In Attesa Del “Nuovo” Album Stay Around In Uscita Il 26 Aprile, Ecco 8 Dischi Da Avere Se Amate La Musica Di JJ Cale! Parte II

jj cale 5

Seconda parte.

5 – 1979 – Island/MCA – ***1/2

5 esce dopo una pausa di tre anni e presenta due novità sostanziali: una nuova etichetta discografica, dopo gli anni con la Shelter, e la prima apparizione su disco di Christine Lakeland,  che resterà  con lui, prima come musicista e in seguito  anche come moglie, fino alla sua morte avvenuta nel 2013. Non cambiano il solito produttore Audie Ashworth e molti dei musicisti utilizzati, mentre il suono si fa a tratti più “rotondo” e corposo, meglio definito, con la voce in primo piano e un approccio più vicino al rock, come testimoniano l’iniziale vigorosa Thirteen Days e I’ll Make Love To You Anytime sul cui sound i Dire Straits di Mark Knopfler hanno costruito una intera carriera.

Senza dimenticare la sinuosa Don’t Cry Sister, cantata in duetto con la Lakeland e che Cale inciderà di nuovo con Clapton in The Road To Escondido e la delicata e raffinata The Sensitive Kind con fiati e archi aggiunti e sul lato rock ancora l’ottima Friday, mentre Let’s Go To Tahiti ha qualche tocco etnico quasi alla Ry Cooder e Mona è un’altra di quelle ballate malinconiche in cui eccelle il nostro.

 

jj cale shades

Shades – 1981 – Island/MCA – ***1/2

 Il primo album della nuova decade completa un filotto di sei album che hanno cementato la reputazione di JJ Cale come artista di culto. Al solito ci sono decine di musicisti impiegati tra cui molti altri chitarristi, non ultimi Reggie Young e James Burton. La copertina riproduce una parodia dei pacchetti di sigarette Gitanes, mentre tra i brani l’iniziale vibrante Carry On è un altro dei suoi classici senza tempo, Deep Dark Dungeon è blues allo stato puro, Wish I Had Not Said That è un altra delle sue ballatone mid-tempo e la cover di Mama Don’t va di rock che è un piacere. Ma tutto l’album conferma la classe del musicista, che poi, tra lunghe pause, inciderà parecchi altri altri buoni album, senza forse più arrivare a questi livelli.

 

jj cale eric clapton the road to escondido

The Road To Escondido with Eric Clapton – 2006 – Duck/Reprise – ***1/2

Gli anni 2000 vedono un ritorno in grande stile di Cale, che dopo l’eccellente To Tulsa And Back del 2004 realizza finalmente un disco in coppia con Eric Clapton: i due amici se lo producono e chiamano a raccolta un vero parterre de roi di musicisti, da Billy Preston che fa la sua ultima apparizione, ad altri “discepoli” come John Mayer, Derek Trucks e Doyle Bramhall II, Taj Mahal all’armonica e tutto il giro di musicisti di Manolenta. Oltre alle riprese di Don’t Cry Sister e Anyway The Wind Blows, brilla una cover di Sporting Life Blues di Brownie McGhee e anche se il suono a tratti è fin troppo “professionale”, a causa del tocco di Simon Climie, i due si divertono ad improvvisare e canzoni come l’iniziale Danger, Heads In Georgia, la bluesata Missing Person, sono quasi interscambiabili nel repertorio dei due, anche se portano la firma di JJ.

When The War Is Over ha sprazzi del vecchio Cale, e niente male il tuffo nel country-rock di Dead End Road, con violino in grande spolvero come pure la chitarra di Albert Lee, ma tutti suonano come delle cippe lippe; l’intero l’album è comunque ottimo, da It’s Easy a Hard To Thrill, scritta da Mayer e Clapton, passando per la morbida Three Little Sister, Last Will And Testament e la vibrante e chitarristica Ride The River. JJ Cale appare poi nel Crossroads Guitar Festival di Eric e partecipa al tour di Clapton del 2007 da cui verrà tratto l’ottimo Live In San Diego, prima di lasciarci per un attacco di cuore il 26 luglio del 2013.

eric clapton & friends the breeze

Eric Clapton & Friends –  2014 – The Breeze An Appreciation of JJ Cale – Bushbranch/Surfdog – ***1/2

L’anno dopo la morte di JJ Cale esce questo bellissimo tribute album creato da Eric Clapton e pubblicato sulla propria etichetta.  Call Me The Breeze del solo Eric apre il tributo, con la stessa intro della versione originale è uno dei classici brani del Clapton più ispirato, con Albert Lee alla seconda chitarra, Rock And Roll Records, cantata a due voci, propone una inconsueta accoppiata tra Enrico e Tom Petty che funziona alla grande; Someday è affidata ad un altro fedele discepolo come Mark Knopfler, con Christine Lakeland alla seconda chitarra e Mickey Raphael all’armonica. Lies è affidata al duo Clapton e John Mayer, mentre per la felpata Sensitive Kind viene rispolverato un vecchio amico e compagno di avventura come Don White, uno degli originatori del Tulsa Sound, con Cajun Moon che Clapton riserva nuovamente per sé con eccellenti risultati.

La versione di Magnolia è cantata con classe e stile da John Mayer, prima del ritorno della strana coppia Petty/Clapton con una vibrante I Got The Same Old Blues e del duo Willie Nelson/Eric Clapton che illustra il lato più country di Cale con una sognante Songbird,  lato poi ribadito nella saltellante I’ll Be There (If You Ever Want Me), cantata ancora da Don White con il supporto di Eric, che suona anche il dobro, lasciando la chitarra a Albert Lee.

Tom Petty in solitaria rilascia una delicata The Old Man And Me e il trio White/Knopfler/Clapton ci delizia in una raffinata Train To Nowhere, prima di lasciare spazio a Willie Nelson che accompagnato da Derek Trucks rilegge in modo “stiloso” Starbound, prima di tornare al rock chitarristico di Don’t Wait, affidata a John Mayer e Clapton. In chiusura niente Cocaine, ma una versione in punta di dita di Crying Eyes, cantata de Eric con la Lakeland, mentre Trucks lavora di fino alla slide. Tra pochi giorni esce il “nuovo” album di JJ Cale Stay Around e la storia continua.

Bruno Conti

Il Nuovo British Blues? Forse Era Meglio Quello Vecchio, Per Quanto… Sean Webster Band – Leave Your Heart At The Door

sean webster band leave your heart at th door

Sean Webster Band – Leave Your Heart At The Door – Sean Webster Band.Com   

Quando si pensa ad un movimento blues nel Regno Unito (ed in Irlanda) siamo comunque su un ordine di grandezza abbastanza importante: il numero dei gruppi e solisti praticanti è piuttosto consistente, però a differenza degli Stati Uniti, lo stile è decisamente più meticciato con il rock e spesso con l’hard-rock, per quanto di qualità, e quindi parliamo più di blues-rock che di blues vero e proprio, con qualche eccezione anche storica. In effetti le nuove generazioni, e comunque in generale, citano di solito come influenze, a fianco dell’immancabile trittico dei King (Albert, B.B e Freddie). Albert Collins, Robert Cray, più raramente Muddy Waters e Howlin’ Wolf, ma soprattutto gente come Gary Moore, Mark Knopfler, persino Jonny Lang, oltre a Eric Clapton, che è il punto di riferimento massimo. O quantomeno questi sono i nomi che cita Sean Webster, chitarrista inglese, titolare di una band che ha al proprio attivo già cinque album e un EP, e una cospicua serie di tour in giro per il mondo: al solito non stiamo parlando di un fenomeno assoluto, ma di un chitarrista e cantante (che qualcuno ha paragonato a Joe Cocker, ma al sottoscritto ricorda più Zucchero quando fa Cocker, quindi diciamo adeguato), comunque di buona qualità, i cui dischi si ascoltano con piacere, e questo Leave Your Heart At The Door, il sesto della serie, non fa eccezione.

Accompagnato da una band internazionale, composta da musicisti olandesi e canadesi, Greg Smith al basso, Joel Purkess alla batteria e Bob Fridzema alla batteria, Webster ci propone undici brani originali, con l’unica eccezione di una cover firmata da Keith Urban, che non è proprio il primo nome che mi vien in mente come bluesman. Comunque niente paura, ribadisco, il disco è piacevole: sin dall’apertura, con un rock and soul ondeggiante appunto tra Joe Cocker e Clapton, Give Me The Truth, dove si apprezza anche il mixaggio dell’album, affidato a Jon Astley (uno che ha lavorato per Who, Charlie Watts, George Harrison, Eric Clapton, Rolling Stones,Van Morrison, Paul McCartney, Peter Gabriel e mille altri), quindi sound brillante, con la chitarra spesso pimpante e in bella evidenza. Wait Another Day è una ballata, melodica e claptoniana (si può dire, ormai è un aggettivo assodato), rock classico, niente blues neanche a cercarlo col lanternino, ma Webster e soci suonano veramente bene, con l’assolo, quando arriva nel finale, molto alla Manolenta, ricco di feeling e buon gusto. Non male anche l’intensa Broken Man, con un buon interscambio tra organo e chitarra e il solito assolo, quasi alla Gilmour per l’occasione, e You Got To Know, dove finalmente si vira verso un blues(rock) grintoso e tirato, che poi si appalesa in tutta la sua forza in un lungo slow blues classico come Start Again, dove Webster  lascia andare la solista con feeling e tecnica.

Hands Of Time, leggera e scanzonata, seppur non memorabile è di nuovo dalle parti del Joe Cocker meno ingrifato, pure con arrangiamento d’archi aggiunto, mentre Silence Echoes In My Heart è quasi un composito tra Pink Floyd e Procol Harum, con qualche eco soul. Rimaniamo dalle parti del british pop-rock anche per la ritmata You Can Say, con la title-track Leave Your Heart At The Door che è di nuovo una bella balata, dalle parti del blue eyed soul raffinato. PennyLeen Krebbers, non conosco ma brava, aggiunge la sua ugola per una I Don’t Wanna Talk About It che viaggia dalle parti dei duetti Beth Hart/Joe Bonamassa, con meno grinta e classe, ma buona attitudine. Infine ‘Til Summer Comes Around è una canzoncina che denota lo stile del suo autore (Keith Urban), niente di deleterio, ma ce ne sono mille così in giro, si poteva scegliere meglio. In definitiva piacevole e ben suonato, una sorta di controparte inglese di Jonny Lang o di John Mayer, se vi interessa.

Bruno Conti

Peccato Perché E’ Bravo, Ma Non Basta. John Mayer – The Search For Everything

john mayer the search for everything

John Mayer – The Search For Everything – Columbia/Sony

Mmmhhh, maaah?! Perché questa presentazione quasi onomatopeica? Non lo so, mi è venuta così. O meglio un’idea ce l’avrei: di solito in una recensione la prima cosa che si scrive è il giudizio critico, le classiche stellette o il voto numerico, ebbene, se vi interessa, tradotto in voti scolastici è forse un 5- -, il classico “il ragazzo è bravo, ma non si impegna”!. A parte a cercare di accontentare la sua casa discografica, a cui ha dato una serie di album che quando sono andati male sono arrivati comunque al 2° posto delle classifiche di Billboard, ma le cui vendite, in un mercato in continuo calo, dai 2 milioni e passa di Heavier Things del 2003 sono arrivati alle 500.000 copie circa dell’ultimo Paradise Valley, ma al giorno d’oggi bisogna contare anche i download e le visualizzazioni su YouTube e Spotify. Perché in fondo John Mayer deve vivere in due mondi diversi: il “bel fioeu” (si dice così al nord), fidanzato con Jessica Simpson, Jennifer Aniston, Katy Perry e Taylor Swift, per citarne solo alcune, e il grande appassionato di Eric Clapton, nonché il nuovo chitarrista dei  Dead & Co, che si è imparato tutto il repertorio dei Grateful Dead, per andare in tour con loro.

Dopo due album come Born And Raised e il citato Paradise Valley, dove, anche grazie alla produzione di Don Was, sembrava avere prevalso il secondo, in questo The Search For Everything torna il Mayer più tamarro, il quasi “gemello” di Keith Urban, in quel caso un country-pop pasticciato e mediocre, nel disco in esame un neo-soul-pop-rock, molto morbido e all’acqua di rose, dove il ritorno di Steve Jordan, alla batteria, ma non alla produzione, e Pino Palladino al basso, oltre al bravo Larry Goldings  alle tastiere, non serve a salvare il lavoro a livello qualitativo. Anche la presenza di Cary Grant alla tromba in un brano (ma non era morto? Si scherza) non risolleva le sorti del disco, peraltro già parzialmente pubblicato a rate in due EP usciti nella prima parte del 2017 come Wave One e Wave Two, quindi otto dei dodici brani totali si erano già sentiti, e i restanti quattro non sono così formidabili da ribaltare il giudizio. Siamo di fronte al classico disco da ascoltare come musica di sottofondo in qualche party sofisticato (non disturba neanche) o se esistesse ancora la filodiffusione negli ospedali sarebbe l’ideale per anestetizzare le preoccupazioni dei pazienti.

E se mi passate il gioco di parole bisogna essere veramente pazienti per ascoltare questo The Search For Everything: dal malinconico (nel testo, e questo è il sentimento che prevale nell’album) neo-soul soporifero con “ardito” falsetto di una Still Feel Like Your Man dedicata alla non dimenticata Katy Perry, alla morbida ballata acustica Emoji Of A Wave, che non è disprezzabile, intima e delicata, anche se al solito forse troppo carica nella produzione a cura dello stesso Mayer e del suo storico ingegnere del suono Chad Franscowiak,, non male comunque, anche grazie alle armonie vocali di Al Jardine dei Beach Boys. Helpless è un funky-rock non malvagio dove John Mayer arrota la chitarra nel suo miglior stile alla Clapton, ma poi vira verso un sound alla Clapton anni ’80 o Lenny Krarvitz, con coretti insulsi, però la solista viaggia, peccato non la suoni di più nel disco, lui è veramente bravo come chitarrista. Love On The Weekend ripristina il John Mayer Trio solo con Jordan e Palladino, ma purtroppo è un’altra ballata “moderna” con suoni molto pensati per la radio di oggi, poca grinta e molto pop. Meglio In The Blood, non un capolavoro, ma la lap steel di Greg Leisz e la seconda voce di Sheryl Crow aggiungono un poco di pepe al brano, che comunque fatica a decollare, molto Nashville Pop Country, con la solita chitarra che non basta a salvare il tutto.

Changin’, nonostante il titolo, non cambia molto, ma è una ballata piacevole e ben suonata, con Mayer al piano oltre che alla chitarra, Goldings all’organo e Leisz che passa al dobro, forse il brano che ricorda di più gli ultimi due dischi. Theme For “Search For Everything”, è un breve strumentale, con arrangiamento di archi aggiunto, dove Mayer si produce all’acustica, senza infamia e senza lode. Moving On And Getting Over sembra un brano del George Benson anni ‘80, funky “sintetico” e mellifluo, ma non è un complimento, e pure il falsetto non fa impazzire, a meno che non amiate il genere. Ancora piano e archi per una ballata strappalacrime come Never On The Day You Leave, molto simile a mille altre già sentite. Rosie è un mosso mid-tempo in cui qualcuno ha ravvisato analogie con Hall & Oates, ma a me sembra sempre il Clapton anni ’80, nonostante i fiati con Cary Grant. Finalmente un po’ di vita e di rock in Roll It On Home con doppia batteria, uno è Jim Keltner, più Greg Leisz alla pedal steel, sembra sempre Clapton, ma quello buono. You’re Gonna Live Forever On Me è una ennesima ballata, solo voce, piano e archi, ricorda vagamente un brano à la Billy Joel, discreto. Speriamo nel prossimo album.

Bruno Conti  

La Quintessenza Della Musica Soul, Firmata Da Melissa Etheridge – MEmphis Rock And Soul

melissa etheridge MEmphis rock and soul

Melissa Etheridge – MEmphis Rock And Soul – Stax/Concord

Quando nella seconda metà degli anni ‘80 fece la sua apparizione sulle scene musicali Melissa Etheridge venne salutata come una delle prime rocker donne che si impossessava di nuovo del vocabolario del rock classico, sia pure mediato da innesti folk e da cantautrice pura: gli album, dal primo omonimo fino a Yes I Am del 1993 (e forse anche Your Little Secret del 1995) erano degli ottimi album. Energici e tirati, godibili ancora oggi, ma poi, a parere di chi scrive, si è persa un po’ per strada, piegandosi alle esigenze, e al suono, del mercato mainstream, infilando una serie di album mai brutti (per quanto), anche con alcune belle canzoni, ma complessivamente poco soddisfacenti. Forse con l’eccezione dei Live, comunque non memorabili (però dal vivo è rimasta sempre una performer brillante ed energica, grazie anche alla propensione a sorprendere il pubblico con cover mirate e che denotavano i suoi buoni gusti musicali) e anche se qualcuno (anche su questo Blog http://discoclub.myblog.it/2014/11/01/passano-gli-anni-la-grinta-rimane-melissa-etheridge-this-is-m/) aveva segnalato una sorta di ritorno alla miglior forma con l’album del 2014 This Is M.E e il successivo disco dal vivo A Little Bit Of Me: Live In L.A., che per quanto migliori di tutto ciò che era uscito nella decade precedente, avevano comunque, per chi scrive, quella tendenza “insana” per un suono bombastico, pompato ed esagerato, pur se con evidenti segni di miglioramento in alcune canzoni.

Forse è anche per questo che la Etheridge di solito non viene più inserita nelle liste di donne che fanno del rock ( e del soul, e pure blues) come Bett Hart, Susan Tedeschi, Dana Fuchs, Grace Potter, Joss Stone in ambito soul, ed altre che non citiamo per brevità, che mantengono alto il vessillo delle sonorità classiche: tutto questo pur riconoscendo a Melissa la sua indubbia grinta, grazie anche a quella voce roca e fumosa (in inglese “raspy & smoky” fa più figo) che è sempre stata il suo marchio di fabbrica. Ora Melissa Etheridge ha deciso di pubblicare un disco interamente dedicato ai classici del Memphis Rock And Soul, come proclama il titolo dell’album, e per farlo è andata direttamente, a marzo di quest’anno, nella tana del leone, ai Royal Studios di Memphis, quelli storici di Willie Mitchell, ora gestiti dal figlio Lawrence “Boo” Mitchell (e che ultimamente sono abbastanza “visitati”, a giudicare dai dischi usciti di recente, registrati in loco, da Solomon Burke a Bobby Rush, passando per Jim Lauderdale, Paul Rodgers, William Bell, Boz Scaggs e parecchi altri), che ha curato la registrazione del CD, anche se i produttori accreditati sono la stessa Melissa e John Burk. Però i musicisti che suonano nel disco sono quelli leggendari dell’epoca ( o i loro discendenti), la famiglia Hodges, con Charles all’organo e LeRoy al basso, James Robertson alla batteria, Michael Toles alla chitarra, Archie Turner alle tastiere aggiunte, oltre al corollario indispensabile di sezione fiati, coriste d’ordinanza e tutto quello che serve per fare un lavoro con i fiocchi, il suo migliore da lunga pezza.

Particolare non trascurabile la presenza di una dozzina di canzoni scelte con cura nell’immenso patrimonio del grande soul (e anche un paio di brani blues): e quindi scorrono, in ottime versioni, Memphis Train di Rufus Thomas, Respect Yourself degli Staples Singers ( a cui la Etheridge ha aggiunto dei versi nel testo, aggiungendo anche un People Stand Up, tra parentesi nel titolo, ma mantenendo inalterato il senso del brano) https://www.youtube.com/watch?v=rSi039HRn_A , una scintillante Who’s Making Love di Johnnie Taylor, e ancora, il super classico di Sam & Dave Hold On, I’m Coming, tutto fiati sincopati, cori coinvolgenti e ritmi rock aggiunti per dare ulteriore vigore alla ottima interpretazione della Etheridge ,che poi si ripete in una bellissima versione della ballata soul per antonomasia I’ve Been Loving You TooLong (To Stop Now), una delle perle assolute di Otis Redding. Perfino Any Other Way di William Bell, una scelta inaspettata come pure l’iniziale Memphis Train, fa il suo figurone, grazie a quel groove magico di casa Stax (e zone limitrofe) creato da organo e chitarra e che, come ricorda lei stessa in una intervista per il disco, ricorda molto le canzoni di Springsteen.

I’m A Lover è un composito del brano di Lowell Fulsom e Jimmy Cracklin, e di Tramp di Otis Redding e Carla Thomas, dal riff inconfondibile e con nuove liriche della Etherdige. Non manca il blues sapido, sanguigno ed intenso di una eccellente Rock Me Baby di B.B. King, con John Mayer eccellente aggiunto alla solista. Di nuovo William Bell (ri)scoperto di recente, con una dolcissima ballata come I Forgot To Be Your Lover, il cui testo inizia come in una celebre canzone di Van Morrison, e poi Wait A Minute di Barbara Stephens che mi sono dovuto andare a controllare nei miei cofanetti della Stax, perché non la ricordavo, c’è! Ed è pure bella, sembra un pezzo Motown, ma viene dell’altra sponda. Tra blues e soul, di nuovo con Mayer aggiunto alla chitarra, brilla anche una ottima Born Under A Bad Sign, legata ad Albert King, ma pure questa scritta da William Bell, insieme a  Booker T Jones. A chiudere il cerchio di un album veramente bello, una notevole I’ve Got Dreams To Remember, la quintessenza della soul music firmata Otis Redding. E brava, Melissa!

Bruno Conti  

“Finalmente” Un Cofanetto Dal Vivo Dei Dead! Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field

grateful dead fare thee well complete

Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field – Warner/Rhino 2 CD (Best Of) – 2 DVD – 2 BluRay – 3 CD + 2 DVD – 3 CD + 2 BluRay – Super Deluxe 12CD/7DVD – 12CD/7BluRay

Il titolo del post è volutamente sarcastico, dato che per l’anno della celebrazione dei 50 anni di attività dei Grateful Dead  (anche se negli ultimi 20 si sono più che altro occupati dei loro archivi), pensavo che sarebbe bastato (e avanzato) il box di 80CD 30 Trips Around The Sun http://discoclub.myblog.it/2015/09/28/anteprima-mondiale-meno-male-che-gli-anni-trenta-grateful-dead-30-trips-around-the-sun/ , o la sua versione ridotta a 4CD, ma come potevano esimersi i membri superstiti (quindi senza il leggendario leader Jerry Garcia e tutti i tastieristi della loro storia – anni fa, giuro, ho letto una classifica delle cause di morte più comuni tra musicisti rock, ed una di esse era ‘essere tastieristi dei Grateful Dead’) dal pubblicare ufficialmente un resoconto dei loro concerti d’addio di quest’estate? Cinque spettacoli tutti esauriti, due a Santa Clara ed i tre finali al Soldier’s Field di Chicago (dove nel 1995 tennero il loro ultimo show prima del ricovero e della susseguente morte di Garcia), e proprio queste tre serate sono oggetto di questo Fare Thee Well, pubblicato in vari formati: un CD doppio che raccoglie il meglio di tutti i tre concerti, un box triplo (più due DVD o BluRay, che escono anche da soli) con la serata finale, e la solita versione monstre limitata e numerata con i tre show completi su 12CD e 7DVD (o BluRay), con le immagini che comprendono anche i dietro le quinte e la parte audio che aggiunge 3 CD dei Circles Around The Sun (la nuova band di Neal Casal) con le loro improvvisazioni di rock psichedelico suonate negli intervalli (saranno anche bravi, ma forse tre dischetti interi sono anche troppi), il cui meglio è uscito anche a parte su doppio CD con il titolo Interludes For The Dead.

neal casal interludes

Ma veniamo ai nostri: Bob Weir, Phil Lesh, Mickey Hart e Bill Kreutzmann, con l’aggiunta alle tastiere di Jeff Chimenti e Bruce Hornsby (il quale nel biennio 1990-1991 suonò diverse date coi Dead) e soprattutto con Trey Anastasio al posto di Garcia (scelta più che logica, il leader dei Phish è sempre stato un deadiano di ferro, e secondo me può essere l’erede naturale di Jerry) hanno fatto le cose in grande, celebrando il loro passato davanti ad un pubblico immenso, che forse neppure si aspettavano, una gigantesca festa in musica che ha permesso ala band di uscire di scena in grande stile (anche se poi secondo me hanno rovinato un po’ le cose continuando in autunno con altre date come Dead & Company insieme a John Mayer).(NDM: so che Tom Constanten e Donna Godchaux sono stati due membri che poco hanno inciso nella storia dei Dead, ma visto che sono entrambi in vita una ospitata come special guests in un paio di canzoni sarebbe stata una cosa carina).

grateful dead fare thee well 3 cd + 2 dvd

Cinquant’anni (o forse è meglio dire trenta) di grande musica in tre serate, anche se però sono costretto a far notare qualche magagna, principalmente tre. La prima è il suono, più che buono, ma che secondo me poteva essere molto meglio, dato che ho ancora nelle orecchie gli ultimi live di Eric Clapton e Who incisi meravigliosamente; in seconda battuta le scalette: so benissimo che ognuno ha la sua setlist preferita (personalmente io adoro Brown Eyed Women, Mississippi Half-Step Uptown Toodeloo, Alabama Getaway e Black Muddy River, e chiaramente a Chicago non ne hanno suonata mezza – ma le prime tre a Santa Clara sì), ma trovo inconcepibile che non si sia trovato posto in nessuna delle tre serate né per Dark Star, la signature song dei Dead, né per Uncle John’s Band, cioè quella che quasi all’unanimità viene considerata la loro canzone più bella, e che sarebbe stata perfetta per chiudere la serata finale al posto dell’anonima Attics Of My Life, inserendo però brani minori come Passenger, Lost Sailor, Saint Of Circumstance, la soporifera Stella Blue (so che ha molti estimatori, ma io l’ho sempre trovata di una noia mortale), Days Between o, in ogni show, il binomio Drums/Space che ho sempre considerato uno spreco di minutaggio.

Ma la magagna più seria a mio giudizio è la qualità complessiva della performance, troppo discontinua e che, soprattutto nella prima serata, mostra la ruggine accumulatasi sugli ex membri del gruppo in vent’anni di inattività (almeno come Dead), con performance vocali di Weir e Lesh di molto sotto la media (specie il secondo, che non è mai stato un cantante) ed i due batteristi che vanno spesso fuori tempo: i tre show comunque mostrano un deciso crescendo, dato che la seconda serata inizia maluccio ma si tira su su quasi subito, e nella terza fila tutto abbastanza liscio, con molti momenti di eccellenza che ricordano il periodo d’oro. Il merito della riuscita complessiva va sicuramente attribuita anche ai tre membri aggiunti (Hornsby ed Anastasio sono anche due cantanti migliori, ma non hanno tutto lo spazio vocale che meriterebbero, probabilmente a causa della loro non appartenenza alla band storica), che anche nei momenti più difficili della prima serata si caricano sulle spalle la responsabilità di dare un senso alla performance.

grateful dead fare thee well 2 dvd

Serata 1 – 3 Luglio: iniziare con la pur bella Box Of Rain forse non è la scelta migliore, dato che in cinquant’anni Lesh non ha mai imparato a cantare, ma il concerto si raddrizza subito con una solida Jack Straw e con la bellissima Bertha, solitamente scintillante ma stasera appena sufficiente, con Anastasio che si barcamena come può, abituato com’è alla precisione dei Phish. Dopo una trascurabile Passenger abbiamo una liquidissima The Wheel (anche se non tutto è perfetto), seguita da una Crazy Fingers che vede i Dead un po’ confusi e sfasati. Tra i pochi highlights ci sono la sempre solare Scarlet Begonias e la rara (e qui plaudo alla scelta) Mason’s Children, che purtroppo viene affidata alla voce monocorde e stonata di Lesh. Il medley Help On The Way/Slipknot!/Franklin’s Tower, una delle cose più belle dei Dead, ed una toccante Ripple cantata a più voci (questa sì eseguita come Dio comanda) chiudono in crescendo un concerto tutto sommato mediocre.

Serata 2 – 4 Luglio: anche qui si comincia maluccio con una versione approssimativa e troppo lunga di Shakedown Street (un brano che non ho mai amato), per di più cantata malissimo da Weir, seguita da Liberty che non è certo uno dei pezzi più riusciti del binomio Garcia-Hunter. Ma già con la terza canzone, Standing On The Moon, ben cantata da Trey, la serata si alza di livello: le cose migliori sono la splendida Tennessee Jed, dove Weir, Hornsby ed Anastasio si alternano alla voce solista, una Little Red Rooster ben suonata (anche se il blues non è molto nelle loro corde), la vivace Deal, anche se ne ho sentite di molto migliori quando c’era Garcia, una Bird Song liquida al punto giusto (finalmente!), la solida e vibrante West L.A. Fadeaway e la sempre gradevole Foolish Heart, con un grande Anastasio.

Serata 3 – 5 Luglio: lo show finale è nettamente il migliore dei tre, un po’ per la presenza di vari classici assodati del gruppo (l’uno-due iniziale China Cat Sunflower e I Know You Rider, la splendida Althea, una delle mie preferite, la coinvolgente Truckin’ e la sontuosa Terrapin Station), ma soprattutto per la qualità della performance, finalmente degna del passato della band. Built To Last non la ricordavo così bella, Throwing Stones è uno dei brani più diretti di Weir, mentre, subito dopo una trascinante Not Fade Away (il classico di Buddy Holly è ormai in tutto e per tutto un classico dei Dead), la serata si chiude con l’inno Touch Of Grey, una delle canzoni più belle di Garcia, e con la già citata Attics Of My Life, carina ma poco adatta a mio parere a dare l’addio definitivo.

In conclusione un box altalenante, che presenta un gruppo parecchio incerto all’inizio ma finalmente padrone della situazione nella serata finale (che consiglio a chi non vuole accaparrarsi il super box da 12 CD), ma che conferma ciò che avevo sempre pensato, e cioè che i Grateful Dead con Jerry Garcia erano una delle migliori band di sempre, mentre senza di lui sono poco più di un gruppo di ottimi mestieranti.

Marco Verdi

Ci Sarà Anche la Versione Da “Poveri”! Grateful Dead – 30 Trips Around The Sun

grateful dead 30 trips 4 cd

Per i 50 anni di carriera dei Grateful Dead, oltre alla versione pantagruelica da 80 CD di 30 Trips Around The Sun venduta solo sul loro sito http://discoclub.myblog.it/2015/06/03/esagerati-grateful-dead-30-trips-around-the-world-30-concerti-80-cd-50-anni-carriera/, ce ne sarà anche una “normale”, in “soli” quattro CD (che vedete qui sopra) intitolata 30 TRIPS AROUND THE SUN: THE DEFINITIVE LIVE STORY 1965-1995, pubblicata dalla Rhino/Warner con un brano inedito per ogni singolo anno di carriera della band di Jerry Garcia, Bob Weir e soci, 30 brani, più la versione di Caution del 1965. Questo il contenuto:

Track Listing

Disc One
1. “Caution (Do Not Stop On Tracks)” – 1965
2. “Cream Puff War” – 1966
3. “Viola Lee Blues” – 1967
4. “Dark Star” – 1968
5. “Doin’ That Rag” – 1969
6. “Dancing In The Street” – 1970
7. “The Rub” – 1971
8. “Tomorrow Is Forever” – 1972
9. “Here Comes Sunshine” – 1973

Disc Two
1. “Uncle John’s Band” – 1974
2. “Franklin’s Tower” – 1975
3. “Scarlet Begonias” – 1976
4. “Estimated Prophet” – 1977
5. “Samson and Delilah” – 1978
6. “Lost Sailor>Saint Of Circumstance” – 1979
7. “Deep Elem Blues” – 1980

Disc Three
1. “Shakedown Street” – 1981
2. “Bird Song” – 1982
3. “My Brother Esau” – 1983
4. “Feel Like A Stranger” – 1984
5. “Let It Grow” – 1985
6. “Comes A Time” – 1986
7. “Morning Dew” – 1987
8. “Not Fade Away” – 1988

Disc Four
1. “Blow Away” – 1989
2. “Ramble On Rose” – 1990
3. “High Time” – 1991
4. “Althea” – 1992
5. “Broken Arrow” – 1993
6. “So Many Roads” – 1994
7. “Visions Of Johanna” – 1995

La data di uscita prevista è il 18 settembre. Intanto la band riunita per l’occasione pare non abbia intenzione di fermarsi dopo la conclusione del Fare Thee Well Tour ma di continuare aggiungendo John Mayer alla formazione, dopo che Trey Anastasio era stato il chitarrista per la prima parte. A novembre usciranno vari box per celebrare l’avvenimento, ne parliamo più avanti, per il momento:

Alla prossima.

Bruno Conti

Affinità Musicali. Eric Clapton And Friends – The Breeze An Appreciation Of JJ Cale

eric clapton & friends call me the breeze

Eric Clapton & Friends – The Breeze An Appreciation Of JJ Cale – Bushbranch/Surfdog/Universal

JJ Cale è morto il 26 luglio del 2013, quindi questo tributo esce a circa un anno dalla sua scomparsa. Voluto da Clapton, che ci ha messo la faccia, la voce e la chitarra, si avvale di alcuni musicisti che, come Clapton, erano vicini alla musica di Cale per una sorta di affinità elettiva, se non musicale. Eric ha più volte dichiarato che JJ Cale era stato una delle figure più importanti nella storia della musica rock, e se lo dice Clapton c’è da credergli: autore e musicista schivo il musicisista dell’Oklahoma ha lasciato una serie di canzoni che sono state riprese in moltissime versioni dai musicisti più disparati, nel corso degli anni. Quel suo stile, per comodità definito “laidback”, ha sempre sfidato le categorizzazioni, con un miscela unica che fondeva blues, rock, country, folk e jazz, ma aveva poi, alla fine, questo risultato unico, dove la voce, quasi sussurata, e la chitarra, mai sopra le righe, ma sempre presente e che caratterizzava il suono senza essere troppo invadente, riconoscibile al primo ascolto.

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Clapton ha avuto due grandissimi successi con i brani di JJ Cale: After Midnight, su suggerimento di Delaney Bramlett (altro grande amico di Cale), appariva nel primo album solista Eric Clapton del 1970, mentre Cocaine, diventata nel corso degli anni una sorta di inno, era apparsa su Slowhand del 1977. Poi, i due insieme, hanno registrato in disco, The Road To Escondido, uscito nel 2006, che era una sorta di quadratura del cerchio, più per Eric che affermò che quel disco era “la realizzazione di quella che poteva essere una delle mie ultime ambizioni, lavorare con un uomo la cui musica mi ha ispirato per così tanto tempo, una costante nella mia vita” https://www.youtube.com/watch?v=s9rj8CeLi0A . Nessuno ha mai saputo esattamente cosa ne pensava Cale, personaggio molto schivo, ma non credo che abbia “subito” semplicemente l’amicizia di Clapton, penso che il sentimento di rispetto funzionasse in entrambi i sensi https://www.youtube.com/watch?v=5WUeOEkl270 .

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Sia come sia, il risultato finale, questo The Breeze, suona proprio come un disco di Cale, dal sound volutamente laconico e stringato, le voci spesso sussurrate, gli strumenti accarezzati con pigra voluttà e la band di Clapton, JIm Keltner, Nathan East, Simon Climie, Walt Richmond  (alle tastiere, bravissimo) e i musicisti ospiti, Derek Trucks, Reggie Young, Albert Lee, David Lindley, Don Preston, Doyle Bramhall II, Greg Leisz Mickey Raphael, che fanno di tutto per ricreare il suono che era il marchio di fabbrica di JJ Cale: per qualcuno questo è un limite del disco, perché tutti i musicisti, salvo rare eccezioni, si sono quasi annullati per assomigliare il più possibile all’originale. Per altri è il pregio dell’operazione, se volevano fare delle versioni molto differenti bastava registrarle nei propri dischi. Questo è un disco di canzoni di JJ Cale, e quindi…

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Call Me The Breeze rimane quella ballata stupenda e cadenzata che è sempre stata, a tramutarla in un gagliardo brano rock ci avevano già pensato ai tempi i Lynyrd Skynyrd, questa versione, cantata da Eric Clapton, oltre che all’originale assomiglia a quella recentemente fatta da John Mayer, anche se, più di altri brani presenti nel CD, è inequivocabilmente Clapton plays Cale, con le due personalità ben stampate sulla canzone e la chitarra che viaggia che è un piacere, perché anche il buon JJ, non dimentichiamolo, era fior di chitarrista https://www.youtube.com/watch?v=zsqF3p8ORDE . Rock And Roll Records era su Okie del 1974, e per tenere fede al titolo la coppia Tom Petty/Clapton la trasforma in un un bel pezzo rock-blues, pur mantenendo la parte vocale molto “rilassata”, che potrebbe essere la traduzione italiana di laid-back. Mark Knopfler è uno di quelli che appone il suo marchio di fabbrica, la voce e la chitarra sono inconfondibili (d’altronde su quei riff ci ha costruito mezza carriera) in Someday, con l’armonica di Mickey Raphael che aggiunge un tocco distintivo https://www.youtube.com/watch?v=rLgR3IRbk4Y . Il groove classico ritorna per la bellissima Lies, dell’accoppiata John Mayer/Eric Clapton. Mentre Don White, conterraneo e amico di Cale, rilascia una versione di Sensitive Kind, molto sentita, ancorché non particolarmente memorabile, per capirci, un pezzo di Clapton con White che canta. Cajun Moon è sempre stata una delle canzoni più belle del musicista americano e la versione del disco, sulle ali di un bel groove ritmico, vive sul duetto organo-chitarra che la caratterizza.

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Magnolia non l’avevo scoperta su un disco di JJ Cale ma su Crazy Eyes dei Poco, dove ce n’è una versione sontuosa https://www.youtube.com/watch?v=zachNKsJDJY , una ballata stupenda che John Mayer, sostenuto da Eric, interpreta con gusto, ma, secondo il mio gusto personale, senza arrivare a quei livelli. I Got The Same Blues ripropone l’accoppiata Petty/Clapton, sempre molto “sdraiati”  voclamente (altra traduzione di laidback) ma con le chitarre che viaggiano. L’altro musicista che interpreta il brano alla sua maniera, è Willie Nelson, Songbird personalizzando con la sua bella voce e la chitarra, quella che era già fior di canzone, il risultato, arricchito ancora dall’armonica di Raphael, è una vera delizia. Since You Said, che in effetti non ricordavo, era su Rewind, il disco di “inediti” uscito nel 2007, questa volta Enrico la interpreta da solo, in versione molto bluesy. I’ll Be There (If You Ever Want Me), con un bel dobro che raddoppia la chitarra, è il brano più country e tra i più mossi di questo tributo, non dico che siamo sul boogie, ma quasi, canta Don White, con Clapton seconda voce. The Old Man And Me, cantata ancora da Tom Petty, con voce sussurrata e quasi irriconoscibile, diciamo che non è una delle migliori del lotto.

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Train To Nowhere, del terzetto Knopfler/White/Clapton, per usare un eufemismo, non è delle più note, in effetti non la ricordavo, ma pure controllando velocemente non l’ho trovata in nessun album di JJ Cale, in ogni caso molto bella a prescindere, mossa e chitarristica e con le voci dei tre che si incastrano alla perfezione, una piccola sorpresa, tra le migliori del tributo. Starbound, altra bella ballata (ma meno di Magnolia) gode del trattamento Willie Nelson, che la fa diventare una sua canzone, dolce e sognante, con la voce che “scivola” con dolcezza sulle note. Le chitarre di Mayer e Clapton ruggiscono in una poderosa Don’t Wait, uno dei pezzi più rock della raccolta, mentre nella conclusiva Crying Eyes Eric è accompagnato da Christine Lakeland, la compagna di una vita di JJ Cale, un altro giusto tributo ad una musicista altrettanto schiva. Bella canzone, anche se il produttore Simon Climie si poteva risparmiare quel piccolo sottofondo elettronico che non c’entra un tubo con il brano. Da domani nei negozi.

Bruno Conti

Solo Per Fans Accaniti…Cofanetto Eric Clapton And Friends – The Breeze An Appreciation Of JJ Cale

eric clapton & friends call me the breezeeric clapton & friends call me the breeze box set

Eric Clapton & Friends An Appreciation of JJ Cale Box Set – Surfdog Records 29-07-2014

Già, giustamente vi chiederete, ma per i fans di chi? Di Eric Clapton o di JJ Cale? Direi più del secondo, visto che si tratta di un cofanetto ordinabile alla modica cifra di 100 dollari sul sito della http://www.surfdog.com/store/product/eric-clapton-friends-breeze-appreciation-jj-cale-deluxe-edition-cd-box-set. Il contenuto lo vedete nella immagine qui sopra, il tutto esce il 29 luglio, lo stesso giorno in cui la Universal pubblica la versione normale. Per ciò che concerne il contenuto musicale, eccolo:

CD 1

Eric Clapton & Friends
The Breeze (An Appreciation of JJ Cale)

Call Me The Breeze
https://www.youtube.com/watch?v=zsqF3p8ORDE

Rock And Roll Records (feat. Tom Petty)
Someday (feat. Mark Knopfler)
Lies (feat. John Mayer)
Sensitive Kind (feat. Don White)
Cajun Moon
Magnolia (feat. John Mayer)
I Got The Same Old Blues (feat. Tom Petty)
Songbird (feat. Willie Nelson)
Since You Said Goodbye
I’ll Be There (If You Ever Want Me) (feat. Don White)
The Old Man And Me (feat. Tom Petty)
Train To Nowhere (feat. Mark Knopfler and Don White)
Starbound (feat. Willie Nelson and Derek Trucks)
Don’t Wait (feat. John Mayer)
Crying Eyes (feat. Christine Lakeland and Derek Trucks)

CD 2

JJ Cale
Originals

Call Me The Breeze
Rock And Roll Records
Someday (Unreleased Demo)
Lies
Sensitive Kind
Cajun Moon
Magnolia
I Got The Same Old Blues
Songbird (Unreleased Demo)
Since You Said Goodbye
I’ll Be There (If You Ever Want Me)
The Old Man And Me
Train To Nowhere (Unreleased Demo)
Starbound
Don’t Wait
Crying Eyes
After Midnight (Original 1966 Version)

Quindi le versioni originali dei brani contenuti nel nuovo CD, più tre demo e la prima versione di After Midnight del 1966.L’etichetta è quella nuova dello stesso Clapton, nel sito, al link sopra, trovate tutte le informazioni (oppure guardate qui https://www.youtube.com/watch?v=fRM_lj6owZc) tra cui quelle sulla versione in quattro vinili (perché c’è anche quella) e magari qualcos’altro di sfizioso!

Bruno Conti

Il Meglio Del 2013, Altre Liste: Musicisti Ed Addetti Ai Lavori!

Proseguiamo indefessi con le liste del meglio in musica dell’anno in corso. Questa volta tocca ai Psychic Twins (Fabrizio Friggione e Massimo Monti, in ordine alfabetico) e a Claudio Magnani della Universal!

psychic twins

Visti recentemente, ad inizio dicembre, in concerto alla Salumeria Della Musica di Milano. mi hanno piacevolmente sorpreso con un concerto a full band allargata, ricco di nuovi brani e eccellenti cover, confermando quanto di buono avevo detto su di loro in occasione del’uscita del primo disco http://discoclub.myblog.it/2013/06/19/quello-bravo-e-in-mezzo-nella-foto-ma-anche-gli-altri-non-so/ , e quindi mi è sembrato naturale chiedere anche i loro i migliori dischi dell’anno. A parte una piccola botta di “megalomania” (hanno inserito entrambi il loro CD nelle rispettive liste, chiamiamola autostima o speranza nel futuro), questo è quanto.

Fabrizio Friggione, il chitarrista, cantante e autore della musica

john mayer paradise valley

John Mayer – Paradise Valley

eric clapton old sock

Eric Clapton – Old Sock

uncle lucius and you are me

Uncle Lucius – And You Are Me (Questo devo averglielo inculcato io, temo, anche se negli States era uscito lo scorso anno http://www.youtube.com/watch?v=1jKoWrZQ21U) gran disco comunque!

Psychic Twins – Crossings

pearl jam lightning bolt

Pearl Jam – Lightning Bolt http://www.youtube.com/watch?v=b2Tt_QT7Z8Q

david bowie the next day

David Bowie – The Next Day

kings of leon mechanical bull deluxe

Kings Of Leon – Mechanical Bull http://www.youtube.com/watch?v=vojC8jmfZEo

E… Massimo Monti, l’autore dei testi

John Mayer – Paradise Valley (con fidanzata, K.P., al seguito http://www.youtube.com/watch?v=nSRCpertZn8) poca chitarra rispetto al passato, si è rifatto al Crossroads Guitar Festival di Clapton, comunque un buon disco!

Uncle Lucius – And You Are Me

Eric Clapton – Old Sock (questi li hanno “composti” insieme)

luciano ligabue mondovisione

Luciano Ligabue – Mondovisione

elton john the diving board deluxe elton john the diving board

Elton John – The Diving Board (questo, stranamente, non lo avevo ancora trovato in nessuna lista http://www.youtube.com/watch?v=GVdcrft0u_4

slow fox like the birds

Slow Fox – Like The Birds (anche qui temo di avere qualche responsabilità, ottima band svedese a conduzione familiare con eccellente voce femminile, disco da scoprire http://www.youtube.com/watch?v=JSQ1jAb0rc4

bonnie tyler rocks

Bonnie Tyler – Rocks And Honey

psychic twins

Psychic Twins – Crossings http://www.youtube.com/watch?v=wCqkAot5ku4

And now, ladies and gentlemen, Claudio Magnani (Universal I.M.S.), un addetto ai lavori che sa di cosa tratta il suo lavoro (ma veramente)! Lui si è un po’ “allargato”, ma va bene!

ALBUMS:

 bill callahan dream river

BILL CALLAHAN / DREAM RIVER

ricky skaggs bruce hornsby chuck ol' hen

RICKY SKAGGS & BRUCE HORNSBY / CLUCK OL’ HEN
(bel dischetto dal vivo uscito a metà ottobre, non ricordo se ve lo avevo segnalato, ma direi di sì, visto che avevo la copertina in memoria) http://www.youtube.com/watch?v=HI78ThR77mA

ben sidran don't cry

BEN SIDRAN / DON’T CRY FOR NO HIPSTER
http://www.youtube.com/watch?v=0jA6shappUw

ALLEN TOUSSAINT / SONGBOOK

jimi hendrix people

JIMI HENDRIX / PEOPLE, HELL & ANGELS

christy moore where i come from

CHRISTY MOORE / WHERE I COME FROM Bellissimo cofanetto triplo, uscito a novembre per la Sony Ireland, dove Christy Moore, in coppia con Declan Sinnott, reinterpreta molti brani del suo repertorio, insieme ad alcune canzoni nuove. Questo mi ero dimenticato di inserirlo nelle news del blog ed è grave! http://www.youtube.com/watch?v=9YvvGYhlgTk

 sam amidon bright

SAM AMIDON / BRIGHT SUNNY SOUTH
Altro disco molto bello http://www.youtube.com/watch?v=KCHcH2xCBlE

O.S.T. / INSIDE LLEWYN DAVIS

HOWE GELB / THE COINCIDENTALIST

TONY JOE WHITE / HOODOO

RY COODER AND CORRIDOS FAMOSOS / LIVE IN SAN FRANCISCO

GOV’T MULE / SHOUT!

hiss golden mesenger haw

HISS GOLDEN MESSENGER / HAW Meno bello del precedente, per me, ma sempre un buon disco http://www.youtube.com/watch?v=d2IMDdaRa-A

blind boys i'll find

BLIND BOYS OF ALABAMA / I’LL FIND  A WAY E pure questo è un gran disco. Molti di questi saranno nella mia lista suppletiva dei migliori del 2013 http://www.youtube.com/watch?v=U01CgJZMv4I

laura marling once i was an eagle

LAURA MARLING / ONCE I WAS AN EAGLE Marco lo ha messo tra le delusioni dell’anno, segnalandolo come disco noiosissimo, invece devo dire che (lo) appoggio a Claudio, Laura Marling è uno dei migliori talenti della scena musicale attuale e questo è un bel disco, sentire please http://www.youtube.com/watch?v=jSk839eSWm0

 

ARCHIVES:

allman brothers brothers and sisters

 

ALLMAN BROTHERS BAND / BROTHERS AND SISTERS 40TH ANNIVERSARY

THE BAND / LIVE AT THE ACADEMY 1971

eric clapton give me strength

ERIC CLAPTON / GIVE ME STRENGTH

lee hazlewood industries

LEE HAZLEEWOOD / THERE’S A DREAM I’VE BEEN SAVING 1966-1971 4 CD + 1 DVD oppure 4 CD+4 DVD, costa un pacco di soldi, ma è molto interessante

ry cooder 1970-87

RY COODER / 1970-1987 Questo invece costa pochissimo, ma. insieme al Live a San Francisco, costituisce una accoppiata fantastica!

townes van zandt sunshine boy

TOWNES VAN ZANDT / SUNSHINE BOY

DUAN ALLMAN / SKYDOG

john martyn theislandyears-480x480

JOHN MARTYN / ISLAND YEARS

stephen stills carry on

STEPHEN STILLS / CARRY ON

fleetwood rumours 35th 3 cd

FLEETWOOD MAC / RUMOURS

elvis at stax

ELVIS PRESLEY / ELVIS AT STAX

neil young live cellar door

NEIL YOUNG / LIVE AT CELLAR DOOR Questo è uscito proprio in questi giorni, un disco dal vivo della serie Archives, registrato nel 1970!

 

MOVIES:

 

FLIGHT di ROBERT ZEMECKIS

RE DELLA TERRA SELVAGGIA di BENH ZEITILIN

PRISONERS di DENIS VILLENEUVE

Anche per questa volta è tutto.

Bruno Conti

Novità Di Agosto Parte IIa. John Mayer, Tedeschi Trucks Band, Justin Currie, Travis, Mark Kozelek & Desertshore, Tired Pony

john mayer paradise valley.jpgtedeschi trucks band made up mind.jpgjustin currie lower reaches.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Siamo alla seconda decade di agosto, fra poco, e le novità disografiche continuano ad uscire a raffica, oltre alle ristampe di Then Play On dei Fleetwood Mac e al box set quadruplo dei Jimi Hendrix Experience sono in uscita, martedì 20 agosto, parecchi altri titoli interessanti, che vi propongo divisi in due parti, tra oggi e domani. Partiamo con un terzetto interessante.

John Mayer, per il momento, pare avere optato per questo nuovo sound West-coast californiano come nel precedente Born And Raised. La produzione di Don Was e lo stile alla Jackson Browne di questo Paradise Valley in uscita per la Columbia vanno benissimo, ma i duetti con Katy Perry e Frank Ocean erano indispensabili? Probabilmente per vendere sì. Comunque è meglio di quanto sembra sulla carta, le sue due anime, quella Claptoniana e quella alla James Taylor convivono molto bene, le pedal steel dell’iniziale Wildife si alternano ai “fuochi d’artificio” del duetto Who You Love, assai morbido, con la Perry, che si adegua allo stile di Mayer. Che comunque non rinuncia a una bella cover di Call Me The Breeze di JJ Cale. Le armonie vocali sono a cura di Lisa Fischer e Bernard Fowler, in “vacanza” dagli Stones, la citata pedal steel la suona Paul Franklin, le tastiere Chuck Leavell anche lui della touring band degli Stones, e se serve, Mayer ogni tanto scalda la sua solista. Ascoltato velocemente non mi sembra male.

Un altro che la chitarra la suona alla grande è Derek Trucks, anche lui spesso ospite ai Crossroads Festival di Eric Clapton, e con la moglie Susan Tedeschi, da qualche anno a questa parte ha dato vita alla Tedeschi Trucks Band. Dopo l’ottimo doppio Live, Everybody’s Talkin’ dello scorso anno, con cadenza annuale esce, sempre per la Sony Masterworks, il secondo album di studio, Made Up Mind, che sembra anche migliore dell’ottimo Revelator del 2011. Sono già in metà di mille, Ok diciamo undici, ma per questo disco non hanno rinunciato ad utilizzare una serie di ospiti notevole: Doyle Bramhall II, che è anche il co-produttore, John Leventhal, Gary Louris dei Jayhawks, Eric Krasno che era nei Lettuce e nei Soulive, oltre alla bravissima cantautrice Sonya Kitchell. Non mancano George Reiff e Pino Palladino come bassisti aggiunti. Il sound è sempre quello classico alla Delaney & Bonnie, tra blues, rock, soul, con l’aggiunta dell’anima jazz e jam improvvisativa di Derek. Non manca il boogie-rock come nell’iniziale tirata title track ed i vari ospiti contribuiscono anche come autori in vari brani dell’album che contiene tutto materiale originale scritto appositamente per l’occasione. Le due ballate, It’s So Heavy e Sweet and Low sono cantate divinamente da Susan Tedeschi. Il resto ve lo dico nei prossimi giorni in un Post apposito, appena ho finito di ascoltare il CD per bene. Ottimo comunque.

Il nome Justin Currie dirà sicuramente qualcosa ai fedeli lettori di questo Blog: in effetti si tratta proprio dell’ex Del Amitri, giunto con questo Lower Reaches al suo terzo album da solista. L’etichetta non è più la Rykodisc ma anche lui è dovuto diventare “indipendente” su Ignition Records. Quest’anno si festeggerebbero i trent’anni della sua vecchia band scozzese (erano di Glasgow) e anche se il suono è sempre più americano, il disco, ad un ascolto veloce, mi pare bello, con la voce evocativa di Currie al servizio di una bella serie di ballate. Se non lo conoscete varrebbe la pena di esplorare questo disco e anche qualche uscita del vecchio gruppo, i primi quattro, Del Amitri, Waking Hours, Change Everything e Twisted sono uno più bello dell’altro.

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Un altro terzetto di valide uscite.

Sembra quasi che le metta in fila volutamente (ma forse sì?). Anche i Travis di Fran Healy vengono da Glasgow e giungono all’ottavo album con questo Where You Stand, disponibile pure in versione doppia Deluxe con alcune tracce video. Etichetta nuova anche per loro, la Red Telephone Records, che fino allo scorso album era distribuita dalla Fontana del gruppo Universal. Ma ormai è dura per tutti. Il gruppo continua a proporre il classico pop sofisticato dei vecchi album ma gli hits faticano ad arrivare e infatti il precedente Ode To J. Smith del 2008 era stato il primo a non entrare nei Top 10 delle classifiche britanniche arrivando “solo” al 20° posto. Nel frattempo Fran Healy ha pubblicato anche un disco come solista nel 2010 Wreckorder, che non era male, ma non se lo erano filato in molti, pur avendo tra gli ospiti il cantante dei Noah and The Whale, Neko Case e Paul McCartney. Magari se lo trovate in offerta fateci un pensierino. Questo nuovo l’ho sentito poco, non mi esprimo, magari trovo un volontario per recensirlo sul Blog.

Mark Kozelek continua impeterrito a fare uscire nuovi album, questo Mark Kozelek and Desertshore è il quarto che esce nel 2013. D’altronde lui, da parecchi anni, ha la propria etichetta, la Caldo Verde per distribuirsi i suoi album. Il nuovo CD mi sembra uno dei migliori da qualche anno a questa parte, intanto è il primo con un gruppo da illo tempore e i musicisti sono quelli che avevano suonato con lui nei Sun Kil Moon e nei Red House Painters. Se avete amato questi gruppi il CD potrebbe essere una piacevole sorpresa.

Oggi finiamo con un altro mini supergruppo, i Tired Pony. Magari il nome non dice molto, ma The Ghost and The Mountain è già il secondo disco che pubblicano, questa volta per la Polydor/Universal, dopo uno edito a livello indipendente per la Mom and Pop Music nel 2010. Chi sono costoro? Due degli Snow Patrol, il cantante Gary Lightbody che è il leader del gruppo e Iain Archer, con la moglie Miriam Kaufmann al seguito, il produttore Jacknife Lee, Richard Colburn dei Belle and Sebastian e gli ex-Rem, Scott McCaughey e Peter Buck, con Minnie Driver aggiunta alle armonie vocali. Non l’ho sentito quindi non vi so dire. Il primo era un buon disco di rock alternativo americano, lato morbido e a giudicare dal singolo siamo da quelle bande!

Domani il seguito.

Bruno Conti