Le Loro Prime Registrazioni Dal Vivo, Di Nuovo Disponibili. Allman Brothers Band – Fillmore East, February 1970

allman brothers fillmore east february 1970

Allman Brothers Band – Fillmore East, February 1970 – Allman Brothers Band Recording Company

Il sottotitolo del CD recita “Bear’s Sonic Journals”, in quanto le registrazioni provengono dagli archivi della Owsley Stanley Foundation, dove vengono conservati soprattutto tutti i concerti che Owsley Stanley registrava per i Grateful Dead, in qualità di loro tecnico del suono ufficiale, ma anche di diversi altri gruppi che all’epoca avevano diviso i palchi con la band di Jerry Garcia. Sia per chi conosce il livello sonoro quasi “prodigioso” di molte di queste registrazioni d’epoca, sia in particolare per i fans degli Allman Brothers, questo Fillmore East, February 1970, non dico che rivesta la stessa importanza dei famosi concerti del marzo del 1971 ma è comunque un documento importante per tracciare lo sviluppo della band dei fratelli Allman, di Dickey Betts e di tutti i loro compagni di avventura, in quanto il sestetto sudista già in queste prime trasferte newyorchesi, sia pure nel “tempo limitato” come opening act di Love Grateful Dead, e benché l’album del momento Idlewild South non avesse venduto molto, comincia a farsi una grossa reputazione per i propri concerti e inizia ad inserire in repertorio alcuni brani che poi sarebbero divenuti futuri cavalli di battaglia assoluti delle esibizioni live, come ad esempio In Memory Of Elizabeth Reed, lo strumentale di Dickey Betts, che fa la sua prima apparizione discografica con questa registrazione.

Per i lettori più attenti ricordo che questo disco era già brevemente apparso negli anni ’90, con un altra copertina (che vedete più in basso), ma lo stesso contenuto, venduto direttamente dal merchandising degli ABB, e comunque non più disponibile da moltissimo tempo. Nella nuova versione il suono, già molto buono di per sé, è stato ulteriormente restaurato e masterizzato, nei limiti del possibile, dagli stessi tecnici che si occupano abitualmente dello smisurato archivio dei Dead. Si diceva di In Memory Of Elizabeth Reed che apre il CD, che contiene brani estrapolati da tre diverse esibizioni al Fillmore East dell’11,13 e 14 febbraio 1970. si tratta di una versione più “concisa”, solo 9 minuti e 22 secondi, tra le prime esecuzioni della canzone, e forse quella che si considera la prima in assoluto come data di registrazione: ebbene l’interplay tra le due soliste di Duane Allman Dickey Betts è già rodato da circa un anno di prove, concerti e lavori di studio, le due chitarre lavorano di fino, spesso all’unisono, con fare sinuoso e raffinato, supportate dall’organo di Gregg e dalla ritmica spettacolare, in questo splendido brano strumentale che rimane una delle vette supreme della loro arte, anche in questa versione più breve ma già perfettamente formata, dove l’arte dell’improvvisazione regna suprema.

allman brothers fillmore east february 1970 prima copertina

Anche il resto del concerto è molto buono, più “bluesato” e appena meno southern si potrebbe dire, con la voce di Gregg Allman che è più grezza e ruvida, anche aspra atratti, rispetto al timbro più rotondo che acquisirà già dai mesi successivi, ma forse è solo una mia impressione. Comunque nel complesso le versioni, che risultano magari più ruvide, meno rifinite, sono in ogni caso interessanti perché rapresentano la traiettoria dello sviluppo del loro sound, e lasciano intravedere che band spettacolare diventeranno, (ma già erano) gli Allman Brothers: il repertorio ha punti di contatto e differenze con il Live At Ludlow Garage registrato solo due mesi dopo in aprile. Hoochie Coochie Man è fiera e gagliarda, con Berry Oakley alla voce solista, per un blues dal repertorio di Muddy Waters solido e potente, mentre Statesboro Blues con il classico riff alla slide di Duane Allman è cantata comunque con impeto da Gregg, sia pure con questa voce che sembra più sforzata e meno ispirata, ma rimane un bel sentire. Trouble No More va di swingante groove e le chitarre si inseguono gagliarde e pungenti in questa composizione di McKinley Morganfield a.k.a. Muddy Waters.

I’m Gonna Move To The Outskirts Of Town è un vecchio blues degli anni ’30, un bellissimo slow di William Weldon, ma la rilettura degli Allman, come dicono loro stessi nella breve presentazione, si rifà alla versione di Ray Charles, con tanto “soul” questa volta nella voce di Gregg, brano dalle atmosfere ricche ed avvolgenti e di grande fascino, prima di travolgerci nuovamente con il classico riff ascendente di Whipping Post, dove però la voce mi sembra nuovamente troppo gutturale e sforzata, per il resto nulla da dire sugli affascinanti intrecci tra chitarre e organo sempre poderosi ed incalzanti, anche se ovviamente la versione da 23 minuti presente sul At Fillmore East originale rimane inarrivabile, e una delle due chitarre si sente un po’ in lontananza nello spettro sonoro. Per concludere la esibizione rimane una lunga, 30:46, ma non lunghissima, rilettura di Mountain Jam, lontana da quella lunghissima di 44 minuti presente nel concerto al Ludlow Garage e con diversi punti di contatto con quella riportata su Eat A Peach, meno spazio ai lunghi assoli di batteria, peraltro presenti e più spazio alle interminabili ma godibilissime jam tra chitarre e organo, che prendono lo spunto dalla First There Is A Mountain di Donovan e ci spediscono nella stratosfera della migliore musica rock: all’inizio Gregg annuncia modestamente “a little jam”, poi in effetti ognuno si prende tutti i giusti spazi a partire dalle due splendide soliste di Allman e Betts. Semplicemente grande musica.

Bruno Conti

Un “Classico” Come Tutti Gli Anni: Il Meglio Del 2017 In Musica Secondo Disco Club! Parte II

meglio del 2017

segue

Ecco la seconda parte.

BEST of 2017 secondo Marco Frosi

 tedeschi trucks band live from the fox oakland

Tedeschi Trucks Band – Live From The Fox, Oakland

rhiannon giddens freedom highway

Rhiannon Giddens – Freedom Highway

father john misty pure comedy

Father John Misty – Pure Comedy

Drew Holcomb – Souvenir

rodney crowell close ties

Rodney Crowell – Close Ties

John Mellencamp – Sad Clowns & Hillbillies

Chris Stapleton – From A Room Volume 1

jason isbell the nashville sound

Jason Isbell & 400 Unit – The Nashville Sound

Little Steven – Soulfire

Willie Nille – Positively Bob:Willie Nile Sings Bob Dylan

sonny landreth recorded live in lafayette

Sonny Landreth – Recorded Live In Lafayette

Shannon McNally – Black Irish

Gregg Allman – Southern Blood

Van Morrison – Roll With The Punches & Versatile

dream syndicate how did i find myself here

The Dream Syndicate – How Did I Find Myself Here?

Steve Winwood – Winwood Greatest Hits Live

Bruce Cockburn – Bone On Bone

chris hillman bidin' my time

Chris Hillman – Bidin’ My Time

david crosby sky trails

David Crosby – Sky Trails

Joe Henry – Thrum

james maddock insanity vs. humanity

James Maddock – Insanity Vs Humanity

zachary richard gombo

Zachary Richard – Gombo

Bob Dylan – Trouble No More:The Bootleg Series Vol.13

jackson brown the road east live in japan

Jackson Browne – The Road East Live in Japan

tajmo

Taj Mahal & Keb Mo – TajMo

Joe Bonamassa – Live At Carnegie Hall, An Acoustic Evening

walter trout we're al in this together

Walter Trout – We’re All In This Together

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Live At Red Rocks

cheap wine dreams

Cheap Wine – Dreams

 

Marco Frosi

 

“Last but not least” ecco la lista provvisoria del sottoscritto, “Me, Myself, I”, per citare Joan Armatrading una delle mie cantautrici preferite di sempre. Provvisoria, perché mi riservo di integrarla, è all’incirca quella che ho inviato per la Poll 2017 del Buscadero, con alcune integrazioni di dischi che al momento in cui ho stilato la lista non erano ancora usciti, ma meritano assolutamente di essere inseriti tra i migliori di questa annata. Come al solito sono in ordine sparso di preferenza.

Il Meglio del 2017 secondo Bruno Conti

gregg allman southern blood

Gregg Allman – Southern Blood

richard thompson acoustic classics IIrichard thompson acoustic rarities

Richard Thompson -Acoustic Classics II + Acoustic Rarities

Walter Trout And Friends – We’re All In This Together

Joe Bonamassa Live At Carnegie Hall An Acoustic Evening

Joe Bonamassa – Live At Carnegie Hall: An Acoustic Evening  Nel frattempo il buon Joe ne ha già inciso uno nuovo con Beth Hart Black Coffee, molto bello, non ve ne posso parlare ancora in dettaglio perché uscirà il prossimo 26 gennaio.

Tom Jones – Live On Soundstage With Alison Krauss

john mellencamp Sad_Clowns_&_Hillbillies_Cover_Art

John Mellencamp – Sad Clowns And Hillbillies

offa rex the queen of hearts

Offa Rex – The Queen Of Hearts

The Waifs – Ironbark

the magpie salute

The Magpie Salute – The Magpie Salute

gov't mule revolution come...revolution go

Gov’t Mule – Revolution Come…Revolution Go

Tedeschi Trucks Band – Live From The Fox Oakland

van morrison roll with the punchesvan morrison versatile

Van Morrison – Roll With The Punches & Versatile

nathaniel rateliff and the night sweats live at red rock

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Live At Red Rocks

Aggiunte Dell’Ultima Ora

tom petty san francisco serenades

Tom Petty & The Heartbreakers – San Francisco Serenades – 3 CD Live At Fillmore 1997 Ne leggerete prossimamente, un disco dal vivo “non ufficiale” ma strepitoso!

christy moore on the road 

Christy Moore – On The Road

 

Ristampe

bob dylan bootleg series 13 trouble no more

Bob Dylan – Trouble No More – The Bootleg Series Vol.13

tim buckley the complete album collection

Tim Buckley – The Complete Album Collection

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Pentangle – The Albums 1968-1972

 

Evento Musicale Dell’Anno: La Morte di Tom Petty!

More To Come. Ovviamente tutte queste liste servono anche da ripasso, se vi è sfuggito qualcosa durante l’anno qui potete fare un veloce ripasso delle migliori uscite dell’anno secondo i gusti del Blog naturalmente. Prossimamente, come tutti gli anni troverete anche le classifiche di alcune dei principali Blog e delle più note riviste musicali, ma anche le recensioni di alcuni dei dischi che ci sono “sfuggiti” per vari motivi: mancanza di tempo, dimenticanze o pura ignoranza.

Alla prossima.

Bruno Conti

 

Un “Classico” Come Tutti Gli Anni: Il Meglio Del 2017 In Musica Secondo Disco Club! Parte I

meglio del 2017meglio del 2017 2

Come tutti gli anni in questo periodo abbiamo riunito un trust di cervelli (con una aggiunta rispetto allo scorso anno) e questo è il risultato del nostro meditato e assolutamente libero pensare. Ecco quelli che secondo il nostro parere personale sono i migliori dischi del 2017. Visto che i collaboratori sono abbastanza “indisciplinati” ognuno ha impostato le proprie preferenze seguendo i propri criteri e dilungandosi abbastanza (ma questa è una tradizione del Blog che non voglio tradire), ed il sottoscritto, in qualità di titolare del Blog, si è riservato come sempre di integrare questa prima lista (che è più o meno quella che ho elaborato per il Buscadero) con appendici ed aggiunte varie.Quest’anno le varie classifiche di preferenza vengono presentate in ordine di arrivo nel Blog dei vari collaboratori, con chi scrive che appare per ultimo. Per cui, intanto che a Milano nevica, direi di partire, ricordandovi che ho integrato le liste con le copertine di alcuni dischi e video tratti dagli stessi, cercando di non ripetermi. Di alcuni non abbiamo ancora pubblicato le recensioni (anche per colpa principalmente del sottoscritto piuttosto indaffarato pure con la rivista, come forse avrete notato) ma cercheremo di recuperare con i ripassi di fine anno e le ultime uscite. Visto che è piuttosto lungo il Post è stato diviso in due.

Parte I

I BEST DEL 2017 secondo Marco Verdi

gregg allman southern blood

Disco Dell’Anno: Gregg Allman – Southern Blood

dan auerbach waiting on a song

Piazza D’Onore: Dan Auerbach – Waiting On A Song

Gli Altri 8 Della Top 10:

bob dylan trouble no more

Bob Dylan – Trouble No More: The Bootleg Series Vol. 13

john mellencamp Sad_Clowns_&_Hillbillies_Cover_Art

John Mellencamp – Sad Clowns And Hillbillies

chris hillman bidin' my time

Chris Hillman – Bidin’ My Time

blackie and the rodeo kings kings and kings

Blackie & The Rodeo Kings – Kings & Kings

little steven soulfire

Little Steven – Soulfire

marty stuart way out west

Marty Stuart – Way Out West

mavericks brand new day

The Mavericks – Brand New Day

roger waters is this life we really want

 Roger Waters – Is This The Life We Really Want?

 I “Dischi Caldi”:

chris stapleton from a room vol.1chris stapleton from a room vol .2

Chris Stapleton – From A Room 1 & 2

van morrison roll with the punchesvan morrison versatile

Van Morrison – Roll With The Punches & Versatile

tim grimm a stranger in this time

Tim Grimm – A Stranger In This Time

steve earle so you wanna be an outlaw

Steve Earle – So You Wanna Be An Outlaw

 

Ristampe:

woody guthrie the tribute concerts front

Various Artists – Woody Guthrie: The Tribute Concerts

beatles sgt, pepper

The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band 50th Anniversary

 

Album Dal Vivo:

old crow medicine 50 years of blond on blonde

Old Crow Medicine Show – 50 Years Of Blonde On Blonde

rolling stones sticky fingers at the fonda theatre cd+dvd

Rolling Stones – Sticky Fingers Live At Fonda Theat

grateful dead cornell 5-8-1977

Grateful Dead – Cornell 5/8/77

nathaniel rateliff and the night sweats live at red rock

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Live At Red Rocks

DVD/BluRay: Bob Dylan – Trouble No More: A Musical Film

Concerto: Rolling Stones a Lucca

 bob seger i knew when

Canzone: Bob Seger – I Knew You When

Dan Auerbach – Waiting On A Song

Roger Waters – Deja Vu

Bob Dylan – Ain’t Gonna Go To Hell For Anybody

 willie nile positively bob

Album Tributo: Willie Nile – Positively Bob

Cover Song: Gregg Allman – Black Muddy River  

 waterboys out of all this blue

La Delusione: The Waterboys – Out Of All This Blue

jeff lynne's elo wembley or bust front

Piacere Proibito: Jeff Lynne’s ELO – Wembley Or Bust

john fogerty blue moon swamp

“Sola” Dell’Anno: John Fogerty – Blue Moon Swamp 20th Anniversary

Evento Dell’Anno: purtroppo, l’inattesa e sconvolgente scomparsa di Tom Petty, un fatto talmente tragico da oscurare perfino la perdita di Gregg Allman.

Marco Verdi

 

Il Meglio Del 2017 secondo Tino Montanari

Joe Bonamassa Live At Carnegie Hall An Acoustic Evening

Disco Dell’Anno

Joe Bonamassa – Live At Carnegie Hall Acoustic Evening

Canzone Dell’Anno

Otis Taylor – Jump To Mexico

natalie merchant the collection

Cofanetto Dell’Anno

Natalie Merchant – The Natalie Merchant Collection

eric andersen be true to you sweet surprise

Ristampa Dell’Anno

Eric Andersen – Be True To You / Sweet Surprise

mavis staples i'll take you there concert celebration

Tributo Dell’Anno

Mavis Staples & Friends – I’ll Take You There

Disco Rock

John Mellencamp – Sad Clowns & Hillbillies

waifs ironbark

Disco Folk

Waifs – Ironbark

Disco Country

Old Crow Medicine Show – 50 Years Of Blonde On Blonde

marc broussard sos save our soul 2

Disco Soul

Marc Broussard – S.O.S. 2: Save Our Soul On A Mission

chicago play the stones

Disco Blues

Various Artists – Chicago Play The Stones

Disco Jazz

Van Morrison – Versatile

orchestra baobab tribute

Disco World Music

Orchestra Baobab – Tribute To Ndiouga Dieng

sharon jones soul of a woman

Disco Rhythm & Blues

Sharon Jones & The Dap Kings – Soul Of A Woman

tom jones live on soundstage

Disco Oldies

Tom Jones – Live On Soundstage

Disco Live

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Live At Red Rocks

graziano romani soul crusder again

Artista Italiano

Graziano Romani – Soul Crusader Again

de gregori sotto il vulcano

Disco Italiano

Francesco De Gregori – Sotto Il Vulcano

Colonna Sonora

Various Artists – Atomic Blonde (*NDB ???)

Esordio Dell’Anno

Paul Cauthen – My Gospel (*NDB bis, bello, però è uscito nel 2016 http://discoclub.myblog.it/2017/01/05/tra-texas-alabama-e-piu-di-uno-sguardo-al-passato-paul-cauthen-my-gospel/ )

who tommy live royal albert hall 2017 dvd

Dvd Musicale

Who – Tommy Live At Royal Albert Hall

 

Altri in ordine sparso

drew holcomb souvenir

Drew Holcomb & The Neighbors – Souvenirs

Otis Gibbs – Mount Renraw

Matthew Ryan – Hustle Up Starlings

Danny & The Champions Of The World – Brilliant Light

White Buffalo – Darkest Darks, Lightest Lights

bruce cockburn bone on bone

Bruce Cockburn – Bone On Bone

christy moore on the road

Christy Moore – On The Road

Zachary Richard – Gombo

winwood greatest hits

Steve Winwood – Greatest Hits Live

Sam Baker – Land Of Doubt

 

 weather station weather station

Weather Station – Weather Station

Lucinda Williams – This Sweet Old World

Jude Johnstone – A Woman’s Work

Ruthie Foster – Joey Comes Back

robyn ludwick this tall to ride

Robyn Ludwick – This Tall To Ride

Susan Marshall – 639 Madison

Buffy Sainte-Marie – Medicine Songs

Carrie Newcomer – Live At The Buskirk

shannon mcnally black irish

Shannon McNally – Black Irish

Shaun Murphy – Mighty Gates

 

Band Of Heathens – Duende

orphan brigade heart of the cave

Orphan Brigade – Heart Of The Cave

Subdudes – 4 On The Floor

Dead Man Winter – Furnace

Dropkick Murphys – 11 Short Stories Of Pain & Glory

over the rhine live from the edge of the world

Over The Rhine – Live From The Edge Of The World

Flogging Molly – Life Is Good

national sleep well beast

National – Sleep Well Beast

Hooters – Give The Music Back Live

My Friend The Chocolate Cake – The Revival Meeting

Tino Montanari

Fine della prima parte

segue>

“Il” Vero Sudista: Quasi Un Capolavoro Finale. Gregg Allman: Southern Blood

gregg allman southern blood

Gregg Allman – Southern Blood – Rounder/Universal CD – CD/DVD

Quando alcuni mesi fa, più o meno all’inizio della primavera, venne annunciato che il tour americano di Gregg Allman, previsto per i mesi successivi, era stato cancellato (e non rinviato) e che i biglietti sarebbero stati rimborsati, la voci che si rincorrevano da mesi sulla salute del musicista di Nashville (perché li era nato) erano probabilmente giunte al capolinea. In seguito si è saputo che, nonostante il trapianto al fegato, riuscito, del 2010, Gregg Allman aveva avuto anche problemi ai polmoni e aveva sviluppato un nuovo tumore al fegato, per cui aveva preferito non essere sottoposto ad un nuovo intervento o a cure mediche intensive che avrebbero probabilmente compromesso definitivamente l’uso delle corde vocali e quindi ha continuato la sua vita cantando dal vivo e incidendo un ultimo disco, finché la salute glielo ha permesso. L’uscita dell’album era prevista in un primo tempo per il gennaio del 2017, poi posticipata a data ignota, fino alla notizia della sua morte, avvenuta il 27 maggio del 2017: il disco comunque era stato inciso nel marzo del del 2016, ai famosi Fame Studios di Muscle Shoals, Alabama, nel corso di nove giorni, e sotto la produzione di Don Was, con il supporto della Gregg Allman Band guidata dal chitarrista Sonny Sharrard, e anche l’impiego di una sezione di fiati in alcuni brani. In questi giorni si è saputo che era stato completati anche altri due brani, Pack It Up di Freddie King e Hummingbird di Leon Russell, a cui Allman avrebbe dovuto aggiungere la traccia vocale, insieme alle armonie vocali per tutti i brani finiti, ma a causa delle condizioni di salute peggiorate in modo tale da non consentirglielo, queste parti sono state completate da Buddy Miller.

Il disco, composto da dieci brani, otto cover, più una canzone firmata insieme da Gregg e Sonny Sharrard, e una, Love Like Kerosene, dal solo chitarrista (tratta dal suo album solista Scott Sharrard & The Brickyard Band, uscito nel 2012 e che vi consiglio di recuperare perché si tratta di un ottimo disco di blues-rock-soul, sullo stile del suo datore di lavoro): l’album, si diceva, registrato negli studi dove si è svolta la parte iniziale della carriera di sessionman del fratello Duane Allman, è una sorta di omaggio a quella musica, tra soul, R&B, blues, ma anche southern rock, perché le prime tracce degli Hourglass, la band d’esordio discografico dei fratelli Allman, vennero registrate proprio in quegli studi, e per chiudere il cerchio, di comune accordo con Was si è deciso di inciderlo proprio laggiù. L’ultima line-up della band prevedeva, accanto ad Allman e Sharrard, Steve Potts e Marc Quinones, a batteria e percussioni, Ron Johnson al basso, Peter Levin alle tastiere, Jay Collins, Art Edmaiston.e Mark Franklin ai fiati, oltre agli ospiti Spooner Oldham David Hood, che erano due dei musicisti originali dei Muscle Shoals Studios, nonché di Jackson Browne, che è la seconda voce, aggiunta in un secondo momento, nella canzone Song For Adam, che porta la sua firma. E proprio le canzoni sono tra i punti di forza di questo album, un quasi capolavoro ho detto nel titolo, perché secondo il sottoscritto bisogna comunque cercare di tenere un punto di prospettiva serio ed obiettivo nel giudicare un disco: non si possono dare cinque stellette a destra e a manca come usano fare molte riviste e siti musicali, se vogliamo confrontarli, per dire, con At Fillmore East degli stessi Allman Brothers, o con Blonde On Blonde Highway 61 Revisited di Dylan, Music From Big Pink o il 2° della Band, Electric Ladyland di Jimi Hendrix, o dischi dei Little Feat, dei Grateful Dead, e così via, che sono rappresentati nel CD e sono i veri capolavori. Comunque questo Southern Blood è un grande disco, probabilmente superiore anche al suo esordio solista Laid Back e al recente Low Country Blues, in una discografia solista che ha visto solo otto dischi di studio e un paio di Live, ma una infinita serie di perle con il suo gruppo, l’Allman Brothers Band.

E l’unica canzone veramente nuova, My Only True Friend, scritta con Sharrard, non sfigura affatto al cospetto di brani classici: si tratta di una canzone che è una sorta di inno al suo vero grande amore, la musica, raccontata ad una donna, con un impeto e una passione ammirevole, una sorta di autobiografia e testamento finale in un unico pezzo, che è splendido anche a livello musicale (se mi scappano gli aggettivi non fateci caso, eventualmente ne chiederò a Mollica), una tipica ballata allmaniana dove la voce di Gregg (come peraltro in tutto il disco) nonostante i problemi di salute e gli anni vissuti pericolosamente, ha comunque la maturità che si conviene ad uno della sua età, ma ancora una freschezza ed una vivacità che pochi interpreti odierni possono vantare, con organo e piano, per non parlare della chitarra e dei fiati che distillano note magiche (bellissimo l’assolo di tromba di Franklin e quello di chitarra di Sharrard) , mentre tutta la band rende giustizia a questa canzone che probabilmente è una delle più belle mai scritte da Gregg durante tutta la sua carriera, se il rock ha un’anima, rock got soul, questo brano ne è un manifesto. Once I Was è un’altra ballata (che è lo stile musicale privilegiato in questo album) magnifica, scritta da Tim Buckley per il suo album del 1967 Goodbye And Hello, un pezzo malinconico, di una bellezza struggente, già interpretato alla grande ai tempi da Buckley, uno dei miei cantanti preferiti in assoluto, e qui reso in una versione altrettanto bella da Gregg Allman, con la voce che quasi scivola sul lussuoso background musicale realizzato dai musicisti, che hanno trasformato questo pezzo, folk all’origine, in una complessa melodia notturna dove tastiere, fiati (il sax, credo di Edmaiston, rilascia un pregevole assolo) e la pedal steel sono protagonisti assoluti. Sharrard ha raccontato che ai tempi Gregg aveva proposto a Tim di scrivere qualcosa insieme, vista la rispettiva stima, ma la cosa non si era concretizzata per la morte di Buckley, e sempre Sharrard racconta di avere introdotto Allman anche alla musica del figlio Jeff.

Per completare un trittico di brani fantastici, ecco Going Going Gone un pezzo di Bob Dylan tratto da Planet Waves, il disco del 1974 realizzato con la Band, una canzone forse non notissima, ma di cui ricordo sempre una versione splendida realizzata per Rubaiyat il tributo per i 40 anni della Elektra, cantata da Robin Holcomb e con un assolo di chitarra incredibile e lancinante di Bill Frisell, da sentire https://www.youtube.com/watch?v=ALM2SI0GZj8 , ma anche questa rilettura di Gregg Allman sfiora la perfezione, con slide, acustica e steel che si fondono in modo magistrale con i fiati, mentre la voce si libra in modo struggente sulla melodia del brano. E che dire di Black Muddy River? Anche questo pezzo dei Grateful Dead non viene da uno dei loro lavori forse più noti e migliori, In The Dark comunque fu il disco della band di Garcia a vendere di più e la canzone in ogni caso è un piccolo capolavoro, specie in questa versione che forse è persino migliore dell’originale, già quella di Bruce Hornsby & De Yarmond Edison, presente in Day Of The Dead, era notevole, ma quella presente in Southern Blood raggiunge un equilibrio sonoro tra la parte strumentale, dove fiati, tastiere e chitarre sono ancora una volta amalgamati in modo chirurgico da Was e quella vocale, con un bell’uso anche delle armonie vocali, per non parlare dell’intervento splendido della pedal steel, che ha quasi del miracoloso, Gregg la canta di nuovo in modo intenso e passionale con una partecipazione quasi dolorosa, per un brano che ancora una volta è l’epitome perfetta della ballata, l’arte in cui eccelleva l’Allman solista. Non poteva mancare il blues naturalmente, affidato ad una cover di I Love The Life I Live, un pezzo scritto da Willie Dixon, ma associato a Muddy Waters, grintoso e fiatistico, diverso dall’approccio più sanguigno e rock usato negli Allman Brothers, ma comunque sempre affascinante, e la voce, che assume per l’occasione quasi un timbro alla Joe Cocker, lascia il segno. 

Altra canzone epocale, tra le più belle nell’ambito ristretto di quelle che hanno fatto la storia del rock, è Willin’ di Lowell George, di cui si ricordano due diverse versioni dei Little Feat, quella del primo album, tra rock e blues, e quella successiva, indimenticabile, di stampo “stoned” country, apparsa su Sailin’ Shoes (e al sottoscritto piace moltissimo anche quella che incisero i Commander Cody https://www.youtube.com/watch?v=L-TBiCJQVlQ ): questa di Allman ancora una volta rivaleggia, sia pure in modo diverso, con l’originale, in un turbinio di chitarre acustiche ed elettriche e della steel, tutte presumo magnificamente suonate da Sharrard, con il piano a sottolineare l’interpretazione misurata e sincera di Gregg che, ben coadiuvato dalle avvolgenti armonie vocali aggiunte da Don Was, ci regala una versione da manuale. Dopo una serie di brani così è difficile proseguire a questi livelli, ma Gregg e i suoi musicisti ci provano, con una versione sinuosa e misteriosa della voodoo song Blind Bats And Swamp Roots, un vecchio pezzo di Johnny Jenkins tratto da Ton-Ton Macoute, album del 1970, in cui avevano suonato il fratello Duane e altri musicisti del giro Allman Brothers. Un altro omaggio alla musica dei Muscle Shoals è Out Of Left Field, un vecchio brano scritto da Dan Penn Spooner Oldham (che appare anche come musicista in questa versione) per Percy Sledge, quindi un’altra ballata, questa volta di vero deep soul sudista, sembra quasi un pezzo della Stax, quelli in cui spesso suonava il fratello Duane come chitarrista, in ogni caso bellissima pure questa. Love Like Kerosene, è l’altro pezzo contemporaneo, scritto da Scott Sharrard, un brano blues, già apparso sul Live Back To Macon del 2015 e che insieme a I Love The Life I Live fa parte delle bonus tracks dal vivo, registrate nel 2016, contenute nella versione Deluxe dell’album, che riporta anche un breve documentario con il Making Of del disco, in un DVD aggiunto. Comunque anche Love Like Kerosene è un signor brano, quello forse con il drive sonoro più vicino al classico blues-rock dei migliori Allman Brothers. E per concludere in gloria, e forse chiudere la sua vicenda musicale e di vita, una versione, bellissima pure questa, di Song For Adam, un pezzo scritto da Jackson Browne, che appare anche alle armonie vocali e che aveva scritto These Days, un pezzo contenuto in Laid Back, il primo disco solista di Gregg Allman. Si tratta di una canzone che Gregg ha sempre amato molto, in quanto la legava alla scomparsa del fratello Duane e che ha faticato a completare, lasciando incompleto l’ultimo verso “Still it seems he stopped singing in the middle of his song…”. Se gran finale doveva essere così è stato.

Uno dei dischi più belli del 2017. Anche questo esce domani 8 settembre.

Bruno Conti

Un Live Molto Interessante, Ma Occhio Alla (Mezza) “Truffa”! The Allman Brothers Band – Unplugged

allman brothers band unplugged

The Allman Brothers Band – Unplugged (+ The Gregg Allman Band Live 1987) – Predator CD

Avviso ai naviganti: premettendo che questo CD (che non appartiene né alle pubblicazioni ufficiali, né è gestito dagli archivi della band) è piacevole ed a tratti perfino entusiasmante, devo però rimarcare come il titolo sia truffaldino. Infatti il disco è accreditato alla Allman Brothers Band, ed il titolo Unplugged si riferisce proprio alla famosa trasmissione di MTV, alla quale lo storico gruppo southern partecipò nel 1990 (registrando al National Video Center di New York), mentre quel And The Gregg Allman Band Live 1987 farebbe pensare ad un’aggiunta di due-tre canzoni alla fine come bonus tracks. Niente di più sbagliato, in quanto la parte degli ABB si riduce a quattro misere, ancorché splendide, esecuzioni poste all’inizio del disco (e con una qualità di registrazione strepitosa), mentre il resto, ben nove pezzi, appartiene ad una serata di tre anni prima appunto della Gregg Allman Band, durante il tour a supporto del loro album I’m No Angel, per l’esattezza ad Austin, Texas, il tutto con un buon suono, anche se un po’ ovattato, niente a che vedere con la parte degli ABB. Ed anche la qualità della performance è diversa, in quanto per i primi quattro pezzi siamo obiettivamente su un altro pianeta: gli Allman (che si erano riformati l’anno prima con il nucleo storico formato da Gregg Allman (RIP), Dickey Betts, Butch Trucks e Jaimoe, al quale si erano aggiunti Warren Haynes, Allen Woody e Johnny Neel, pubblicando il bellissimo Seven Turns) dimostrano di essere un gruppo di fuoriclasse anche con gli strumenti acustici, a partire dall’apertura di Midnight Rider, la signature song di Gregg: suono caldo, grande voce ed intrecci chitarristici tra Betts e Haynes che sono una goduria nella goduria.

Melissa è uno spettacolo, fluida e distesa, riesce ad entusiasmare anche in questa scintillante versione a spina staccata (per questioni di tempi televisivi i brani sono più corti del solito), mentre Seven Turns, brano portante dell’album omonimo, è una delle composizioni migliori di Betts, uno splendido brano di pura americana e sfiorato dal country, che in veste acustica fa risaltare ancora di più la melodia tersa e cristallina. Chiude il mini set una sontuosa ripresa di Come On In My Kitchen di Robert Johnson, con Warren gigantesco alla slide, che ci lascia la voglia di sentirne ancora (oltre all’interrogativo sul perché non sia mai stato pubblicato tutto il concerto in veste ufficiale). Il set della GAB, che a differenza di quello della ABB è elettrico, non è allo stesso livello di eccellenza, sia per la qualità del repertorio (comunque mediamente più che buona), sia soprattutto per la differente grandezza dei musicisti coinvolti: Gregg come al solito non si discute, e se vogliamo nemmeno il chitarrista e band leader Dan Toler (già con gli Allman nel loro periodo meno celebrato, dal 1979 al 1982), ma il resto del gruppo è formato perlopiù da onesti mestieranti, seppur di alto livello (specie il pianista Tim Heding).

L’inizio è appannaggio dell’ottima It’s Not My Cross To Bear, un rock-blues caldo e con un gran lavoro di organo, forse il brano migliore di I’m No Angel, dal quale sono tratti altri tre pezzi: Faces Without Names, soul ballad discreta anche se non all’altezza delle composizioni migliori di Gragg, la potente Anything Goes, non male, e la title track, la più diretta e radio friendly delle quattro. Sweet Feelin’ proviene da Playin’ Up A Storm, disco di Allman del 1977, ed è un trascinante boogie, grande voce del nostro e formidabile performance di Heding, mentre Please Call Home arriva da Laid Back, il suo miglior album da solista, ed è una grande ballata sudista, anche se avrei fatto a meno del piano elettrico. Dulcis in fundo, abbiamo tre brani presi dal repertorio della ABB, Trouble No More di Muddy Waters, Hot’Lanta e Whipping Post, tre pezzi che la band dei due fratelli suonava ad un livello decisamente superiore, ma comunque è sempre un bel sentire, soprattutto grazie alla classe di Gregg (ed anche Toler non è proprio un pivellino). In definitiva, se dovessi esprimere il giudizio in stellette, ne darei quattro (abbondanti) alla parte della ABB e tre al resto.

Marco Verdi

Ancora Un Concerto/Tributo Spettacolare. Mavis Staples – I’ll Take You There An All-Star Concert Celebration Live

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Mavis Staples – I’ll Take You There An All-Star Concert Celebration – 2 CD + DVD Blackbird Production/Caroline/Universal

L’arte del tributo è una branca della musica pop/rock che si è sviluppata soprattutto nell’ultimo trentennio: ad inizio anni ’80, forse fu Hal Willner, prima con Amarcord Nino Rota (nel 1981) e poi con quelli a Thelonius Monk e alla musica di Kurt Weill, in Lost In The Stars, uscito nel 1985, a sdoganare questo tipo di album multi artisti, dove venivano riprese canzoni celebri estratte dai repertori degli artisti più disparati, a loro volta eseguite, spesso, da musicisti che esulavano dal genere di chi veniva omaggiato. Nel corso degli anni poi si sono moltiplicate in modo esponenziale, raggiungendo numeri ragguardevoli, e per certi versi esagerati (ormai un tributo non si nega a nessuno): dividendosi anche in dischi registrati in studio ed eventi dal vivo speciali dedicati a questo o a quel artista. Però io ricordo già negli anni *70 dischi a tema, per esempio la colonna sonora di All This And World War II, un documentario del 1976, dove alle immagini della Seconda Guerra Mondiale, erano state aggiunte canzoni dei Beatles, incise appositamente per l’occasione (da Elton John Rod Stewart, Richard Cocciante (!), Leo Sayer, Tina Turner, Peter Gabriel, fino ai Bee Gees, che insieme a Peter Frampton saranno anche protagonisti nel 1978 del “tragico” Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band). Sul lato concerti/tributo forse il capostipite fu il Woody Guthrie Memorial Concert tenutosi alla Carnegie Hall il 20 gennaio del 1968, con Bob Dylan, membri della Band,  Pete Seeger, Judy Collins, Arlo Guthrie, Tom Paxton, Ramblin’ Jack Elliot, Odetta e Richie Havens, uscito  anni dopo prima in LP e poi in CD. E per certi versi anche il celeberrimo The Last Waltz potrebbe rientrare tra gli antenati. Poi c’è stata questa escalation, soprattutto dagli anni ’90, per i concerti dal vivo, con Joni Mitchell che è stata una delle prime ad apporre il suo sigillo di approvazione, previa la sua presenza alle serate: ovvero, vi do la mia benedizione, ma per scaramanzia alla mia celebrazione ci vengo anch’io!

 E in effetti, dopo questa lunga introduzione, veniamo al punto: proprio per avallare quanto detto un attimo fa, alla serata per festeggiare i suoi 75 anni è presente anche Mavis Staples, in alcune parti del concerto ripresa tra il pubblico, con bibita in bicchiere in mano (e magari cartone di popcorn) come se fosse una spettatrice compiaciuta, davanti alla televisione, di un bel concerto, dove qualcuno suona e canta la sua musica. Il concerto in tributo a Mavis si tiene nella sua città, Chicago, il 19 Novembre del 2014, qualche mese dopo il suo 75° compleanno, alla presenza di alcuni dei migliori artisti americani (e qualcuno nel frattempo ci ha anche lasciato) riuniti per renderle omaggio. Stranamente, a differenza di altri splendidi tributi dal vivo usciti lo scorso anno tra i tanti (penso a http://discoclub.myblog.it/2016/10/22/devo-averle-gia-sentite-qualche-parte-canzoni-dear-jerry-celebrating-the-music-of-jerry-garcia/ o http://discoclub.myblog.it/2016/08/26/altro-tributo-formidabile-the-musical-mojo-of-dr-john-celebrating-mac-and-his-music/ e ancora a quello http://discoclub.myblog.it/2016/10/21/grande-serata-chiudere-il-cerchio-nitty-gritty-dirt-band-friends-circlin-back/ , e prima ancora quello di Joan Baez) questa volta sono passati quasi tre anni tra la data originale dell’evento e la sua pubblicazione su CD e DVD. Tanto che nel frattempo la Staples ha fatto in tempo a pubblicare, nel 2016, un nuovo ottimo album http://discoclub.myblog.it/2016/02/24/le-ultime-voci-originali-della-soul-music-mavis-staples-livin-on-high-note/ 

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Tornando al concerto la house band sotto la guida del solito Don Was era veramente formidabile, con il trio delle McCrary Sisters, guidate dalla fantastica Regina, la classica ciliegina sulla torta; ecco gli altri musicisti: George Marinelli, Rick Holmstrom (guitar); Jason Mingledorff (saxophone); Bobby Campo (trumpet); Mark Mullins (trombone); Matthew Rollings, Michael Bearden (keyboards); Sonny Emory, Stephen Hodges (drums); Tony Carpenter (congas, percussion), tutti riuniti come una sorta di confraternita di piccoli “apprendisti stregoni” impegnati a creare un suono fatto di mille particolari e tanta passione, colta negli sguardi di intesa e compiacimento dei vari musicisti e degli ospiti che salgono sul palco di volta in volta, per creare quella piccola magia che caratterizza queste serate speciali: Forse ideali da vivere partecipando all’evento, ma anche il prodotto discografico, soprattutto il DVD, dove oltre a sentire, si vede cosa succede, è un ottimo surrogato. Qualcuno, un po’ a sproposito, ha parlato di New Orleans sound, ma questa invece è la vera musica soul, mista al gospel, al R&B, naturalmente al blues, musica “nera” del profondo Sud, ma anche dal Mississippi, da Chicago, da Nashville e da Memphis, e con alcune contaminazioni con la migliore musica roots bianca, sia per la scelta delle canzoni che degli interpreti, e senza dimenticare che il messaggio sociale che veniva veicolato dalle canzoni degli Staple Singers era comunque temperato da una voglia di divertire, di fare spettacolo, che si coglie anche in questa serata celebrativa.

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Prima nel DVD sbirciamo i preparativi dall’Auditorium Theatre di Chicago, mentre scorrono i nomi del cast, in rigoroso ordine alfabetico (anche se per i misteri dell’informatica, sotto la P troviamo i Widespread, di nome e Panic, di cognome, presumo) poi la scaletta del concerto, almeno nella versione Deluxe, si apre con Joan Osborne alle prese con una intensa You Are Driving Me (To The Arms Of A Stranger), un gospel-soul fiatistico che era sull’omonimo album solista di debutto di Mavis Staples, targato 1969 e che uscì per la sussidiaria Volt della mitica Stax, e la cantante di One Of Us, dalla voce roce e vissuta, con una versione tra blues e soul se la cava alla grande. Rotto il ghiaccio arriva subito uno dei brani più divertenti, ritmati e coinvolgenti del concerto, con Keb’ Mo’ che guida le danze di una poderosa Heavy Makes You Happy, con la stessa Mavis in mezzo al pubblico che approva e si diverte, mentre il nostro Kevin intrattiene i presenti con la sua magnifica voce e alcuni deliziosi inserti di chitarra, mentre le McCrary Sisters continuano a scaldare le ugole (già in azione dal brano precedente), e si segnala l’ottimo batterista Sonny Emory, che era quello degli Earth, Wind And Fire della seconda parte di carriera. Ottimo anche Buddy Miller con il mosso country-gospel con “chitarrone” di Woke Up This Morning (With My Mind On Jesus), seguito da una eccellente Patty Griffin alle prese con Waiting For My Child To Come Home, uno scricciolo di donna ma in possesso di una splendida voce. impiegata con classe e feeling in questa ballata di grande spessore. Altra grande voce del country “bianco” è quella di Emmylou Harris, anche lei come la Griffin in modalità country got soul, ma anche gospel, in Far Celestial Shore, i capelli ormai più che “d’argento” sono bianchi ma la voce è sempre magnifica, Matt Rollings lavora di fino alle tastiere e Rick Holmstrom alla chitarra, mentre le McCrary “testimoniamo” sempre di gusto; Michael McDonald porta un poco del rock’n’soul dei Doobie Brothers in una “vivace” Freedom Highway, la voce un filo meno bassa e profonda e più di testa di un tempo, ma la grinta e la forza non mancano, il resto lo fanno la canzone e la band con una versione d’insieme di questo inno degli Staple Singers.

Tra un brano e l’altro ogni tanto appaiono nel video dei commenti dei vari partecipanti sull’importanza della musica di Mavis e della sua famiglia. A questo punto arriva uno dei primi highlight della serata, una versione splendida di People Get Ready, il brano originale degli Impressions di Curtis Mayfield, qui reso in una bellissima versione, a sorpresa, da parte di Glen Hansard, inizialmente cantato con voce piana e trattenuta dal cantante irlandese, poi incita Regina McCrary a cantare a voce spiegata in quella che era la parte di Mavis, lascia spazio a George Marinelli, il chitarrista della band di Bonnie Raitt, che rilascia un delizioso solo e poi canta la seconda parte con forza e impeto in un continuo e glorioso crescendo, ribadisco, splendida. Respect Yourself è stato forse il maggior successo degli Staple Singers, uno si aspetterebbe sfracelli da una versione cantata a due voci da Aaron Neville e dalla stessa Mavis, ma diciamo che siamo nella normalità, con lei che fa da spalla e si scatena solo nella seconda parte, buona, ma potevano fare di meglio. Ottimi invece i Widespread Panic, in una cover di un brano che appariva sull’album Father Father di “Pops Staples” e che la jam band aveva già inciso nel 1997, southern rock soul di grande spessore, con chitarre e voci che ruggiscono alla grande; non male anche Eric Church con una grintosa e bluesata Eyes On The Prize con ampio spazio per Holmstrom, come pure la bella Grace Potter, che dal vivo rende almeno il doppio rispetto ai suoi dischi, notevole la sua Grandma’s Hands, dall’atmosfera sospesa ed incisiva. Prima, bravo, ma nella norma, si era ascoltato, Ryan Bingham con If You’re Ready (Come Go With Me), mentre Taj Mahal è sempre una forza della natura nella poderosa cover di Wade In The Water, con il classico call and response insieme alla sorelle McCrary, ed è sempre un piacere vedere ancora una volta un ispirato Gregg Allman alle prese con una deliziosa Have A Little Faith,la voce ancora forte e decisa nel 2014 e Marinelli e Holmstrom che fanno la parte di Haynes e Trucks negli Allman Brothers.

Poi inizia la serie dei duetti e qui si gode: Turn Me Around vede a fianco di Mavis Staples, una Bonnie Raitt a tutta slide e ugola, mentre tra i background vocalists, ad avvicendare le sorelle McCrary, appaiono Donny Gerrard Kelly Hogan, e la band è quella abituale dei concerti della Staples, con Holmstrom che rimane alla chitarra, Jeff Turmes al basso, Stephen Hodges alla batteria, e comunque Bonnie e Mavis la cantano veramente alla grande; per non parlare di una corale Will The Circle Be Unbroken cantata a più voci, con Gregg Allman, Taj Mahal, Aaron Neville e Bonnie Raitt, che affiancano la Staples per una rilettura eccellente di questo super classico. Poi tocca ai “giovani”: Wim Butler Régine Chassagne degli Arcade Fire, per una sorprendente versione di Slippery People che ricorda moltissimo l’originale dei Talking Heads, con Mavis incredibilmente a proprio agio anche in questo brano dal sapore più “moderno”, ma a cantanti così puoi far cantare anche l’elenco telefonico e se la cavano comunque alla grande, non è questo il caso perché la versione ha un suo perché. Più intima e raccolta la versione della commovente You’re Not Alone, cantata con Jeff Tweedy dei Wilco, che l’ha scritta oltre ad averle prodotto l’album omonimo, e si porta il figlio alla batteria; mentre una sorta di inno alla gioia è la splendida I’ll Take You There, un’altra tappa di questo viaggio nel “viale dei ricordi”, un n°1 nelle classifiche USA, scritta da Al Bell, “l’inventore” della Stax, una perfetta celebrazione di gioia tra funky, soul e R&B, pubblicata nel 1972, e ancora piacevolissima ai giorni nostri, con Mavis Staples in gran forma che guida la band e il pubblico, con una grinta e una voce ancora spettacolari, mentre Holmstrom riproduce il solo che in teoria era di Pops Staples (ma in effetti nel disco lo suonò il compianto Eddie Hinton). Il gran finale è affidato a una delle più grandi canzoni di tutti i i tempi, The Weight della Band, splendida versione nuovamente corale, con Mavis che guida i suoi amici nei saliscendi sonori di questo brano, con Gregg Allman, Michael McDonald, Joan Osborne, Jeff Tweedy, Eric Church, Wim Butler, che si alternano a cantare i versi di questo capolavoro e tutto il cast che canta a squarciagola il coro, mentre la Staples nel finale, incoraggiata da tutti, fornisce un finale vocale travolgente. Nelle bonus del DVD una emozionante versione folk-gospel di A Hard Rain’s Gonna Fall cantata benissimo da Ryan Bingham, Grace Potter, Patty Griffin Emmylou Harris e un’altra meraviglia della soul music I Ain’t Rasin’ No Sand, cantata da par suo da Otis Clay, in una delle sue ultime apparizioni Live.

Direi che può bastare, splendido tutto, forse come dice qualcuno questi tributi lasciano il tempo che trovano, ma averne!

Bruno Conti

 

L’Ultima Corsa Del Viaggiatore Di Mezzanotte: Ma La Strada Continua Per Sempre. Ci Ha Lasciato Anche Gregg Allman, Aveva 69 Anni.

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Devo constatare purtroppo una ripresa dell’attività da parte di “The Reaper” (cioè la morte secondo i Blue Oyster Cult): dopo un periodo di relativa calma: nella stessa settimana della scomparsa di Jimmy LaFave ci ha lasciato, proprio ieri, in seguito a complicazioni dovute, pare, al cancro al fegato con cui aveva già lottato in passato e per cui aveva subito anche un trapianto, una vera e propria leggenda (e questa volta il termine non è usato a sproposito),Gregory LeNoir, in arte Gregg, Allman. Se dovessi dire che la notizia mi ha colto impreparato direi una mezza bugia: da tempo infatti il biondo tastierista e chitarrista nativo di Nashville, ma georgiano di adozione soffriva di vari problemi di salute, e l’annullamento di tutti i concerti programmati per il 2017 con conseguente rimborso dei biglietti, e senza nessun aggiornamento successivo, non era certo un buon segnale.

Figura fondamentale per la musica rock americana, Gregg è stato si può dire (con il fratello Duane) l’inventore del genere denominato southern rock, una miscela di rock e blues con implicazioni, a seconda del gruppo di appartenenza, soul, country, jazz e gospel: grande appassionato di blues fin dalla giovane età, Gregg muove i primi passi negli anni sessanta proprio insieme al citato fratello Duane, che si rivelerà a breve come uno tra i migliori chitarristi del suo tempo (e di sempre), prima in diverse band giovanili, per poi avere qualche minimo successo prima con gli Allman Joys, che si evolveranno negli Hour Glass e poi definitivamente nella leggendaria Allman Brothers Band (nella quale sarà presente in tutte le configurazioni, unico elemento insieme a Butch Trucks e Jaimoe), semplicemente uno dei più grandi gruppi di sempre, e non solo in ambito southern rock. Se siete abituali frequentatori di questo blog, ma anche occasionali, non devo star qui a spiegarvi di chi stiamo parlando, ma giova ricordare che, a mio parere ma non solo mio, il loro Live At Fillmore East è probabilmente il più grande disco dal vivo mai pubblicato, un album che ha beneficiato di una serie infinita di ristampe ma che ogni volta che lo si ascolta è come se fosse la prima volta, un lavoro epocale nel quale l’organo e la voce “nera” di Gregg erano delle parti fondamentali, insieme alle formidabili chitarre di Duane e Dickey Betts e ad una sezione ritmica incredibile formata dai due batteristi e dal bassista Berry Oakley.

In quegli anni Gregg riesce a tenere insieme il gruppo ed a registrare anche splendidi album di studio, nonostante problemi sempre crescenti con le droghe e soprattutto superando anche le tragiche scomparse prima del fratello Duane e poi di Oakley, entrambi morti in incidenti motociclistici incredibilmente simili: album come Idlewild South, Eat A Peach (in parte live) e Brothers And Sisters (nel quale Betts assume in pratica la leadership del gruppo, e dove vengono introdotti elementi country) sono dischi di un livello che poche band al mondo possono vantare. Problemi all’interno del gruppo, causati in minima parte anche dalle situazioni personali del nostro (in quegli anni protagonista di una relazione parecchio tribolata con Cher), portano Allman prima a sciogliere il gruppo per un anno (1977) e poi a riformarlo con alcune modifiche nella line-up, pubblicando altri album discreti ma senza quel sacro fuoco che era presente nei loro capolavori, fino ad un break-up nel 1982 che sembra definitivo. La band però si riunisce a sorpresa nella formazione “quasi” originale nel 1990 (e con l’ingresso in formazione del grande Warren Haynes, allora sconosciuto, ed autore proprio ieri di un toccante quanto lungo omaggio a Gregg pubblicato sul suo Facebook https://www.facebook.com/warrenhaynes/posts/10154722537472799 ), con due splendidi album, Seven Turns e Shades Of Two Worlds nel 1991, e soprattutto ricominciando a dare i loro proverbiali concerti, documentati da alcuni bellissimi album live, fino al 2014, anno della separazione definitiva per impossibilità di reggere certi ritmi dovuta all’età (e nel frattempo c’era stata anche la defezione di Betts, con il quale Allman non si lasciò benissimo, sostituito in maniera degnissima dal giovane Derek Trucks).

Gregg ha negli anni portato avanti anche una carriera solista, inizialmente abbastanza simile allo stile del suo gruppo madre, anche se più da cantautore rock e meno blues, con il bellissimo Laid Back (che contiene il suo brano più famoso, Midnight Rider, già inciso in precedenza con gli Allman), seguito dopo quattro anni dal meno riuscito Playin’ Up A Storm e negli anni ottanta da altri due lavori contraddistinti da sonorità piuttosto mainstream (I’m No Angel e Just Before The Bullet Fly), per tacere del disco del 1977 in coppia con Cher, Two The Hard Way, che è meglio dimenticare. Nel 2011 Gregg pubblica il bellissimo Low Country Blues, il suo disco in assoluto più “allmaniano” (nel senso di ABB) http://discoclub.myblog.it/2011/01/12/il-notaio-conferma-grande-disco-gregg-allman-low-country-blu/ , seguito nel 2015 dallo splendido live Back To Macon  http://discoclub.myblog.it/2015/09/01/anche-senza-fratelli-ed-amici-sempre-grande-musica-gregg-allman-live-back-to-macon-ga/ (e non dimentichiamo lo stupendo tributo al nostro, sempre dal vivo, All My Friends, uscito nel 2014): dovrebbe essere tra l’altro imminente l’uscita di un album di studio nuovo di zecca di Gregg, Southern Blood, da tempo in preparazione e prodotto da Don Was, disco che a questo punto uscirà postumo (nel suo sito è già in preordine). Che altro dire? Ci mancheranno la sua figura carismatica, ma anche la sua eccezionale abilità come organista e la sua capacità di aver letteralmente creato un suono ed un genere, il southern rock, che ha avuto decine di epigoni più o meno bravi, ma mai nessuno al livello della ABB: una menzione anche per la sua grande voce, una caratteristica del nostro mai troppo lodata, una voce potente, nera, piena di soul ed in grado di emozionare ogni volta, come ha fatto notare Haynes nel suo sentito tributo.

Riposa In Pace, vecchio Midnight Rider: ho un po’ di invidia per gli angeli, che stasera assisteranno ad una fantastica jam tra te, Duane, Berry e Butch.

Marco Verdi

*NDB

Dal concerto ai CMT Music Awards di inizio giugno.

Dal Vivo Non Tradivano Mai! Allman Brothers Band – Concord Pavilion, August 10th 1989

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Allman Brothers Band – Concord Pavilion, August 10th 1989 – Silver Dollar CD

Chi mi conosce sa che non sono mai stato molto favorevole al proliferare, da qualche anno a questa parte, di CD live tratti da broadcast radiofonici del passato, dei veri e propri bootleg che solo per un cavillo nel Regno Unito sono considerati legali. Come in tutte le regole però ci sono le eccezioni, ed una di queste è certamente questo dischetto che riporta parte di un concerto tenutosi a Concord (una cittadina della Bay Area) nell’agosto del 1989, durante il reunion tour della Allman Brothers Band, che si era riformata dopo sette anni di separazione e che da lì a meno di un anno avrebbe dato alle stampe l’eccellente comeback album Seven Turns. La band in quel periodo era formata da sette elementi, il nucleo originale (Gregg Allman, Dickey Betts, Butch Trucks e Jaimoe), più le new entries Warren Haynes ed Allen Woody (che pochi anni dopo avrebbero contribuito a scrivere parte della storia del rock americano con i Gov’t Mule, anche se Woody ci lascerà prematuramente) oltre al formidabile tastierista Johnny Neel. La reunion, e ciò verrà confermato negli anni a seguire, non era avvenuta per pure ragioni pecuniarie, ma soprattutto per la voglia di ricominciare a fare (grande) musica insieme: infatti quei concerti avevano ripresentato una band in forma smagliante, quasi ai livelli stratosferici dei primi anni settanta, e questo Concord Pavilion, August 10th 1989 ne è la parziale testimonianza: solo sette canzoni, ma che occupano tutto lo spazio disponibile sul CD, anche se non nascondo che avrei preferito ascoltare il concerto completo.

L’incisione è più che buona, anche se ho sentito di meglio: gli strumenti si distinguono tutti nitidamente, solo la batteria è leggermente ovattata, ed a volte la voce è in secondo piano; ma ciò che manca a livello sonoro è ampiamente compensato dalla qualità della performance. I “magnifici sette” scaldano i motori con Statesboro Blues, il classico di Blind Willie McTell che i nostri resero immortale nel Live At Fillmore East: questa versione non è di molto inferiore, con l’ugola di Gregg subito in palla, Haynes che cerca di non far rimpiangere Duane con la slide (ed in parte ci riesce) e Neel stratosferico al piano: una rilettura trascinante. Introdotta da un lungo assolo di armonica abbiamo poi Blues Ain’t Nothing, un saltellante e classico blues scritto da Ferlin Husky non frequente nelle performances degli Allman (e che vanta versioni da parte di Taj Mahal e Clarence “Gatemouth” Brown), proposto con sonorità decisamente calde ed un ottimo senso del ritmo da parte dei due batteristi. Il concerto entra nel vivo con la splendida Blue Sky, una delle signature songs di Betts, tipica del suo stile terso e limpido, ripresa alla grande e con la chitarra liquida del nostro in grande spolvero, per sette minuti di godimento assoluto, in cui anche Haynes dice la sua in maniera strepitosa.

Ed è la volta del poker finale di classici, formato dalle inarrivabili In Memory Of Elizabeth Reed, Dreams, Jessica e Whipping Post, che da sole arrivano quasi ad un’ora di musica: un’ora piena di assoli, cambi di ritmo, improvvisazioni tra rock, blues e shuffle, che ci fanno ritrovare la stessa band che negli anni settanta scrisse la storia del southern rock. In particolare, una Elizabeth Reed così bella, lunga e fluida l’avevo sentita raramente, un quarto d’ora di pura poesia strumentale, ed anche Jessica non è da meno, con performances incredibili da parte di Neel (un grandissimo pianista, purtroppo spesso dimenticato) e di Betts che, non me ne voglia Derek Trucks, per me sarà sempre il vero chitarrista degli Allman (oltre ovviamente a Duane). Di live della Allman Brothers Band, legali o meno, sul mercato non ne mancano di certo, ma ignorare questo Concord Pavilion sarebbe a mio parere un grande errore.

Marco Verdi

Anche I “Nuovi” Sudisti Tornano A Colpire! Blackberry Smoke – Like An Arrow

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Blackberry Smoke – Like An Arrow – 3 Legged Records/Earache

Al sottoscritto l’album dello scorso anno Holdin’ All The Roses era piaciuto abbastanza http://discoclub.myblog.it/2015/02/08/ed-eccoli-i-migliori-alfieri-del-nuovo-rock-sudista-blackberry-smoke-holding-all-the-roses/ , anche se devo ammettere che la produzione di Brendan O’Brien era forse troppo levigata e allo stesso tempo pompata: però era servita a fare arrivare l’album al 1° posto delle classifiche country (quello di oggi!, naturalmente!) e nella Top 30 di Billboard, e pure addirittura nella Top 20 inglese (infatti il prossimo anno faranno dieci date solo nel Regno Unito). A seguito di questo i Blackberry Smoke hanno proseguito con le loro tournée lunghissime e quasi interminabili, la scorsa estate in giro per gli States con i Gov’t Mule nello Smokin’ Mule Tour (ora sono in tour con l’ottima Steepwater Band) http://discoclub.myblog.it/2016/09/02/tanto-ritornano-fortuna-steepwater-band-shake-your-faith/ . Ma prima, a fine giugno, erano passati anche dalle nostre parti (con due serate in Italia, Milano e Roma) realizzando un eccellente riscontro di pubblico: mi sono meravigliato infatti , perché alla data milanese c’era parecchia gente, forse complice anche il fatto che avevano saltato la Svizzera, la Francia e la Germania. Un buon concerto (anche se la “spalla”, i SIMO, avevano suonato meglio di loro, secondo molti dei presenti, compreso chi scrive), inferiore però a quello ufficiale presentato in Leave A Scar http://discoclub.myblog.it/2014/08/28/altro-grande-doppio-southern-dal-vivo-anche-triplo-blackberry-smoke-leave-scare-live-north-carolina/ , ma comunque con un paio di cover a sorpresa, Led Zeppelin Your Time Is Gonna Come e Arthur “Big Boy” Crudup That’s Allright Mama, in ricordo di Scotty Moore, il chitarrista di Elvis, appena scomparso il giorno prima del concerto.

Ma meravigliava anche (o forse no) il fatto che gran parte del pubblico presente conoscesse a memoria le canzoni della band, cantandole spesso a squarciagola. Comunque nell’occasione Charlie Starr si è confermato leader indiscusso, voce solista, ma autore anche del 90% degli assoli di chitarra, trascinatore del gruppo di soci barbuti da Atlanta, Georgia, ben coadiuvato dal tastierista Brandon Still, dal secondo chitarrista Paul Jackson e dai fratelli Turner, che costituiscono una solida sezione ritmica, anche in questo nuovo album Like An Arrow. Nella serata milanese non avevano eseguito (purtroppo) la loro classica cover di Dreams, il brano degli Allman Brothers, ma a conferma del legame con Gregg Allman, loro mentore (che sembra avere superato i problemi di salute), Starr lo ha invitato a duettare con lui nella conclusiva Free On The Wing, classico mid-tempo sudista con un liquido piano elettrico e la slide di Starr in evidenza, uno dei migliori brani del disco e forse quello più legato al classico southern-rock, di cui peraltro i Blackberry Smoke sono buoni praticanti, non dimenticando mai corpose iniezioni di country music, del sano boogie e anche la componente più pop (forse meglio, rock classico) presente nei loro dischi.

Waiting For The Thunder è un solido southern rock chitarristico con riff ripetuti e gagliardi, l’organo che cuce il sound e si prende i suoi spazi e le soliste assai indaffarate nella parte centrale, mentre Let It Burn è un bel boogie dal retrogusto country, tipo Marshall Tucker o Charlie Daniels, con il piano nella parte del violino, con The Good Life che è una delle loro classiche ballate di stampo country, dolce ed avvolgente senza essere melensa, con un bel break chitarristico nella parte centrale. What Comes Naturally attinge anche al blues, sempre colorato di country e rock, pigro e ciondolante quanto basta, Running Through Time è un’altra ballata, questa volta più mossa e vicina agli insegnamenti dei maestri Allman Brothers, belle armonie vocali e un arrangiamento raffinato, con le tastiere sempre ben presenti e le chitarre che lavorano di fino; Like An Arrow, la title-track è un altro solido pezzo rock ricco di saliscendi sonori e richiami al rock anni ’70 meno bieco, commerciale, ma il giusto, e pure Ought To Know appartiene alla stessa famiglia, magari non brillantissimo e originale, ma con una buona melodia e la voce piacevole di Starr sempre in evidenza.

Sunrise In Texas è uno dei brani migliori, una bella slide acustica (o un dobro) e un pianoforte ad aprirla, poi il pezzo che cresce lentamente in un piacevole e coinvolgente crescendo che culmina nell’immancabile, ma non per questo meno gradito, assolo di chitarra wah-wah, l’ABC del miglior southern rock. E niente male pure il country-folk dell’ottima Ain’t Gonna Wait, con un mandolino a guidare le danze e tutta la band a seguirlo, Poi si ritorna al rock poderoso alla Lynyrd Skynyrd (anche nel titolo) della vigorosa Workin’ For A Workin’ Man, ritmo e sudore sudista con chitarre a manetta, ottimo e Believe You Me ha qualche elemento funky che li avvicina al sound dei fratelli Robinson dei Black Crowes, entrambi grandi amici di Charlie Starr. Un buon album, meno commerciale e più solido del precedente, che li conferma alla guida delle nuove leve del southern-rock, insieme ai “rivali” Whiskey Myers del recente Mud.

Bruno Conti

Una Buona Annata Per Il Gruppo! The Allman Brothers Band – Austin City Limits 1995

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The Allman Brothers Band – Austin City Limits 1995 – Go Faster Records 

Austin City Limits e gli Allman Brothers sono due marchi di garanzia di enorme successo: la trasmissione texana nel 2014 ha festeggiato i 40 anni di attività (grande concerto, esiste in DVD https://www.youtube.com/watch?v=iFe1WowDMLg) , mentre gli Allman lo stesso anno hanno festeggiato il loro 45° Anniversario (con qualche interruzione), decretando però anche la fine, per il momento, della loro storia, con l’ultimo concerto al Beacon Theatre di New York del 28 ottobre 2014. Mentre la trasmissione “Austin City Limits” per molti anni è stata pubblicata a livello ufficiale, in CD o DVD, ma anche in entrambi i formati, dalla New West, ovviamente, e purtroppo, solo una parte dell’enorme mole di concerti che si sono succeduti negli anni, e che per ragioni di spazio non stiamo a ricordare, sono usciti anche in formato fisico.. Nel 1995 i due percorsi si sono intrecciati: la Allman Brothers Band viene invitata a partecipare alla puntata del 1° novembre 1995 (andata poi in onda nel 1996).

Il concerto viene puntualmente ripreso dalla PBS, la televisione statale americana e regolarmente mandato in onda, ma non è mai stato pubblicato a livello discografico. Ora nell’ambito dei vari broadcast ufficiosi (soprattutto radiofonici, ma qualche spettacolo televisivo ci scappa, purtroppo senza immagini, come in questo caso) tale Go Faster Records (?!?) lo rende disponibile per la prima volta. E si tratta di un signor concerto, da mettere nella vostra discoteca insieme ai classici concerti al Fillmore della prima edizione della band o ai due An Evening With The Allman Brothers Band 1st and 2nd Set poi ampliati nello splendido Play All Night, relativo ai concerti al Beacon Theatre del 1992. Quindi siamo nell’epoca quando, tra un dissapore e l’altro, nella formazione c’è ancora Dickey Betts, insieme agli altri componenti originali Gregg Allman, Jaimoe e Butch Trucks, la seconda chitarra è Warren Haynes, al basso c’è Allen Woody (entrambi se ne andranno nel 1997 per seguire la loro creatura Gov’t Mule), alle percussioni troviamo Marc Quinones.

Ottimo concerto, inciso piuttosto bene, quasi come un disco ufficiale, con Betts in grande spolvero, tre degli 8 pezzi presenti nel Live sono a sua firma: una scintillante Ramblin’ Man, una sinuosa e ricca di variazioni Blue Sky, quasi una gemella della canzone precedente, dove la slide vola leggiadra e turbinante, e infine una poderosa versione della rara Back Where It All Begins, che nel libretto del CD perde Back dal titolo, ma non la grinta e la lunghezza, siamo oltre i dieci minuti, con le due chitarre che si fronteggiano e si confrontano in un continuo interscambio, come nella migliore tradizione della band di Jacksonville via Macon. E il resto non è da meno, anche Gregg Allman, dopo l’imbarazzante figura di inizio anno del ‘95, quando si era presentato alla serata di induzione nella Rock And Roll Hall Of Fame completamente ubriaco, sembra avere deciso di tornare, nei limiti del possibile, sobrio ed affidabile, regalandoci alcune ottime versioni di brani poco celebri, come Sailin’ Across The Devil’s Sea, sempre con le due chitarre gagliardamente duellanti, anche in modalità wah-wah contro slide, o il super classico Ain’t Wastin’ Time No More, uno dei loro cavalli di battaglia.

Molto buona anche una versione elettroacustica di Midnight Rider, come pure il blues tirato di The Same Thing di Willie Dixon che era entrato nel loro repertorio live di quel periodo e che qui appare in una versione scintillante, con Matt Abts aggiunto alla batteria, perché c’erano pochi percussionisti sul palco! Per concludere l’oretta circa di questo broadcast (nella serata vennero eseguiti in tutto 12 pezzi, ma avevano suonato pure il giorno precedente ad Austin  e sarebbero tornati nel 2005 con Derek Trucks in formazione https://www.youtube.com/watch?v=LgMLKgNP3cA ) manca la conclusiva ed immancabile One way out, anche questa appena oltre i canonici dieci minuti, con il solito riff ricorrente del brano tirato allo spasimo in una versione ad alti contenuti energetici. Ma gli Allman Brothers deludono raramente e questa non è una delle occasioni. Comunque occhio, perché in questi broadcast radiofonici ci sono molti concerti che si ripresentano in versioni con copertine e titoli diversi (ultimamente anche troppi), ma dal contenuto identico,  non è il caso in questione, qui siamo di fronte ad una “primizia”

Bruno Conti