L’Ultima Ristampa Dell’Anno: Le Origini Di Uno Dei Migliori! Them – The Complete Them 1964-1967

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Them – The Complete Them 1964-1967 – Exile/Sony Legacy 3CD

A mio modesto parere (e so che anche Bruno è d’accordo con me) Van Morrison è uno dei più grandi songwriters di sempre: personalmente è nella mia Top Three subito dopo Bob Dylan e prima di Paul Simon (dal punto di vista della pura scrittura di canzoni, poi per una serie di altri motivi preferisco gente come Bruce Springsteen, Neil Young e John Fogerty) *(NDB Come sanno i lettori del Blog aggiungerei Richard Thompson). Credo però che anche il più sfegatato dei fans debba ammettere che il buon Van abbia un carattere piuttosto difficile (eufemismo), che lo ha portato, specie negli ultimi anni, a cambiare case discografiche con la stessa frequenza con cui io mi cambio le calze. Ho quindi reagito con più diffidenza che entusiasmo quando ho letto dell’acquisizione da parte della Sony di tutto il catalogo dell’irlandese (tranne la splendida trilogia Astral Weeks, Moondance e His Band & The Street Choir, non di sua proprietà, ma che ha beneficiato di recente di ristampe potenziate, ed il parzialmente rinnegato Blowin’ Your Mind), con l’intento di pubblicarlo a blocchi con l’aggiunta di bonus tracks: infatti un’operazione simile era cominciata nel 2008 con la Universal ma, dopo alcune ristampe dove peraltro le tracce aggiunte erano pochine, il nostro aveva deciso di interrompere tutto lasciando l’opera monca.

Il tempo farà chiarezza, ma l’inizio di questa nuova operazione promette alquanto bene: infatti Van ha deciso di cominciare proprio dal principio, cioè dai Them, band da lui fondata nel 1964 a Belfast insieme a Billy Harrison, Alan Henderson, Eric Wrixon (poi rimpiazzato da Pat McAuley) e Ronnie Millings, pubblicando The Complete Them 1964-1967, un’antologia nuova di zecca che comprende i primi due LP del quintetto (The Angry Young Them e Them Again) oltre ai singoli ed EP nei primi due CD, ma soprattutto un terzo CD con ben venti brani inediti (su 24 totali), cosa inaudita per uno come Morrison così geloso dei propri archivi; se aggiungiamo che Van in persona ha scritto le esaurienti note del libretto accluso è facile capire perché questo triplo CD manda in soffitta tutte le precedenti antologie del gruppo (ed aggiungerei la rimasterizzazione quasi perfetta).

Riascoltando i brani dei primi due dischetti balza subito all’occhio (anzi, all’orecchio) come i Them fossero ben più di una semplice band di gioventù: Morrison aveva già una voce formidabile (non me ne vogliano li altri, ma il gruppo è 98% Van, lo dimostra il fatto che quando hanno provato a continuare senza di lui non se li è filati più nessuno), è le canzoni ci mostrano le influenze blues, soul ed errebi del nostro, il quale se le porterà dietro durante tutta la carriera. Tra le molte cover, abbiamo infatti canzoni di Ray Charles, Jimmy Reed, John Lee Hooker, Fats Domino, James Brown ed altri, autori da sempre indicati da Van come alcuni dei suoi ispiratori principali. Grande merito va poi riconosciuto a Bert Berns, molto più che un semplice produttore: Berns ha infatti aiutato molto Van ad approfondire certe conoscenze musicali, gli ha dato innumerevoli consigli, ed in più ha scritto per il gruppo alcune tra le loro più belle canzoni (Here Comes The Night su tutte, ma anche I Gave My Love A Diamond, Go On Home Baby, la splendida (It Won’t Hurt) Half As Much, My Little Baby) https://www.youtube.com/watch?v=TLkPlLpWh7o .

Il resto però è puro merito di Morrison e soci, un misto di rock, blues e soul di alto livello e dal suono molto americano, che in certi momenti ricorda il sound dei primi Stones (Go On Home Baby) e degli Animals (I’m Gonna Dress In Black); Van, poi, non ci ha messo molto ad imparare a comporre, se già al secondo brano autografo (dopo l’elettrica e quasi psichedelica One Two Brown Eyes https://www.youtube.com/watch?v=Y68xQfBn3kU ) ha tirato fuori l’immortale Gloria, ancora oggi suonata come bis finale in molti suoi concerti. Ma le belle canzoni si sprecano, dal rock blues di Baby Please Don’t Go (con un non accreditato Jimmy Page alla chitarra ritmica) https://www.youtube.com/watch?v=d7qNnyF3wtQ , alla meravigliosa Here Comes The Night (un brano che uno come Willy DeVille deve aver ascoltato fino alla nausea), la strepitosa Don’t Look Back (John Lee Hooker), la potente Bright Lights, Big City (Jimmy Reed), l’irresistibile rock’n’roll di (Get Your Kicks On) Route 66 (Nat King Cole). Nel secondo CD, dove Tommy Scott sostituisce Berns, assistiamo alla maturazione di Morrison come autore: sue sono infatti la bellissima Could You Would You, la splendida My Lonely Sad Eyes https://www.youtube.com/watch?v=XHPRCaXEd5M , un folk-rock solare dalla melodia sopraffina, Bad Or Good, un errebi che sfiora la perfezione, la fluida Hey Girl, nella quale si intravedono le atmosfere che renderanno sensazionale Astral Weeks https://www.youtube.com/watch?v=eyUKCB45dPU , o la grandissima Friday’s Child, ancora oggi una delle composizioni più belle dell’irlandese https://www.youtube.com/watch?v=NY3ltdG9vBQ . E’ bello confrontare anche la raffinata versione di I Put A Spell On You, sinuosa e seducente, con quella più roccata e “fisica” dei Creedence Clearwater Revival, oppure bearsi davanti all’eterea resa di una splendida It’s All Over Now, Baby Blue di Bob Dylan (Van affrontava anche autori contemporanei, c’è pure un’intrigante Richard Cory di Paul Simon).

Ma, come già detto, è il terzo CD che offre un’inattesa pioggia di inediti: non ci sono canzoni mai sentite, “solo” demo, alternate takes e versioni dal vivo di brani noti, ma per un fan è la manna dal cielo. Si parte con quattro demo: una Don’t Start Crying Now diretta ed ancora grezza, una Gloria già sulla buona strada per diventare il classico che sappiamo, una One Two Brown Eyes meno incisiva dell’originale ed una Stormy Monday Blues già notevole; poi abbiamo una versione alternata e più lenta (ma niente male) di Turn On Your Lovelight, una Baby Please Don’t Go grintosa ma non molto diversa dall’originale ed una Here Comes The Night con delle sfumature differenti che me la fanno apprezzare quasi di più. E’ quindi la volta di tre pezzi dal vivo alla BBC, Gloria e All For Myself, ottime, ed ancora Here Comes The Night, che se non si è capito mi piace assai. Altre sette versioni alternate, tra le quali spiccano (It Won’t Hurt) Half As Much e My Little Baby, che non arrivo a dire che sono meglio degli originali ma se la battono, una sontuosa How Long Baby ed una sempre bellissima One More Time https://www.youtube.com/watch?v=7WtHplp_57I . Completano il dischetto altri tre brani live (le solite Gloria e Here Comes The Night, più One More Time), le single versions di Call My Name e Brimg’Em On In, la bella Mighty Like A Rose (non pubblicata all’epoca ma edita in una precedente compilation del gruppo) https://www.youtube.com/watch?v=MAtEx-cbpZ4  ed un’altra take di Richard Cory https://www.youtube.com/watch?v=DIh978OR7X8 .

Nell’attesa di vedere nel 2016 gli sviluppi del catalogo morrisoniano, godiamoci questo triplo CD: Van era già un grande, e questi 69 brani sono qui a dimostrarlo.

Marco Verdi

Catalogare Sotto Jam Band, Ma Di Quelle Anomale. ALO – Tangle Of Time

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ALO – Tangle Of Time – Brushfire/Universal Records 

Gli ALO (Animal Liberation Orchestra) sono una jam band anomala, fin dalla discografia: secondo alcuni questo è il nono album di studio della band (più una quantità incredibile di EP e alcune antologie e Live), contando anche i primi titoli pubblicati nel periodo “indipendente” del gruppo californiano e forse conteggiando per due volte Fly Between Falls, uscito prima per la loro etichetta Lagmusic Records e poi ristampato, con aggiunte, dalla Brushfire di Jack Johnson. Proprio con il compagno di etichetta e corregionale californiano, gli ALO condividono la passione per un rock piacevole, solare, con melodie scorrevoli, a tratti influenzate dalla musica caraibica, ma anche dal country e quella patina da jam band, che li avvicina ai Phish più leggeri, agli String Cheese Incident, i primi Rusted Root, ma anche la musica dei cantautori westcoastiani più disincantati e dallo spirito blue-eyed soul. L’attitudine jam viene estrinsecata soprattutto dal vivo, ma anche nei dischi in studio, a turno, i vari musicisti: Zach Gill, leader indiscusso, tastierista, ma pure a banjo, ukulele, fisarmonica (e una pletora di altri strumenti), Dan Lebowitz, alle prese con tutti i tipi di chitarra, e la sezione ritmica di Steve Adams e Dave Brogan, che oltre ai loro strumenti, basso e batteria, sono impegnati parimenti con tastiere e percussioni inusuali, tutti costoro si prendono i loro spazi di improvvisazione, all’interno di canzoni che però raramente superano i cinque minuti di durata, in questo Tangle Of Time, solo tre pezzi, Simple Times, Coast To Coast e The Fire I Kept, superano di poco quel limite.

Però l’idea è quella: per esempio The Ticket, la più lunga, con le sue chitarrine choppate e i suoi ritmi ha un qualcosa del Paul Simon “sudafricano”, ma anche del pop più commerciale dei Vampire Weeekend, raffinato e da classifica, con ampi strati di tastiere, piacevoli melodie e tratti di light funky, per esempio nell’uso di piano elettrico, synth e chitarre “trattate”, nella lunga coda strumentale che potrebbe ricordare anche i Talking Heads più leggeri. Altrove, per esempio in Coast To Coast, firmata dal batterista Dave Brogan, sembra di ascoltare gli Steely Dan anni ’70 o lo Stevie Winwood più scanzonato, mentre nell’iniziale There Was A Time fa capolino quel sound caraibico evocato prima, miscelato con sprazzi di musica della Louisiana, grazie alla fisa di Zach Gill che poi lascia spazio pure alla chitarra di Lebowitz che ci regala ficcanti e limpidi licks di stampo californiano, per poi salire al proscenio in Push, il brano che porta la sua firma e che è un brillante pop-rock dal suono avvolgente, grazie anche alle raffinate armonie vocali del gruppo.

Not Old Yet del bassista Steve Adams, che se la canta, è un’altra confezione sonora ben arrangiata, vagamente bluesy e sudista e Sugar On Your Tongue, sempre con l’accordion di Gill in evidenza, mescola leggeri sapori e tempi zydeco con solari armonie da cantautore alla Jimmy Buffett e spruzzate di chitarra che possono ricordare i Grateful Dead o i Phish di studio, quelli più rifiniti e meno improvvisati, per quanto…Non manca la ballata romantica, molto sunny California, come nel caso di Simple Times, dove si apprezza la bella voce di Zach Gill, che non fa rimpiangere certe cose degli Eagles o del James Taylor di metà carriera, con un pianino insinuante che guida le danze e una pedal steel che si “lamenta” sullo sfondo. Keep On, di nuovo di Adams, è molto leggerina e vagamente danzereccia e trascurabile, con Undertow che viaggia su un blue-eyed soul scuola Boz Scaggs, Marc Jordan, Bill LaBounty, Robbie Dupree, lo stesso Donald Fagen, “pigro” e raffinato, mentre A Fire I Kept è una ulteriore variazione su questi temi musicali, giocati in punta di strumenti, forse poca sostanza ma notevole classe ed eleganza formale. Chiude la breve, acustica e sognante Strange Days, altra confezione sonora apprezzabile per la sua complessità, tra dobro e tastiere che ben si amalgamano con il resto della strumentazione e che piacerà agli amanti del pop e del rock più raffinato, come peraltro tutto il resto del disco.

Bruno Conti    

Se Ne E’ Andata Anche Una Delle Leggende Di New Orleans: E’ Morto A 77 Anni Allen Toussaint Per Un Attacco Di Cuore!

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E’ morto nella notte tra lunedì 9 e martedì 10 novembre Allen Toussaint. Il fatto luttuoso è avvenuto a Madrid, dove il musicista di New Orleans aveva appena tenuto un concerto al Teatro Lara della città spagnola. Toussaint aveva avuto un primo infarto nella sua camera d’albergo ma i medici erano riusciti a rianimarlo, poi mentre lo trasportavano in ambulanza all’ospedale ne ha avuto un secondo che è stato fatale. Il grande artista della Big Easy, una delle leggende della scena locale e non solo, avrebbe dovuto tenere ai primi di dicembre un concerto benefico nella sua città, in compagnia di Paul Simon, per raccogliere fondi per l’associazione “New Orleans Artists Against Hunger and Homelessness“, un ente benefico che aiutava gli artisti della città della Louisiana.

Per ricordarlo, questi sono due filmati proprio tratti da quell’ultima esibizione…

Toussaint è stato ovviamente uno dei più grandi rappresentanti della musica americana tout court, non solo della scena di New Orleans: dai suoi inizi nella scena locale della sua città, dove era nato il 14 gennaio del 1938, alle sue canzoni tra cui ricordiamo Working in the Coal Mine, Mother-in-Law, Fortune Teller,Southern Nights, Sneakin’ Sally Through the Alley, Get Out of My Life, Woman, ma anche Holy Cow, incisa da Lee Dorsey e poi dalla Band (in italiano era Qui e Là di Patty Pravo). Proprio con il gruppo di Robbie Robertson ha avuto una delle collaborazioni più proficue, prima arrangiando i fiati nell’album Cahoots e poi nel famoso Live Rock Of Ages e a quel periodo, prima metà anni ’70. risalgono i suoi dischi migliori: From A Whispet To A Scream del 1970, l’omonimo Toussaint del 1971, Life, Love And Faith del 1972 e Southern Nights del 1975, fulgidi esempi del miglior funk e R&B usciti dagli stati del Sud.

I brani ricordati sopra sono stati incisi nel corso degli anni da gente come Jerry Garcia, Ringo Starr, Little Feat, Robert Palmer, gli Yardbirds, Glen Campbell, Bonnie Raitt, la Band ricordata prima, Warren Zevon, i Rolling Stones e moltissimi altri. Tra le sue altre celebri collaborazioni quelle con i Wings, Paul Simon e le Labelle, di cui produsse Lady Marmalade. E ancora, in anni più recenti, nel 2006, il bellissimo The River In Reverse, registrato in coppia con Elvis Costello, che era un suo fan sfegatato e lo invitò come ospite anche nella sua trasmissione televisiva Spectacle, in una serata memorabile in cui c’erano anche Ray LaMontagne, Levon Helm, Nick Lowe, Richard Thompson, Larry Campbell https://www.youtube.com/watch?v=uyXOjiVhH5U .

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Negli ultimi anni della sua vita aveva pubblicato ancora due album formidabili come The Bright Mississippi del 2009, dedicato alla sua terra https://www.youtube.com/watch?v=qNAp0igLZIs e Songbook del 2013, una confezione CD+DVD dove rivisitava con classe sublime il meglio del suo repertorio, seduto al suo pianoforte Steinway.

Tra l’altro la BBC gli ha dedicato un bellissimo documentario The Allen Toussaint Touch che potete vedere qui sotto, se volete capire a fondo la grande personalità di questo musicista che rimane uno dei più grandi della musica nera americana e scusate se insisto!

Rest in Peace, Mister Music Allen Toussaint!

Finalmente, Dopo 20 Anni, Il Secondo Album Di “Cover”! Shawn Colvin – Uncovered

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Shawn Colvin – Uncovered – Fantasy/Universal

Ho sempre pensato che la “cover” per un musicista possa essere una sfida pericolosa e affascinante, in quanto si prende una canzone altrui, magari un brano con cui si avverte una qualche sintonia, si smonta il più delle volte l’arrangiamento per arrivare al cuore del brano e dell’autore, e il risultato in certi casi può essere sorprendente, quasi un’altra canzone, alla quale di volta in volta l’artista dà una nuova immagine e una nuova anima. Tutto questo preambolo per dire che questa “arte” Shawn Colvin è una che la conosce bene, in quanto è stata una “cover girl” per molto tempo, durante i lunghi anni del suo apprendistato nei locali del circuito folk americano. Ora dopo più di vent’anni, e dopo aver dimostrato al mondo di avere maturato un proprio stile raffinato, torna al suo antico amore, dando seguito al precedente lodato Cover Girl del lontano ’94 con questo nuovo Uncovered , ripescando 12 canzoni di artisti del calibro di Bruce Springsteen, Tom Waits, Paul Simon, John Fogerty, Stevie Wonder, Graham Nash, Robbie Robertson e altri meno noti, un lavoro a metà strada fra la sua antica e nuova identità. Sotto la produzione del duo Steuart Smith e Stewart Lerman, la Colvin voce e chitarra acustica chiama in studio “sessionmen” di lusso perfettamente compresi nella parte, tra i quali lo stesso Steuart Smith al basso e chitarre, David Boyle alle tastiere, Milo Deering alla pedal, lap steel e mandola, Glenn Fukunaga al basso, Mike Meadows alle percussioni, e come ospiti speciali David Crosby e Marc Cohn.

Si inizia con le versioni ingentilite da arrangiamenti discreti di Tougher Than The Rest del Boss e di una dolcissima American Tune di Paul Simon https://www.youtube.com/watch?v=OA2pV_9EcTk , per poi passare alla storica Baker Street di Gerry Rafferty, dove si ascolta al controcanto la voce gentile di Crosby (ed è la prima volta che la sento senza il suono del sassofono), una Hold On di Waits (canzone scritta con la moglie Kathleen Brennan) giocata in punta di dita e cantata da Shawn alla Joni Mitchell, a cui fanno seguito una I Used To Be A King di un Graham Nash d’annata (la trovate sul bellissimo Songs For Beginners), e una sempre meravigliosa Private Universe di Neil Finn, pescata dal repertorio dei grandi Crowded House (era su Together Alone). Heaven Is Ten Zillion Light Years Away di Stevie Wonder diventa quasi irriconoscibile, tenue ma affascinante, suonata con pochi e sapienti tocchi strumentali, andando poi a rispolverare la deliziosa Gimme A Little Sign dagli anni ’60 (un pezzo soul portato al successo, anche in Italia, da Brenton Wood), con l’apporto sussurrato di Marc Cohn https://www.youtube.com/watch?v=W9qbeUwCKys , rendere omaggio al Robbie Robertson della Band con la bellissima Acadian Drifwood, dove prende forma il brano più folk del disco, cimentarsi con la celeberrima Lodi dei Creedence di John Fogerty e non sfigurare con le sue dolcezze country https://www.youtube.com/watch?v=H2CwQXxL69E , rispolverare la meravigliosa melodia di Not A Drop Of Rain di Robert Earl Keen,  per una delle letture più vicine all’originale (viene dall’album Gravitational Forces), e andare infine a chiudere con Till I Get It Right della icona country degli anni ’70 Tammy Wynette ( forse un pochino leziosa!).

Dalla prima all’ultima traccia, Uncovered è un emozionante viaggio musicale attraverso le nostre emozioni, ricordando che per questa signora che ormai viaggia verso i sessanta (peraltro portati benissimo) parlano i suoi dischi e la sua carriera, e quindi siamo di fronte ad un album per palati raffinati che, se ascoltato a lungo, vi riscalderà il cuore nel prossimo inverno!
Tino Montanari

Quando Gli “Aeroplani Blu” Volavano Alto ! Blue Aeroplanes – Access All Areas

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Blue Aeroplanes – Access All Areas – Edsel Recordings – CD + DVD

Fin dal lontano esordio, a metà anni ’80, i Blue Aeroplanes da Bristol, più che un giovane convenzionale gruppo pop-rock-punk, sono stati, fin dalla nascita, un collettivo aperto, in cui negli anni si sono avvicendati (nelle varie fasi) circa una trentina di musicisti. Figura centrale del collettivo è sempre stata Gerald Langley (poeta e cantante), con l’altro membro fisso e insostituibile,  il ballerino Wojtek Dmochowski, che hanno dato il primo tratto distintivo della proposta dei Blue Aeroplanes, dove in seguito, tra i nomi maggiormente coinvolti nel progetto, si ricordano Ian Kearey, Alex Lee, Paul Mulreany, John Langley (fratello di Gerard), il polistrumentista Dave Chapman, Rodney Allen, e il bravissimo chitarrista italiano Angelo Bruschini (che lasciato il gruppo in seguito collaborerà con i Massive Attack).

L’esordio discografico avviene con l’ambizioso Bop Art (84), con un uso non comune di sassofoni e cornamuse, a cui faranno seguito la sofisticata psichedelia di Tolerance (85) e Spitting Out Miracles (87), dopo i quali vengono notati e firmano un contratto con l‘etichetta Chrysalis che li porta ad incidere Swagger (90) in cui spicca la presenza di un loro dichiarato fan come Michael Stipe dei R.E.M., arrivando, per chi scrive, al loro capolavoro Beatsongs (91), ristampato in CD nel 2013 in versione doppia espansa, dove si trovano “perle” come il folk-rock di Yr Own World, Fun, e una strepitosa cover di Paul Simon, The Boy In The Bubble https://www.youtube.com/watch?v=vMm98bp7Ihk . Nonostante il plauso della critica, i posti alti delle classifiche restano interdetti a Langley e soci, complice anche una vena creativa che scivola lentamente in lavori interlocutori quali Life Model (94), Rough Music (95) e Fruit (96), poi il gruppo sparisce dalle scene per qualche anno, per ricomparire con gli intriganti Cavaliers (00) Altitude (06), Harvester (07), e dopo un’altra lunga pausa con Anti-Gravity (11), edito solo in vinile (e in un doppio CD limitato, disponibile solo sul loro sito) ma che certifica perlomeno che sono ancora attivi.

Questo Access All Areas li riprende (in tutti i sensi, visto che c’è anche il video) nel loro periodo migliore, al Town & Country Club di Londra nel ’92, con un set essenzialmente ad “alta energia”, con un mix di brani pescati dai loro album più acclamati, Swagger e Beatsongs, ed un paio di cover d’autore, con il frontman Langley a declamare canzoni e versi in puro stile “beatnik”, e il ballerino Dmochowski  catturato e ripreso in tutta la sua gloria nel DVD, il resto della line-up composta da Rodney Allen e Angelo Bruschini alle chitarre, Alex Lee alle tastiere, Andy McCreeth al basso, Jenny Marotta alla batteria, e la brava Rita Lynch alle armonie vocali e chitarra, davanti ad un pubblico caloroso e birre a fiumi.

Il concerto si apre con il maestoso riff di chitarre di Jacket Hangs (la trovate su Swagger), per poi proseguire con il suono energico e aggressivo di Broken And Mended e Jealous Time, la fragorosa Vade Mecum Gunslinger, e il folk rock fascinoso della nota Yr Own World. Una cascata di suoni si manifesta in Beautiful Is (As Beautiful Does) https://www.youtube.com/watch?v=D32zOlwA5oM , seguito dal rock psichedelico di And Stones e una Pony Boy, che ricalca le cavalcate chitarristiche tanto care ai Crazy Horse di Neil Young https://www.youtube.com/watch?v=m0B4EwDQc6M , andando a chiudere con due cover sorprendenti, Bad Moon Rising di Fogerty dall’acclamato Green River del periodo Creedence https://www.youtube.com/watch?v=ydGbwqi2mxI , e una Breaking In My Heart di Tom Verlaine, dall’album omonimo del ’79.

I Blue Aeroplanes non sono il classico gruppo “redivivo”, anche perché probabilmente pochi se li ricordano (puree se in quegli anni erano uno dei nomi di punta del rock indipendente inglese), allora ben venga questa proposta che ci permette di ascoltare (e vedere) uno di quei concerti senza tempo, che si fatica a collocare in un genere o filone, con la voce davvero unica di Langley (che si fa perdonare il fatto di “recitare” più che cantare), il tutto per una “performance” travolgente e mozzafiato. (Ri)scopriteli !

Tino Montanari

Non E’ La Sonda, Non E’ La Stele, Sarà Un Gruppo Canadese! Hey Rosetta – Second Sight

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Hey Rosetta – Second Sight – HR Music/Sonic Records

Quarto album per la band canadese Hey Rosetta (non un fatto casuale), originaria del Newfoundland, autrice di un indie rock, forse un termine riduttivo, molto raffinato e complesso, che può avvicinare il gruppo, per certe soluzioni sonore, ai più celebrati Arcade Fire, quelli prima della svolta “elettronica” dell’ultimo Reflektor,  che al sottoscritto non era piaciuto, vedremo l’imminente album solista di Will Butler, il fratello di Wim. Sono un quartetto, ma per l’ultimo album Second Sight https://www.youtube.com/watch?v=x1HRHWzdciw la formazione si è ampliata fino a sette elementi, aggiungendo tastiere, violino,cello, french horn e tromba alla classica base di chitarre, basso e batteria, con il leader Tim Baker, la voce solista ed altri componenti del gruppo spesso impegnati anche alle tastiere. Proprio la voce di è uno degli elementi distintivi della band: un timbro vocale che a tratti può ricordare quello di Paul Simon, ma anche gli impasti vocali dei Vampire Weekend, per esempio nell’iniziale, piacevolissima Soft Offering (For The Oft Suffering) https://www.youtube.com/watch?v=N28bjKh2aUQ , dove la voce di Baker, quando vira verso leggeri falsetti può portare alla mente pure Chris Martin dei Coldplay (sempre quelli dei primi tempi, quando erano un buon gruppo, non dimentichiamolo), una patina di leggera e non fastidiosa elettronica è sempre sparsa sulle melodie delle canzoni, spesso ritmate e coinvolgenti, mai troppo banali, con interessanti soluzioni sonore, come nella variegata Gold Teeth, con la voce dolce e leggera di Baker che guida in modo naturale il progredire di tutti i brani https://www.youtube.com/watch?v=A2MEbc9VL_k , anche Dream, con i suoi coretti ricorrenti, le chitarrine lavorate e l’ampio uso di tastiere, impiegate per rinforzare il suono, può rimandare ai citati Arcade Fire, e potrebbe avere anche un certo successo radiofonico con il suo pop raffinato.

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La lunga What Arrows, con un lieve crescendo che parte dall’intro voce, sempre in leggero falsetto, e chitarra acustica, e aggiunge strada facendo archi e tastiere, sezione ritmica e chitarre elettriche, per trasformarsi poi in un brano molto coinvolgente che, per strani percorsi mentali, mi ha ricordato i Church leggermente psichedelici di Heyday o Starfish, ma anche le migliori band indipendenti degli ultimi anni, con uno spiccato uso della melodia, ma anche la capacità di congegnare minisinfonie pop-rock intriganti https://www.youtube.com/watch?v=Uh0JC0Qt1Js . Interessante anche l’atmosfera sospesa e circolare che viene costruita in Promise, con tastiere e chitarre che circondano amorevolmente, in una complessa tessitura sonora, la voce raddoppiata e triplicata di Baker, per poi aprirsi improvvisamente in piccole esplosioni di energia. Eccellente anche la bellissima Kid Gloves, sempre in questo costante equilibrio tra pop super raffinato e art -rock, rivestito da strati di piano, tastiere e chitarre avvolgenti che non nascondono le melodie cantabili del brano, ma le rendono più affascinanti, come pure Neon Beyond, dove sembra di ascoltare una sorta di Paul Simon più futuribile, sempre circondato da questo muro di strumentazione che si raccoglie e si espande in continui squarci sonori, per poi richiudersi in moti più dolci ed intimi, alternando questa tendenza all’inno più roboante con la costruzione più sobria e meditata. Kintsukuroi, il singolo dell’album, esplica alla perfezione questa dicotomia tra derive pop e costruzioni sonore più complesse, con il suo ritornello coinvolgente ed una melodia ariosa e solare, resa ricchissima dalle geniali aperture strumentali, anche nello spazio dei soli tre minuti https://www.youtube.com/watch?v=Gu8HMFhITqw .

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Cathedral Bells, una delicata ballata che si apre con la voce solitaria di Tim, una chitarra acustica appena accennata e un organo, poi si sviluppa nuovamente nell’abituale catalogo di delizie sonore, senza perdere un briciolo della sua dolcezza e anche Alcatraz, l’altro brano che supera i sei minuti https://www.youtube.com/watch?v=7lG0VPXIk8c , non manca di affascinare l’ascoltatore con la sua strumentazione opima ed elaborata, arrangiamenti sempre ricchi di soluzioni sonore all’apparenza semplici, che nascondono un gusto per queste piccole perle soniche dove l’abilità nell’uso delle più moderne tecniche di produzione non nasconde solo un vuoto di idee, come spesso succede in chi osa il passo più lungo della gamba. E occorre dire che non c’è un brano brutto che sia uno, Harriet è un’altra ballata mossa  https://www.youtube.com/watch?v=CFen4mcA-R8 , sempre in bilico tra momenti ritmici più accentuati e strumentazione più ricca, nel caso per l’uso dei fiati e del pianoforte, mescolati alle “solite” chitarre e tastiere, a dare quel tocco in più ad un brano cantato con grande partecipazione da Tim Baker, che ci lascia infine con un’ultima, meravigliosa ballata pianistica come Trish’s Song, un brano quasi scarno rispetto alle epiche costruzioni delle canzoni precedenti ma che conferma il talento quasi innato di questo signore per la melodia più pura, grazie anche alle struggenti armonie vocali che sono il corollario quasi inevitabile per una canzone altresì così composta.

Bruno Conti

Non Il Solito Disco Natalizio! Blue Rodeo – A Merrie Christmas To You

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Blue Rodeo – A Merrie Christmas To You – Warner Music Canada

In questo periodo dell’anno si rinnova quella simpatica usanza del disco Natalizio, anzi per le abitudini (nord)americane siamo addirittura in ritardo, spesso i cosiddetti “album stagionali” escono quando l’estate è ancora in corso, o come dicevano i Righeira (citazione colta) sta finendo. Diciamo che, mentre l’album natalizio classico è quasi sempre una raccolta di brani celebri, anche pescati dalla tradizione religiosa, quello stagionale si rivolge più a canzoni, magari originali, scritte per l’occasione, che trattano di argomenti relativi al periodo invernale e non solo alle feste, ma è un sottile distinguo. Il CD di cui stiamo per parlare, questo A Merrie Christmas To You dei Blue Rodeo, direi che, nonostante il titolo, si colloca più nel filone dei dischi stagionali: sono dieci brani, due originali, scritti dalla inossidabile coppia Jim Cuddy/Greg Keelor, un traditional come O Come All Ye The Faithful, un super classico come Have Yourself A Merry Little Christmas, e sei cover di brani intonati al periodo, ma che sono anche l’occasione per la band canadese di rivisitare il songbook di alcuni grandi autori, Alex Chilton, Merle Haggard, Joni Mitchell, Paul Simon, Gordon Lightfoot e Robbie Robertson.

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E anche se io sono di parte, perché considero il gruppo canadese uno dei migliori gruppi sulla faccia del pianeta terra http://discoclub.myblog.it/2013/11/14/festeggiano-25-anni-e-spiccioli-di-carriera-con-un-grande-di/ , mi sembra che la missione di fare un bel disco di Natale per il 2014 (e per gli anni a venire) sia perfettamente riuscita. I Blue Rodeo, per chi scrive, sono sempre stati il vero anello mancante, tra i Buffalo Springfield, la West Coast e il country-rock, e il cosiddetto insurgent o alt-country di Uncle Tupelo, poi dei primi Wilco e Son Volt, i Jayhawks, e altri gruppi che nell’ultima decade del secolo scorso hanno tenuto alta la bandiera di questo movimento. Cuddy, Keelor e soci, sono venuti prima, unendo quel meraviglioso gusto della melodia mista al rock del connazionale Neil Young, e degli americani Stephen Stills e Richie Furay, poi anche nei Poco, con la grande tradizione della Band, per l’uso delle tastiere, e gli intrecci vocali mozzafiato presi sia dal country, quanto dalla West Coast music, come dai dischi dei Beatles, soprattutto lato McCartney. Tutti elementi che sono presenti anche in A Merrie Christmas To You, magari l’uso dei cori è meno accentuato,ma sempre presente, soprattutto nelle prime canzoni, dove le voci di Jim Cuddy e Greg Keelor operano più da cantanti solisti, ma è un piccolo appunto che poi si appiana nella seconda parte del CD.

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L’apertura è affidata alla bellissima canzone di Alex Chilton,Jesus Christ was born today, Jesus Christ was born”, con chitarre tintinnanti e cristalline e la voce di Keelor in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=ZmBSFBLebiE , che lascia posto a quella di Cuddy per una deliziosa rilettura, nel solco della più pura tradizione natalizia di Have Yourself A Merry Little Christmas, con pedal steel e tastiere in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=NzbGCAYrn0k e il nostro Jim che la propone quasi fosse un devoto del Paul McCartney più melodico (quale credo sia) con tanto di classici wooo wooo beatlesiani, molto piacevoli. Ancora pedal steel e organo sugli studi, ma in ritmi di puro country per una bellissima versione di If We Make It Through December, dal repertorio di Merle Haggard, cantata in solitario da Greg Keelor. Poi è il turno di una delle canzoni più belle di tutti i tempi che parlano del periodo di Natale (e non solo), River di Joni Mitchell, cantata stupendamente da Jim Cuddy, con piano, organo, pedal steel e le chitarre che si amalgano alla perfezione in un tutt’uno veramente emozionante, grande versione, con alcuni falsetti da brivido. O Come All Ye The Faithful, il brano tradizionale, è fatto come se fosse una canzone dei Fairport Convention, con l’organo al posto del violino, ma la stessa grinta del miglior folk-rock della band britannica https://www.youtube.com/watch?v=Kf312WUMCrs .

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Getting Ready For Christmas Day non la ricordavo tra i brani di Paul Simon, ma in effetti si trova sull’ultimo So beautiful or so what, versione molto à la Graceland, pimpante e ritmata, con un piano elettrico a menare le danze (l’ottimo Michael Boguski, peraltro grande protagonista in tutto al disco alle tastiere) che ricorda molto anche il sound di Get Back https://www.youtube.com/watch?v=1BCkg5z2QPg , ben supportato da, chitarra elettrica organo e mandolino (Bob Egan, nel resto dell’album alla pedal steel) a seguire i due brani nuovi, Glad To Be Alive e Home To You This Christmas, https://www.youtube.com/watch?v=IVVo0YlvftA  classici esempi di Blue Rodeo sound, melodie avvolgenti, grandi armonie vocali, chitarre spiegate, le immancabili tastiere, bellissime entrambe, come pure la cover, molto raccolta, di un pezzo del grande Gordon Lightfoot, Song For A Winter’s Night e la conclusione, per chiudere il cerchio, con la trascinante Christmas Must Be Tonight, scritta da Robbie Robertson per Islands, l’ultimo album della Band Mark I, ed eseguito dai Blue Rodeo, che in Canada ne vengono considerati gli eredi, in modo eccellente https://www.youtube.com/watch?v=O3TBdry3btQ . Come tutto l’album d’altronde, non solo un bel album natalizio, ma anche, volendo!

Bruno Conti

P.s Il CD è solo di import canadese, quindi non si trova facilmente!

Sono Sempre Una Garanzia! Avett Brothers – Magpie And The Dandelion

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Avett Brothers – Magpie And The Dandelion – American Recordings CD

Di questi tempi è di norma far passare almeno due-tre anni, quando non ancora di più, tra un disco e l’altro, l’usanza di fare uscire un lavoro nuovo ogni anno (ed a volte anche due) si è interrotta più o meno con l’avvento degli anni ottanta: perciò sono rimasto molto sorpreso quando ho visto tra le uscite del mese di Ottobre un nuovo album degli Avett Brothers, dato che il loro precedente CD, l’eccellente The Carpenter, è appunto uscito nel 2012.

Quando ho letto che Magpie And The Dandelion, questo il non facilissimo titolo del disco, era frutto delle stesse sessions di The Carpenter ho storto un po’ il naso e mi sono detto : “Vuoi vedere che, tanto per sfruttare il successo del loro ultimo disco (arrivato fino al n. 4 di Billboard), hanno pubblicato gli scarti di quel CD facendolo passare come una novità?”. Già il primo ascolto ha però fugato ogni dubbio: Magpie And The Dandelion non suona affatto come una raccolta di outtakes, ma anzi è in grado di stare a fianco di The Carpenter al medesimo livello.

La band dei fratelli Seth e Scott Avett (coadiuvati come sempre da Bob Crawford, Joe Kwon, Mike Marsh e Paul DeFiglia) ormai non sbaglia un colpo: io la considero personalmente come tra i migliori gruppi in giro in America attualmente, al pari di Old Crow Medicine Show, Mumford & Sons (anche se sono inglesi), Decemberists, Low Anthem, Fleet Foxes e chi più ne ha più ne metta; il loro stile si può collocare giusto a metà tra i primi due gruppi che ho citato, hanno la grinta e lo spirito old-time-country-bluegrass dei primi e la freschezza pop dei secondi, e Magpie And The Dandelion (prodotto ancora una volta da Rick Rubin) si colloca comodamente tra i migliori dischi della seconda parte dell’anno in corso.

L’album esce in due versioni (e te pareva), una normale con undici canzoni ed una deluxe con quattro brani in più (e con un diverso disegno delle gazze in copertina): per la verità ci sarebbe anche una terza versione con due ulteriori pezzi, ma è in vendita solo presso la catena americana Target. Un altro episodio quindi riuscito, pubblicato anche per sfruttare l’onda lunga del successo della tournée americana del sestetto, ma soprattutto un signor disco che non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori.

Open-Ended Life apre splendidamente l’album: una scintillante ballata elettrica guidata da chitarra, piano, banjo ed armonica, con una melodia di grande bellezza e purezza. Poi a metà il brano si velocizza e diventa addirittura irresistibile: grande inizio. Morning Song è più intima ed acustica, il piano di DeFiglia sparge qua e là note di gran classe ed il motivo ha un impatto emotivo molto alto: un brano fluido, evocativo, senza una sbavatura.

Never Been Alive ha un arrangiamento molto cosmic country, quasi come se Gram Parsons fosse ancora tra noi e partecipasse al disco come special guest; Another Is Waiting è il primo singolo, la strumentazione è sempre classica e tradizionale, anche se la melodia tradisce le influenze pop del gruppo. Un brano potente e quasi perfetto nel suo mix di antico e moderno.

Bring Your Love To Me è meno diretta e più interiore, ma la capacità dei due fratelli Avett nel songwriting viene forse evidenziata maggiormente in questi brani più riflessivi; Good To You ha un bellissimo accompagnamento a base di piano e cello (ma nel finale entra anche la sezione ritmica), ed il motivo rivela che anche i Beatles fanno parte del bagaglio di influenze dei ragazzi; Part From Me ha un mood tra il folk ed il cantautorale, e qui ci vedo qualcosa del Paul Simon dei primi dischi da solista, con l’aggiunta di una leggera atmosfera country.

Skin And Bones ripropone ancora quella miscela unica tra pop e bluegrass per la quale il gruppo è famoso, ed il refrain è uno dei più coinvolgenti di tutto il disco; Souls Like The Wheels, registrata dal vivo, è una deliziosa ballata acustica, una voce ed una chitarra nel silenzio e tanto feeling. Bella anche Vanity, ancora pop-rock di gran lusso, qui con la componente traditional quasi assente: un’altra grande melodia che potrebbe facilmente diventare un altro instant classic per il gruppo. Per contro, The Clearness Is Gone è un country-rock che non disdegna riferimenti a certa musica country-rock degli anni settanta, quando la California era, musicalmente parlando, al centro del mondo.

Qui termina la versione “normale” del disco, mentre l’edizione deluxe (e quella Target) offrono quattro (sei) dei migliori brani dell’album in versione demo, un’aggiunta interessante che mostra come il gruppo avesse le idee chiare fin dal principio (in parole povere, non sono molto diverse da quelle definitive, ma Morning Song e Vanity mi piacciono quasi di più così).

Un altro gran bel disco per i fratelli Avett: il rischio è che, pubblicando un CD all’anno di questo livello, ci abituino troppo bene.

Marco Verdi

Adesso Sì Che Si Ragiona! Bob Dylan – The Bootleg Series Vol. 10 – Another Self Portrait

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Bob Dylan – The Bootleg Series Vol. 10 – Another Self Portrait Columbia/Sony 2CD – 3 LP – Deluxe 4CD

In un’epoca nella quale il revisionismo a 360 gradi è diventato di moda, tanto da rivalutare perfino i film di Pierino con Alvaro Vitali, non ci si poteva certo sottrarre dal riesaminare anche il disco più discusso della carriera dell’icona musicale per antonomasia del panorama mondiale: il famigerato Self Portrait di Bob Dylan, che nel 1970 stupì sfavorevolmente critici e fans già disorientati dal precedente Nashville Skyline, un giudizio negativo pressoché unanime che culminò con il famoso “What Is This Shit?” dell’esimio Greil Marcus dalle colonne di Rolling Stone.

Il tempo però ha portato tutti (Marcus compreso) a limare un po’ i commenti sulla qualità del doppio album (non dimentichiamo che Dylan nel 1970 era visto ancora come il portavoce di una generazione, per usare una definizione tra le più abusate, e la pubblicazione di questo disco composto perlopiù da cover di standard ed autori contemporanei fu uno shock per chiunque): a me non è mai dispiaciuto, anche se alcune cose tipo Blue Moon e la quasi parodistica versione di The Boxer di Paul Simon si potevano anche evitare, ma reputo da sempre molto peggio i due album della metà degli anni ottanta, cioè Knocked Out Loaded (a parte Brownsville Girl che è un capolavoro) e soprattutto il raffazzonato Down In The Groove. A scrivere la parola fine sulle tenzoni riguardanti Self Portrait ci ha pensato comunque la Sony, che come decimo episodio delle Bootleg Series dylaniane ha scelto proprio le sessions incentrate sul discusso album, allungando un po’ il brodo (piacevolmente, s’intende) con parte delle sedute di New Morning, ovvero il disco pubblicato da Dylan pochi mesi dopo Self Portrait, forse per correre ai ripari dopo la valanga di critiche ricevute, qualche outtake da Nashville Skyline ed un paio di altre chicche.

Ebbene, a parte qualche riserva da malato dylaniano sulla tracklist già espressa in un mio post precedente, devo dire che il lavoro fatto è di prima qualità (ed anche la critica internazionale ha già tessuto le lodi dell’operazione, Marcus in testa), ed il risultato finale rende finalmente giustizia ad un album che, con la dovuta attenzione ed escludendo gli episodi più beceri, avrebbe eclissato Nashville Skyline e ridimensionato anche l’effettivo valore di New Morning.

I brani presenti si dividono in tre categorie: prima di tutto gli inediti assoluti, con vere e proprie perle come la versione di Thirsty Boots di Eric Andersen, canzone già bellissima di suo, il delizioso traditional Pretty Saro, con un Dylan ispiratissimo, la splendida Railroad Bill, una delle cose migliori di Bob (almeno tra quelle di quel periodo), la suggestiva House Carpenter, la bella Working On A Guru, con George Harrison alle spalle del nostro, il gospel pianistico Bring Me A Little Water, con un’ottima prestazione vocale di Dylan,. E poi brani che rispondono al titolo di This Evening So Soon, Annie’s Going To Sing Her Song, These Hands (molto bella anche questa), Tattle O’Day: un delitto che all’epoca non fossero stati pubblicati (ma si sa, Bob non è mai stato il miglior giudice di sé stesso, basti ricordarsi cosa fece tredici anni più tardi con Infidels…ecco un altro Bootleg Series che prima o poi vorrei vedere).

Poi ci sono i demos, con Bob da solo o con David Bromberg (non dimentichiamo che a quelle sessions parteciparono musicisti della Madonna: oltre a Harrison e Bromberg c’erano Al Kooper, Charlie Daniels, Norman Blake, Kenny Buttrey e Charlie McCoy, ma potrei andare avanti) e le alternate versions, interessanti in quanto ci mostrano la genesi di canzoni poi finite sui dischi in forma diversa: spiccano due versioni di Times Passes Slowly, una If Not For You più rallentata e con violino (splendida), una I Threw It All Away abbastanza simile all’originale ma sempre bella, una take inedita e, pare, ritrovata da pochissimo di Wallflower. Infine abbiamo le stesse versioni apparse su Self Portrait, ma spogliate dei ridondanti arrangiamenti orchestrali, e qui i pezzi che più ci guadagnano sono la melodiosa Belle Isle, gli strumentali All The Tired Horses e Wigwam e la folkeggiante Little Sadie.

Dulcis in fundo, le due chicche: una Minstrel Boy proveniente dai Basement Tapes e Only A Hobo, outtake delle sessions con Happy Traum per le bonus tracks del Greatest Hits Vol. 2, uscito nel 1971. Un tesoro da scoprire ed assaporare lentamente, uno dei migliori volumi dei Bootleg Series, almeno per chi scrive.

Per chi vorrà la versione Deluxe (cioè tutti i dylaniati), ecco un terzo CD con la versione rimasterizzata del Self Portrait originale (scelta incomprensibile, dato che siamo nei Bootleg Series e che fra pochi mesi uscirà l’atteso megabox The Complete Album Collection, con quindi il disco in questione di nuovo presente) ed un quarto con la registrazione integrale del famoso concerto con The Band all’isola di Wight nel 1969 (ed allora perché inserire due pezzi tratti dal concerto anche nei primi due CD?).

Un concerto celeberrimo, che segnava il ritorno sul palcoscenico di Dylan dopo l’incidente in moto del 1966 (anche se l’anno prima aveva partecipato con tre canzoni alla serata in memoria di Woody Guthrie, sempre con la Band) che, come ho già avuto modo di dire, è forse più famoso che riuscito.

Dylan infatti è un po’ arrugginito, si concede qualche stonatura di troppo (complice anche la strana voce baritonal/nasale di quel periodo), ed anche la proverbiale intesa con Robbie Robertson e compagni talvolta stenta a decollare, anche se, da buon fuoriclasse, qualche zampata la piazza eccome.

The Mighty Quinn è imbarazzante, Like A Rolling Stone non rende giustizia alla grandezza del brano, Maggie’s Farm è zoppicante: dove Dylan dà il meglio è nei brani tratti da Nashville Skyline, in versioni perlopiù acustiche e piene di feeling di To Ramona e Mr. Tambourine Man, oltre che in un’ottima Highway 61 Revisited, in cui Bob e la Band tirano come ai bei tempi della tournée britannica del 1966.

A monte di tutto, un cofanetto imperdibile: in un’epoca in cui un po’ tutti vanno a rispolverare le radici ed i brani della tradizione, Dylan dimostra che lui lo aveva già fatto più di quarant’anni fa.

Era avanti anche in questo.

Marco Verdi

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NDM: il cofanetto di 4CD contiene un foglietto che annuncia “ufficialmente” (con tanto di foto), l’uscita del box The Complete Album Collection, senza però indicarne la data di pubblicazione, anche se voci accreditate lo danno nei negozi per quest’autunno.

Anche Lui Riceve Il Trattamento “Completo”! Paul Simon – The Complete Albums Collection

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Paul Simon – The Complete Albums Collection – 15 CD Sony Legacy -15/10/2013

Mancava all’appello il cofanetto con l’opera omnia di Paul Simon come solista e ora ci pensa la Sony a colmare questa lacuna. Tra l’altro la discografia di Simon è sempre stata alquanto ballerina, i suoi dischi infatti sono usciti per la vecchia Columbia/CBS, per la Warner/Rhino (che nel 2004 aveva già pubblicato un The Studio Recordings 1972-2000 in 9 CD senza i Live, il primo Paul Simon Songbook e i due nuovi che ovviamente non erano ancora usciti), per la Universal e periodicamente hanno cambiato distribuzione. Ora sembra che la Legacy si sia aggiudicata i diritti per tutti gli albums che vengono ripubblicati nelle versioni rimasterizzate e con bonus, con l’eccezione degli ultimi due (perché? Mah…), Surprise e So Beautiful Or So What. C’è di bello che escono in questa serie di Box Sets della Sony/BMG che sono particolarmente a buon mercato e quindi iniziate a farci un pensierino.

Questa è la lista completa dei brani, disco per disco, inediti e rarità aggiunte compresi:

The Paul Simon Song Book (1965)

  • 1. I Am A Rock
  • 2. Leaves That Are Green
  • 3. A Church Is Burning
  • 4. April Come She Will
  • 5. The Sound Of Silence
  • 6. A Most Peculiar Man
  • 7. He Was My Brother
  • 8. Kathy’s Song
  • 9. The Side Of A Hill
  • 10. A Simple Desultory Philippic (Or How I Was Robert McNamara’d Into Submission)
  • 11. Flowers Never Bend With The Rainfall
  • 12. Patterns
  • 13. I Am A Rock (alternate version) *
  • 14. A Church Is Burning (alternate version) *

Paul Simon (1972)

  • 1. Mother And Child Reunion
  • 2. Duncan
  • 3. Everything Put Together Falls Apart
  • 4. Run That Body Down
  • 5. Armistice Day
  • 6. Me And Julio Down By The Schoolyard
  • 7. Peace Like A River
  • 8. Papa Hobo
  • 9. Hobo’s Blues
  • 10. Paranoia Blues
  • 11. Congratulations
  • 12. Me And Julio Down By The Schoolyard (Demo – San Francisco 2/71) *
  • 13. Duncan (Demo – San Francisco 2/71) *
  • 14. Paranoia Blues (Unreleased Version) *

 There Goes Rhymin’ Simon (1973)

  •  1. Kodachrome
  • 2. Tenderness
  • 3. Take Me To The Mardi Gras
  • 4. Something So Right
  • 5. One Man’s Ceiling Is Another Man’s Floor
  • 6. American Tune
  • 7. Was A Sunny Day
  • 8. Learn How To Fall
  • 9. St. Judy’s Comet
  • 10. Loves Me Like a Rock
  • 11. Let Me Live In Your City (Work In Progress) *
  • 12. Take Me To The Mardi Gras (Acoustic Demo) *
  • 13. American Tune (Unfinished Demo) *
  • 14. Loves Me Like A Rock (Acoustic Demo) *

Paul Simon in Concert: Live Rhymin’ (1974)

  • 1. Me And Julio Down By The Schoolyard
  • 2. Homeward Bound
  • 3. American Tune
  • 4. El Condor Pasa (If I Could)
  • 5. Duncan
  • 6. The Boxer
  • 7. Mother And Child Reunion
  • 8. The Sound Of Silence
  • 9. Jesus Is The Answer
  • 10. Bridge Over Troubled Water
  • 11. Loves Me Like A Rock
  • 12. America
  • 13. Kodachrome (Alternate Version) *
  • 14. Something So Right (Alternate Version) *

Still Crazy After All These Years (1975)

  • 1. Still Crazy After All These Years
  • 2. My Little Town
  • 3. I’d Do It For Your Love
  • 4. 50 Ways To Leave Your Lover
  • 5. Night Game
  • 6. Gone At Last
  • 7. Some Folks’ Lives Roll Easy
  • 8. Have A Good Time
  • 9. You’re Kind
  • 10. Silent Eyes
  • 11. Slip Slidin’ Away (Demo) *
  • 12. Gone At Last (Original Demo w/The Jessy Dixon Singers) *

 One-Trick Pony (1980)

  • 1. Late In The Evening
  • 2. That’s Why God Made The Movies
  • 3. One-Trick Pony
  • 4. How The Heart Approaches What It Yearns
  • 5. Oh, Marion
  • 6. Ace In The Hole
  • 7. Nobody
  • 8. Jonah
  • 9. God Bless The Absentee
  • 10. Long, Long Day
  • 11. Soft Parachutes (Unreleased Soundtrack Recording) *
  • 12. All Because Of You (Outtake) *
  • 13. Spiral Highway (Unreleased Soundtrack Recording) *
  • 14. Stranded In A Limousine *

 Hearts and Bones (1983)

  • 1. Allergies
  • 2. Hearts And Bones
  • 3. When Numbers Get Serious
  • 4. Think Too Much (b)
  • 5. Song About The Moon
  • 6. Think Too Much (a)
  • 7. Train In The Distance
  • 8. Rene And George Magritte with Their Dog After The War
  • 9. Cars Are Cars
  • 10. The Late Great Johnny Ace
  • 11. Shelter Of Your Arms (Unreleased Work-In-Progress) (Bonus Track) *
  • 12. Train In The Distance (Original Acoustic Demo) (Bonus Track) *
  • 13. Rene And George Magritte with Their Dog After The War (Original Acoustic Demo) (Bonus Track) *
  • 14. The Late Great Johnny Ace (Original Acoustic Demo) (Bonus Track) *

Graceland (1986)

  • 1. The Boy In The Bubble
  • 2. Graceland
  • 3. I Know What I Know
  • 4. Gumboots
  • 5. Diamonds On The Soles Of Her Shoes
  • 6. You Can Call Me Al
  • 7. Under African Skies
  • 8. Homeless
  • 9. Crazy Love, Vol. II
  • 10. That Was Your Mother
  • 11. All Around The World Or The Myth Of Fingerprints
  • 12. Homeless (Demo) (Bonus Track) *
  • 13. Diamonds On The Soles Of Her Shoes (Unreleased Version) (Bonus Track) *
  • 14. All Around The World Or The Myth Of Fingerprints (Early Version) (Bonus Track) *
  • 15. You Can Call Me Al (Demo) *
  • 16. Crazy Love (Demo) *
  • 17. The Story of “Graceland” (As told by Paul Simon, Recorded January 2012) *

The Rhythm of the Saints (1990)

  • 1. The Obvious Child
  • 2. Can’t Run But
  • 3. The Coast
  • 4. Proof
  • 5. Further To Fly
  • 6. She Moves On
  • 7. Born At The Right Time
  • 8. The Cool, Cool River
  • 9. Spirit Voices
  • 10. The Rhythm Of The Saints
  • 11. Born At The Right Time (Original Acoustic Demo) (Bonus Track) *
  • 12. Thelma (Bonus Track) *
  • 13. The Coast (Work-In-Progress) (Bonus Track) *
  • 14. Spirit Voices (Work-In-Progress) (Bonus Track) *

Paul Simon’s Concert in the Park (1991)

Disc 1

  • 1. The Obvious Child
  • 2. The Boy in the Bubble
  • 3. She Moves On
  • 4. Kodachrome
  • 5. Born at the Right Time
  • 6. Train in the Distance
  • 7. Me and Julio Down by the Schoolyard
  • 8. I Know What I Know
  • 9. The Cool, Cool River
  • 10. Bridge Over Troubled Water
  • 11. Proof

Disc 2

  • 1. The Coast
  • 2. Graceland
  • 3. You Can Call Me Al
  • 4. Still Crazy After All These Years
  • 5. Loves Me Like a Rock
  • 6. Diamonds on the Soles of Her Shoes
  • 7. Hearts and Bones
  • 8. Late in the Evening
  • 9. America
  • 10. The Boxer
  • 11. Cecilia
  • 12. The Sound of Silence

 Songs From the Capeman (1997)

  • 1. Adios Hermanos
  • 2. Born in Puerto Rico
  • 3. Satin Summer Nights
  • 4. Bernadette
  • 5. The Vampires
  • 6. Quality
  • 7. Can I Forgive Him
  • 8. Sunday Afternoon
  • 9. Killer Wants to Go to College
  • 10. Time Is an Ocean
  • 11. Virgil
  • 12. Killer Wants to Go to College II
  • 13. Trailways Bus
  • 14. Shoplifting Clothes *
  • 15. Born in Puerto Rico (Demo with José Feliciano) *
  • 16. Can I Forgive Him (Original Demo Recorded March 1993) *

You’re The One (2000)

  • 1. That’s Where I Belong
  • 2. Darling Lorraine
  • 3. Old
  • 4. You’re the One
  • 5. The Teacher
  • 6. Look at That
  • 7. Señorita with a Necklace of Tears
  • 8. Love
  • 9. Pigs, Sheep and Wolves
  • 10. Hurricane Eye
  • 11. Quiet
  • 12. That’s Where I Belong (Live) *
  • 13. Old (Live) *
  • 14. Hurricane Eye (Live) *

Surprise (2006)

  • 1. How Can You Live in the Northeast?
  • 2. Everything About It Is a Love Song
  • 3. Outrageous
  • 4. Sure Don’t Feel like Love
  • 5. Wartime Prayers
  • 6. Beautiful
  • 7. I Don’t Believe
  • 8. Another Galaxy
  • 9. Once Upon a Time There Was an Ocean
  • 10. That’s Me
  • 11. Father and Daughter

So Beautiful or So What (2011)

  • 1. Getting Ready for Christmas Day
  • 2. The Afterlife
  • 3. Dazzling Blue
  • 4. Rewrite
  • 5. Love and Hard Times
  • 6. Love Is Eternal Sacred Light
  • 7. Amulet
  • 8. Questions for the Angels
  • 9. Love and Blessings
  • 10. So Beautiful or So What

* Expanded CD reissues contain 37 bonus tracks (previously released)

Sono 14 album, ma Concert In The Park è doppio, quindi il totale dei CD è 15.

Una inezia in confronto ai 24 (tra CD, DVD e Blu-Ray) che costituiranno il contenuto del cofanetto dei King Crimson The Road To Red. Dedicato ad un solo album, credevo che i 14 relativi a Larks’ Tongues In Aspic fossero un record, ma qui si supera ogni immaginazione, nemmeno i Grateful Dead nei loro “sogni più selvaggi” (che ne hanno fatti anche di più voluminosi, ma non su un disco solo). Ma ne parliamo nei prossimi giorni. Ogni giorno si aggiunge qualche cofanetto sfizioso per un autunno spendaccioso, serviva per la rima: per esempio Nirvana, Tears For Fears, Zombies, Orb, il Box sul Glam Rock, tanto per citarne alcuni!

Bruno Conti

P.S. Sembra che anche il più volte annunciato Bob Dylan The Complete Albums Collection, 41 CD, possa essere in pista per l’autunno!