Un Live Che Non Fa Prigionieri! Anche Perché Ci Sono Già…. Mark Collie – Alive At Brushy Mountain State Penitentiary

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Mark Collie & His Reckless Companions – Alive At Brushy Mountain State Penitentiary – Wilbanks Entertainment CD

Spero che mi perdonerete la battutaccia del titolo, ma era difficile resistere… Non so quanti di voi si ricordano di Mark Collie, country singer-songwriter di Nashville abbastanza popolare negli anni novanta, autore di ben cinque album dal 1990 al 1995, con una bella serie di canzoni decisamente elettriche e poco inclini ai compromessi, tra honky-tonk, cover di pezzi rock, qualche ballata di buona fattura e soprattutto tanta energia e brani di sano country moderno. Le vendite non erano neanche male, ma all’improvviso, all’indomani di Tennessee Plates (1995), il silenzio, totale e lunghissimo, interrotto soltanto nel 2006 con la pubblicazione di Rose Covered Garden, un lungo periodo di inattività che non ha fatto certo bene alla sua carriera. Per fortuna le notizie più recenti lo darebbero (il condizionale è d’obbligo) in procinto di tornare nel giro, ma intanto l’appetito viene stuzzicato con la pubblicazione di questo live, il primo per lui, intitolato Alive At Brushy Mountain State Penitentiary, registrato nel 2001 nell’omonima prigione del Tennessee (che ha chiuso i battenti nel 2009), ma messo sul mercato soltanto oggi.

La registrazione di dischi dal vivo nelle prigioni è una vecchia pratica, non solo nel country: gli esempi più noti sono i leggendari album alla Folsom Prison e poi a San Quentin da parte di Johnny Cash, ma anche il disco inciso da B.B. King alla Cook County Jail; anche Mark, che nel 2001 era ancora relativamente popolare, ha pensato di allietare la dolorosa permanenza dei carcerati della prigione di Brushy Mountain, e per farlo si è presentato con una super band. Lo accompagna infatti in questa serata gente come David Grissom, grande chitarrista già al servizio di John Mellencamp e Joe Ely, il tastierista Mike Utley, da decenni nella Coral Reefer Band di Jimmy Buffett, il bassista Willie Weeks (Rolling Stones, Eric Clapton e molti altri), il chitarrista e violinista Shawn Camp (produttore e partner musicale del grande Guy Clark) ed il batterista Chad Cromwell (Neil Young, Mark Knopfler): un gruppo dal pedigree eccezionale, perfetto per accompagnare il nostro nelle sue scorribande elettriche e decisamente coinvolgenti, canzoni che in questa veste live si spostano ancora di più verso il rock; come ciliegina, abbiamo anche un paio di graditi ospiti, e cioè la brava Kelly Willis in tre pezzi e, alla chitarra e voce in Someday My Luck Will Change, il grande bluesman Clarence “Gatemouth” Brown, quattro anni prima della sua scomparsa.

Un gran bel disco di puro country-rock, vigoroso e vibrante, con un leader decisamente in palla ed un pubblico prevedibilmente caldo (anche perché non è che serate come questa fossero frequenti in quel luogo), che risponde spesso con ovazioni ai testi delle canzoni, scelte con cura tra originali e cover in modo da offrire quasi solo brani a tema per così dire carcerario (e quindi non ci sarebbe stata male una bella The Devil’s Right Hand di Steve Earle, uno che in galera c’era pure stato). Attacco potente con One More Second Chance, un rockin’ country (molto più rockin’ che country) ad alto tasso elettrico, gran ritmo e Grissom subito in prima fila a macinare note; I Could’ve Gone Right è una orecchiabile country song che parte lenta ma poi, quando entra la band, fa salire la temperatura, con un motivo diretto ed altro ottimo assolo chitarristico (ma anche Utley fa sentire le sue dita sulla tastiera), Maybe Mexico, che parla della nazione del titolo come possibile luogo di destinazione per un fuggitivo, è un country’n’roll tutto da godere, con il pubblico che si fa sentire al termine di ogni ritornello. Heaven Bound, di e con Kelly Willis, mette in primo piano la bella voce della bionda cantante, per una country song limpida e deliziosa, mentre Got A Feelin’ For Ya (scritta da Dan Penn con Chuck Prophet), ha un ritmo più cadenzato ed elementi quasi soul, con la voce della Willis che si adatta al brano con ottima duttilità.

La fluida On The Day I Die vede Mark tornare al centro del palco, ed è una rock ballad fatta e finita, di country ha poco, e rientra alla perfezione nella categoria di certe canzoni stradaiole di John Mellencamp, mentre la tonica Dead Man Runs Before He Walks ha un buon sapore di country blues elettroacustico sudista; la bella Rose Covered Garden, un folk tune cantautorale di grande presa (una delle migliori composizioni di Mark), precede un’intensa cover di Why Me Lord di Kris Kristofferson, ancora con l’aiuto di Kelly, un’ottima versione che piacerà di certo anche al vecchio Kris. La roccata e ficcante Do As I Say prelude all’arrivo di Clarence “Gatemouth” Brown, che con Someday My Luck Will Change sposta la serata su territori decisamente blues, uno slow notturno di gran classe per sei minuti decisamente caldi e sudati, con la chitarra del bluesman a farla da padrone (ma anche l’hammond di Utley non scherza); il concerto si avvia al termine, il tempo per una Folsom Prison Blues più roccata di quella di Johnny Cash (anche per via dell’assolo di Grissom), e per le conclusive Reckless Companions, altro scintillante country-rock, tra i migliori della serata, e Gospel Train, che come da titolo ci fa spostare di botto in una chiesa dell’Alabama, grazie soprattutto alle voci del Brushy Mountain Prison Choir, grandi protagoniste del brano.

Un gran bel live, ma adesso è tempo che Mark Collie torni del tutto con un disco nuovo al 100%.

Marco Verdi

Dalle Strade Di Nashville Agli Studi Capitol Il Passo E’ Breve! Doug Seegers – Walking On The Edge Of The World

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Doug Seegers – Walking On The Edge Of The World – Capitol CD

Quella di Doug Seegers, musicista e countryman di Long Island, NY, è una bella storia. Ha infatti esordito circa due anni fa con l’ottimo Going Down To The River, ad un’età non proprio da esordiente (se mi passate il bisticcio), 62 anni, in quanto nel periodo precedente suonava per le strade di Nashville e conduceva una vita da homeless. La fortuna finalmente bussa alla sua porta, proprio nel 2014, nella persona di Jill Johnson, una country singer svedese molto popolare in patria, che nota Doug restandone impressionata, lo porta in studio con lei ed incide con lui la title track di quello che sarebbe diventato il suo primo disco, un singolo che andò al numero uno in Svezia e contribuì a farlo notare anche a Nashville (la sua storia ha delle similitudini con quella di Ted Hawkins, grande cantante oggi purtroppo scomparso, che fece il busker per gran parte della sua vita). Oggi, dopo un disco in duo con la Johnson, Seegers torna tra noi con il suo secondo lavoro vero e proprio, Walking On The Edge Of The World, che esce addirittura per la mitica Capitol: il disco conferma quanto di buono Doug aveva fatto vedere con il suo debutto, provando che in America ci possono essere talenti nascosti ad ogni angolo, e che molto spesso il successo è una mera questione di fortuna.

Seegers ha una bella voce, scrive ottime canzoni, e possiede un’attitudine da consumato countryman, e questo secondo disco potrebbe addirittura risultare migliore del già brillante esordio: la Capitol gli ha messo a disposizione una eccellente band di sessionmen esperti, tra i quali spiccano il ben noto Al Perkins alla steel, l’ottimo pianista ed organista Phil Madeira e Will Kimbrough alle chitarre ed alla produzione (come già per il disco di due anni orsono), più due o tre ospiti di grande livello (che vedremo a breve) a dare più prestigio ad un lavoro già bello di suo. La title track fa partire il disco nel modo migliore con una gran bella canzone, un country-rock denso ed elettrico, con riff ed assoli quasi da rock band ed un refrain deliziosamente orecchiabile. From Here To The Blues ha un’andatura da country song d’altri tempi, limpida e tersa, con gran spiegamento di steel, violino e pianoforte, e la bella voce di Elizabeth Cook ai controcanti; Zombie è qualcosa di diverso, un gustosissimo shuffle notturno, tra jazz e blues, con i fiati e l’ottimo piano di Madeira a guidare le danze: stimolante ed accattivante. Will You Take The Hand Of Jesus è uno scintillante bluegrass, dal gran ritmo ed assoli a raffica, come nella tradizione della vera mountain music: Doug fa bene tutto ciò che fa, ed in più ha anche una bella penna, peccato solo che sia stato scoperto così tardi.

She’s My Baby è una ballatona raffinata ma eccessivamente edulcorata (gli archi li avrei evitati), preferisco il Seegers dei primi quattro brani, che per fortuna ritroviamo subito con la seguente How Long Must I Roll, un rockin’ country ritmato, coinvolgente e di stampo quasi texano. Before The Crash è introdotta da uno splendido arpeggio elettrico, ed anche il resto è super, una rock song a tutto tondo e dal sapore classico, chitarristica e vibrante, con un organo da southern band ed una melodia diretta ed affascinante: uno dei pezzi più belli del CD, se non il più bello. Give It Away è ancora uno slow, ma con risultati migliori di prima, sarà per il motivo toccante, il sapore nostalgico o l’arrangiamento più leggero, mentre Far Side Banks Of  Jordan (un classico country, scritto da Terry Smith ed incisao anche da Johnny Cash e June Carter) vede il nostro duettare addirittura con Emmylou Harris ed il pezzo, già bello di suo, sale ancora di livello ogni volta che la cantante dai capelli d’argento apre bocca. If I Were You è un altro duetto, stavolta con Buddy Miller (che stranamente non suona anche la chitarra), un honky-tonk che più classico non si può, dal ritmo sostenuto e suonato alla grande, un altro degli highlights del CD; chiudono il lavoro la swingata e bluesata Mr. Weavil, quasi un pezzo da big band (anch’essa tra le più godibili) e la pura Don’t Laugh At Me, eseguita da Doug in perfetta solitudine, voce e chitarra, come usava fare per le strade di Nashville.

Si è fatto conoscere molto tardi Doug Seegers, ma finché pubblicherà dischi come Walking On The Edge Of The World sapremo farcene una ragione, e speriamo non lo mollino di nuovo in mezzo a una strada.

Marco Verdi

Un Ritorno Coi Fiocchi! Dave Insley – Just The Way That I Am

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Dave Insley – Just The Way That I Am – D.I.R. CD

E’ sempre bello quando un musicista che consideravamo perso per strada torna a fare musica, ed è ancora più bello quando lo fa con il suo disco migliore. Non mi ero dimenticato di Dave Insley, countryman originario del Kansas ma trapiantato fin dall’adolescenza in Arizona, autore di tre convincenti album di puro country tra il 2005 ed il 2008 (Call Me Lonesome, Here With You Tonight e West Texas Wine), tre dischi che rivelavano un talento indiscutibile, con una bella serie di canzoni profondamente influenzate dal Texas, terra nella quale nel frattempo Dave si era spostato (più precisamente ad Austin). Poi, all’improvviso, ben otto anni di silenzio assoluto, una lunga pausa di cui ignoro la causa (il suo sito sorvola sull’argomento, ed anche in giro per il web non ho trovato molte info): otto anni di nulla danneggerebbero la carriera di un big, figuriamoci quella di un musicista che stava ancora cercando la giusta via, significa consegnarsi all’oblio totale; ma Dave non si è perso d’animo, ha continuato a scrivere, si è preso il tempo necessario, ed ora torna tra noi con quello che posso senz’altro definire come il suo lavoro più riuscito.

Just The Way That I Am è un album davvero scintillante, dodici canzoni di vera country music texana, elettrica quanto basta, suonata e cantata alla grande (il nostro ha una bella voce profonda, simile in alcuni momenti ad un Willie Nelson più giovane): un cocktail sonoro a tratti irresistibile, che ci riconsegna un artista in forma smagliante, notizia ancora più gradita dato che credevo di averlo perso. Per questo suo ritorno, Insley si fa aiutare da una bella serie di sessionmen, tra i quali spiccano Rick Shea, Matt Hubbard (già collaboratore di Nelson), Redd Volkaert (ex chitarra solista della band di Merle Haggard), oltre a Kelly Willis e Dale Watson ospiti vocali in due brani. In poche parole, uno dei migliori dischi di vero country da me ascoltato in questo 2016.  L’album parte subito in quarta con Drinkin’ Wine And Staring At The Phone, bellissimo honky-tonk elettrico, ritmato e coinvolgente, con tanto di tromba dixie e fiati mariachi, ed una melodia che ricorda il Willie d’annata: brillante. Ottima anche I Don’t Know How The Story Ends, una western tune intensa, ancora figlia di Willie (anche nel titolo, molto “nelsoniano”), con una bella armonica ed una melodia fluida e distesa; anche Call Me If You Ever Change Your Mind ha il sapore del Texas, una country song sciolta e spedita, con una bella chitarra (Volkaert) e grande classe.

Win Win Situation For Losers è una scintillante honky-tonk ballad, impreziosita dalla seconda voce della Willis, un brano dallo spirito classico, suonato e cantato davvero bene; che dire poi di Arizona Territory, 1904, altro brano di stampo western e dall’impianto quasi cinematografico, grande voce e feeling a palate (il timbro vocale è sempre simile a Nelson, ma lo stile qui è vicino a certe cose di Johnny Cash). Con Please Believe Me si cambia registro, in quanto Dave ci presenta una perfetta ballata romantica anni sessanta con accenni doo-wop, qualcosa di diverso ma assolutamente credibile, mentre con la distesa Footprints In The Snow torniamo su lidi più consueti, anche se permane un’atmosfera d’altri tempi. L’ironica Dead And Gone inizia in maniera funerea, ma presto si trasforma in un gustoso honky-tonk elettrico che più classico non si può, texano al 100%, tra i più godibili del CD; No One To Come Home To vede la partecipazione vocale di Watson, ed in effetti il pezzo è perfetto per il texano, ritmato e coinvolgente, con ottime prove della steel di Bobby Snell e della solista di Shea, mentre We’re All Here Together Because Of You è ancora una deliziosa cowboy tune dal refrain accattivante. Il CD si chiude con la lenta ed intensa Just The Way That I Am e con la bellissima Everything Must Go, tra country, anni sessanta ed un tocco mexican, uno spettacolo.

Spero vivamente che Dave Insley sia tornato per restare tra noi, anche perché di dischi come Just The Way That I Am c’è sempre bisogno.

Marco Verdi

Tra Cacca Di Gallina (Vero!) E Chitarre! Dale Watson & His Lonestars – Live At The Big T Roadhouse

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Dale Watson & His Lonestars – Live At The Big T Roadhouse – Red House/Ird

In tutti questi anni di ascoltatore ne ho viste (anzi, sentite) tante, ma un disco dal vivo che fungeva da colonna sonora per una serata al bingo (la nostra tombola) mi mancava: in più, non un bingo normale, ma un Chicken Shit Bingo, una pratica pare diffusa in certe zone del Texas, che consiste nel liberare una gallina sopra una tavola che riproduce i novanta numeri della tombola, ed aspettare che il pollastro faccia i suoi bisogni, ed il vincitore è il possessore del numero che viene “coperto” dagli escrementi del pennuto https://www.youtube.com/watch?v=ZxU7U9Hm-5U ! Una pratica a mio parere un po’ idiota e pure leggermente rivoltante, ed il fatto ancora più stupefacente è che tra i suoi fans ci sia anche Dale Watson, countryman texano dal pelo duro, ben noto su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2013/02/10/qui-si-va-sul-sicuro-dale-watson-and-his-lonestars-el-rancho/, che spesso e volentieri allieta queste serate con la sua band, come succede in questo Live At The Big T Roadhouse, registrato nel Marzo di quest’anno a St. Hedwig. Watson è una garanzia, uno di quelli che non tradiscono, e dai quali sai esattamente cosa aspettarti: verace country-rock texano al 100%, ritmato, elettrico e coinvolgente, tra honky-tonk scintillanti, brani dal deciso sapore swing e rockabilly al fulmicotone, il tutto condito dalla calda voce baritonale del nostro. Nei suoi oltre vent’anni di carriera Dale ci ha regalato parecchi album, quasi tutti più che riusciti (basti ricordare i vari episodi delle sue Truckin’ Sessions), ed anche diversi dischi dal vivo, dei quali quest’ultimo è senz’altro il più particolare, data la peculiare situazione in cui viene registrato.

Watson, che come al solito canta e suona l’unica chitarra presente on stage, è accompagnato dal suo combo di fiducia, i Lonestars (Chris Crepps al basso, Mike Bernal alla batteria e l’ottimo “Don Don” Pawlak alla steel), e ci intrattiene per più di un’ora con le sue Texas country songs: l’unico problema, se vogliamo, è il fatto che sul disco siano stati messi anche i momenti che con la musica hanno poco a che vedere, come le occasionali proclamazioni dei vari vincitori del bingo, improvvisati jingle pubblicitari di Dale a favore della Lone Star Beer (la sua preferita, ma chi se ne frega dopotutto) e cazzeggi vari che a mio parere interrompono il ritmo tra una canzone e l’altra, al punto che, delle 35 tracce presenti, solo 19 sono brani effettivi. Sono certo che questi momenti goliardici saranno apprezzati dagli americani (dal momento che impazziscono per dei polli che defecano sopra un tavolo…), ma a noi europei interessa soprattutto la musica, anche perché Watson quando parla sembra che di galline ne abbia ingoiate un paio intere, facendo capire ben poco ai non anglofoni.

Gli episodi coinvolgenti non mancano di certo, dalla sigla della serata Big T’s, un rockabilly elettrico con Dale che si atteggia a novello Johnny Cash, a Sit And Drink And Cry, spedito honky-tonk con una guizzante steel, o la supertexana Where Do You Want It, dedicata a (ed ispirata da) Billy Joe Shaver (e con un ficcante assolo del nostro). Ma tutto il CD, tolte le interruzioni, offre ritmo da vendere, sudore ed ottima Texas music, come la swingata Everybody’s Coming In St. Hedwig, Texas, il boogie I Gotta Drive, la scintillante Honky Tonkers Don’t Cry, la deliziosa ballad Smile, ancora figlia di Cash, la messicaneggiante Tienes Cabeza De Palo, la fluida I Lie When I Drink, uno dei classici di Watson. E poi abbiamo anche tre cover, di cui due tratte dal repertorio di Merle Haggard (una splendida The Fugitive, nota anche come I Am A Lonesome Fugitive, e The Bottle Let Me Down, suonata con grande rispetto dell’originale) ed una roccata e vibrante resa di Amos Moses di Jerry Reed. 

Ancora un buon disco quindi per Dale Watson, che sarebbe stato ancora meglio se ne avesse pubblicato anche una versione senza dialoghi ed interruzioni che, obbiettivamente, spezzano il ritmo della serata.

Marco Verdi

“Vecchissimi Cowboy Sudisti”, Non Ancora Stanchi! Charlie Daniels – Night Hawk

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Charlie Daniels – Night Hawk – CDC Records CD

Alla bella età di ottanta anni, Charlie Daniels, vera e propria icona della musica americana, non ha ancora perso la voglia di fare musica. A due anni dall’ottimo album di covers dylaniane Off The Grid (probabilmente il miglior disco del barbuto countryman da trant’anni a questa parte) http://discoclub.myblog.it/2014/04/04/cover-cover-charlie-daniels-band-off-the-grid-doin-it-dylan/ , e dopo l’ottimo album Live pubblicato lo scorso anno http://discoclub.myblog.it/2015/11/23/piu-che-gagliardo-dal-vivo-charlie-daniels-band-live-at-billy-bobs-texas/  il nostro sfrutta l’eccellente momento di forma e pubblica questo Night Hawk, una sorta di excursus nel mondo delle cowboy songs, con riproposizioni di veri e propri classici del genere e rivisitazioni di suoi brani del passato. Daniels, nonostante la veneranda età, ha ancora una voce strepitosa, e la sua voglia di intrattenere è rimasta intatta: Night Hawk lo vede poi nel suo ambiente naturale, le cowboy songs, che il nostro riprende con grande classe e naturalezza, scegliendo arrangiamenti semplici ed acustici, quasi da old-time bluegrass band.

Infatti il musicista originario del North Carolina, che si accompagna con l’inseparabile violino, non si esibisce con l’usuale band elettrica, ma con un piccolo combo che cuce intorno alla sua voce un tappeto sonoro semplice ma di grande purezza: Chris Wormer alla chitarra acustica, Charlie Hayward al basso, Casey Wood alle percussioni, e soprattutto Bruce Brown, che suona un po’ di tutto, dalla chitarra al banjo all’armonica al dobro al mandolino, rivelandosi il vero band leader del disco. E Night Hawk, pur nella sua esigua durata (32 minuti) si rivela un album piacevole e riuscito, forse non allo stesso livello di Off The Grid, ma decisamente superiore a certi lavori altalenanti del passato di Daniels. Big Balls In Cowtown è una gioiosa interpretazione di un classico tratto dal repertorio, tra gli altri, di Bob Wills, Asleep At The Wheels e George Strait: nonostante gli anni Charlie ha ancora una gran voce, ed il tappeto musicale dietro di lui è perfetto, con strepitosi assoli di chitarra acustica, dobro e naturalmente violino. Billy The Kid è la rivisitazione di un vecchio pezzo del nostro (del 1976), atmosfera western, melodia tipica e gran sottofondo di strumenti a corda, una versione stripped-down ma non certo inferiore all’originale, mentre Night Hawk è un toccante slow dominato dal vocione di Charlie, e con un accompagnamento scarno ma robuste dosi di feeling.

Stay All Night (Stay A Little Longer) è nota soprattutto per la versione di Willie Nelson (ma l’hanno fatta anche Merle Haggard e di nuovo Bob Wills), una rilettura ricca di ritmo e swing, anche se Willie è due spanne più in alto; Goodnight Loving Trail, di Bruce “Utah” Phillips, è una cowboy ballad pura e cristallina, mentre (Ghost) Riders In The Sky, il grande classico portato al successo da Johnny Cash, è strepitosa in tutte le salse, e Charlie la rifà come se fosse sua, senza la drammaticità dell’Uomo in Nero ma con grinta e passione. Running With The Crowd, ancora Charlie Daniels Band d’annata, è un pezzo che anche spogliato degli strumenti elettrici mantiene la sua anima southern (ed il dobro la fa da padrone), mentre il celebre traditional Old Chisholm Trail è un divertente pretesto per far sentire il violino del leader, con l’armonica di Brown che lo doppia da par suo; l’album si chiude con la lenta ed intensa Can’t Beat The Damned Ole Machine, un inedito scritto dallo scomparso Joel “Taz” Di Gregorio, storico tastierista della CDB, e con la bella Yippie Ki Yea, una vibrante ballata western di stampo classico, anch’essa già presentata da Charlie in passato ma in veste differente.

Charlie Daniels non ha ancora appeso il cappello (ed il violino) al chiodo, anzi, direi che è più in forma adesso di vent’anni fa.

Marco Verdi

Meglio Il Live Uscito Lo Scorso Anno, Ma Anche Questo Non E’ Male! The Outlaws – Live At The Bottom Line, New York ‘86

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The Outlaws – Live At The Bottom Line, New York ’86 – Hotspur 2CD

A meno di un anno da Los Angeles 1976, ecco un nuovo album dal vivo degli Outlaws, la nota band sudista attiva all’incirca dalla metà degli anni settanta: registrato esattamente dieci anni dopo, in una fase quindi molto diversa della carriera del gruppo, Live At The Bottom Line, New York ’86 non entra a far parte della loro discografia ufficiale come il predecessore (che era stato pubblicato dalla Cleopatra) http://discoclub.myblog.it/2015/12/11/suonavano-eccome-se-suonavano-outlaws-live-los-angeles-1976/ , ma rientra nella miriade di CD tratti da show trasmessi all’epoca dalle radio, titoli che ogni mese invadono il mercato (e di cui personalmente non sento affatto il bisogno, salvo alcune eccezioni, dato che faccio già fatica a star dietro alle pubblicazioni regolari). Gli anni ottanta, si sa, furono il nadir per molti gruppi e solisti dell’epoca classica del rock, e gli Outlaws, che fuoriclasse forse non erano mai stati ,ma tra il 1975 ed il 1978 qualcosa di valido sicuramente lo produssero, non si sottrassero certo alla mannaia: pochi dischi, di scarso successo, ed un lungo periodo di inattività che andò dal 1986 al 1994.

Live At The Bottom Line è un doppio CD, inciso in maniera più che buona, facente riferimento proprio ad uno show del 1986 nel leggendario club newyorkese, a supporto dell’allora nuovo album Soldiers Of Fortune, il primo in quattro anni. La band, che negli anni ha cambiato formazione una marea di volte, in quel momento era un quintetto composto dalle tre chitarre di Hughie Thomasson (da sempre il leader del combo), Henry Paul e Steve Grisham, e dalla sezione ritmica di Chuck Glass, basso, e David Dix, batteria. Il gruppo dal vivo non sembra risentire del momento di crisi, e suona con il consueto vigore elettrico, togliendo parte della patina commerciale e tipicamente eighties che le nuove composizioni avevano in studio: il doppio risulta perciò gradevole, con diversi momenti di ottimo rock sudista, anche se, comparato con il live uscito lo scorso anno, perde inevitabilmente il confronto. Chiaramente i nostri non saranno mai indicati fra gli imperdibili del genere, ma certi incroci di chitarra e certe jam elettriche fanno la loro bella figura ancora oggi, mentre non è così per le parti vocali, da sempre il punto debole dei “Fuorilegge”.

Il primo CD si apre con la robusta Whatcha Don’t Do, una rock song decisamente accattivante, tratta dall’allora nuovo album: un bel refrain, ritmo alto ed intrecci di chitarra come se piovesse. Tutto il primo dischetto, ben sette brani su otto, prende in esame le canzoni di Soldiers Of Fortune, con la sola eccezione di You Are The Show (tratta da Playin’ To Win del 1978), una classica ballata sudista caratterizzata dai continui stop & go ed il solito finale ad alto tasso chitarristico, tutto da gustare. E’ chiaro che non tutto funziona alla perfezione, alcuni brani sono dei riempitivi (altrimenti Soldiers Of Fortune non sarebbe passato inosservato), ma essendo i nostri principalmente una live band, anche pezzi minori come la title track del disco dell’86 (alla quale servirebbe un cantante migliore) e One Last Ride fanno la loro figura. Lady Luck è puro rock da FM, e non è inteso come un complimento, mentre Cold Harbor ha una bella atmosfera da racconto western (anche se parla della guerra civile) e si difende bene, mentre The Night Cries si potrebbe benissimo saltare. Le cartucce migliori vengono sparate nel secondo CD, con buone riletture di brani appartenenti al periodo classico del gruppo, come la countryeggiante Knoxville Girl, il rock’n’roll sudista There Goes Another Love o la vibrante Hurry Sundown, oltre alla rara Feel The Heat (un brano della Henry Paul Band), roccata e diretta come un pugno in faccia, ma soprattutto l’uno-due finale che da solo vale il prezzo d’ingresso, formato dalla loro signature song Green Grass & High Tides e da una tostissima versione elettrica del classico Ghost Riders In The Sky (singolo portante di un loro album del 1980, giusto un anno dopo che era stata portata al successo da Johnny Cash), per un totale di ventidue minuti di assoli, cambi di ritmo, potenza e tensione elettrica a mille. Un finale che non rende di certo indispensabile questo Live At The Bottom Line, ma meritevole di un pensierino forse sì.

Marco Verdi

A Sorpresa Ecco Un Altro “Cantattore”, Molto Bravo Pure Questo! Kiefer Sutherland – Down In A Hole

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Kiefer Sutherland – Down In A Hole – Warner Music Nashville/Ironworks Music

La lista degli attori che si rivelano anche ottimi (diciamo buoni) cantanti e spesso pure autori, si arricchisce di un nuovo personaggio. Dopo Jeff Bridges, Billy Bob Thornton, Kevin Costner, Bruce Willis, Jack Black, Russell Crowe, Kevin Bacon, Steve Martin (forse più un banjoista con i suoi Steep Canyon Rangers, vincitore anche di un Grammy), i due capostipiti che sono stati John Belushi Dan Aykroyd nei Blues Brothers, quelli più validi, ma ci sono anche altri che si cimentano in ambito musicale (Jared Leto, Keanu Reeves, Ryan Gosling, Johnny Depp e altri che non citiamo per bontà d’animo, oltre a diverse voci femminili). L’ultimo ad aggiungersi, devo dire a sorpresa, è Kiefer Sutherland, che in più è pure figlio d’arte, del grande Donald Sutherland: tra l’altro non sapevo che fossero entrambi canadesi, anche se Kiefer è nato nei pressi di Londra. Del babbo sappiamo tutto, e pure il figlio, sin dagli esordi con Stand By Me, Bad Boy, Promised Land, Lost Boys, fino ad arrivare al successo universale della serie televisiva 24, si è rivelato uno degli attori più bravi ed eclettici della cinematografia mondiale. Ora esordisce alla grande con questo Down In A Hole, registrato in quel di Nashville con l’aiuto di Jude Cole, discreto cantante e musicista, autore anche di diversi discreti dischi solisti dagli anni ’80 in avanti, poi trasformatosi in produttore (devo dire non con gente che mi fa impazzire, Lifehouse, Honeyhoney, Mozella, Beth Orton e anche Paola Turci, forse Rocco De Luca l’unico che non mi dispiace): ma questa volta, impegnato anche a vari strumenti, e autore con Sutherland di tutte le canzoni, con l’aiuto di una nutrita pattuglia di eccellenti musicisti locali, tra cui spiccano i più noti Greg Leisz, Phil Parlapiano e Patrick Leonard, ma anche gli altri non sono male, ha confezionato un bel disco di rockin’ country, o country venato di rock, come preferite.

Musicalmente quindi siamo dalle parti di Jeff Bridges, Billy Bob Thornton, Kevin Costner, con un sound solido, ricco di chitarre elettriche, e cantato con grinta ed energia, essendo Kiefer Sutherland in possesso di una eccellente voce, roca e vissuta, dal timbro leggermente baritonale (per intenderci sullo stile di Tom Waits Johnny Cash, che rimangono comunque di un’altra categoria), come testimoniamo i 50 anni da compiersi a dicembre, ed una serie di brani che lui stesso ha definito come una sorta di diario o giornale, canzoni che trattano soprattutto di sentimenti: separazioni, amori non corrisposti o finiti, bevute e bisbocce, rimpianti devastanti e speranze, impressioni raccolte in diversi anni e messe in musica. L’iniziale Can’t Stay Away sembra un heartland rocker degno del miglior Mellencamp, la voce si Sutherland potente e sicura, la chitarra slide, probabilmente Leisz, tagliente e vibrante, a caratterizzare il brano, che comunque spicca per l’eccellente atmosfera sonora d’insieme https://www.youtube.com/watch?v=KiT7F7dRGRU . Ottima anche la successiva Truth In Your Eyes, una bella mid-tempo ballad dove la steel guitar aggiunge una nota di fragilità e sentimenti feriti, tipica del country più genuino, il tutto con la solita bella melodia che rimane in mente e arrangiamenti curati alla perfezione da Jude Cole, con begli impasti chitarristici, tocchi mirati di piano e organo, armonie vocali usate con gusto e parsimonia https://www.youtube.com/watch?v=8So4bl6LWJs . Ma tutte le canzoni sono molto buone I’ll Do Anything, limpida e delicata, sta tra Springsteen John Prine, una canzone sui buoni sentimenti, mentre Not Enough Whiskey è la classica canzone sulle bevute per dimenticare, dove il whisky non basta mai, un’altra malinconica ballata con uso di pedal steel.

Going Home torna a virare su un solido rock, arricchito di elementi southern, dove le chitarre roccano e rollano di gusto, rispondendosi dai canali dello stereo: Calling Out Your Name, più intima e raccolta, con piano, organo e chitarre acustiche, a contendere il proscenio alle elettriche, mi ha ricordato certi pezzi di Bob Seger, e anche My Best Friend, introdotta da un bel arpeggio di chitarra acustica, è un’altra eccellente ballata, tra le migliori del disco grazie ad un coinvolgente crescendo, cantata con passione da Sutherland. Molto bella anche Shirley Jean, un valzerone di impianto country degno di Kris Kristofferson, con mandolino e steel di nuovo in bella evidenza, e un testo che racconta delle ultime ore di un detenuto nel braccio della morte https://www.youtube.com/watch?v=wQes5jLOcwA . All She Wrote introduce anche elementi blues e swampy soul, un pezzo tosto ma sempre percorso da belle melodie e arrangiamenti avvolgenti, interessante anche l’uso delle voci di supporto e del piano elettrico per aumentare il pathos del brano, che è sottoposto a continue scariche ritmiche https://www.youtube.com/watch?v=FGozPFSQoM8 . Down In A Hole, ha un titolo molto simile a quello di una canzone di Tom Waits (lì era preceduto da Way nel titolo), un altro gagliardo esempio della ottima penna di Sutherland e di Jude Cole, con fantastici interventi delle ingrifatissime chitarre elettriche che scaricano folate potentissime di puro rock,altra bellissima canzone. In conclusione Gonna Die, un brano che qualcuno ha paragonato al Johnny Cash degli ultimi anni, magari non per il tipo di di voce ma per l’atmosfera sonora, che è comunque più elettrica degli American Recordings, altro gran pezzo comunque.

Come in altri dischi di esordio Kiefer Sutherland ha scelto forse il meglio di 50 anni di esperienze di vita, ma il risultato è veramente di grande sostanza. Se sono tutti così bravi dateci altri “cantattori”. Finora una delle più belle sorprese di quest’anno.

Bruno Conti

Il Miglior Modo Per Festeggiare Gli 80 Anni Di Un Grande! Kris Kristofferson – The Complete Monument & Columbia Album Collection – The Cedar Creek Sessions. Parte II

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Kris Kristofferson – The Complete Monument & Columbia Album Collection – Sony Legacy 16CD Box Set

Kris Kristofferson – The Cedar Creek Sessions – KK Records 2CD

Parte seconda…

E poi abbiamo i cinque dischetti di rarità, dei quali i primi tre dal vivo: Live At The Big Sur Folk Festival 1970 e Live At RCA Studios 1972 sono inediti, mentre Live At The Philarmonic, sempre inciso nel 1972, è uscito nel 1992 ma è introvabile da anni; inutile dire che, nonostante le canzoni si ripetano spesso e volentieri, siamo di fronte a tre live uno più bello dell’altro, con Kris padrone del campo ed in gran forma, accompagnato a seconda dei concerti dai soliti fedelissimi (Fritts, Blake, Bruton, Swan, Terry Paul e, nel terzo CD, da Sammy Creason alla batteria): ed è proprio al Philarmonic, il più lungo dei tre, che si trovano le chicche più ghiotte, come una splendida The Late John Garfield Blues di John Prine, il classico Okie From Muskogee di Merle Haggard (alla quale Kris cambia il testo a suo piacimento), oltre a quattro pezzi eseguiti da Willie Nelson in qualità di ospite speciale (Funny How Time Slips Away, Night Life, Me And Paul e Morning Dew), e Willie era già un grande. Poi c’è il CD intitolato Extras, che prende in esame le rarità ed i brani usciti su altri dischi, ed è uno dei più interessanti: inizia con due brani di un raro singolo del 1966 (Golden Idol e Killing Time), che già facevano intravedere che il nostro aveva dei numeri, per poi passare ad uno splendido duetto dal vivo con Joan Baez su Hello In There ancora di John Prine, tratto da una compilation di artisti vari.

A seguire ancora abbiamo le quattro bonus tracks della ristampa del 2001 di Kristofferson, tra cui l’ottima The Junkie And The Juicehead Minus Me, che negli anni settanta darà il titolo ad un LP di Johnny Cash; nove canzoni vengono da The Winning Hand, uno strano disco del 1982 che vedeva Kris dividere il campo con Willie Nelson, Brenda Lee e Dolly Parton: qui ci sono chiaramente solo i pezzi dove compariva Kristofferson, tra cui una trascinante The Bandits Of Beverly Hills https://www.youtube.com/watch?v=VBGrqZaJXi0 , una ripresa da pelle d’oca di The Bigger The Fool (The Harder The Fall) con la Lee (e che voce lei), la sempre magnifica Casey’s Last Ride (con Willie) https://www.youtube.com/watch?v=6ZgPRqBf2zs , ed anche una imbarazzante Ping Pong con la Parton. Chiudono il CD sei brani tratti da Songwriter, colonna sonora di un film del 1984 con Kris e Nelson come interpreti principali, e la versione un po’ etilica di I’ll Be Your Baby Tonight di Bob Dylan suonata nel 1992 alla BobFest del Madison Square Garden.

L’ultimo CD del box è forse il più interessante: intitolato Demos, prende in esame sedici incisioni mai sentite di canzoni rare di Kris (in molti casi con canzoni mai più riprese in seguito), non acustiche ma con la band, anche se non sono indicati né i musicisti né, fatto più grave, le date (anche se sembrerebbe un Kris di fine anni sessanta/primi settanta), un dischetto comunque che da solo quasi vale l’acquisto del box, con brani che non sembrano demos ma canzoni fatte e finite, molto country, e con alcune chicche assolute, come la strepitosa A Stich In The Hand, l’emozionante Fallen Woman o la splendida Nobody Owns My Soul, country song purissima sullo stile di Hank Williams.

E veniamo ai giorni nostri, con il bellissimo doppio The Cedar Creek Sessions, nel quale Kris rilegge per l’ennesima volta i suoi classici (lo aveva già fatto nel 1999 con The Austin Sessions), aggiungendo però qualche brano minore, ma sempre bellissimo, del suo repertorio: lo aiuta in questa missione un ristretto combo di musicisti, guidato dal chitarrista Shawn Camp (collaboratore fisso di Guy Clark), con Kevin Smith al basso, Michael Ramos al piano, Fred Remmert e Mike Meadows alla batteria e Lloyd Maines alla steel. E’ comunque sempre un piacere ascoltare queste canzoni, e qui Kris le propone con la sua voce odierna, un po’ impastata ma di grande fascino e se possibile ancora più calda ed emozionante. Mancano purtroppo The Pilgrim, Chapter 33 e Why Me, ma tutte le altre ci sono, e questa rilettura elettroacustica è perfetta. Tra le chicche, una Me And Bobby McGee con un arrangiamento alla Johnny Cash, una To Beat The Devil forse ancora più profonda dell’originale, e soprattutto una riproposizione della splendida The Loving Gift, un brano portato al successo proprio da Cash, con la brava Sheryl Crow nella parte di June Carter, un sentito omaggio all’Uomo In Nero che ebbe il merito per primo di credere in lui ed aprirgli le porte di Nashville.

E’ ora dunque di porgere il giusto tributo a Kris Kristofferson, e queste due pubblicazioni sono il modo migliore per farlo: imperdibili.

Marco Verdi

I Traveling Wilburys Del Country! Johnny Cash, Waylon Jennings, Kris Kristofferson & Willie Nelson, The Highwaymen – Live: American Outlaws

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The Highwaymen – Live: American Outlaws – Sony Legacy 3CD/DVD – 3CD/BluRay

Anzi, se proprio vogliamo fare un parallelo con il mondo del rock, gli Highwaymen sono anche qualcosa di più dei Wilburys: con tutto il rispetto per Harrison, Orbison e Lynne immaginatevi un gruppo formato da Bob Dylan, Tom Petty, Bruce Springsteen e John Fogerty ed avrete un paragone sensato con quello che il quartetto di cui mi accingo a parlare rappresenta per la musica country. Correva l’anno 1985 quando quattro vere e proprie leggende viventi decisero di unire le forze per un album: Johnny Cash, Willie Nelson, Kris Kristofferson e Waylon Jennings (il solo pensiero di trovarseli tutti e quattro davanti fa tremare le gambe) diedero alle stampe il bellissimo Highwayman, un disco composto per nove decimi da cover di brani altrui, un lavoro eccellente che vedeva i quattro in forma smagliante; le vendite furono sorprendentemente soddisfacenti, e servirono a rilanciare le carriere dei quattro, in quel momento piuttosto claudicanti (Nelson a parte, dato che il texano continuava a vendere bene pur sfornando dischi che erano uno la fotocopia dell’altro): Cash stava per essere lasciato a piedi dalla Columbia dopo decenni di militanza, lo stesso era appena successo a Jennings con la RCA, mentre Kristofferson in quegli anni non aveva neppure una carriera musicale attiva (e comunque il periodo non era il massimo per tutto il country in generale, le cose sarebbero cominciate a cambiare l’anno successivo con gli esordi di Dwight Yoakam e Steve Earle).

I quattro si diedero appuntamento cinque anni dopo per dare alle stampe il seguito di quel disco, 2, sempre di buon livello anche se inferiore al predecessore, e nel 1995 per il terzo ed ultimo lavoro in studio, The Road Goes On Forever, di qualità intermedia tra i primi due. Il supergruppo però, nel 1990 (dopo il secondo album dunque) riuscì anche ad andare in tour, ed ora finalmente la Sony ripara ad una mancanza durata più di 25 anni, pubblicando questo sontuoso cofanetto di tre CD più un DVD (o BluRay), intitolato Live: American Outlaws, una preziosa testimonianza di un evento irripetibile, quattro colossi della musica insieme dal vivo. I primi due CD documentano un intero concerto registrato al Nassau Coliseum di Uniondale, nello stato di New York, il 14 Marzo del 1990 (e lo stesso in formato video nel DVD, in parte decisamente ridotta già uscito nel 1991 in VHS), mentre il terzo dischetto audio contiene dieci canzoni registrate nel corso dei Farm Aid del 1992 e 1993, più una chicca in studio che vedremo. Ma la parte centrale del box è indubbiamente la performance di Uniondale, che vede i quattro in forma strepitosa tenere il palco con classe e carisma per ben più di due ore, accompagnati da una superband (Reggie Young e J.R. Cobb alle chitarre, Mike Leech al basso, Gene Chrisman alla batteria, Mickey Raphael all’armonica, Bobby Emmons, Danny Timms e Bobby Wood alle tastiere, Robby Turner alla steel): quattro icone che mostrano di divertirsi come fossero dei ragazzini, scherzando tra loro ed intrattenendo alla grande il pubblico, ma fanno maledettamente sul serio quando è ora di cantare. I brani dei loro primi due album in gruppo ci sono ma non occupano la parte principale, che è invece appannaggio dei classici dei quattro, nei quali molto spesso tutti collaborano vocalmente, dando così un sapore nuovo a pezzi immortali. Oltre alla qualità stratosferica della performance, abbiamo poi la perfezione del suono, quasi come se il concerto fosse della settimana scorsa (ed anche la definizione video è eccellente).

Dopo una breve versione strumentale di Mystery Train di Elvis Presley da parte della backing band ecco che entrano i quattro nel tripudio generale e piazzano subito una fluida versione della title track del loro “esordio”, la splendida canzone di Jimmy Webb che i quattro hanno reso loro al 100%; il primo a prendere in mano il pallino è Waylon, con ben cinque brani che messi uno di fila all’altro fanno venire la pelle d’oca: la mitica Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys (in duetto con Willie, naturalmente), una potente Good Hearted Woman, ancora con Nelson, la solida Trouble Man, la dolce Amanda ed il duetto con Cash nell’energica There Ain’t No Good Chain Gang, nella quale il nostro dimostra di destreggiarsi molto bene anche alla chitarra. E’ quindi la volta di due pezzi da novanta di Johnny, Ring Of Fire e Folsom Prison Blues, che non hanno bisogno di commento, e Willie che ci delizia con l’intensa Blue Eyes Crying In The Rain, tratta dal suo capolavoro Red Headed Stranger; neanche il tempo di pensare che non abbiamo ancora sentito Kristofferson che subito il cantautore/attore piazza un poker da urlo, iniziando con Sunday Morning Coming Down (insieme a Cash), proseguendo con Help Me Make It Through The Night (sempre grande), e finendo con le emozionanti The Best Of All Possible Worlds e Loving Her Was Easier (quest’ultima con Willie). Il primo CD si chiude con Nelson che giganteggia con la splendida City Of New Orleans di Steve Goodman e con la romantica Always On My Mind (l’ha fatta anche Elvis, ma la finezza di Willie è imbattibile), ed ancora con Kris che, come se niente fosse, fa venire giù il teatro con Me And Bobby McGee, senza dubbio il suo capolavoro, in una versione strepitosa e quasi rock’n’roll.

Il secondo dischetto inizia con quattro pezzi tratti dai due album del gruppo, le discrete Two Stories Wide e Living Legend, l’ottima Silver Stallion (un classico di Lee Clayton, un grande autore purtroppo dimenticato) e la corale The Last Cowboy Song, scritta da Ed Bruce (lo stesso di Mammas Don’t Let…eccetera); di nuovo Kris con la coinvolgente The Pilgrim: Chapter 33 e la fluida They Killed Him (dedicata ai leader assassinati), e finalmente Cash, poco utilizzato finora, con l’arciclassica I Still Miss Someone e la coinvolgente (Ghost) Riders In The Sky, entrambe in duetto con Willie (e fra le due purtroppo la retorica Ragged Old Flag, infarcita di stucchevole patriottismo: ma con il popò di repertorio che aveva l’Uomo In Nero proprio questa doveva scegliere?). Waylon propone la mossa Are You Sure Hank Done It This Way, alla fine della quale rilascia un breve ma intenso assolo, mentre Willie piazza una versione a dir poco magnifica di Night Life, molto bluesata e raffinata e con uno strepitoso assolo della sua Trigger; tutti insieme appassionatamente per una rilettura di The King Is Gone (So Are You), un successo di George Jones, la meravigliosa Desperados Waiting For A Train di Guy Clark, uno dei momenti più intensi della serata, e la spedita Big River (è di Cash, ma ognuno ne canta un pezzo). Gran finale con un brano a testa: l’umoristica A Boy Named Sue per Cash, la vibrante Why Me per Kris, la cadenzata Luckenbach, Texas per Waylon ed il prevedibile commiato con On The Road Again di Willie, da sempre posta in chiusura anche nei concerti del barbuto texano.

Nel terzo CD dei dieci brani incisi al Farm Aid otto sono ripetizioni di pezzi inclusi anche nei primi due (in versione diversa, chiaramente): fanno eccezione I’ve Always Been Crazy di Jennings e la meno nota Shipwrecked In The Eighties di Kristofferson; nei primi sei brani però il gruppo è ridotto a trio per l’assenza di Cash, e la sua strofa nella canzone Highwayman è cantata dal suo autore, Jimmy Webb, ospite speciale. Come bonus finale, una bellissima versione in studio di One Too Many Mornings di Bob Dylan, parzialmente inedita, nel senso che è stata presa la rilettura presente nell’album Heroes, inciso in duo da Cash e Waylon nel 1986, alla quale sono state aggiunte le voci di Willie e Kris registrate nel 2014, uno splendido omaggio ai due quarti del gruppo che non sono più tra noi.

Un cofanetto da non lasciarsi sfuggire, dato che ci troviamo di fronte a quattro veri e propri giganti della musica americana, e non solo country, catturati in un momento di grazia: sicuramente tra i live migliori del 2016.

Marco Verdi

Uscite Prossime Venture: Esattamente Tra Un Mese, Il 20 Maggio. Bob Dylan, Eric Clapton, Mudcrutch 2 (Tom Petty), Day Of The Dead Tribute, Highwaymen Box Live + Allen Ginsberg Cofanetto (con Dylan)

bob dylan fallen angels

Tutti i nomi riportati nel titolo del Post sono previsti in uscita per il 20 maggio (e sono solo i più importanti, ho visto annunciati per quella data anche i No Sinner di Colleen Rennison, Posies, Brett Dennen, Marissa Nadler e altri meno conosciuti o che non interessano per i contenuti del Blog). Del nuovo Bob Dylan Fallen Angels abbiamo già parlato nei giorni scorsi con la  recensione dell’EP giapponese http://discoclub.myblog.it/2016/04/08/gustoso-antipasto-attesa-maggio-della-portata-principale-bob-sinatra-scusate-dylan-melancholy-mood/, quindi veniamo alle altre uscite.

eric clapton still i do 

Il 20 maggio si ricostituirà anche la coppia Eric Clapton – Glyn Johns, con “Manolenta” che tornerà a farsi produrre da colui con il quale realizzò nel 1977 appunto il celebre Slowhand (e Johns fu quello che produsse il primo Led Zeppelin, Get Yer Ya-Ya’s Out degli Stones, alcuni dei primi album degli Humble Pie e della Steve Miller Band, dei Family, Who’s Next, i primi Eagles, in anni recenti l’ultimo bello di Ryan Adams, Ashes & Fire, il cui album migliore, Heartbreaker, di prossima ristampa il 6 maggio, in versione tripla, era stato prodotto dal figlio di Glyn, Ethan Johns, insomma uno “bravino”). Clapton aveva annunciato il suo “ritiro”, ma evidentemente solo dai tour lunghi e stressanti (infatti il 13 aprile di quest’anno era in concerto a Tokyo, https://www.youtube.com/watch?v=CfjgDNMzGTA, mi sembra tanto che si ripeta la storia di Tina Turner che è si ritirata a ripetizione) comunque ad un anno dai concerti alla Royal Albert Hall eccolo in pista con un album nuovo.

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Vi pareva che non dovessero uscire edizioni Deluxe dell’album nuovo? Certo che no, ed infatti I Still Do, uscirà nelle due versioni che vedete effigiate qui sopra, una definita (da me) del “tubo”, che è quella in formato chiavetta USB, e l’altra Deluxe Denim Box, del colore dei giubbetti che usava Eric, in teoria saranno in vendita solo sul sito di Clapton, a prezzi esorbitanti, ma quella più lussuosa andrà anche nei canali normali, distribuita dalla Universal, la major che pubblica i prodotti della Bushbranch/Surfdog, ossia l’etichetta del nostro. E che mirabolanti bonus conterrà, per un prezzo che è previsto circa del quadruplo rispetto alla versione singola? Ben 2 bonus tracks, Lonesome Freight Train, più un video di 45 minuti con il Making Of, e qualche filmato in studio e dal vivo, nonché la versione in WAV dell’album e due videoclip. Però, direi che questa è la sublimazione della “fregatura” della Deluxe Edition, per due canzoni inedite questa volta si sono superati.

Comunque questa è la tracklist della versione normale:

1. Alabama Woman Blues
2. Can’t Let You Do It
3. I Will Be There
4. Spiral
5. Catch The Blues
6. Cypress Grove
7. Little Man, You’ve Had A Busy Day
8. Stones In My Passway
9. I Dreamed I Saw St. Augustine
10. I’ll Be Alright
11. Somebody’s Knockin’
12. I’ll Be Seeing You

Tra i musicisti annunciati nell’album, Henry Spinetti, Dave Bronze, Andy Fairweather-Low, Paul Carrack, Chris Stainton, Simon Climie, Dirk Powell, Walt Richmond, Ethan Johns (toh!) e Michelle John Sharon White, le due vocalist di colore, viene riportato anche l’Angelo Mysterioso, chitarra acustica e voce, che era lo pseudonimo che usò George Harrison in Badge dei Cream, chi sarà questa volta?

Comunque devo dire che però dell’album si parla bene, e a giudicare dalla prima canzone rilasciata potrebbe essere vero, quindi può “ritirarsi” tutte le volte che vuole se poi fa dei dischi belli.

mudcrutch 2

Per il recente Record Store Day sono usciti due prodotti legati al nome di Tom Petty, uno è il vinile di Kiss My Amps 2, con materiale dal vivo raro e di cui più avanti parleremo nel Blog, e un un 7″ con due canzoni dei Mudcrutch (che non sono inedite, ma verranno pubblicate nel prossimo album della band).

Mudcrutch 2 uscirà per la Reprise/Warner con questo contenuto:

1. Trailer
2. Dreams Of Flying
3. Beautiful Blue
4. Beautiful World
5. I Forgive It All
6. The Other Side Of The Mountain
7. Hope
8. Welcome To Hell
9. Save Your Water
10. Victim of Circumstance
11. Hungry No More

Il bassista del gruppo, quel Tom Petty, mi sembra bravo!

day of the dead

In passato erano usciti parecchi tributi dedicati ai Grateful Dead (penso a Deadicated del 1991 come al migliore https://www.youtube.com/watch?v=1CDuQmhTyD4), ma dopo il cinquantennio della band hanno deciso di fare le cose in grande e la 4AD pubblicherà questo mastodontico Day Of The Dead, un box di 5 CD curato da Aaron and Bryce Dessner dei National, con un cast di partecipanti veramente strepitoso, molti nomi noti ma anche “promesse”, emergenti e nomi che mi sono del tutto ignoti.

Ecco la lista completa, quando sarà il momento ne parleremo diffusamente (come per tutti gli album del post odierno):

1. Touch of Grey – The War on Drugs
2. Sugaree – Phosphorescent, Jenny Lewis & Friends
3. Candyman – Jim James & Friends
4. Cassidy – Moses Sumney, Jenny Lewis & Friends
5. Black Muddy River – Bruce Hornsby and DeYarmond Edison
6. Loser – Ed Droste, Binki Shapiro & Friends
7. Peggy-O – The National
8. Box of Rain – Kurt Vile and the Violators (featuring J Mascis)
9. Rubin and Cherise – Bonnie ‘Prince’ Billy & Friends
10. To Lay Me Down – Perfume Genius, Sharon Van Etten & Friends
11. New Speedway Boogie – Courtney Barnett
12. Friend of the Devil – Mumford & Sons
13. Uncle John’s Band – Lucius
14. Me and My Uncle – The Lone Bellow & Friends
15. Mountains of the Moon – Lee Ranaldo, Lisa Hannigan & Friends
16. Black Peter – Anohni and yMusic
17. Garcia Counterpoint – Bryce Dessner
18. Terrapin Station (Suite) – Daniel Rossen, Christopher Bear and The National (featuring Josh Kaufman, Conrad Doucette, So Percussion and Brooklyn Youth Chorus)


19. Attics of My Life – Angel Olsen
20. St. Stephen (live) – Wilco with Bob Weir
21. If I Had the World to Give – Bonnie ‘Prince’ Billy
22. Standing on the Moon – Phosphorescent & Friends
23. Cumberland Blues – Charles Bradley and Menahan Street Band
24. Ship of Fools – The Tallest Man On Earth & Friends
25. Bird Song – Bonnie ‘Prince’ Billy & Friends
26. Morning Dew – The National
27. Truckin’ – Marijuana Deathsquads
28. Dark Star – Cass McCombs, Joe Russo & Friends
29. Nightfall of Diamonds – Nightfall of Diamonds
30. Transitive Refraction Axis for John Oswald – Tim Hecker
31. Going Down The Road Feelin’ Bad – Lucinda Williams & Friends
32. Playing in the Band – Tunde Adebimpe, Lee Ranaldo & Friends
33. Stella Blue – Local Natives
34. Eyes of the World – Tal National
35. Help on the Way – Bela Fleck
36. Franklin’s Tower – Orchestra Baobab
37. Till the Morning Comes – Luluc with Xylouris White
38. Ripple – The Walkmen
39. Brokedown Palace – Richard Reed Parry with Caroline Shaw and Little Scream (featuring Garth Hudson)
40. Here Comes Sunshine – Real Estate
41. Shakedown Street – Unknown Mortal Orchestra
42. Brown-Eyed Women – Hiss Golden Messenger
43. Jack-A-Roe – This Is the Kit
44. High Time – Daniel Rossen and Christopher Bear
45. Dire Wolf – The Lone Bellow & Friends
46. Althea – Winston Marshall, Kodiak Blue and Shura
47. Clementine Jam – Orchestra Baobab
48. China Cat Sunflower -> I Know You Rider – Stephen Malkmus and the Jicks
49. Easy Wind – Bill Callahan
50. Wharf Rat – Ira Kaplan & Friends
51. Estimated Prophet – The Rileys
52. Drums -> Space – Man Forever, So Percussion and Oneida
53. Cream Puff War – Fucked Up
54. Dark Star – The Flaming Lips
55. What’s Become of the Baby – s t a r g a z e
56. King Solomon’s Marbles- Vijay Iyer
57. Rosemary – Mina Tindle & Friends
58. And We Bid You Goodnight – Sam Amidon
59. I Know You Rider (live) – The National with Bob Weir

higjwaymen live american outlaws

Nel 1991 uscì una VHS intitolata Highwaymen Live, registrata l’anno prima al Nassau Coliseum. Poi negli anni di quel concerto si sono perse le tracce, ora la Sony/Bmg pubblicherà un box quadruplo, tre CD + DVD o tre CD + Blu-Ray, con il concerto completo del 14 marzo 1990 al Nassau Coliseum, Uniondale, New York, 35 brani in tutto, sia nei due CD come nel video, con in più 11 brani nel terzo CD, 10 registrati dal vivo ai Farm Aid del 1992 e 1993 e una versione inedita di One Too Many Mornings, un pezzo di Dylan che Johnny Cash Waylon Jennings incisero nell’album Heroes del 1986, al quale Willie Nelson Kris Kristofferson, gli altri due Highwaymen, hanno aggiunto nuova parti vocali nel 2014.

Ecco la lista dei brani contenuti nelle varie edizioni:

[CD1]
1. Mystery Train
2. Highwayman
3. Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys
4. Good Hearted Woman
5. Trouble Man
6. Amanda
7. There Ain’t No Good Chain Gang
8. Ring Of Fire
9. Folsom Prison Blues
10. Blue Eyes Crying In The Rain
11. Sunday Morning Coming Down
12. Help Me Make It Through The Night
13. The Best Of All Possible Worlds
14. Loving Her Was Easier (Than Anything I’ll Ever Do Again)
15. City Of New Orleans
16. Always On My Mind
17. Me And Bobby McGee

[CD2]
1. Silver Stallion
2. The Last Cowboy Song
3. Two Stories Wide
4. Living Legend
5. The Pilgrim: Chapter 33
6. They Killed Him
7. I Still Miss Someone
8. Ragged Old Flag
9. (Ghost) Riders In The Sky
10. Are You Sure Hank Done It This Way
11. Night Life
12. The King Is Gone (So Are You)
13. Desperados Waiting For A Train
14. Big River
15. A Boy Named Sue
16. Why Me
17. Luckenbach, Texas
18. On The Road Again

[CD3]
1. Mystery Train
2. Highwayman
3. The King Is Gone (So Are You)
4. I ve Always Been Crazy
5. The Best Of All Possible Worlds
6. City Of New Orleans
7. Folsom Prison Blues
8. Intro/Highwayman
9. Shipwrecked In The Eighties
10. Desperados Waiting For A Train
11. One Too Many Mornings (Previously Unreleased)

[DVD or Blu-ray]
1. Concert Film

Come detto il DVD o il Blu-Ray ripetono (con la parte video, e non è secondario) la tracklist dei due CD.

allen ginsberg the last words

Perché parlare di un triplo cofanetto di Allen Ginsberg? Perché come risulta chiaro nel titolo del Post, alle sessions che diedero vita al materiale contenuto in questo triplo CD The Last Word On First Blues, che verrà pubblicato dalla Omnivore Recordings, partecipò in modo massiccio un certo Bob Dylan, chiamato proprio da Ginsberg, insieme a David Amran, Happy Traum e al giovane (allora, siamo nel 1971) cellista Arthur Russell. Autore dei testi (ovviamente) e voce solista fu Allen Ginsberg. Le registrazioni rimasero inedite fino al 1983 quando furono pubblicate in un doppio vinile chiamato First Blues, insieme ad altre sessions, una del 1976 prodotta da John Hammond e una del 1981, a cui parteciparono anche Peter Orlovsky David Mansfield. Nella nuova versione tripla della Omnivore ci sono altri 11 brani inediti, anche live con Dylan, e un brano dove Don Cherry si esibisce al kazoo.

Quindi chi sarà interessato a questo cofanetto? Fans della Beat Generation o di Bob Dylan? Voi che dite? Io pensi entrambi. Comunque questa è la lista completa dei brani:

Tracklist
[CD1]
1. Going Down To San Diego
2. Vomit Express
3. Jimmy Bergman (Gay Lib Rag)
4. Ny Youth Call Annunciation
5. Cia Dope Calypso
6. Put Down Yr Cigarette Rag
7. Sickness Blues
8. Broken Bone Blues
9. Stay Away From The White House
10. Hardon Blues
11. Guru Blues

[CD2]
1. Everybody Sing
2. Gospel Nobel Truths
3. Bus Ride To Suva
4. Prayer Blues
5. Love Forgiven
6. Father Death Blues
7. Dope Fiend Blues
8. Tyger
8. You Are My Dildo
10. Old Pond
11. No Reason
12. My Pretty Rose Tree
13. Capitol Air

[CD3: Bonus Disc – More Rags, Ballands, and Blues 1971-1985]
1. Nurses Song
2. Spring (Merrily Welcome)
3. September On Jessore Road
4. Lay Down Yr Mountain
5. Slack Key Guitar
6. Reef Mantra
7. Ny Blues
8. Come Along Vietnam (Rehearsal)
9. Airplane Blues (Live at Folk City)
10. Feeding Them Raspberries To Grow (Live at Folk City)
11. Do The Meditation Rock

Direi che anche per oggi è tutto.

Bruno Conti