alla fine il cofanetto è pronto: con 99 tracce in tutto, delle quali 74 mai pubblicate prima, e 83 mai uscite su CD. Il tutto inserito in quel manufatto che vedete sopra, che oltre ai 6 CD, consta anche di un DVD, con il documentario di un’ora della BBC Bad Reputation, e il breve special televisivo di Rod Stewart del 1976, A Night On The Town, dove eseguirono 4 brani, anche questi mai pubblicati prima. Nella lussuosa confezione ci sono le repliche di nove tour programmes, inseriti in un librone rilegato, la riproduzione dei molto ambiti libri di poesia di Phil Lynott (che era anche un raffinato paroliere), quattro stampe di Jim Fitzpatrick, l’autore di molte copertine della band, e un altro libro di citazioni varie, raccolte tra i componenti del gruppo e di molti fan celebri, che raccontano le loro esperienze dell’aver suonato con Lynott. Il prezzo, al solito molto a livello indicativo, dovrebbe essere tra i 90 e i 100 euro, ma in questo caso, visto che c’è molta “trippa per gatti”, sembra essere ragionevole, anche se unito a tutte le altre uscite previste nel periodo, sarà comunque un bel salasso per gli appassionati.

Dopo l’uscita, prevista per il 23 ottobre, ce ne occuperemo più diffusamente, comunque nel frattempo ecco la solita lista completa dei contenuti. Quelli con l’asterisco sono gli inediti, soprattutto materiale di studio, ma il sesto CD contiene brani dal vivo suonati durante il Chinatown Tour del 1980.

CD ONE The Singles

Whiskey in The Jar – 7″ Edit
Randolph’s Tango – Radio Edit*
The Rocker – 7″ Edit
Little Darling – 7″ Single
Philomena – 7″ Single
Rosalie – 7″ Mix*
Wild One – 7″ Single
The Boys Are Back in Town – 7” Edit*
Jailbreak – 7” Edit*
Don’t Believe A Word – 7″ Single
Dancing in The Moonlight – 7″ Single
Rosalie / Cowgirl’s Song – 7″ Single
Waiting for An Alibi – Extra Verse
Do Anything You Want To – 7″ Single
Sarah – 7″ Single
Chinatown – 7” DJ/Radio Edit*
Killer on the Loose – 7″ Single
Trouble Boys – 7″ Single
Hollywood (Down on Your Luck) – 7” Edit*
Cold Sweat – 7″ Single
Thunder and Lightning – 7” Edit*
The Sun Goes Down – 7” Remix*

CD TWO Decca Rarities

The Farmer – Debut 7″ single
I Need You – Debut 7″ single B-side*
Whiskey in The Jar – Extended Version Rough Mix*
Black Boys on The Corner – Rough Mix*
Little Girl in Bloom – US Single Promo Edit*
Gonna Creep Up on You – Acetate*
Baby’s Been Messin’ – Acetate*
1969 Rock + Intro – RTE Radio Eireann Session 16 January 1973*
Buffalo Gal + Intro – RTE Radio Eireann Session 16 January 1973*
Suicide + Intro – RTE Radio Eireann Session 16 January 1973*
Broken Dreams + Intro – RTE Radio Eireann Session 16 January 1973*
Eddie’s Blues/Blue Shadows + Intro – RTE Radio Eireann Session 16 January 1973*
Dublin + Intro – RTE Radio Eireann Session 16 January 1973*
Ghetto Woman – RTE Radio Eireann Session 04 January 1974*
Things Ain’t Working Out Down at The Farm – RTE Radio Eireann Session 04 January 1974*
Going Down – RTE Radio Eireann Session 04 January 1974*
Slow Blues – RTE Radio Eireann Session 04 January 1974*

CD THREE Mercury Rarities

Rock and Roll with You – Instrumental Demo*
Banshee – Demo*
Dear Heart – Demo*
Nightlife – Demo*
Philomena – Demo*
Cadillac – Instrumental Demo*
For Those Who Love to Live – Demo*
Freedom Song – Demo*
Suicide – Demo*
Silver Dollar – Demo*
Jesse’s Song – Instrumental Demo
Kings Vengeance – Demo*
Jailbreak – Demo*
Cowboy Song – Demo*

CD FOUR Mercury Rarities

The Boys Are Back in Town – Demo*
Angel from The Coast – Demo*
Running Back – Demo*
Romeo and The Lonely Girl – Demo*
Warriors – Demo*
Emerald – Demo*
Fool’s Gold – Demo*
Weasel Rhapsody – Demo*
Borderline – Demo*
Johnny – Demo*
Sweet Marie – Demo*
Requiem for A Puffer (aka Rocky) – Alternate Vocal, “Rocky He’s A Roller”*
Killer Without A Cause – Demo*
Are You Ready – Demo*
Blackmail – Demo*
Hate – Demo*

CD FIVE Mercury Rarities

S & M – Demo*
Waiting for An Alibi – Demo*
Got to Give It Up – Demo*
Get Out of Here – Demo*
Roisin Dubh (Black Rose) A Rock Legend – Demo*
Part One: Shenandoah*
Part Two: Will You Go Lassie Go*
Part Three: Danny Boy*
Part Four: The Mason’s Apron*
We Will Be Strong – Demo*
Sweetheart – Demo*
Sugar Blues – Demo*
Having A Good Time – Demo*
It’s Going Wrong – Demo*
I’m Gonna Leave This Town – Demo*
Kill – Demo*
In the Delta – Demo*
Don’t Let Him Slip Away – Demo*

CD SIX Chinatown Tour 1980

Are You Ready? – Hammersmith Day 2 (29/05/1980) *
Hey You – Hammersmith Day 2 (29/05/1980)*
Waiting for An Alibi – Hammersmith Day 2 (29/05/1980) *
Jailbreak – Hammersmith Day 2 (29/05/1980)*
Do Anything You Want to Do – Hammersmith Day 2 (29/05/1980)*
Don’t Believe A Word – Tralee (12/04/1980) *
Dear Miss Lonely Hearts – Hammersmith Day 2 (29/05/1980)*
Got to Give It Up – Hammersmith Day 3 (30/05/1980)*
Still in Love with You – Hammersmith Day 3 (30/05/1980)*
Chinatown – Hammersmith Day 3 (30/05/1980)*
The Boys Are Back in Town – Hammersmith Day 3 (30/05/1980)*
Suicide -Hammersmith Day 3 (30/05/1980)*
Sha La La – Hammersmith Day 2 (29/05/1980)*
Rosalie – Hammersmith Day 2 (29/05/1980)*
Whiskey in The Jar – Hammersmith Day 3 (30/05/1980)*

DVD 

NIGHT ON THE TOWN – ROD STEWART LWT TV SPECIAL BROADCAST OCTOBER 24th 1976

Four songs never before commercially released recorded for a Rod Stewart TV special in 1976.

Jailbreak
Emerald
The Boys Are Back in Town
Rosalie / Cowgirl’s Song

BAD REPUTATION DOCUMENTARY        

Never before commercially released 60-minute documentary made by Linda Brusasco and first broadcast on BBC4 in September 2015.

Nel gennaio 1986, dopo una lunga storia di eccessi con le droghe, Phil Lynott morì a soli 36 anni: un grande “Rocker”, come recitava il titolo di una delle sue più famose canzoni, ma non solo, fu anche balladeer raffinato, ma ci sarà occasione di parlarne.

Bruno Conti

Dopo 31 Anni E’ Ancora Un Capolavoro! Lou Reed – New York Deluxe Edition

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Lou Reed – New York Deluxe Edition – Rhino/Warner 3CD/DVD/2LP Box Set

Alla fine degli anni ottanta Lou Reed sembrava ad un punto morto della sua carriera: il suo ultimo album, Mistrial (un disco accolto non benissimo, che aveva alcune buone canzoni ma un suono moderno tipico dell’epoca e poco adatto all’ex Velvet Underground), risaliva ormai al 1986, ed in più il suo contratto con la RCA era terminato e non era stato rinnovato. Quello che ancora non si sapeva è che il nostro era impegnato a scrivere ed incidere quello che verrà poi considerato quasi all’unanimità il suo capolavoro (magari a pari merito con Transformer), vale a dire New York, un album stupendo che riportava Reed al centro del panorama rock mondiale e che, pubblicato nel gennaio 1989 per la Sire (una associata della Warner molto in voga negli eighties), divenne in breve anche il suo disco più venduto di sempre. Il titolo del lavoro parlava chiaro: New York era un concept dedicato da Lou alla sua città, una metropoli da lui molto amata ma della quale non ha mai nascosto brutture, ingiustizie e contraddizioni, e le 14 canzoni che componevano il disco erano una vera e propria full immersion in un mondo di violenza (sia nelle strade che sui minori), drogati, prostitute, homeless, vita nei bassifondi e tragedie varie come l’impatto dell’AIDS che aveva decimato gli amici gay del nostro o la povertà della comunità ispanica, il tutto unito ad una feroce critica sociale e politica che vedeva il nostro prendersela (facendo nomi e cognomi) con l’allora presidente George Bush Sr., il predicatore di colore Jesse Jackson, Papa Wojtyla, il colonnello Oliver North, il segretario dell’epoca all’ONU Kurt Waldheim (che Reed accusava velatamente se non di simpatie naziste, perlomeno di non essere così deciso nel condannare l’Olocausto) e l’allora procuratore del distretto sud di NY e futuro sindaco Rudy Giuliani, che aveva già iniziato una robusta opera di bonifica della città (il che mi fa pensare che, in fondo, Lou Reed la preferisse non dico in degrado ma comunque con i suoi alti e bassi).

Ma l’album non era certo una sorta di reportage giornalistico sulla situazione della Grande Mela, ma un’opera altissima dal punto di vista lirico, con testi impregnati di riferimenti letterari e dall’accentuato sapore poetico (anche se il linguaggio usato era spesso forte), ad un livello che Lou, pur essendo uno dei più grandi scrittori nel mondo del rock, forse non aveva ancora toccato (e che bisserà nel seguente e quasi altrettanto splendido Magic And Loss, ed in parte anche nel toccante omaggio ad Andy Warhol Songs For Drella, inciso insieme all’ex collega nei VU John Cale). A chiudere adeguatamente il quadro, New York musicalmente segnava un ritorno al rock’n’roll più puro e diretto, quasi grezzo nei suoi arrangiamenti semplici ed immediati, con una band essenziale formata da due chitarre (lo stesso Reed e Mike Rathke), un basso (Rob Wasseman) ed una batteria (Fred Maher), con la partecipazione alle percussioni dell’ex Velvet Maureen Tucker in due pezzi ed ai cori in un brano di Dion Di Mucci, uno degli idoli giovanili di Lou.

Gli arrangiamenti lineari quindi rendevano ancora più piacevole l’ascolto delle canzoni (nelle quali bisognava comunque “entrare” a poco a poco, stiamo sempre parlando di Lou Reed…), con pezzi di puro rock’n’roll chitarristico come l’iniziale Romeo Had Juliet, godibilissima, la trascinante Busload Of Faith (rifatta di recente da Bob Seger), la dura There Is No Time, la potente Strawman (cantata alla grande dal nostro, alla faccia di chi dice che sappia solo parlare), l’orecchiabile e contagiosa (nonostante il testo al vetriolo) Good Evening Mr. Waldheim, fino a quello che diventerà un classico assoluto di Lou, cioè la splendida Dirty Blvd., goduriosa rock song dal riff coinvolgente e con la voce riconoscibilissima di Dion nel finale.

Ma New York non era solo rock’n’roll, in quanto conteneva alcune delle più belle ballate mai scritte da Reed, momenti musicali di pura emozione in cui il suo tipico modo di porgere i brani tra cantato e talkin’ assumeva toni di bellezza assoluta, con titoli come Endless Cycle, Xmas In February, Last Great American Whale e soprattutto la toccante e profonda Halloween Parade, una delle migliori ballads della sua carriera. E poi Beginning Of A Great Adventure, quasi un esercizio di blues urbano con ottimi intrecci chitarristici tra Reed e Rathke, la vivace Sick Of You, dal tempo quasi country-rock, e la conclusiva e velvettiana Dime Store Mystery, che essendo dedicata a Warhol anticipava in un certo senso le tematiche di Songs For Drella. Per celebrare il trentesimo anniversario di New York (o forse no, anche perché gli anni sarebbero 31) è uscita da pochi giorni questa bellissima Deluxe Edition curata dalla “Lou Reed Archive”, cioè in pratica dall’ex moglie Laurie Anderson (in collaborazione con il noto archivista Bill Inglot e con il grande produttore Hal Willner, da sempre amico di Lou, qui in uno dei suoi ultimi lavori – ed il progetto è dedicato proprio a lui), un cofanetto di tre CD, un DVD, due LP ed un bel libretto con le note scritte dal noto critico David Fricke e gli indispensabili testi dei brani, box set i cui contenuti musicali giustificano una volta tanto il prezzo richiesto (60-70 euro, neppure dei più alti).

A parte la fastidiosa abitudine di inserire l’LP del disco originale (qui addirittura doppio, mentre nel 1989 uscì singolo) quando c’è già il CD, abbiamo appunto nel primo dischetto New York così come lo conosciamo (ma rimasterizzato ex novo nel 2020), che si conferma un album che in tutti questi anni non ha perso un millesimo della sua bellezza, un secondo CD con una versione dell’album dal vivo in 14 performance inedite ed una selezione di outtakes e rarità assortite nel terzo, mentre nel DVD troviamo un concerto dell’epoca uscito nel 1990 in VHS e Laserdisc e mai ristampato in seguito. Dell’album originale ho già detto, e quindi passo a parlare del secondo CD che come ho scritto poco fa raccoglie 14 versioni live dei brani di New York registrate tra Washington, Baltimora, Londra, Richmond, Upper Darby e Copenhagen: l’ascolto dimostra che queste canzoni sono fatte apposta per essere suonate dal vivo, con riletture perfette e coinvolgenti ed un Lou Reed in ottima forma ed anche loquace e spiritoso.

Una menzione particolare va a Romeo Had Juliette, Halloween Parade (con un delizioso ed inedito coro finale), Dirty Blvd., Endless Cycle, più vigorosa che in studio, una Beginning Of A Great Adventure con strepitosi intermezzi chitarristici (ed una prestazione da vero jazzman da parte di Wasserman), Busload Of Faith, Good Evening Mr. Waldhein e Strawman. Il terzo dischetto presenta solo tre pezzi già editi, e cioè la single version di Romeo Had Juliette, ancora più trascinante, e due rare b-sides: una bella Busload Of Faith acustica e The Room, esercizio strumentale dissonante ed abrasivo che rimanda a certe scorribande del nostro coi Velvet. Abbiamo poi i “rough mix” di Dirty Blvd. (senza Dion), Beginning Of A Great Adventure, Sick Of You, Hold On e Strawman, non così diversi dagli originali che sono già piuttosto crudi ed essenziali nel suono; interessanti i quattro “work tapes”, canzoni in embrione ed ancora senza parole, un modo diverso di entrare nelle sessions del disco: abbiamo così una prova chitarristica sul riff di Dirty Blvd., Endless Cycle in cui Lou spiega le parti di basso e batteria e lo stesso fa con Rathke in Last Great American Whale, mentre Sick Of You sembra quasi un boogie alla John Lee Hooker.

In conclusione, due scintillanti versioni dal vivo registrate a Richmond di Sweet Jane e Walk On The Wild Side, che chiudevano la seconda parte dei concerti in supporto all’album. E veniamo al DVD, la cui parte video (ce n’è anche una audio, con un’intervista a Reed di 23 minuti e New York in alta risoluzione stereo) si occupa dell’intero album suonato live al Theatre St. Denis di Montreal, con immagini che pagano la trasposizione dal VHS originale non essendo nitidissime ed un po’ sgranate nelle riprese più buie (che sono tante, dato che la scenografia ricostruisce uno dei tanti vicoli della New York dei bassifondi, degradato e molto poco invitante). Ma dal punto di vista musicale nulla da dire, un concerto bellissimo in cui possiamo ammirare l’intesa tra i vari membri della band, con Wasserman che si conferma un virtuoso assoluto ritagliandosi diverse parti da solista: non voglio ripetere quanto detto per il secondo CD, ma mi limito a segnalare che Dirty Blvd., Halloween Parade e Beginning Of A Great Adventure sono semplicemente strepitose, e pure There Is No Time rocca di brutto. Diciamo che come bonus avrebbero potuto aggiungere le canzoni della seconda parte, dove alle già citate Sweet Jane e Walk On The Wild Side i nostri avevano suonato anche il classico velvettiano Rock’n’Roll, una cover di One For My Baby (And One More For The Road) di Johnny Mercer e tre brani allora recenti come I Love You Suzanne, The Original Wrapper e Video Violence.

Un cofanetto dunque imperdibile questo New York Deluxe Edition, che ha il merito di sviscerare in diverse sfaccettature un album ancora oggi splendido ed attualissimo. Nelle note originali dell’album Lou scriveva “Niente può battere due chitarre, basso e batteria”: di sicuro erano pochi quelli che potevano battere Lou Reed.

Marco Verdi

Visti I Risultati, Il Silenzio Poteva Anche Continuare! Thad Cockrell – In Case You Feel The Same

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Thad Cockrell – In Case You Feel The Same – ATO CD

Non so quanti di voi si ricordino di Thad Cockrell, singer-songwriter di genere country-rock/Americana attivo all’inizio del nuovo millennio, autore di tre apprezzati album (due dei quali pubblicati dalla Yep Roc e prodotti dal noto Chris Stamey, leader dei dB’s) tra il 2001 ed il 2009, più un disco di duetti nel 2005 con Caitlin Cary, ex cantante e violinista dei Whiskeytown. Cockrell era in silenzio come solista appunto dal 2009, anche se nella decade appena trascorsa ha realizzato un paio di lavori come membro dei Leagues, una band di rock alternativo che ha avuto un buon successo a livello indipendente con il primo album e molto meno con il secondo. A undici anni da To Be Loved Cockrell torna quindi a fare il solista pubblicando In Case You Feel The Same, una collezione di dieci nuove canzoni uscita per la ATO Records (la stessa che si occupa della serie live di Jerry Garcia) e che vede alla produzione Tony Berg il quale suona anche gran parte degli strumenti, mentre come ospiti speciali abbiamo Blake Mills (abituale parner artistico di Fiona Apple e presente anche sull’ultimo Dylan) e soprattutto la cantante e leader degli Alabama Shakes, Brittany Howard, alla seconda voce in Higher.

Purtroppo però non bastano un paio di ospiti di vaglia ed un buon produttore per fare un bel disco: il problema di In Case You Feel The Same è che ci mostra un autore forse un po’ arrugginito dalla lunga inattività (e, va detto, Cockrell non ha mai fatto parte di quel gruppo di musicisti da acquistare a scatola chiusa), con l’aggravante della ricerca ossessiva di un suono moderno ma parecchio spersonalizzato e molto poco “roots”, con abbondante uso di synth e ritmi programmati che non sono certo ciò che serve a migliorare una serie di canzoni che già in partenza sono caratterizzate da una vena compositiva piuttosto flebile. Se siete tra quelli che avevate gradito i precedenti album di Cockrell potreste quindi avere qualche sorpresa negativa da questa sua nuova proposta, dato che qui c’è ben poco sia di rock che di radici. Il disco non parte neanche male, dal momento che la title track è una ballata intensa per solo voce, piano, basso e batteria dallo sviluppo sofferto e toccante, un brano che sembra mettere il CD sui binari giusti fin da subito; la già citata Higher ha un suono inizialmente trattenuto, poi entra la sezione ritmica con una frustata ed il nostro divide il microfono con la Howard sia nelle strofe quasi in modalita “low-fi” che nel refrain potente: in ogni caso non siamo certo di fronte ad una grande canzone.

Swingin’ è anche peggio, ed il suono è eccessivamente moderno al limite del fastidioso, una pop song insulsa che di Americana non ha nulla, meno male che Susie From The West Coast risolleva un po’ le cose: non siamo in presenza di un capolavoro, ma comunque di un pezzo dalla struttura melodica sensata e lineare ed un accompagnamento più adeguato pur rimandendo nel solco della modernità. L’inizio di Slow And Steady promette bene, con il suo bel riff chitarristico alla Sweet Jane, ed anche la canzone in sé non è male, una rock song potente e diretta nonostante la presenza di un synth che però non fa danni: alla fine risulterà il brano migliore. Love Moves In è pop sofisticato e raffinato, formalmente ineccepibile ma privo di mordente (sembra il Bryan Ferry degli anni ottanta), in Fill My Cup rispunta la chitarra elettrica e c’è anche un ritornello corale piacevole, ma All I Want è puro techno-pop, il livello è quello degli Orchestral Manoeuvres In The Dark (e non è un complimento). Il CD termina con Next Thing You Know, una ballata melliflua che sa di poco e che presenta altre sonorità abbastanza orripilanti, e con una ripresa maggiormente strumentata della title track, che si conferma uno dei pochi momenti positivi di un album che definire deludente è il minimo.

Marco Verdi

John Prine – Crooked Piece Of Time: The Atlantic And Asylum Albums 1971-1980. Un Cofanetto Doveroso Per Uno Dei Più Grandi Cantautori Americani, Esce il 23 Ottobre

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John Prine – Crooked Piece Of Time: The Atlantic And Asylum Albums 1971-1980 – ltd. ed. 7CD box set – Rhino

Quest’anno ad aprile ci ha lasciato John Prine, proprio a causa del Coronavirus che ha colpito un organismo già indebolito da varie altre problematiche di salute. Aveva 73 anni e il “Singing Mailman”, come era affettuosamente chiamato per i suoi trascorsi come postino (o anche il Mark Twain dei cantautori), era stato uno dei vari “Nuovi Dylan” ad affacciarsi sulla scena cantautorale americana dei primi anni ’70, e a differenza di un altro “nuovo Dylan” come Springsteen, lo è stato effettivamente, non un suo erede, ma per certi versi quasi un suo pari, con una gloriosa carriera ultracinquantennale, con una ventina di album di studio e cinque dal vivo, dal 1984 tutti pubblicati dalla sua etichetta Oh Boy.

Ma prima c’erano stati gli anni delle major, quattro dischi con l’Atlantic e tre con la Asylum : tutti molto belli, con due o tre capolavori, il primo omonimo, Sweet Orange e Bruised Orange, poi ognuno ha i suoi preferiti. I CD del periodo anni ’70 si trovano ancora in circolazione più o meno con facilità, ma non erano mai stati rimasterizzati in precedenza, per cui questo Crooked Piece Of Time (che era il titolo di una canzone di Bruised Orange), curato dagli specialisti della Rhino, cade a fagiuolo: il prezzo, al solito molto indicativo e variabile a seconda dei paesi, dovrebbe essere tra i 40 e i 50 euro. Si tratta pari pari dei sette album originali senza bonus, in una confezione arricchita da poster inserts (qualsiasi cosa voglia dire) più un libretto di 24 pagine a cura del giornalista David Fricke.

Come di consueto ecco la lista completa dei contenuti.

[CD1: John Prine]
1. Illegal Smile
2. Spanish Pipedream
3. Hello In There
4. Sam Stone
5. Paradise
6. Pretty Good
7. Your Flag Decal Won’t Get You Into Heaven Anymore
8. Far From Me
9. Angel From Montgomery
10. Quiet Man
11. Donald and Lydia
12. Six O’Clock News
13. Flashback Blues

[CD2: Diamonds In The Rough]
1. Everybody
2. The Torch Singer
3. Souvenirs
4. The Late John Garfield Blues
5. Sour Grapes
6. Billy the Bum
7. The Frying Pan
8. Yes I Guess They Oughta Name A Drink After You
9. Take The Star Out Of The Window
10. The Great Compromise
11. Clocks And Spoons
12. Rocky Mountain Time
13. Diamonds In The Rough

[CD3: Sweet Revenge]
1. Sweet Revenge
2. Please Don’t Bury Me
3. Christmas In Prison
4. Dear Abby
5. Blue Umbrella
6. Often Is A Word I Seldom Use
7. Onomatopoeia
8. Grandpa Was A Carpenter
9. The Accident (Things Could Be Worse)
10. Mexican Home
11. A Good Time
12. Nine Pound Hammer

[CD4: Common Sense]
1. Middle Man
2. Common Sense
3. Come Back To Us Barbara Lewis Hare Krishna Beauregard
4. Wedding Day In Funeralville
5. Way Down
6. My Own Best Friend
7. Forbidden Jimmy
8. Saddle In The Rain
9. That Close To You
10. He Was In Heaven Before He Died
11. You Never Can Tell

[CD5: Bruised Orange]
1. Fish And Whistle
2. There She Goes
3. If You Don’t Want My Love
4. That’s The Way That The World Goes ’Round
5. Bruised Orange (Chain Of Sorrow)
6. Sabu Visits The Twin Cities Alone
7. Aw Heck
8. Crooked Piece Of Time
9. Iron Ore Betty
10. The Hobo Song

[CD6: Pink Cadillac]
1. Chinatown
2. Automobile
3. Killing The Blues
4. No Name Girl
5. Saigon
6. Cold War (This Cold War With You)
7. Baby Let’s Play House
8. Down By The Side Of The Road
9. How Lucky
10. Ubangi Stomp

[CD7: Storm Windows]
1. Shop Talk
2. Living In The Future
3. It’s Happening To You
4. Sleepy Eyed Boy
5. All Night Blue
6. Just Wanna Be With You
7. Storm Windows
8. Baby Ruth
9. One Red Rose
10. I Had A Dream

Per gli appronfondimenti ed una disamina dei contenuti vi rimando dopo l’uscita prevista per il 23 ottobre.

Bruno Conti

Più Di 150 anni In Due Per Rendere Omaggio A Un Secolo Di Blues. Elvin Bishop & Charlie Musselwhite – 100 Years Of Blues

elvin bishop & charlie musselwhite 100 years of blues

Elvin Bishop & Charlie Musselwhite – 100 Years Of Blues – Alligator Records/Ird

Ultimamente entrambi i protagonisti di questo album stanno vivendo un ottimo periodo di creatività: Elvin Bishop, con una serie di ottimi album per la Alligator con il suo Big Fun Trio https://discoclub.myblog.it/2018/08/31/sono-veramente-bravi-tutti-elvin-bishops-big-fun-trio-something-smells-funky-round-here/ , quello del 2017 candidato anche ai Grammy come miglior disco di Blues Tradizionale, e anche Charlie Musselwhite, sia con una serie di album per etichette diverse, sia soprattutto con innumerevoli collaborazioni, sta tenendo alto il vessillo delle 12 battute. Di cui, per rovesciare il solito paradigma non “politically correct” (chissà perché non si può più dire musica nera?), ne sono sempre stati tra i migliori rappresentanti tra i musicisti “bianchi”. Partendo da California e Mississippi e passando entrambi a lungo per Chicago, sono diventati due veri paladini del blues elettrico, e Bishop per diversi anche anche del rock e del southern.

Come ricordano anche le note di copertina, pur avendo creato nella loro lunga carriera all’incirca una sessantina di album complessivamente, i due non avevano mai registrato un disco insieme (anche se probabilmente dal vivo sarà capitato diverse volte), comunque, come era quasi inevitabile, l’alchimia ha funzionato perfettamente, e questo 100 Years Of Blues, registrato ai Greaseland Studios di San Jose, CA, di Kid Andersen, che ha curato anche la produzione, oltre a suonare, stranamente, il contrabbasso in alcuni brani. Per il resto hanno fatto tutto Elvin Bishop, chitarra e voce, Charlie Musselwhite, armonica, e il fedele pard di Bishop negli ultimi anni Bob Welsh, che si è diviso tra chitarra e piano, in un disco che conferma questo ritorno ad un blues tradizonale di grande intensità, che ha caratterizzato per esempio anche le recenti prove di Bobby Rush e dei Pretty Things, tutti rigorosamente, ma creativamente, tornati alla musica che li aveva ispirati ad inizio carriera, e con risultati eccellenti. Entrambi non sono mai stati dei grandi cantanti, e Musselwhite addirittura per l’occasione ne canta solo una, mentre Bishop, con la sua voce vissuta e temprata da mille avventure, ci regala per l’occasione una delle sue migliori performance degli ultimi anni, come dimostra subito con una gagliarda e spigliata interpretazione nella propria Birds Of A Feather, un esempio di quanto viene offerto anche nel resto del disco.

Non la solita liturgia di molti album di blues eseguiti dai cosiddetti “tradizionalisti”, che spesso sono anche dischi piuttosto noiosi e ripetitivi, senza quella scintilla che permette di rivitalizzare una musica che per definizione vive appunto di tradizione, ma ha bisogno di queste botte di ispirazione per creare nuovo interesse in questo genere, di cui, come forse avrete notato, mi occupo spesso e volentieri nelle sue varie connotazioni, fine della concione. Quindi, sintetizzando (ogni tanto mi “scappa” la mano sulla tastiera, e mi dilungo, ma secondo me ci sta), Birds Of A Feather è un omaggio ai blues lovers, come dice il testo, offerto attraverso il basso pulsante di Andersen, le chitarre pungenti di Bishop e Welsh, qualche percussione a colorare il suono, ed una grinta ed energia ammirevoli, con Musselwhite che punteggia il tutto con il soffio della sua armonica (che leggenda vuole sia quella che ispirò Dan Akroyd per il suo personaggio Elwood Blues, nei Blues Brothers, mentre per Jake Joliet Belushi si ispirò a Curtis Salgado). Stranamente nell’album ci sono nove composizioni nuove e solo tre cover, una è quella di West Helena Blues di Roosevel Sykes, un brano non notissimo, che è però è l’epitome dello slow country blues, con Welsh al piano, Bishop alla chitarra elettrica e alla voce (che per smentirmi è viva e pimpante), mentre Musselwhite è sempre magistrale alla mouth harp, What The The Hell?, di nuovo di Elvin, è un classico blues elettrico Chicago Style, con la solista di Bishop in bella evidenza, spalleggiata dall’armonica di Charlie, Musselwhite che sale al proscenio con la propria Good Times, l’unico brano cantato da lui, che passa per l’occasione alla slide, suonata con grande perizia, mentre Andersen al contrabbasso e Welsh al piano contribuiscono al solido sound del pezzo.

Old School, come da titolo, è un blues di quelli tosti, se gli aggiungessimo una sezione ritmica alle spalle, avrebbe fatto un figurone nel repertorio della Butterfield Blues Band, mentre If I Should Have Bad Luck, a firma Musselwhite, è un altro ottimo esempio di 12 battute classiche, con Bishop molto efficace alla solista, come pure la cover di Midnight Hour Blues, un pezzo lento ed intenso dal repertorio di Leroy Carr, cantato con passione da Bishop, che poi lascia spazio all’amico Charlie per Blues, Why Do You Worry Me, un ottimo shuffle dove i tre solisti, Musselwhite all’armonica, Bishop alla solista e Welsh al piano, si dividono equamente gli spazi. Molto bello anche lo strumentale South Side Slide, dove è Elvin a salire in cattedra con un bottleneck “cattivo” al quale Charlie risponde colpo su colpo, per poi passare alla guida del combo per la propria Blues For Yesterday, un altro bel lento con uso slide di Elvin, ben coadiuvato dall’armonica di Musselwhite. Le due tracce conclusive sono Help Me, il super classico di Sonny Boy Williamson, ancora con Bishop, Musselwhite a e Welsh a menare le danze ai rispettivi strumenti in una esuberante versione, e la title track 100 Years Of Blues, firmata in coppia dai due titolari, che, a suggello di questo eccellente lavoro, ci raccontano con forza, vigore e orgoglio i loro cento anni complessivi vissuti a spargere il verbo di questa musica senza tempo.

Bruno Conti

E Dopo Il Commiato Dal Vivo, Ecco L’Addio Definitivo! The Pretty Things – Bare As Bone, Bright As Blood

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The Pretty Things – Bare As Bone, Bright As Blood – Madfish/Snapper CD

Quando nel mese di febbraio ho recensito The Final Bow, bellissimo cofanetto che documentava lo show londinese dei Pretty Things che sanciva il loro addio alle scene https://discoclub.myblog.it/2020/02/18/cofanetti-autunno-inverno-18-lultimo-ruggito-di-una-piccola-grande-band-the-pretty-things-the-final-bow/ , non avrei pensato che dopo pochi mesi avrei dovuto parlare ancora di loro a causa della scomparsa per complicazioni sopravvenute dopo una banale caduta dalla bicicletta del cantante Phil May https://discoclub.myblog.it/2020/05/17/dopo-lultimo-saluto-il-commiato-definitivo-e-morto-phil-may-leader-dei-pretty-things/ , unico membro fondatore ancora nel gruppo oltre al chitarrista Dick Taylor (May e Taylor, proprio come i componenti rimasti in un’altra band inglese “leggermente” più popolare). Fortunatamente i nostri avevano fatto in tempo a completare un nuovo album in studio, il primo da cinque anni a questa parte ed appena il quarto negli ultimi quarant’anni: e Bare As Bone, Bright As Blood, a parte la copertina che sembra la locandina di un film horror, è senza mezzi termini un grande disco, un commiato splendido per una band che non ha mai avuto troppi riconoscimenti nel corso della carriera.

I PT infatti sono sempre stati considerati una band di seconda o terza fascia, fin dagli esordi in stile rhythm’n’blues ed anche durante il loro periodo psichedelico in cui hanno prodotto i loro due dischi più noti, S.F. Sorrow (considerata la prima “rock opera” della storia) e Parachute, ed anche le vendite non sono mai state esaltanti, ma con questo ultimo album May e Taylor si sono superati consegnandoci un lavoro profondo, sofferto, scarno nei suoni ma dal feeling molto alto, un disco decisamente improntato sul blues, che è stato il loro primo amore (il nome Pretty Things è preso da un brano di Bo Diddley). Dedicato a May (ricordato con parole commosse nel booklet interno dal produttore ed ex membro della band Mark St. John), Bare As Blood, Bright As Blood è come suggerisce il titolo un disco dalla veste sonora spoglia ed essenziale, ma con una serie di canzoni di una bellezza cristallina: ci sono solo due originali (non composti però dai due leader) e dieci cover di brani originariamente non solo blues, con una divisione netta tra pezzi antichi e moderni.

Dicevo della strumentazione parca: Taylor si occupa di quasi tutte le parti di chitarra, siano esse acustiche, elettriche o slide, coadiuvato qua e là dalle sei corde di Sam Brothers (anche all’armonica), Henry Padovani e George Woosey ed occasionalmente dal violino di Jon Wigg. Tutto qui, non ci sono neanche basso e batteria, ma le eventuali mancanze sonore sono ampiamente bilanciate dalla bravura e dal sentimento che i nostri mettono in ogni canzone contribuendo così ad una perfetta chiusura del cerchio, terminando cioè la carriera con un omaggio al genere musicale (il blues) che era la loro passione di gioventù. Il CD inizia con due blues tradizionali: Can’t Be Satisfied (resa popolare da Muddy Waters), introdotta da una goduriosa slide acustica subito doppiata dalla voce di May che assume tonalità da vero bluesman, un brano puro e rigoroso ma eseguito col cuore, e Come Into My Kitchen, un pezzo solitamente associato a Robert Johnson che ha la medesima veste sonora del precedente ma è più lento e quasi strascicato, con un’eccellente performance di Taylor e May che sembra che non abbia mai fatto altro che cantare il blues (e l’armonica dona il tocco in più). Ain’t No Grave è un’antica gospel song (l’ha incisa anche Johnny Cash, e dava anche il titolo al suo sesto album degli American Recordings, uscito postumo), ma qui viene trasformata in un puro blues del Delta, ancora per sola voce, chitarra ed armonica: se non fosse per il timbro di May sembrerebbe di ascoltare un vecchio LP di Mississippi John Hurt.

Love In Vain è uno dei brani più noti tra quelli scritti da Robert Johnson, e qui viene proposto in maniera fedele ma non scolastica, con un ottimo interplay chitarristico tra Taylor e Brothers. La sofferta Black Girl è un vecchio pezzo che Lead Belly ha reso famoso col titolo di In The Pines, ed è l’unica a presentare una percussione a scandire il tempo (suonata da St. John), mentre I’m Ready è il brano più noto tra quelli “antichi” essendo uno dei classici di Willie Dixon, ed i nostri la rifanno in maniera vivace e grintosa nonostante l’assenza della sezione ritmica. E veniamo ai pezzi moderni, che iniziano con la scelta più sorprendente, cioè la cover di Faultline del gruppo alternative rock Black Rebel Motorcycle Club, una canzone radicalmente trasformata in un bluesaccio elettroacustico teso come una lama, molto diretto pur nel suo essere spoglio strumentalmente: una rielaborazione creativa e decisamente riuscita. Redemption Day è invece un brano di Sheryl Crow in cui i nostri abbandonano momentaneamente il blues per regalarci una ballata folk elettrificata suggestiva e dal notevole impatto emotivo, con almeno tre chitarre e la voce di May più cavernosa che mai; rimaniamo in ambito folk con la splendida The Devil Had A Hold On Me, canzone di Gillian Welch che ha già di suo le caratteristiche di un vecchio traditional, ma il pathos cresce ulteriormente in questa rilettura da brividi che mi ricorda addirittura i Led Zeppelin quando facevano brani elettroacustici: tra gli highlights del CD.

Bright As Blood è scritta per i Pretty Things dal loro chitarrista Woosey, una folk tune d’altri tempi con la voce di Phil accompagnata da chitarra acustica, banjo e violino, un perfetto esempio di brano tradizionale appalachiano composto però ai giorni nostri. Concludono un disco puro, bellissimo e perfino sorprendente To Build A Wall (del misconosciuto cantautore Will Varley), ballata acustica dalla melodia struggente cantata con un feeling davvero rimarchevole, e la nuova Another World (scritta da tale Pete Harlen), un lento rilassato e disteso caratterizzato da uno script solido e profondo. Forse i Pretty Things non sono mai stati una band indispensabile, almeno se paragonati ai gruppi contemporanei degli anni sessanta, ma questo loro album di congedo è una zampata da veri fuoriclasse e, molto probabilmente, il punto più alto della loro discografia.

Marco Verdi