Altro Grandissimo Concerto, Con in Più Un Ospite Speciale “Abbastanza” Bravo! The Rolling Stones – Bridges To Buenos Aires

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The Rolling Stones – Bridges To Buenos Aires – Eagle Rock/Universal BluRay – DVD – 3LP – 2CD/DVD – 2CD/BluRay

Il colossale tour degli stadi che i Rolling Stones tennero nel biennio 1997-98 in supporto all’album Bridges To Babylon fu uno dei più riusciti della loro storia, ed anche tra quelli di maggiore successo. I nostri devono poi essere particolarmente affezionati a quella tournée dato che, giusto ad un anno di distanza dallo splendido Bridges To Bremen (che documentava uno show del Settembre 1998 in Germania https://discoclub.myblog.it/2019/07/03/due-giorni-con-gli-stones-parte-2-bridges-to-bremen/ ) hanno deciso di pubblicare questo Bridges To Buenos Aires (fantasia nei titoli al potere…), che si occupa della serata del 5 Aprile sempre del ’98 nella capitale argentina, una di cinque consecutive tutte esaurite al River Plate Stadium. Ed il concerto non perde certo il confronto con quello di Brema, in quanto vede le Pietre in forma strepitosa che intrattengono alla grande per oltre due ore il pubblico sudamericano, pescando a piene mani tra le hits del loro repertorio inimitabile ed aggiungendo più di una chicca.

Ma la cosa che forse eleva questo concerto ad un gradino superiore rispetto a quello tedesco pubblicato lo scorso anno è la presenza nientemeno che di Bob Dylan nella sua Like A Rolling Stone, un’apparizione a sorpresa e non annunciata che fa letteralmente impazzire i fans: e la performance è splendida, in quanto Dylan (che è la voce principale) appare in buona forma, rilassato e perfino sorridente, e vederlo fianco a fianco di Mick Jagger (con il quale ha anche una buona intesa vocale nonostante qualche frase fuori tempo – ma duettare con Bob non è cosa facile) è un evento che non capita certo tutti i giorni. Ma sarebbe sbagliato concentrarsi solo sulla presenza del leggendario cantautore americano, in quanto tutto il concerto è ad altissimi livelli, ed è reso ancora più godibile da una regia dinamica (sì, per una volta faccio la recensione basandomi sulla parte video) ed attenta ai dettagli. I quattro si presentano subito pimpanti: Jagger con una giacca lunga in velluto (della quale si libererà presto, ma tutti quanti cambieranno innumerevoli outfit durante lo show) e camicia gialla, Keith Richards con un “sobrio” cappotto tigrato, Ron Wood con sigaretta d’ordinanza e l’impassibile Charlie Watts con una semplice t-shirt. Il concerto comincia col botto con la classica (I Can’t Get No) Satisfaction, con Jagger che inizia a macinare chilometri sul gigantesco palco (e manterrà una incredibile pulizia vocale durante tutto lo show), Keith che riffa da par suo ed il resto della band che è già un treno.

La scaletta all’inizio ed alla fine della serata ricalca quella del concerto di Brema, e quindi si prosegue con una spettacolare Let’s Spend The Night Together, una tosta Flip The Switch ed una favolosa Gimme Shelter, “cattiva” più che mai e con la consueta sensuale performance da parte di Lisa Fischer. A questo punto Mick prende la chitarra acustica ed introduce uno dei momenti magici della serata, cioè una fantastica Sister Morphine tesa e tagliente come una lama, con la slide di Wood che rimpiazza quella della versione originale di Ry Cooder, e Chuck Leavell fa lo stesso con la parte di piano di Nicky Hopkins. La sempre trascinante It’s Only Rock’n’Roll (But I Like It) precede il soul-rock dell’allora nuova Saint Of Me e la travolgente Out Of Control, uno dei brani migliori degli Stones negli ultimi trent’anni. Miss You quella sera è strepitosa, con Mick alla chitarra elettrica, Darryl Jones che si destreggia da grande bassista ed uno straordinario assolo di sax da parte di Bobby Keys; dopo la già citata Like A Rolling Stones Mick introduce i vari musicisti e lascia spazio a Richards, che propone nel suo classico stile informale e “scazzato” Thief In The Night e la poco nota Wanna Hold You. I nostri si spostano quindi sul b-stage, il piccolo palco sistemato in mezzo al pubblico, dove ci deliziano con tre brani a tutto rock’n’roll come Little Queenie di Chuck Berry, When The Whip Comes Down e You Got Me Rocking.

Tornati sul palco principale Jagger e compagni portano a termine la serata con una magnifica Sympathy For The Devil, in cui Keith si “prende” la canzone con un grande assolo, e con la solita raffica finale di rock’n’roll all’ennesima potenza, formata da Tumbling Dice, Honky Tonk Women, Start Me Up, Jumpin’ Jack Flash e Brown Sugar, un fuoco incrociato micidiale appena stemperato dalla splendida You Can’t Always Get What You Want.  Spero che i Rolling Stones non smettano di pubblicare live d’archivio nel periodo pre-natalizio, dato che i risultati sono sempre esaltanti: quest’anno poi abbiamo una ciliegina chiamata Bob Dylan, non esattamente l’ultimo arrivato.

Marco Verdi

Un Inatteso E Sorprendente Ritorno A Livelli Di Eccellenza. Ralph McTell – Hill Of Beans

ralph mctell hill of beans

Ralph McTell – Hill Of Beans – Leola Music

Toh, guarda chi si rivede e si risente! Ralph McTell, da Farmsborough, Kent, dove è nato quasi 75 anni fa, ma da sempre cittadino di Londra, anzi del sobborgo di Croydon, città alla quale ha dedicato il suo brano più celebre, Streets Of London, con 212 versioni cantate in giro per il mondo, non escluse ben sei (o forse sette) dello stesso Ralph, l’ultima delle quali, incisa nel 2017 insieme a Annie Lennox  per raccogliere fondi per una associazione che si occupa dei senzatetto, per la prima volta ha raggiunto il primo posto delle classifiche inglesi (prima non c’era mai riuscito, arrivando al massimo al n°2). Ma è stato anche uno dei migliori e più prolifici rappresentanti del filone del folk britannico, con oltre 50 album pubblicati, in una carriera iniziata nel lontano 1968 con un album Eight Frames A Second, prodotto da Gus Dudgeon e arrangiato da Tony Visconti (che torna a riunirsi proprio con McTell, producendo questo Hill Of Beans). Il nostro amico diciamo che pur essendo un eccellente chitarrista (solo nell’ultima decade ha rilasciato una serie di sei album dal vivo, Songs For Six Strings), è da ascrivere più al filone dei cantautori, fatte le dovute proporzioni e diverse attitudini, quello che ha prodotto Donovan, Cat Stevens, John Martyn, Nick Drake, i Fairport Convention, insieme ai quali ha spesso partecipato al loro leggendario Festival di Cropredy, ma pure Wizz Jones, altro importante musicista folk inglese col quale ha inciso diversi dischi, due anche di recente.

Hill Of Beans (che si può tradurre come montagna di fagioli, ma non ne ho mai viste, oppure come un fico secco o cosa di poco conto) è il primo album di canzoni originali di McTell dal 2010, anno in cui uscì Somewhere Down To Road, e come detto riunisce Ralph con il suo vecchio amico Tony Visconti, che già gli produsse Not Till Tomorrow del 1972: per l’occasione Visconti si porta dietro anche la ex moglie Mary Hopkin e la figlia Jessica Lee Morgan, oltre al grande contrabbassista Danny Thompson. Il CD contiene 11 canzoni, per la maggior parte scritte negli ultimi anni, ma anche una composta nel 1978 e una nel 1988, esce per la sua etichetta personale la Leola Music, e come è consuetudine dei dischi di McTell tratta dei temi più disparati, a conferma dello stile eclettico, ricco di spunti letterari, artistici e anche musicali, delle sue canzoni: la voce, nonostante lo scorrere del tempo, è ancora profonda e risonante, immediatamente riconoscibile, come certifica subito la bella Oxbow Lakes, una canzone dove le questioni amorose si intrecciano con metafore geografiche e il fingerpickinng di Ralph si immette su un arrangiamento semplice ma amabile realizzato da Visconti, che suona anche il recorder nel brano https://www.youtube.com/watch?v=FGti92mx2qs , Brighton Belle per certi versi è una affettuosa storia della propria famiglia durante la II guerra mondiale, raccontata attraverso un brano che ha l’afflato e la profondità delle più belle canzoni di Christy Moore, con il quale il nostro ha più di una affinità sia a livello di timbro vocale che per la facilità con cui sa costruire belle melodie di grande fascino, in questo caso solo con l’acustica di McTell e il contrabbasso di Thompson a scandirne i tempi.

Clear Water era già apparsa su Myths And Heroes il disco del 2015 dei Fairport Convention, qui in una versione più intima e raccolta, anche se gli archi e il coro celestiale aggiunti da Visconti gli conferiscono un livello quasi spirituale non lontano dai fasti del passato, Gertrude And Alice, è un accorato racconto che narra dell’amore tra Alice Toklas e Gertrude Stein nella Parigi degli anni ’20, attraverso un arrangiamento incentrato sul raffinato uso di fisarmonica, cello ed archi. Gammel Dansk ha una atmosfera tra cabaret mitteleuropeo, chansonnier francesi e tocchi klezmer, cantata quasi alla Leonard Cohen, molto bella, Shed Of Song è uno dei brani dalla melodia più “splendente”, tra cello, archi, piano e il solito recorder, suono molto avvolgente e classico. Close Shave è uno dei brani più tradizionali, tra blues e ragtime acustico, mentre When They Were Young,  una canzone sui fremiti del primo amore, evidenzia ancora una volta l’uso della fisarmonica e degli archi, con una melodia  incantevole e Sometimes I Wish I Could Pray, a tempo di valzer, è quasi una country song con uso di organo e steel guitar, ma con un coro gospel aggiunto, con la Hopkin e la figlia, https://www.youtube.com/watch?v=urdpp0_ViBo . In chiusura Hill Of Beans che prende in prestito le atmosfere romantiche del film Casablanca, incrociate con le esperienze parigine giovanili di McTell come busker, con tanto di citazione testuale finale “You played it for her, play it for me. Play it. Play it Sam.”. E per non farsi mancare nulla c’è anche un sentito omaggio finale al giovane Bob Dylan, quello dell’amore per Suze Rotolo, tra sbuffi di armonica e chitarra arpeggiata, West 4th Street And Jones registrata dal vivo, è un delizioso tuffo nel passato, che mette il sigillo ad un album sorprendentemente bello https://www.youtube.com/watch?v=C88NrWUENoE .

Bruno Conti

Puro Rock Chitarristico Californiano, Da Parte Di Uno Di Quelli Che Lo Hanno Inventato! Roger McGuinn’s Thunderbyrd – Live At Rockpalast 1977

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Roger McGuinn’s Thunderbyrd – Live At Rockpalast 1977 – MIG/WDR CD/DVD

Nuova pubblicazione discografica a cura della benemerita serie Rockpalast, che dal 1974 si occupa di trasmettere sulla TV tedesca concerti tenutisi in terra teutonica da alcuni dei più importanti musicisti internazionali. Per la verità lo show di cui vado ad occuparmi oggi era già uscito nel 2010 solo in formato video, ma era da tempo fuori catalogo e poi questa nuova ristampa aggiunge opportunamente anche il CD. Sto parlando di Roger McGuinn, iconico musicista “californiano” (in effetti è nato a Chicago) fondatore ed ex leader dei Byrds, che negli anni settanta aveva avviato una carriera solista fatta di album di ottima qualità: nel 1977 Roger aveva pubblicato l’eccellente Thunderbyrd (nome nato dalla fusione della Rolling Thunder Revue di Bob Dylan, della cui prima versione il nostro aveva fatto parte, e del suo ex gruppo storico), il suo miglior disco della decade insieme a Roger McGuinn & Band, un album che sembrava consolidare il nome di McGuinn tra i maggiori acts americani ma che si rivelò essere il suo ultimo lavoro solista fino a Back From Rio del 1991, anche se in mezzo ci fu la poco fortunata parentesi con gli ex compagni Chris Hillman e Gene Clark, più due altri dischi oggi dimenticati con lo stesso Hillman.

Live At Rockpalast 1977 prende il meglio da due serate del mese di Luglio dell’anno in questione, registrate alla Grughalle di Essen durante appunto il tour promozionale di Thunderbyrd a nome di Roger McGuinn’s Thunderbyrd, un vero e proprio gruppo di quattro elementi che poi è lo stesso che suonava nell’album di studio: oltre a Roger, abbiamo l’eccellente Rick Vito (già nella band di John Mayall e futuro membro dei Fleetwood Mac) alla chitarra, Charlie Harrison al basso e Greg Thomas alla batteria. Una formazione essenziale, che garantisce un alto livello di rock’n’roll per tutta la durata dello show, con le due chitarre sempre in tiro ed una serie di canzoni coinvolgenti ed eseguite benissimo grazie anche all’ottimo stato di forma di McGuinn che non risparmia consistenti quantità di “jingle-jangle sound”. L’unico album solista di Roger presente nella setlist di quindici pezzi è proprio Thunderbird, rappresentato da cinque brani, due originali più tre cover: Dixie Highway è un coinvolgente e pimpante boogie che vede ospite alle percussioni Sam Clayton dei Little Feat (che avevano aperto la serata), seguito dalla fluida We Can Do It All Over Again, un rockin’ country elettrico dal motivo diretto e decisamente orecchiabile. Poi abbiamo la classica hit di George Jones Why Baby Why (attribuita sulla confezione a McGuinn, ma le note sono piene di errori, tra nomi sbagliati e canzoni famosissime che alla voce autore recano la scritta “unknown”), arrangiata in puro stile rock’n’roll e fusa in medley con la byrdsiana Tiffany Queen, un mix irresistibile e travolgente.I brani di Thunderbyrd si esauriscono con una cover della leggendaria American Girl di Tom Petty che già in origine era un tributo ai Byrds (e con questa bella rilettura leggermente rallentata nel ritmo Roger mostra di aver apprezzato l’omaggio) e con Golden Loom di Bob Dylan, un country-rock cadenzato e godibile che all’epoca era un inedito delle sessions di Desire.

Ci sono anche tre rarità, due delle quali affidate alla voce di Vito: una solida rilettura rock-blues del traditional Juice Head ed un delizioso pezzo in puro stile Doobie Brothers intitolato Midnight Dew; a completare il trittico di pezzi poco noti la roccata Shoot Him di McGuinn, introdotta dal suo autore come Victor’s Song. Dulcis in fundo, il pezzo forte del concerto sono naturalmente i brani dei Byrds, a partire dalla splendida Lover Of The Bayou, che apre lo show in maniera potente con Roger e Rick che fanno vedere subito di essere in palla grazie ad una prestazione chitarristica strepitosa che dilata la canzone fino a sette minuti. Mr. Spaceman è puro e trascinante country-rock in un tripudio di suono jingle-jangle, mentre Chestnut Mare è una delle ballate più intense mai scritte da McGuinn. Gran finale con quattro classici uno di fila all’altro: l’omaggio all’ex compagno Gene Clark con una scintillante Feel A Whole Lot Better, le immancabili Turn!Turn!Turn! e Mr. Tambourine Man, sempre una goduria, e conclusione con una roboante versione di Eight Miles High, tra rock e psichedelia con i due chitarristi che fanno a gara di bravura, finendo in parità ma non facendo prigionieri tra il pubblico. Un live che ogni appassionato non dovrebbe farsi sfuggire, soprattutto considerando il fatto che Roger McGuinn è attualmente una sorta di pensionato di lusso.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 6. C’Erano Una Volta Un Menestrello Ed Un Uomo Vestito Di Nero…Bob Dylan (Feat. Johnny Cash) – Travelin’ Thru: Bootleg Series Vol. 15

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Bob Dylan (Feat. Johnny Cash) – Travelin’ Thru: The Bootleg Series Vol. 15 1967-1969 – Columbia/Sony 3CD Box Set

Ormai sembra che a Bob Dylan non interessi più pubblicare nuove canzoni (Tempest, l’ultimo album di materiale originale, risale al 2012, ed anche il filone “franksinatriano” si è esaurito dopo Triplicate), e così ci dobbiamo “accontentare” delle novità provenienti dai suoi smisurati archivi. Quest’anno abbiamo già potuto godere dello splendido box dal vivo relativo ai concerti del 1975 con la Rolling Thunder Revue https://discoclub.myblog.it/2019/06/11/un-sensazionale-cofanetto-per-uno-dei-tour-piu-famosi-e-belli-di-sempre-bob-dylan-rolling-thunder-revue-the-1975-live-recordings/ , ed ora la Sony si rifà viva con il quindicesimo episodio delle benemerite Bootleg Series, giusto ad un anno di distanza dal precedente volume dedicato a Blood On The Tracks. Travelin’ Thru, questo il titolo del nuovo box, si occupa di un periodo che per la verità è già stato esplorato da un paio di uscite passate, anche se evidentemente non nella sua interezza: sto parlando degli anni che vanno dal 1967 al 1969, che già erano stati interessati dal decimo volume Another Self Portrait e dall’undicesimo, che si occupava dei mitici Basement Tapes nella loro completezza. Travelin’ Thru invece è maggiormente incentrato sulle sessions di Nashville Skyline (che erano state solo sfiorate in Another Self Portrait), ma tocca anche quelle relative a John Wesley Harding e, soprattutto, comprende tutti i brani registrati nel 1969 con il grande Johnny Cash e la sua band dell’epoca, evento che viene messo in risalto fin dalla copertina di questo triplo CD (in una pratica confezione “slipcase” con solito bel libretto con foto e note, e per una volta non ci sono né versioni super deluxe né “povere”).

Tra Dylan e Cash c’era un’ammirazione reciproca che risaliva fino ai primi anni sessanta, quando i due si conobbero durante un Festival di Newport, e per Nashville Skyline Bob voleva incidere un duetto proprio con l’Uomo in Nero, che sarebbe stata la ciliegina del suo primo album a sfondo country (non il primo registrato a Nashville, dato che c’erano già stati Blonde On Blonde, che però era l’apoteosi del “sottile e selvaggio sound al mercurio”, e John Wesley Harding, pura musica folk con l’aggiunta di una sezione ritmica). Ebbene, le sessions tra Bob e Johnny andarono benissimo e nel più totale relax, molto oltre alle aspettative, ed i due incisero materiale sufficiente per più di un intero disco, anche se poi solo Girl From The North Country finirà su Nashville Skyline, ma qui finalmente possiamo sentire il prodotto totale di quei due giorni di Febbraio, il 18 e 19, con il secondo CD del box e parte del terzo “occupati” dalle canzoni registrate insieme dai due grandi musicisti. Il cofanetto inoltre prende i classici due piccioni con una fava, in quanto sistema anche eventuali problemi di copyright sulle canzoni, che scade dopo 50 anni, un po’ come era successo con la versione super deluxe del dodicesimo volume della serie, The Cutting Edge: in realtà mancherebbe ancora una pubblicazione ufficiale anche delle sessions di Bob con George Harrison, avvenute più o meno nello stesso periodo, ma qui forse la non appartenenza dell’ex Beatle al catalogo Sony è un ostacolo difficile da superare. Ma veniamo ad una disamina dettagliata dei tre dischetti che, è giusto ricordarlo, contengono musica inedita al 98%.

CD1. La presenza di Cash in questo cofanetto si è ovviamente presa i titoli principali negli articoli dedicati al cofanetto, e ciò rischia di far passare sotto silenzio che nel primo dischetto sono presenti sette rarissime versioni alternate di brani tratti dalle sessions di John Wesley Harding: una scoperta notevole, dato che negli ultimi 52 anni nulla era mai trapelato neppure a livello di bootleg, ed il mistero se ci fosse qualcosa di inedito era pertanto fittissimo. E non è che i sette pezzi inclusi qui siano copie carbone di quelli poi finiti sul disco (era lecito pensarlo, essendo il gruppo di musicisti formato solo da Bob alla chitarra acustica ed armonica, Charlie McCoy al basso e Kenneth Buttrey alla batteria, quindi un combo ridotto all’osso), in quanto forse solo I Dreamed I Saw St. Augustine è sovrapponibile all’originale. Ci sono infatti una Drifter’s Escape più lenta e forse anche migliore, una take accelerata della leggendaria All Along The Watchtower, ricca di tensione, una John Wesley Harding più vivace di quella nota ed una As I Went Out One Morning maggiormente intensa. Ma le due più diverse sono I Am A Lonesome Hobo, che qui sembra quasi un blues acustico, ed una I Pity The Poor Immigrant più ritmata dell’originale e con la melodia che differisce di parecchio, praticamente un’altra canzone (ed una delle sorprese del box). Più vicine alle versioni note le restanti otto canzoni del CD, che provengono dalle sedute di Nashville Skyline (soprattutto Peggy Day, One More Night, Country Pie la splendida I Threw It All Away), ma è sempre un piacere ri-ascoltare alcuni dei brani più piacevoli e diretti del songbook dylaniano. To Be Alone With You è comunque molto più rock’n’roll qui, Lay Lady Lay non ha la celebre parte di steel guitar (sostituita qua dell’organo), mentre Tell Me That It Isn’t True è decisamente diversa da quella conosciuta. E la chicca non manca neppure qui, cioè l’inedita outtake Western Road, un godibile country-blues cadenzato, forse già sentito ma suonato benissimo, con una menzione particolare per il dobro di Norman Blake ed il piano di Bob Wilson.

CD2. Ecco le attese sessions Dylan/Cash, con il gruppo di Johnny come backing band (compreso Carl Perkins alla solista). Ed i due mostrano di divertirsi un mondo (e noi con loro) a riprendere brani dei rispettivi repertori dividendosi le parti vocali: ascoltiamo quindi versioni uniche di classici come I Still Miss Someone, Don’t Think Twice It’s Alright in medley con Understand Your Man, One Too Many Mornings, Big River, Girl From The North Country, I Walk The Line, I Guess Things Happen That Way, Five Feet High And Rising ed anche la mitica Ring Of Fire. Ma i nostri si cimentano anche in irresistibili riletture di Matchbox di Perkins, di un doppio Elvis periodo Sun (That’s Alright Mama e Mystery Train) e deliziose versioni di classici folk come Mountain Dew, Careless Love (splendida, tra le più belle del triplo) e You Are My SunshineCD3. Le sedute del duo Bob & Johnny proseguono con uno degli highlights assoluti, cioè Wanted Man, grande country song che al tempo Dylan regalò a Cash senza inciderla per conto proprio, ma che qui è presente in una scintillante versione a due voci; le sessions si chiudono con due belle riletture di classici gospel, Amen e Just A Closer Walk With Thee, ed un doppio omaggio a Jimmie Rodgers con due medley che comprendono tra le altre frammenti di T For Texas, Waiting For A Train e Yodeling The Blues Away. Il dischetto continua con la famosa partecipazione di Bob al Johnny Cash Show (edita solo in parte in passato in DVD ma mai su CD), con due ottime versioni live di I Threw It All Away e Living The Blues con solo Bob e band, ed il classico duetto con Johnny in Girl From The North Country (questi tre pezzi sono stranamente registrati con una qualità da bootleg).

Ci sono anche due brani inediti dalle sessions di Self Portrait, ancora due omaggi a Cash (senza di lui però) con Ring Of Fire e Folsom Prison Blues, entrambe più che buone (curiosità: questi due pezzi, incisi il 3 Maggio 1969, rappresentano l’ultima session di Dylan a Nashville fino ai giorni nostri). Il box si chiude con un’altra sorpresa, cioè la seduta completa tenutasi a New York nel 1970 (ma allora perché il sottotitolo del cofanetto è 1967-1969?) insieme all’illustre banjoista Earl Scruggs ed ai suoi figli Randy e Gary per l’album Earl Scruggs Performing With His Family And Friends: se la strepitosa Nashville Skyline Rag era stata pubblicata su quel disco comunque rarissimo, East Virginia Blues della Carter Family, To Be Alone With You ed il traditional Honey, Just Allow Me One More Chance (già inciso in precedenza da Bob su Freewheelin’), tutte eseguite in puro stile bluegrass, non erano mai state ascoltate prima d’ora. Quindi siamo di fronte all’ennesimo capitolo imperdibile delle Bootleg Series dylaniane (ma ce ne sono di “perdibili”?), che questa volta sarà appetibile anche per i fans di Johnny Cash.

Marco Verdi

Una Ristampa Apprezzata Nonché “Riparatrice”. Ry Cooder – The Border Soundtrack

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Ry Cooder – The Border Soundtrack – BGO/Universal CD

Quando nel 2014 la Rhino fece uscire Soundtracks, un box di 7 CD che comprendeva altrettante colonne sonore tra le più famose ed ormai fuori catalogo ad opera di Ry Cooder (uno specialista del genere, oltre ad essere il grande musicista e ricercatore che conosciamo), avevo avuto un moto di disappunto per l’assenza di The Border, album di musiche a commento di un film del 1982 del regista britannico Tony Richardson con Jack Nicholson e Harvey Keitel (Frontiera nel nostro paese). Nel box erano comprese alcune tra le soundtracks più belle ed amate dell’artista californiano come The Long Riders, Paris Texas, Alamo Bay e Crossroads, ma anche un paio di episodi di difficile digeribilità come Johnny Handsome e soprattutto Trespass, due album con musiche strettamente connesse alle immagini dei rispettivi film e di non facile ascolto: a maggior ragione l’assenza di The Border gridava vendetta, in quanto stiamo parlando forse della miglior colonna sonora di Cooder, e quella più vicina in assoluto ad un suo normale album di canzoni (qualche anno fa era uscita su CD per la Raven australiana in coppia con Alamo Bay, ma anche questa è irreperibile da tempo).

Oggi la BGO ristampa finalmente The Border con tutti i crismi del caso, rimasterizzando il suono a dovere ed accludendo un corposo libretto con note scritte ex novo: e l’album si conferma splendido, tra le cose migliori della discografia di Cooder (meglio anche del suo album “rock” dello stesso anno, The Slide Area), sicuramente la sua soundtrack più bella insieme a Paris Texas, Alamo Bay e Crossroads. Un album dove, tra brani strumentali e cantati, il nostro mescola musica rock, folk, country e tex-mex con l’aiuto della sua inimitabile slide guitar (ma anche dell’acustica) e di una super band che comprende John Hiatt alla voce e chitarra ritmica (John all’epoca non era ancora popolare come sarebbe diventato da Bring The Family in poi), Jim Dickinson al piano, Flaco Jimenez naturalmente alla fisarmonica, Domingo Samudio (proprio il Sam “The Sham” di Wooly Bully) all’organo, Tim Drummond al basso, Jim Keltner alla batteria e Ras Baboo alle percussioni, oltre alle voci in background dei soliti noti Bobby King e Willie Green Jr., nonché dell’ex moglie di Samudio Brenda Patterson.

The Border è famoso innanzitutto per la presenza della straordinaria Across The Borderline, stupenda e toccante ballata in bilico tra Texas e Messico affidata alla voce vellutata di Freddy Fender, brano scritto da Cooder con Hiatt e Dickinson che è per il sottoscritto tra le più belle canzoni degli anni ottanta, e che perfino uno come Bob Dylan riprenderà più volte dal vivo negli anni a seguire. Altri due sono i brani scritti insieme dai tre musicisti, affidati entrambi alla voce di Hiatt: Too Late, una rock ballad intensa e melodicamente impeccabile con Ry e Jim che lavorano sullo sfondo con slide e piano (una sorta di anticipo di Bring The Family con Dickinson al posto di Nick Lowe, dato che c’è anche Keltner), e la potente Skin Game, un pezzo elettrico dalla ritmica nervosa ed uno stile vagamente blues, ancora con Ry che fa scorrere con maestria le dita sul manico della sua chitarra https://www.youtube.com/watch?v=mTx860Viz_E . C’è spazio anche per sentire la voce di Dickinson nella trascinante Texas Bop, un boogie dal ritmo acceso con grande senso dello swing ed un arrangiamento elettrico dominato ancora da chitarra e piano; Samudio si prende il centro della scena con due brani di alto livello: la bellissima Palomita, gioioso tex-mex dal gran ritmo e con la splendida fisa di Flaco in evidenza, e No Quiero, un limpido e struggente bolero che ci porta idealmente a Veracruz.

Anche la Patterson ha un pezzo tutto per lei, cioè Building Fires una country ballad dal motivo diretto (scritta da Dickinson con Dan Penn) ed ancora Ry a ricamare con classe in sottofondo. Cooder non canta nel disco, ma i restanti pezzi (tutti strumentali quindi) hanno lui come protagonista assoluto: a parte l’inquietante Earthquake, che apre l’album con sonorità quasi ambient, abbiamo la struggente e folkie Maria, per chitarra acustica e fisa, l’elettrica Highway 23, con la slide che domina in mezzo ad un background di percussioni, la delicata Rio Grande, in cui Ry riprende il tema di Across The Borderline per sola chitarra acustica, il breve frammento rock di El Scorcho ed il finale con la tenue Nino, pura e cristallina e di nuovo con solo Cooder e Flaco. The Border si conferma anche a 37 anni di distanza un ottimo disco, adattissimo anche ad un ascolto “slegato” alle immagini del film corrispondente.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 2. L’Usignolo Dagli Occhi Azzurri: Prima Parte. Judy Collins – The Elektra Albums, Volume One (1961-1968)

judy collins the elektra albums volume one

Judy Collins – The Elektra Albums, Volume One (1961-1968) – Edsel/Demon 8CD Box Set

A Maggio di quest’anno Judith Marjorie Collins, detta Judy, ha compiuto 80 anni, e per celebrare l’evento la Edsel ha pubblicato ben due cofanetti con la sua discografia completa fino al 1984, cioè fino a quando la folksinger di Seattle ha inciso per la Elektra, leggendaria etichetta fondata negli anni cinquanta da Jac Holzman. La Collins è considerata giustamente una delle più grandi cantanti folk di tutti i tempi, e nonostante non abbia mai raggiunto la popolarità di Joan Baez, dal punto di vista vocale le due non erano molto distanti, anche se come statura artistica Joan è sempre stata uno o due passi avanti (ci sarebbe poi anche Carolyn Hester, che però ha avuto una carriera decisamente più di basso profilo). Nel corso degli anni Judy ha comunque pubblicato più di un disco di valore, scegliendo con grande perizia le canzoni (è sempre stata principalmente un’interprete, anche se con gli anni ha maturato una buona capacità di scrittura) ed eseguendole con estrema raffinatezza e con la sua splendida voce da soprano a dominare il tutto. *NDB Gli ultimi due, quello in coppia con Stills https://discoclub.myblog.it/2017/09/24/alla-fine-insieme-stephen-e-judy-blue-eyes-e-forse-valeva-la-pena-di-aspettare-stills-collins-everybody-knows/  e in precedenza il disco di duetti di cui mi sono occupato sul Blog https://discoclub.myblog.it/2015/09/23/76-anni-il-primo-album-duetti-judy-collins-strangers-again/ La Collins iniziò da ragazza gli studi musicali a Denver, in Colorado, dove si era spostata con la famiglia, ed inizialmente la sua formazione era quella di una pianista classica: in breve tempo, complice l’innamoramento per il cosiddetto “folk revival” (unito ad una propensione all’attivismo sociale), imbracciò la chitarra acustica e si spostò a New York, dove nel 1960 iniziò ad esibirsi nei locali del Greenwich Village, finché non fu notata appunto da uomini della Elektra e messa subito sotto contratto.

Oggi mi occupo del primo dei due cofanetti The Elektra Albums, che come recita il sottotitolo copre in otto CD il periodo degli anni sessanta nella quasi totalità: stiamo parlando dei dischi migliori di Judy (senza bonus tracks ma con un bel libretto ricco di foto e note ed una rimasterizzazione sonora adeguata), in cui vediamo album dopo album la sua crescita artistica da giovane e un po’ ingenua cantante ad artista completa che “invaderà” anche territori country e rock, spesso incidendo canzoni di altri autori in anticipo sulle versioni originali.

CD1: A Maid Of Constant Sorrow (1961). Un discreto esordio, in cui Judy si esibisce in trio con un’altra chitarra (Fred Hellerman) ed un banjo (Erik Darling). Il tono è perlopiù drammatico e certe interpretazioni sono leggermente enfatiche e declamatorie, e perciò forse si tratta del suo lavoro più datato. Tutti i brani tranne uno (la poco nota Tim Evans di Ewan MacColl) sono tradizionali, e Judy fornisce comunque limpide versioni della title track, The Prickilie Bush (quasi un bluegrass), Wild Mountain Thyme, Oh Daddy Be Gay e Pretty Saro.

CD2: Golden Apples Of The Sun (1962). Stessa struttura in trio del primo disco (ma stavolta due chitarre più basso, ed i compagni sono Walter Reim e Bill Lee), ma un’interpretazione più riuscita e meno sopra le righe, con ottime riletture di Bonnie Ship The Diamond, Little Brown Dog, Tell Me Who I’ll Marry, Fannerio (conosciuta anche come Pretty Peggy-O), oltre ad una trascinante versione folk-gospel del classico di Reverend Gary Davis Twelve Gates To The City.

CD3: Judy Collins # 3 (1963). Splendido album questo, ancora con la Collins accompagnata da due altri musicisti (a volte tre) e dove il chitarrista ed autore degli arrangiamenti è un giovane ed ancora sconosciuto Jim McGuinn, non ancora diventato Roger. I pezzi tradizionali sono presenti in misura molto minore, e cominciano ad esserci canzoni di autori contemporanei a partire da Bob Dylan, in quel tempo già punto di riferimento per ogni folksinger che si rispettasse (Farewell e la classica Masters Of War, pubblicata quasi in contemporanea con Bob). Ci sono anche due tra i primi brani scritti da Shel Silverstein (Hey, Nelly Nelly e In The Hills Of Shiloh), il noto canto pacifista Come Away Melinda (reso popolare prima da Harry Belafonte e poi dai Weavers), oltre alla splendida Deportee di Woody Guthrie. Ma la palma della migliore se la prende l’iniziale Anathea, una stupenda western ballad gratificata da un’interpretazione da pelle d’oca. E dulcis in fundo, due canzoni appartenenti al repertorio di Pete Seeger, The Bells Of Rhymney e Turn! Turn! Turn!, che McGuinn terrà a mente e riproporrà da lì a due anni con i Byrds.

CD4: The Judy Collins Concert (1964). Primo album dal vivo di Judy (sempre in trio), registrato alla Town Hall di New York. La particolarità è che, delle 14 canzoni incluse, solo Hey, Nelly Nelly è tratta dai dischi precedenti, mentre il resto è inedito, e si divide tra brani del cantautore di culto Billy Edd Wheeler (ben tre: Winter Sky, Red-Winged Blackbird e Coal Tattoo), altrettanti di Tom Paxton (My Ramblin’ Boy, Bottle Of Wine e la meravigliosa The Last Thing On My Mind), Fred Neil (Tear Down The Walls), l’allora sconosciuto John Phillps (una deliziosa Me And My Uncle), ed ancora Dylan con una struggente The Lonesome Death Of Hattie Carroll.

CD5: Judy Collins’ Fifth Album (1965). In questo lavoro Judy si affida a qualche musicista in più del solito, introducendo strumenti come dulcimer, piano, armonica e flauto, e con la partecipazione di John Sebastian, Eric Weissberg e del cognato della Baez Richard Farina. Dylan è ancora presente come autore, e con tre pezzi da novanta (Tomorrow Is A Long Time, Daddy, You’ve Been On My Mind e la mitica Mr. Tambourine Man, brano che quell’anno ebbe quindi diverse versioni), ma c’è anche il “rivale” di Bob Phil Ochs (In The Heat Of The Summer, molto bella), e tre classici assoluti del calibro di Pack Up Your Sorrows (proprio Farina), Early Morning Rain di Gordon Lightfoot e Thirsty Boots di Eric Andersen, in anticipo di un anno sul cantautore di Pittsburgh.

CD6: In My Life (1966). In questo album Judy fa una giravolta a 360 gradi: niente atmosfere folk ma un accompagnamento orchestrale a cura di Joshua Rifkin, che però tende a mio giudizio ad appesantire troppo le canzoni, che avrebbero beneficiato maggiormente di arrangiamenti basati su voce e chitarra. Il disco presenta le prime due canzoni mai apparse su album di un giovane poeta e scrittore canadese che farà “abbastanza” strada, tale Leonard Cohen, cioè Dress Rehersal Rag e Suzanne (che è anche l’unico pezzo dall’arrangiamento folk classico); c’è poi il solito Dylan (Just Like Tom Thumb’s Blues), ancora Farina (Hard Lovin’ Loser, un po’ pasticciata), gli “esordienti” su un disco della Collins Randy Newman e Donovan (rispettivamente con I Think It’s Going To Rain Today e Sunny Goodge Street), ed anche i Beatles con la classica title track. Ma, ripeto, la veste sonora delle canzoni non mi convince (il medley tratto dall’opera teatrale Marat/Sade di Peter Weiss è quasi cabarettistico), anche se le vendite daranno ragione a Judy.

CD7: Wildflowers (1967). Questo album prosegue il discorso sonoro del precedente, anzi aumentando l’incidenza delle parti orchestrali, e diventa il disco più venduto nella carriera della cantante (arrivando al numero 5 in classifica), grazie soprattutto al suo unico singolo da Top Ten, cioè una bellissima versione del futuro classico di Joni Mitchell Both Sides Now, che però è anche l’unico pezzo ad avere un arrangiamento pop, con chitarra, basso, batteria e clavicembalo. La Mitchell come autrice è presente anche con l’iniziale Michael From Mountains, ma chi prende davvero piede è Cohen, che dona a Judy ben tre brani: Sisters Of Mercy (splendida nonostante l’orchestra), Priests e Hey, That’s No Way To Say Goodbye; troviamo addirittura una ballata del poeta del quattordicesimo secolo Francesco Landini intitolata Lasso! Di Donna, cantata in un improbabile italiano arcaico (Judy se la cava molto meglio col francese nella Chanson Des Vieux Amants di Jacques Brel). Il disco è comunque importante anche perché contiene le prime tre canzoni scritte dalla Collins (Since You Asked, Sky Fell e Albatross), anche se nessuna di esse si può definire indimenticabile.

CD8: Who Knows Where The Time Goes (1968). Judy lascia da parte le orchestrazioni e ci consegna un bellissimo disco che si divide tra folk, rock e country, con le prime chitarre elettriche ed una serie di sessionmen da urlo, come l’allora fidanzato Stephen Stills (che scriverà Suite: Judy Blue Eyes per lei), il mitico chitarrista di Elvis James Burton, Buddy Emmons alla steel, Chris Ethridge (di lì a breve nei Flying Burrito Brothers) al basso, Van Dyke Parks alle tastiere e Jim Gordon, futuro Delaney & Bonnie e Derek And The Dominos (e molti altri), alla batteria. Judy apre il disco con la rockeggiante Hello, Hooray di Rolf Kempf (che nel 1973 diventerà un classico nel repertorio di Alice Cooper), e poi si destreggia alla grande ancora con un doppio Cohen (una Story Of Isaac per sola voce, organo e clavicembalo, drammatica ed inquietante, ed una countreggiante e più leggera Bird On A Wire), una limpida rilettura del traditional Pretty Polly, un brano “minore” di Dylan (I Pity The Poor Immigrant), la splendida Someday Soon di Ian Tyson, puro country, e l’autografa My Father. Ma i due highlights sono la stupenda ballata di Sandy Denny che intitola il disco (tanto per cambiare di un anno in anticipo sui Fairport Convention), e la lunga (sette minuti e mezzo) First Boy I Loved, brano solido e complesso scritto da Robin Williamson, all’epoca membro di punta dell’Incredible String Band.

Prossimamente mi occuperò del secondo cofanetto, che raccoglierà gli album Elektra dal 1970 al 1984.

Marco Verdi

Che Lungo, Strano Viaggio E’ Stato: Un Ricordo Di Robert Hunter.

robert-hunter robert hunter 1

La frase del titolo del post è presa dalla canzone Truckin’, ed è una delle più celebri uscite dalla penna di Robert Hunter, scrittore-poeta-liricista scomparso lo scorso 23 Settembre nella sua casa di San Rafael in California all’età di 78 anni, il cui nome sarà per sempre legato a quello dei Grateful Dead ed in particolare a Jerry Garcia. Nato Robert Burns nel piccolo centro californiano di San Luis Obispo, Hunter iniziò ad interessarsi alla musica tradizionale e bluegrass fin da ragazzo, e fu introdotto all’età di 19 anni a Garcia dall’allora fidanzata di Jerry: i due, anche se non legarono al primo impatto, condividevano le stesse passioni musicali, e fu così che iniziarono ad esibirsi in piccoli locali con il nome di Bob & Jerry (Hunter si dilettava al mandolino) ed in seguito come membri di Hart Valley Drifters, Wildwood Boys e Black Mountain Boys.

La svolta avvenne quando Hunter fu “assunto” come cavia per provare gli effetti delle all’epoca nuove droghe allucinogene, in particolare LSD e mescalina: diciamo che il giovane Robert andò leggermente “oltre” quanto richiesto dall’esperimento scientifico e divenne un convinto consumatore di tali sostanze, cosa che contribuì senz’altro alla creazione di poesie e scritti di carattere psichedelico e surreale. La cosa fu notata da Garcia (che nel frattempo aveva formato i Warlocks, i quali a breve cambieranno nome in Grateful Dead), al quale serviva un paroliere per le sue canzoni altrettanto influenzate dagli acidi: il resto è storia, e parla di un sodalizio tra i due continuato per trent’anni, cioè fino alla morte di Jerry avvenuta nel 1995, una unione che ha prodotto un’infinità di brani ormai diventati classici del rock mondiale, a partire dall’inno psichedelico Dark Star e continuando con capolavori del calibro di Uncle John’s Band, Friend Of The Devil, Casey Jones, China Cat Sunflower, Scarlet Begonias, RippleBertha, Brown-Eyed Women, Ripple, Tennessee Jed, Dire Wolf, Touch Of Grey e Black Muddy River (ma potrei andare avanti all’infinito).

La collaborazione tra Robert e Jerry si sviluppò anche negli album solisti di Garcia, e saltuariamente il nostro collaborò anche con altri membri dei Dead, come Bob Weir (Sugar Magnolia, anche se la controparte preferita da Weir era John Barlow), Phil Lesh (Box Of Rain) ed anche Ron “Pigpen” McKernan (Mr. Charlie). Ma Hunter, che venne sempre considerato una sorta di membro aggiunto dei Dead, scrisse anche diversi libri e soprattutto pubblicò anche un buon numero di album come solista, sia cantati che spoken word, anche se va detto che nessuno di essi può essere considerato indispensabile. Ma la carriera di paroliere di Hunter non si fermò solo ai Dead e Garcia, in quanto collaborò anche con artisti come New Riders Of The Purple Sage, Bruce Hornsby, Little Feat, Jim Lauderdale e soprattutto Bob Dylan (uno che non avrebbe certo bisogno di un co-autore, specie per i testi), con il quale compose due brani che finiranno sul non eccelso Down In The Groove del 1988 (Ugliest Girl In The World e Silvio, non proprio due capolavori), ma specialmente la quasi totalità delle canzoni contenute nell’ottimo Together Through Life del 2009 ed anche il brano Duquesne Whistle da Tempest del 2012.

Ora Robert è quindi tornato a fare compagnia a Jerry, e chissà se i due non comporranno qualche nuovo pezzo ad esclusivo beneficio degli angeli.

Marco Verdi

P.S: un breve accenno anche ad altri due artisti scomparsi nei giorni scorsi: Eddie Money, cantante e chitarrista americano di discreta fama negli anni settanta ed ottanta con brani in stile pop-rock come Baby Hold On, Two Tickets To Paradise, Take Me Home Tonight e Walk On Water

, e Ric Ocasek, popolarissimo leader dei Cars (uno dei gruppi cardine della new wave degli anni ottanta), che frequentò a lungo le classifiche dell’epoca con album come Candy-O, Panorama e Heartbeat City e singoli come Shake It Up, You Might Think, Drive e Tonight She Comes, uno degli artisti più di successo della decade nonostante il non proprio lusinghiero soprannome di “più brutta rockstar del mondo”.

Novità Prossime Venture 20. Doppia Razione Di Rolling Stones A Novembre: Il 1° Esce La Solita Ristampa Natalizia “Inutile” E Costosa Di Let It Bleed, Il Giorno 8 Un Molto Più Interessante Bridges To Buenos Aires Audio + Video.

rolling stones let it bleed box

Rolling Stones – Let It Bleed – 2xLP/2xSACD/1 45 giri – ABKCO/Universal – 01-11-2019

Nello splendore dell’immagine riportata qui sopra, che cliccandoci sopra potete allargare fino a perdercisi dentro a questo splendido manufatto, che propone la versione Super Deluxe di uno dei dischi più belli in assoluto degli Stones, ovvero Let It Bleed. Poi, al solito, uno comincia a ragionarci sopra: per una cifra indicativa tra i 140 e 150 euro cosa ti offrono? Beh, per iniziare zero inediti e/o brani rari: d’accordo si tratta del materiale del periodo ABKCO, su cui Jagger e soci non possono accampare diritti in quanto è di proprietà della società che faceva capo allo scomparso Allen Klein (morto per Alzheimer nel 2009, e uno potrebbe fare strani collegamenti per come veniva gestito il catalogo degli Stones, ma anche ora le politiche più che musicali sono rimaste sempre strettamente commerciali). Quindi collaborazione dei membri della band ridotta a zero e accesso a materiale inedito non pervenuta (anche se per il Rock And Roll Circus qualcosa era stato fatto). Andando a vedere i contenuti nello speciifico cosa troviamo: versione rimasterizzata da Bob Ludwig, in mono e stereo, sia dei vinili che dei SACD ibridi, 45 giri mono con copertina del singolo del 1969 Honky Tonk Women’/ ‘You Can’t Always Get What You Want, 3 litografie 12×12 numerate, stampate su carta speciale, un manifesto 23×23 con la grafica ripresa dal vecchio album della Decca, più un bellissimo libro rilegato di 80 pagine con nuove foto e note curate dall’onnipresente giornalista David Fricke.

Quindi per chi è interessato alla musica nulla di particolare interesse (oppure se siete interessati ad ascoltare il nuovo remaster del 2019 vi potete acquistare semplicemente il CD singolo oppure le versioni in vinile che verranno annunciate): per carità manufatto molto interessante, ma anche tanta aria fritta, perciò se non siete collezionisti compulsivi feticisti nonché facoltosi, il tutto risulta abbastanza inutile. Cionondimeno ecco la lista completa dei contenuti.

LP 1 – Stereo
Side 1
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
Side 2
1. Midnight Rambler
2. You Got the Silver
3. Monkey Man
4. You Can’t Always Get What You Want

LP 2 – Mono
Side 1
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
Side 2
1. Midnight Rambler
2. You Got the Silver
3. Monkey Man
4. You Can’t Always Get What You Want

Hybrid Super Audio CD 1 – Stereo
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
6. Midnight Rambler
7. You Got the Silver
8. Monkey Man
9. You Can’t Always Get What You Want

Hybrid Super Audio CD 2 – Mono
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
6. Midnight Rambler
7. You Got the Silver
8. Monkey Man
9. You Can’t Always Get What You Want

7” vinyl single – (Mono)
Side A – Honky Tonk Women
Side B – You Can’t Always Get What You Want

rolling stones bridges to buenos aires

Rolling Stones – Bridges To Buenos Aires – 1DVD/2CD and 1BD/2CD  Eagle/Universal – 08-11-2019

Molto più interessante l’uscita della settimana successiva, questa volta curata dall’entrourage dei Rolling Stones, che rende disponibile per la prima volta il concerto completo tenuto a Buenos Aires il 5 aprile del 1998 al River Plate Stadium, nel corso del Bridges To Babylon Tour di cui di recente è uscito anche https://discoclub.myblog.it/2019/07/03/due-giorni-con-gli-stones-parte-2-bridges-to-bremen/ , sempre estratto dalla stessa tournée. Dalle prime notizie pareva che nel concerto ci fosse anche la presenza di Bob Dylan, cosa che poi si è rivelata vera, anche se il vecchio Bob appare solo nella versione di Like A Rolling Stone (comunque una rarità assoluta).

Il concerto, grazie al cielo, esce solo nelle due versioni riportate sopra, ovvero le canoniche 2 CD + DVD o 2 CD + Blu-ray, e questo è la tracklist completa (veramente, non posso esimermi, per essere sinceri ed onesti fino in fondo, uscirà anche una versione tripla limitata in vinile colorato blu, molto costosa e il DVD o il Blu-ray singoli).

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Tracklist
1. (I Can’t Get No) Satisfaction
2. Let’s Spend The Night Together
3. Flip The Switch
4. Gimme Shelter
5. Sister Morphine
6. Its Only Rock ‘N’ Roll (But I Like It)
7. Saint Of Me
8. Out Of Control
9. Miss You
10. Like A Rolling Stone (featuring Bob Dylan)
11. Thief In The Night
12. Wanna Hold You
13. Little Queenie
14. When The Whip Comes Down
15. You Got Me Rocking
16. Sympathy For The Devil
17. Tumbling Dice
18. Honky Tonk Women
19. Start Me Up
20. Jumpin’ Jack Flash
21. You Can’t Always Get What You Want
22. Brown Sugar

Nei prossimi giorni altri annunci di ulteriori future uscite di particolare interesse per i lettori del Blog.

Bruno Conti

Novità Prossime Venture 19. Bob Dylan – Travelin’ Thru: The Bootleg Series Vol. 15 1967-1969. Questa Volta Tocca Al Periodo Nashville.

bob dylan travelin' thru bootle series vol.15

Bob Dylan – Travelin’ Thru: The Bootles Series Vol. 15 1967-1967 – 3 CD Columbia/Legacy – 01-11-2019

Anche se quest’anno Bob Dylan in teoria aveva già dato con lo splendido box dedicato alla Rolling Thunder Revue https://discoclub.myblog.it/2019/06/11/un-sensazionale-cofanetto-per-uno-dei-tour-piu-famosi-e-belli-di-sempre-bob-dylan-rolling-thunder-revue-the-1975-live-recordings/ , non poteva mancare il consueto appuntamento annuale nel periodo natalizio con un nuovo capitolo delle Bootleg Series. Se ne parlava da tempo come uno dei periodi della carriera musicale di Bob dove era nota la presenza di parecchio materiale inedito interessante. Anche se a ben guardare Travelin’ Thru, il capitolo 15 della serie dedicata agli archivi di Dylan esce solo in una versione in triplo CD: niente mega cofanetti lussuosi e costosi, ma un box essenziale con 50 canzoni estratte dal periodo Nashvilliano del grande cantautore, con ogni CD dedicato ad un argomento specifico.

Nel primo album troviamo diverse versioni alternative estratte dalle sessions per John Wesley Harding, tenutesi la famoso Studio A della Columbia in quel di Nashville, tra il 17 ottobre e il 6 novembre del 1967, e altre sessioni di registrazione con ulteriore materiale mai pubblicato prima (sempre a livello ufficiale), non utilizzate per l’album Nashville Slyline, il 13 e 14 febbraio 1969, tra cui un brano inedito Western Road. Nel secondo e terzo CD ci sono moltissimi brani relativi alla collaborazione con Johnny Cash (che infatti, per la prima volta in uno dei volumi della serie, viene omaggiato in copertina con un Featuring): ci sono le famose sessioni al solito Studio A della Columbia con versioni alternative di canzoni di Nashville Syline, ma anche tracce registrate durante le prove e lo spettacolo per il Johnny Cash Show del 1° Maggio 1969 al Ryman Auditorium, spettacolo che poi sarebbe andato in onda sulla ABC-TV il 7 giugno dello stesso anno. E in conclusione del terzo CD ci sono anche alcuni estratti dallo special registrato per la PBS, la televisione di stato americana, il 17 maggio 1970 e poi mandato in onda a Gennaio del 1971 con il titolo di Earl Scruggs: His Family and Friends, una rara collaborazione con il leggendario banjoista, uno degli inventari del bluegrass nel dopoguerra.

Come al solito ecco il contenuto completo dei 3 CD con tutte le informazioni note finora rese note. Ovviamente al momento dell’uscita sarà nostra cura (allerto già fin d’ora l’amico Marco Verdi) fornirvi un resoconto dettagliato del cofanetto.

[CD1]
1. Drifter’s Escape (Take 1)
2. I Dreamed I Saw St. Augustine (Take 2)
3. All Along the Watchtower (Take 3)
4. John Wesley Harding (Take 1)
5. As I Went Out One Morning (Take 1)
6. I Pity the Poor Immigrant (Take 4)
7. I Am a Lonesome Hobo (Take 4)
8. I Threw It All Away (Take 1)
9. To Be Alone with You (Take 1)
10. Lay, Lady, Lay (Take 2)
11. One More Night (Take 2)
12. Western Road (Take 1)
13. Peggy Day (Take 1)
14. Tell Me That It Isn’t True (Take 2)
15. Country Pie (Take 2)

[CD2: All BD + JC]
1. I Still Miss Someone (Take 5)
2. Don’t Think Twice, It’s All Right / Understand Your Man (Rehearsal)
3. One Too Many Mornings (Take 3)
4. Mountain Dew (Take 1)
5. Mountain Dew (Take 2)
6. I Still Miss Someone (Take 2)
7. Careless Love (Take 1)
8. Matchbox (Take 1)
9. That’s All Right, Mama (Take 1)
10. Mystery Train / This Train Is Bound for Glory (Take 1)
11. Big River (Take 1)
12. Girl from the North Country (Rehearsal)
13. Girl from the North Country (Take 1)
14. I Walk the Line (Take 2)
15. Guess Things Happen That Way (Rehearsal)
16. Guess Things Happen That Way (Take 3)
17. Five Feet High and Rising (Take 1)
18. You Are My Sunshine (Take 1)
19. Ring of Fire (Take 1)

[CD3]
1. Studio Chatter by Bob Dylan & Johnny Cash
2. Wanted Man (Take 1) by Bob Dylan & Johnny Cash
3. Amen (Rehearsal) by Bob Dylan
4. Just a Closer Walk with Thee (Take 1) by Bob Dylan & Johnny Cash
5. Jimmie Rodgers Medley No. 1 (Take 1) by Bob Dylan & Johnny Cash
6. Jimmie Rodgers Medley No. 2 (Take 2) by Bob Dylan & Johnny Cash
7. I Threw It All Away (Live on The Johnny Cash Show) (Mono)
8. Living the Blues (Live on The Johnny Cash Show) (Mono)
9. Girl from the North Country (Live on The Johnny Cash Show) (Mono) by Bob Dylan & Johnny Cash
10. Ring of Fire (Outtake) by Bob Dylan
11. Folsom Prison Blues (Outtake) by Bob Dylan
12. Earl Scruggs Interview (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
13. East Virginia Blues (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
14. To Be Alone with You (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
15. Honey, Just Allow Me One More Chance (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
16. Nashville Skyline Rag by Earl Scruggs & Bob Dylan

bob dylan travelin' thru bootle series vol.15 3 lp

Per gli amanti del vinile, ci sarà anche una versione in triplo LP: per il momento è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

La Serie Riprende Con Uno Dei Suoi Episodi Migliori. Jerry Garcia Band – Garcia Live Vol. 11

garcialive 11

Jerry Garcia Band – Garcia Live Vol. 11: Providence, RI, November 11th 1993 – ATO 2CD

Dopo una pausa di circa un anno e mezzo (ma quattro mesi fa è uscito il sestuplo Electric On The Eel) riprende la benemerita serie di album dal vivo tratti dagli archivi del compianto Jerry Garcia, che si occupa di pubblicare concerti tenuti dal nostro all’infuori dei Grateful Dead https://discoclub.myblog.it/2018/03/07/una-delle-migliori-annate-per-il-capitano-jerry-jerry-garcia-band-garcia-live-volume-10/ . Questo undicesimo volume, registrato l’11 Novembre del 1993 al Civic Center di Providence nel Rhode Island ha una particolarità, essendo il concerto completo più recente mai pubblicato per quanto riguarda il barbuto chitarrista californiano. Infatti negli anni passati erano uscite delle canzoni sparse dei Dead in alcune compilation di inediti, compreso qualche brano inciso nel 1995 poco prima della morte di Jerry, ma per quanto riguarda i concerti interi questo è il più recente (escludendo ovviamente il mega-cofanetto da 80 CD dei Dead 30 Trips Around The Sun, dove ci sono anche due show completi del 1994 e 1995, ma non disponibili separatamente). Inoltre questa è una delle ultime esibizioni in assoluto per la Jerry Garcia Band, che dopo l’ultima serata del 19 Novembre non avrebbe più tenuto spettacoli se non dopo la scomparsa del leader.

Non solo dunque questo è l’episodio più recente della serie Garcia Live, ma è anche uno dei più riusciti, in quanto il nostro è in forma che non esiterei a definire splendida, e con lui il resto del gruppo che ormai era insieme da anni e si amalgamava alla perfezione con la magica chitarra di “Captain Trips”, in particolare il formidabile Melvin Seals all’organo (e non al synth come ogni tanto succedeva negli anni precedenti), ma anche la sezione ritmica di John Kahn (basso) e David Kemper (batteria, da lì a tre anni nella band di Bob Dylan) si dà da fare non poco, e pure le due coriste Jaclyn LaBranch e Gloria Jones sono egregiamente funzionali al suono e non invadenti come ogni tanto capitava. Tredici brani su due CD, con il consueto mix tra brani originali (pochi) e cover: il suono è scintillante e la performance davvero splendida ed ispirata, con Jerry che in quel periodo era al massimo della sua espressione artistica. Peccato che “The Reaper” se lo sarebbe portato via da lì a meno di due anni. Il concerto inizia subito con due dei tre brani totali a firma Garcia/Hunter, una Cats Under The Stars molto fluida e suonata in maniera decisamente rilassata, cantata discretamente (la voce non è mai stata il punto forte di Jerry) e con chitarra ed organo già belli pronti; ancora meglio Mission In The Rain, che è migliore come canzone e qui Garcia ed i suoi la rifanno in modo molto intenso, con la chitarra più liquida che mai: nove minuti di grande musica.

Dopo i dieci minuti assolutamente godibili di That’s What Love Will Make You Do (Little Milton), suonata con uno stile a metà tra blues e funky ed un grandissimo lavoro di organo, abbiamo l’unico brano di Dylan della serata (di solito ne facevano due o tre), ma che è sicuramente tra gli highlights, e cioè una Simple Twist Of Fate lenta, intensa e quasi magica, cantata benissimo da Jerry e ricca di pathos, altri 13 minuti che volano in un baleno. Una sorpresa è la presenza di Ain’t No Bread In The Breadbox di Norton Buffalo, una bella versione corale e dal sound vibrante, ancora con Garcia e Seals che fanno a gara a chi è più bravo; il finale del primo CD è per una saltellante My Sisters And Brothers (The Sensational Nightingales) stranamente sintetica nei suoi quattro minuti, e la sempre trascinante Deal, strepitosa rilettura dell’ultimo pezzo originale di Jerry. Nel secondo dischetto Garcia ribadisce il suo amore per il rhythm’n’blues con due pezzi di Smokey Robinson, portati al successo rispettivamente dai Temptations (The Way You Do The Things You Do) e dalle Marvelettes (The Hunter Gets Captured By The Game), due canzoni che il nostro adatta alla perfezione al suo stile, con un grande aiuto da parte delle due coriste.

Jerry amava molto anche Van Morrison, e qui lo dimostra con un’intensissima He Ain’t Give You None (che proviene dal periodo Bang dell’irlandese, e che Garcia aveva già pubblicato nel suo Compliments), eseguita con il massimo rispetto e senza stravolgere la melodia, tipica del cantante di Belfast. Non mancano neppure i Beatles, e se Dear Prudence nel White Album era un breve e delicato pastiche acustico qui diventa un tour de force di quasi 12 minuti, con un’altra prestazione strumentale collettiva maiuscola. Conclusione con una vitale Don’t Let Go di 13 minuti, dotata di una parte centrale quasi psichedelica in cui la chitarra tocca vette altissime, seguita da una superlativa Midnight Moonlight di Peter Rowan, dal tempo veloce e con un arrangiamento deliziosamente country-rock. Un concerto quindi senza sbavature, anzi direi quasi perfetto, tra i più belli della serie.

Marco Verdi