Un Fiume Di Note Poetiche E Notturne ! Willie Nile – If I Was A River

willie nile if i was a river

Willie Nile – If I Was A River – River House Records/Blue Rose Records/Ird

Avendo avuto la fortuna di vederlo dal vivo (in uno dei tanti concerti tenuti nel nostro paese), ho sempre considerato Willie Nile un piccolo folletto di altri tempi, con un’energia rock difficile da contenere in un giubbotto di pelle. Nile viene da Buffalo, ed è una delle più felici fusioni tra cultura beat, pop e letteratura, uscita dalle parti del Greenwich Village. Sicuramente a questo ha contribuito anche la musica respirata in famiglia: un nonno pianista, un vecchio zio appassionato di “boogie”, con i fratelli “malati” di Fats Domino e i Rolling Stones, hanno fatto di Willie (al secolo Robert Noonan) un songwriter che, sul finire degli anni ’70, ha avuto le carte in regola per esplodere nella scena rock dell’epoca (complice anche una infatuazione per Dylan e Springsteen).

willie nile + springsteen

Ingaggiato dall’Arista, esordisce con l’omonimo Willie Nile (80), composto da undici ballate elettriche dal suono marcatamente ritmico https://www.youtube.com/watch?v=x9QJBFt9WdA , a cui ha fatto seguire a breve distanza Golden Down (81) un disco più maturo, acclamato da stampa e pubblico https://www.youtube.com/watch?v=x9QJBFt9WdA . Causa una lunga controversia e la rottura con la casa discografica, passano dieci anni prima di essere messo sotto contratto con la Columbia ed uscire con un disco di valore come Places I Have Never Been (91), ricco di energia e ballate di grande spessore come la title-track https://www.youtube.com/watch?v=-KqXgNzMIhk , Rite Of  Spring e Heaven Help The Lonely (supportate da ospiti prestigiosi, tra i quali Roger McGuinn, le sorelle Roche, Loudon Wainwright III e Richard Thompson). Eventualmente li trovate tutti qui:

willie nile arista columbia recordings

Dopo un’altra pausa arriva il primo disco dal vivo, Archive Live! Live In Central Park (97), seguito da un lavoro autoprodotto come Beautiful Wreck Of The World (99), album di buona fattura ma ormai destinato ai soli appassionati. Passano ancora sette anni prima che Nile ricompaia con l’eccellente Streets Of New York (06) e il conseguente CD+DVD Live From The Streets Of New York (08), riscoprendo una seconda carriera con un “trittico” di piccoli capolavori come House Of A Thousand Guitars (09), The Innocent Ones (10) e l’ultimo lavoro in studio American Ride (13).

WillieNile-AmericanRide

Per questo nuovo lavoro If I Was A River, il buon Willie accantona la sua amata “Stratocaster” per un pianoforte “Steinway” (lo stesso che suonava agli inizi di carriera), ed accompagnato da pochi musicisti (ma di qualità), tra cui il leggendario chitarrista Steuart Smith (Eagles, Rodney Crowell, Rosanne Cash), il multi strumentista David Mansfield (veterano di lungo corso con Bob Dylan e Johnny Cash), al mandolino e violino e Frankie Lee alle armonie vocali e coautore di alcuni brani, ci propone un disco diverso, un album di ballate solo voce e piano e poco altro. Il “fiume di note” si apre con la bellissima title track If I Was A River, una canzone d’amore cantata con la rabbia di Springsteen e suonata alla Randy Newman https://www.youtube.com/watch?v=_ikxC6mwuCI , così come le seguenti Lost e le toccanti folk-irish Song Of A Soldier e Once In A Lullaby, impreziosite dalla chitarra e dal mandolino di Smith e dal violino di Mansfield.

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Il lavoro prosegue con la dissacrante cantilena di Lullaby Loon, la solenne e maestosa Gloryland, la quasi recitativa I Can’t Do Crazy (Anymore), per poi passare alla scanzonata Goin’ To St.Louis https://www.youtube.com/watch?v=BL6P1QVcxl4 , alle delicate e struggenti note pianistiche di The One You Used To Love, e terminare il viaggio, come l’aveva iniziato, con un testo che si ricollega alla title track, un brano come Let Me Be The River suonato in punta di dita da un magnifico pianista, come ha dimostrato di essere per questo lavoro Willie Nile https://www.youtube.com/watch?v=vTpynzBbOK0 . La rinascita artistica del signor Robert Noonan non accenna a fermarsi, e questo If I Was A River (anche se è distante dal repertorio più amato dai suoi “fans”), breve ma intenso, è un disco che ti conquista, che non vorresti mai togliere dal lettore, che ti rimane dentro (da segnalare anche l’artwork  con scatti in bianco e nero), da ascoltare in queste fredde e umide serate invernali (possibilmente in dolce compagnia).!

Tino Montanari

Riparte La Serie Delle Ristampe Dei Led Zeppelin. Terza Uscita: Physical Graffiti

led zeppelin physical graffiti frontled zeppelin physical graffiti

Led Zeeppelin – Physical Graffiti – Swan Song/Atlantic Warner – 24-02-2015
3CD/3LP Super Deluxe Edition (plus 96/24 hi-res download card) – 3CD Deluxe Edition
2CD Standard Edition – 3LP Deluxe Vinyl Edition – 2LP Standard Vinyl Edition
Anche questa volta “solo” cinque differenti versioni per la ristampa rimasterizzata del sesto album della discografia dei Led Zeppelin: l’unico doppio. Ma devo dire, purtroppo, che anche questa volta i contenuti extra non sono entusiasmanti. Dopo i primi tre album, soprattutto Led Zeppelin I che aveva un bel concerto dal vivo dell’epoca inedito e il II e il III, che comunque qualche chicca le avevano, devo convenire con l’amico Marco Verdi che la serie si sta rivelando se non una sòla quantomeno una delusione. Intendiamoci, qualità sonora eccellente, packaging magnifico, ma prezzi micidiali per le versioni Super Deluxe (nel caso di Physical Graffiti ancora di più perchè con sei dischi contenuti nella confezione si parla di cifre intorno ai 150 euro e forse oltre, e anche la versione tripla sarà più costosa in proporzione). Quindi interessanti per chi si vuole fare per la prima volta la discografia degli Led Zeppelin in CD o vinile, ma molto meno per tutti gli altri, collezionisti e fans esclusi, forse!

led zeppelin physical graffiti super deluxe

Questa sopra è la confezione della versione Super DeLuxe e questi sotto i contenuti:

Disc 1:
1. Custard Pie
2. The Rover
3. In My Time Of Dying
4. Houses Of The Holy
5. Trampled Under Foot
6. Kashmir

Disc 2:
1. In The Light
2. Bron – Yr
3. Down By The Seaside
4. Ten Years Gone
5. Night Flight
6. The Wanton Song
7. Boogie With Stu
8. Black Country Woman
9. Sick Again

Disc 3:
1. Brandy & Coke (Trampled Under Foot – Initial Rough Mix)
2. Sick Again (Early Version)
3. In My Time Of Dying (Initial Rough Mix)
4. Houses Of The Holy (Rough Mix With Overdubs)
5. Everybody Makes It Through (In The Light Early Version/In Transit)
6. Boogie With Stu (Sunset Sound Mix)
7. Driving Through Kashmir (Kashmir Rough Orchestra Mix)

Come vedete sono le solite alternate takes, zero canzoni inedite (non è che il nostro amico Jimmy Page le riserva per qualche edizione particolare da pubblicare a fine serie?).

Questo è quella che circola in rete a livello di bootleg., sono quasi tre ore.

In uscita il 24 febbraio p.v.

Bruno Conti

 

 

Un Altro Live Non Ufficiale, Forse Il Più Bello! James Taylor – Carnegie

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James Taylor – Carnegie – 2 CD F.M.I.C.

Una volta esistevano i bootleg, dischi pirata di materiale inedito che nell’era del vinile erano preziosissimi reperti destinati ad ampliare le discografie di artisti spesso restii a pubblicare musica che veniva considerata non degna di essere portata a conoscenza del grande pubblico: spesso erano anche incisi piuttosto male, con mezzi di fortuna, ma nell’immenso mercato alternativo c’erano spesso delle chicche destinate alla gioia dei fans. Poi, nell’era digitale dei CD, c’è stato un breve periodo durante il quale, per una falla nelle leggi sul copyright, questi album sono usciti a livello quasi ufficiale, e qualche artista, vedi Dylan e Winter, per citarne un paio, continua a farlo. Negli ultimi anni, soprattutto in Inghilterra, stanno uscendo molti compact relativi a broadcast radiofonici, quindi incisi molto bene, in quanto provenienti da registrazioni soundboard, che ripropongono questi vecchi bootleg in una veste semiufficiale.

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James Taylor è stato uno dei più saccheggiati, negli ultimi due anni sono usciti almeno quattro o cinque di questi prodotti http://discoclub.myblog.it/2014/10/18/vecchi-buoni-james-taylor-feel-the-moonshine-georgia-on-my-mind/ , quasi sempre in versione singola (e questo è uno dei difetti di questi prodotti, in quanto raramente, con qualche eccezione, penso ai bellissimi tripli di Springsteen, i concerti promozionali da cui sono tratti vengono editii nella loro interezza, ma solo la parte andata in onda nelle trasmissioni radiofoniche). Pensavo che questo Carnegie fosse una eccezione, in quanto si tratta di un doppio CD, ma purtroppo è un finto doppio, una mezz’ora il primo dischetto e circa 40 minuti il secondo, quindi ci stava comodamente in un singolo, e il concerto, registrato alla Carnegie Hall di New York il 27 maggio del 1974, la seconda di due serate consecutive mandate in onda dal famoso King Biscuit Flower Hour, un network di radio consociate, non è completo.

Sono i 21 brani mandati in onda, quindi ne mancano cinque dal concerto originale: però la qualità sonora e quella della esibizione lo rendono uno dei migliori concerti di James Taylor dell’epoca e uno dei migliori di sempre. Il tour era nato per fare promozione a Walking Man, disco che sarebbe uscito per la Warner il successivo 1° giugno https://www.youtube.com/watch?v=nNCmp7yYW6o , ma contiene materiale tratto da tutta la discografia di Taylor, alcune cover notevoli e un paio di sorprese nel finale.

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La qualità delle esecuzioni è sublime, anche grazie alla band che lo accompagna, Hugh McCracken e David Spinozza alle chitarre, Rick Marotta alla batteria, i tre newyorkesi, come pure Don Grolnick alle tastiere, più Andy Muson al basso, e in alcuni brani una sostanziosa sezione fiati composta da Jon Faddis, Alan Rubin, Barry Rogers, George Young, Frank Vacari, Kenny Berger e Howard Johnson. James, in gran forma, come al solito chiacchiera argutamente con il pubblico e sciorina il repertorio della serata con classe e nonchalance: a partire dalla sezione acustica in solitaria che apre il concerto con delle deliziose You Can Close Your Eyes, Riding On A Railroad e Blossom, tratte dai suoi primi tre album (peccato per Something In The Way She Moves che era nel bootleg), segue una parte dove Taylor è accompagnato solo da Marotta alle percussioni, Grolnick e Muson, con versioni perfette di Long Ago And Far Away e Sunshine Sunshine, una canzone dedicata alla sorella, a questo punto dal broadcast salta Night Owl. Quando torniamo tutta la band è salita sul palco e parte una versione fantastica di Me And My Guitar, che anticipa con i suoi ritmi funky il nuovo album, eccellenti gli intermezzi chitarristici di Spinozza e McCracken e l’armonica dello stesso James. Bellissime anche Country Road e la versione Tayloriana del classico di Carole King You’ve Got A Friend, oltre a una versione notevole e tiratissima del classico di Chuck Berry Promised Land che conclude la prima parte. Mancano altri due brani presenti nel broadcast, Carolina On My Mind e Never Never Land, ma versioni eccellentii di Migration e Let It All Fall Down dal nuovo album compensano abbondantemente, seguite dalle poche note, ma sempre belle, Brighten Your Night With My Day e Anywhere Like Heaven, con in mezzo One Man Parade e Knocking Round The Zoo, l’ultima che manca all’appello dal broadcast.

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Nell’ultima parte del concerto  viene utilizzata la sezione fiati con risultati vincenti, ma non prima di una struggente Don’t Let Me Be Lonely Tonight e come primo bis una magnifica Fire And Rain, la cover di un blues come You’re The One (That I Adore) dal repertorio di Bobby Blue Bland e dove pare quasi di sentire la Band, seguita da Rock’n’Roll Is Music Now che sono il preludio all’apparizione sul palco di Mrs.Carly Simon per una trascinante Mockingbird https://www.youtube.com/watch?v=EeOqD3uMIRs  e una dolcissima Ain’t Song , conclude tutto in gloria una grandiosa Sweet Baby James. Avrebbe potuto essere un fantastico disco dal vivo ufficiale, ma anche così vi assicuro che merita!

Bruno Conti

Una “Amica” Di Delbert McClinton. Etta Britt – Etta Does Delbert

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Etta Britt – Etta Does Delbert – Self-released

Ormai non è inconsueto venire a sapere che un artista abbia avuto una carriera quanto meno travagliata, spesso interrotta per motivi familiari e poi ripresa (specie in questi hard times che stiamo vivendo, quando l’arte deve comunque venire a patti con il sostentamento quotidiano e non è infrequente per i musicisti dover avere anche un lavoro quotidiano, da affiancare alla propria passione). Il caso di Etta Britt, nata Melissa Prewitt sul finire degli anni ’50 in quel di Lancaster, Kentucky e cresciuta poi in una famiglia numerosa a Louisville, non è tanto diverso: dopo una lunga gavetta vince una audizione per entrare in un gruppo vocale country, Dave & Sugar, che negli anni fra il 1979 e il 1984 ebbe vari singoli e album ai vertici delle classifiche di categoria di Billboard. Nel 1984 mentre già risiedeva a Nashville, si sposò con il chitarrista di studio Bob Britt, uomo di mille battaglie e dischi, avendo due figli e decidendo quindi di dedicarsi alla famiglia per aiutare le condizioni economiche non floride della economia domestica. Ovviamente la passione era sempre lì, e, soprattutto dagli anni ’90, quando inizia ad usare il nome d’arte di Etta Britt, la si ritrova spesso nei credits di molti album di country (ma non solo).

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Facendo un salto veloce per arrivare ai giorni nostri, la Britt viene (ri)scoperta da Sandy Knox, autrice musicale per Reba McEntire, che nel 2012, alla tenera età di 53 anni le procura il primo contratto discografico da solista e la possibilità di incidere un album, Out Of The Shadows, dove possa esprimere appieno le sue notevoli capacità vocali; nello stesso anno collabora anche con Paul Thorn e Scott Ramminger, spostando ulteriormente il suo raggio d’azione verso uno stile che includa blues, soul, R&B, rock, e un pizzico di country, ispirata dal sempre ammirato Delbert McClinton, che grazie ai diversi legami con Bob Britt (marito per una, fido chitarrista per l’altro), appare già nel primo album della Britt, duettando in Leap Of Faith, un eccellente brano di blues-soul-roots rock, il genere che possiamo associare ad entrambi https://www.youtube.com/watch?v=XXznrmvTwU8  . Ancora di più se consideriamo che il secondo disco di Etta Britt, questo Etta Does Delbert, è proprio un tuffo nella musica del grande McClinton. Ed è soprattutto un fior di album, veramente bello: una voce pimpante e roca il giusto, una band coi fiocchi, oltre al marito, che produce e suona la chitarra, l’eccellente Kevin McKendree alle tastiere, Steve McKeys al basso, Lynn Williams alla batteria, tutti, passati e presenti, membri della band di Delbert, con l’aggiunta, per dirla alla Cohen, delle deliziose sorelle McCrary, “ginnaste” della musica nera, e della sassofonista Dana Robbins in Jealous Kind..

Il risultato è un disco che suona come una iniezione di musica di gran qualità, con l’energia del rock, i ritmi del soul e del R&B, più vicino alle radici di Memphis (rispetto a Nashville, dove risiede) o al limite del Texas, dove ha svolto gran parte della sua carriera il Delbert McClinton, che, da solo o in compagnia, è l’autore di quasi tutti i dodici brani che compongono questo CD, The Jealous Kind, bellissima, non è sua, ma è come se lo fosse, una signature song https://www.youtube.com/watch?v=ZQXs11Dveys . Pezzi come l’iniziale Somebody To Love You, dove la voce di Etta (omaggio indiretto anche alla grande James?) ha una raucedine e una grinta che la avvicina a gente come Maggie Bell dei non dimenticati Stone The Crows (una sorta di Rod Stewart in gonnella), ma anche al groove di Delaney & Bonnie, o per restare in tempi più vicini a noi, della Tedeschi Trucks Band, in un vorticare di chitarre pungenti, tastiere, densi strati di voci di supporto, una ritmica “cattiva” il giusto, più rock che soul, o entrambi https://www.youtube.com/watch?v=KwVBlIE4WKA .

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Old Weakness (Comin’ On Strong) ha una andatura stonesiana, ma di quelli del periodo “americano”, con pianino d’ordinanza e riff chitarristici all’impronta, anche slide, al limite può ricordare pure i Little Feat o la migliore Bonnie Raitt, con la cui voce ha molti punti di contatto, o anche il citato Rod Stewart nella veste di soul rocker https://www.youtube.com/watch?v=xtHMEFguCzA . Non manca il rock’n’roll misto a blues della poderosa Boy You Better Move On, un duetto con Delbert McClinton, con le McCrary Sisters sempre fantastiche con le loro armonie. Startin’ A Rumour annovera tra i suoi autori anche Guy Clark, ed è una deep soul ballad ad alta gradazione emozionale, sentire che voci, la chitarra, l’organo Hammond, ma dove è stata tutti questi anni la signora! Lie No Better è un funky rock di quelli sanguigni https://www.youtube.com/watch?v=PH1F9GoWD_g , e Every Time I Roll The Dice, con la slide di Britt in bella evidenza, potrebbe ricordare addirittura alcuni brani del miglior Bob Seger https://www.youtube.com/watch?v=hwZQ86YnRIE . Ancora deep soul misto a cori gospel per la fantastica You Were Never Mine https://www.youtube.com/watch?v=iZyfkOuzwOI , mentre in Best Of me qualche elemento country-blues emerge, ma vi sfido a trovare un brano scarso, fino alla conclusiva When I Was With You, l’unico firmato dalla nostra, un blues dal feeling jazzy, assai raffinato. Al solito, se amate le belle voci femminili, qui ne trovate una di grande qualità.

Bruno Conti

Girando Per La California…! Cracker – Berkeley To Bakersfield

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Cracker – Berkeley To Bakersfield – 429 Records – 2 CD

I Cracker, nati dalle ceneri dei Camper Van Beethoven (gruppo cult della scena underground americana anni ’80) troppo normali non sono mai stati, e nel tempo ci hanno abituato a dischi spiazzanti, diversi uno dall’altro e non riconducibili ad una sola matrice musicale. All’inizio la formazione guidata da Johnny Hickman e David Lowery, entrambi cantanti e chitarristi, sembrava una delle tante copie di un altro gruppo di culto come i Replacements, come risultava evidente fin dal disco d’esordio l’omonimo Cracker (92), poi con l’ottimo Kerosene Hat (93) ne allargava la visione musicale verso un country-rock del tutto personale, con ballate di buon effetto come Take Me Down To The Infirmary e una cover dei Grateful Dead Loser. Pur non ottenendo mai un grande successo commerciale, i Cracker diventano una band di culto nell’ambiente musicale alternative, e il successivo Golden Age (96) rimescola ancora le carte con un “sound” diviso tra il rock nervoso dei Gin Blossoms e le melodie pop dei Counting Crows, mentre il successivo Gentleman’s Blues (98) offriva canzoni di buon livello allineate al tipico rock americano.

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A ben vedere forse la migliore sintesi del gruppo viene offerta da Garage D’Or (00.) un rappresentativo greatest hits, con un bonus CD comprendente rarità, brani live e alcune cover, tra cui una superba versione di You Ain’ Going Nowhere di Bob Dylan, e sulla stessa sintonia si pone Forever (02), mentre a mischiare ancora le carte arriva Countrysides (03) un ottimo album passato purtroppo in silenzio, con la rivisitazione di una serie di autori country come Merle Haggard, Ray Wylie Hubbard, Dwight Yoakam, Terry Allen e una singolare rilettura di Sinaloa Cowboys di Springsteen. Le ottime impressioni vengono confermate  da un live Hello Cleveland (03) e dai successivi lavori in studio Greenland (06) e Sunrise In The Land Of Milk And Honey (09), che portano il gruppo del geniale David Lowery  a ritagliarsi un posto a sé nel variegato panorama del rock americano.

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A distanza di alcuni anni i Cracker ritornano con il loro decimo album, un doppio CD che unisce Berkeley (la Bay Area) con Bakersfield (la parte più country della California), per un esperimento interessante, con una prima parte più rock, e la seconda più country, a dimostrazione ancora una volta della duttilità della band guidata dall’imprevedibile Lowery https://www.youtube.com/watch?v=w-1neiBtFsU . Lungo il primo viaggio (Berkeley), si riforma la formazione classica di Kerosene Hat con il bassista Davey Faragher (ora con Elvis Costello) e il batterista Michael Urbano a comporre la sezione ritmica, più l’attuale line-up con il leader David Lowery  e il suo compare di sempre Johnny Hickman alle chitarre e voce, i tastieristi Thayer Sarrano e Mark Golde, e Marc Gilley al sassofono, e prende il via con la cantilena acustica di Torches And Pitchforks, il rock sempre vigoroso di March Of The Billionaires, passando per il garage-punk del singolo Beautiful, alla tensione elettrica di brani come El Comandante e El Cerrito https://www.youtube.com/watch?v=BJBBLDU-xgA , recuperando il pop rock di Reaction, l’energia dei primi lavori con You Got Yourself Into This e Life In The Big City, e il giro di chitarre e cori in Waited My Whole Life https://www.youtube.com/watch?v=V4xJYgY7Zpc .

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Il secondo viaggio verso Bakersfield (la città natale di Buck Owens e Merle Haggard), vede la band accompagnata da una mezza dozzina di sessionmen del giro country-music, che rispondono al nome di Bryan Howard e Sal Maida al basso, Jeremy Wheatley alla batteria, Luke Moeller al violino e alla pedal steel Matt “Pistol” Stoessel, per un “sound” prettamente country, che parte con le divertenti California Country Boy e Almond Grove, i classici accordi della pedal steel di King Of Bakersfield https://www.youtube.com/watch?v=w-1neiBtFsU , passando per la suadente e bellissima Tonight I Cross The Border, un brano (sentire per credere) “rollingstoniano” come Get On Down The Road, per poi tornare alle atmosfere country di I’m Sorry Baby e l’honky tonky di The San Bernardino Boy, andando a chiudere il viaggio con due ballate,  la “campagnola” When You Come Down, e la “loureediana” Where Have Those Days Gone con piano e lap-steel ad accompagnare la melodia.

I Cracker hanno sempre suonato un classico rock americano, a tratti anche roots, e dopo vent’anni di carriera David Lowery e Johnny Hickman sono ancora i padroni della nave e questo Berkeley To Bakersfield è un disco fatto da “filibustieri” di navigata esperienza, capaci ancora di salpare il mare e relative tempeste con la forza della loro musica, confermando l’impressione che siano stati per molti versi sottostimati https://www.youtube.com/watch?v=ElExzxJblF0 . Perdersi questo nuovo ultimo lavoro è un vero delitto, credetemi.!

Tino Montanari  

“Business As Usual” Per Eric Sardinas And Big Motor – Boomerang

eric sardinas boomerang

Eric Sardinas And Big Motor – Boomerang – Jazzhaus Records

L’unica cosa nuova in questo ennesimo album di Eric Sardinas è la casa discografica. Per il resto è “business as usual” per il chitarrista di Fort Lauderdale, Florida: stesso produttore dei dischi precedenti Matt Gruber, la band è sempre quella dei Big Motor, con Levell Price al basso e Bryan Keeling alla batteria, non cambiano neppure la grinta e la passione di Sardinas per quel Rockin’ Blues che lo ha portato ad essere indicato, da alcuni, come l’erede di Johnny Winter. Come al solito non manca neppure l’immancabile Resonator dal corpo d’acciaio, suonata con il bottleneck, mentre, per fortuna, rispetto al precedente Sticks And Stones, spariscono coretti femminili e tastiere, a parte in un brano, non malvagio peraltro anzi, Bad Boy Blues, dove sono suonate da Dave Schulz, e un bell’organo Hammond dà contegno ad un brano che si avvicina parecchio anche all’attitudine sonora del miglior Thorogood, altro praticante dello stile in oggetto https://www.youtube.com/watch?v=UT5jFe94Cr4 . Dieci brani compatti e grintosi per 35 minuti di sano blues-rock dove il buon Eric si alterna tra i vari tipi di chitarre resofoniche, acustiche ed elettriche, come nell’iniziale Run Devil Run, dove la slide viaggia subito che è un piacere e il vocione di Sardinas rafforza questo déjà vu di un Winter resuscitato a nuova vita, anche se forse, anzi senza forse, Johnny Winter era pur sempre di un’altra categoria.

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Però il rock’n’roll di Boomerang, la canzone, è sempre poderoso come in passato, senza mettere troppo in primo piano il “tamarro” che si agita nel suo animo, o almeno solo la parte buona, quella che ama blues e R&R, e come dicono le note “Respect Tradition”! Ogni tanto gli piace lasciarsi andare e Tell Me You’re Mine è una costruzione quasi hendrixiana, con pedale wah-wah innestato a manetta, la solita bottleneck immancabile e chitarre ovunque, ma in fondo è quello che ci si aspetta da lui https://www.youtube.com/watch?v=qL8fIFd1Xmc . Nei primi dischi, come Treat Me Right e Devil’s Train probabilmente gli veniva meglio, o forse è solo un ricordo del vostro cronista, ma non credo, anche se non sono andato a risentirmi i vecchi dischi, la Alzheimer non ha ancora colpito. In Morning Glory si produce al dobro resonator acustico per un tuffo più consistente nella tradizione, detto di Bad Boy Blues, in fondo uno dei brani migliori, If You Don’t Love, con una bella intro acustica, ha la struttura di una sorta di ballata blues che si elettrifica comunque quasi subito, pur se ci sono tentativi di unire la melodia alla solita forza bruta, qualche coretto inconsueto e la solita ottima performance chitarristica.

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Trouble è proprio il vecchio brano di Elvis, scritto da Leiber & Stoller, uno dei rari blues del King Of Rock And Roll, e ad oltre 55 anni dalla sua prima apparizione fa ancora la sua porca figura, compresa la fantastica accelerazione finale che coincide con una esplosione solista segna dei migliori brani di Sardinas https://www.youtube.com/watch?v=pquPpp9-arA . Preso questo abbrivio R&R il nostro lo mantiene per una gagliarda Long Gone, niente di nuovo in vista, ma i Big Motor ci danno dentro di gusto e il buon Eric sembra più motivato che in altre occasioni. A riprova e a coronamento del tutto, da sentire una bella versione di quelle “cattive” del classico How Many More Years di Chester Burnett,  per tutti Howlin’ Wolf, meno dura di quella di Zeppelin e Co., ma sempre ad alta gradazione chitarristica, con la solista di nuovo in modalità wah-wah più slide, che picchia di gusto https://www.youtube.com/watch?v=D47RU3rF76s  (o con mancanza di gusto, a seconda dei punti di vista, soprattutto per i “puristi” che non amano troppo queste contaminazioni “selvagge ed esagerate”). A questi ultimi Eric Sardinas regala in conclusione una breve Heavy Loaded,con dobro acustico, kazoo e sezione ritmica minimale, quantomeno inconsueta.

Bruno Conti

Sembra Uno Bravo. Ben Poole – Live At The Royal Albert Hall A BBC Recording

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Ben Poole – Live At The Royal Hall – Manhaton Records

Non è parente di Brian Poole, la famosa pop star inglese, leader dei Tremeloes, conosciuti per la loro cover di Twist And Shout, e per una lunga e consistente carriera nelle classifiche pop inglesi: si tratta solo di un caso di omonimia. Ben Poole è un ennesimo giovane cantante e chitarrista di orientamento blues che si affaccia sulla scena inglese. Avevo letto e ascoltato qualcosa su questo 25enne, autore fino ad ora di un EP nel 2010 e di un album d’esordio nel 2013, Let’s Go Upstairs, ben considerati entrambi dalla critica musicale..

ben poole let's go

Alla luce di questo Live At The Royal Albert devo dire che la fiducia mi sembra ben spesa: non siamo di fronte ad un nuovo “salvatore” del Blues, ma il giovane ha talento (eccellente chitarrista con una notevole tecnica di base, applicata con profitto alla sua Les Paul), cantante con una voce accattivante e melodica, anche se non graffiante, e buona presenza scenica https://www.youtube.com/watch?v=6jlyffWLjYQ . Tutti elementi che confluiscono in questa registrazione dal vivo, realizzata nel corso della BluesFest tenuta nell’ottobre del 2013 (e replicata quest’anno – 2014) alla mitica Royal Albert Hall. Ovviamente non è che gli artisti emergenti approdino subito in uno dei templi della musica londinese (o almeno una volta era così), infatti gli headliners dell’edizione dello scorso anno erano Robert Plant, Chris Rea e Van Morrison (ma che fine ha fatto?), presenti anche la Tedeschi Trucks Band, Bobby Womack, in una delle sue ultime apparizioni, e Mavis Staples, per citarne alcuni.

ben poole live ben poole

Però devo dire che questo “giovanotto” fa la sua porca figura: se dovessi definire il suo genere, per aiutare chi spesso deve orientarsi tra gli sproloqui di vanitosi recensori (mi ci metto anch’io), direi che possiamo parlare di una sorta di easy blues rock and soul! Please? Avete presente uno dei dischi di maggior successo degli anni ’70, quel Frampton Comes Alive che fece la fortuna del biondo chitarrista e cantante inglese? Siamo da quelle parti,la voce non è fantastica, ma molto piacevole, il repertorio oscilla tra rock classico di buona qualità, con robusti innesti di soul, R&B, ma anche pop, il tutto innervato da una cospicua dose di Blues  e rock, anche derive hendrixiane https://www.youtube.com/watch?v=FXjFzWS3i2M. Accompagnato da un eccellente quartetto, dove spiccano le tastiere di Sam Mason, Ben Poole si districa in uno stile che potrebbe ricordare quello degli esordi di Jonny Lang (o anche, ma meno, di Kenny Wayne Shepherd, di cui sarà l’opening act nel prossimo tour 2015); prendete l’iniziale Let’s Go Upstairs, un funky-rock che ha qualche parentela con la musica dei primi Doobie Brothers, con riff e soli di chitarra fluidi e ben realizzati https://www.youtube.com/watch?v=mSuRIAYw3KI , o la ballad mid-tempo soul, assai gradevole Love Nobody No More, illuminata dagli sprazzi chitarristici di Poole, che è un solista in grado di regalare alla platea interventi del suo strumento che si trasformano in crescendo irresistibili https://www.youtube.com/watch?v=tKBs9gmpfm4 , come quello presente in questo brano, o di perdersi in una lunghissima rivisitazione di uno dei classici della Tamla-Motown, quella (I Know) I’m Losing You, che oltre che dei Temptations, ha fatto la fortuna di molti artisti del blues-rock inglese, che si sono spesso cimentati con questa canzone https://www.youtube.com/watch?v=S7l3O0hFe2Q .

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Proprio questo brano, anche con chiari inserti più hendrixiani e rock, è uno di quelli che lo potrebbero avvicinare, come tipo di approccio, al famoso Frampton Comes Alive appena citato, con tastiere, basso e batteria che macinano ritmo, mentre il nostro Brian ci dà dentro di gusto alla chitarra, con un lungo tour de force strumentale. Non male anche la cover di Mr. Pitiful di Otis Redding, a conferma dei buoni ascolti del giovane inglese, che poi li mette in pratica, con il giusto rispetto per i classici, ma anche con un fare sbarazzino, a conferma dell’amore per la musica “giusta”. Non male pure It Doesn’t Have To Be That Way e Leave It On, tratte dai suoi dischi, soprattutto per le parti chitarristiche, sempre mozzafiato e, a coronamento di un buon concerto, una lunga versione del super classico di Freddie King, Have You Ever Loved A Man, cavallo di battaglia live di Clapton, dove Brian Poole può finalmente dare libero sfogo alla sua passione per il Blues, con una serie torrenziale di assolo di grande potenza e tecnica che ne illustrano le qualità.

Il tutto registrato e riproposto nel Paul Jones Show della BBC: in conclusione del CD una bonus track in studio, Starting All Over Again, piacevole ballata tra pop e soul. Sembra uno bravo, vedremo in futuro!

Bruno Conti

Fabrizio Poggi & Chicken Mambo, Concerto A Milano Il 10 Gennaio E Supplemento Best 2014

fabrizio foggi milano blues 89fabrizio poggi spaghetti juke joint

Nella lista dei migliori dischi “italiani” del 2014 ovviamente c’era anche questo Spaghetti Juke Joint di Fabrizio Poggi con i suoi Chicken Mambo http://discoclub.myblog.it/2014/11/03/quindi-abbiamo-inventato-anche-il-blues-fabrizio-poggi-chicken-mambo-spaghetti-juke-joint/ , ma per varie ragioni (problemi tecnici del PC e altri motivi che ora vi dico) non è rientrato nei vari elenchi dei migliori, come pure la sua lista. Approfittando del fatto che avevo comunque intenzioni di segnalarvi il concerto che Fabrizio terrà a Milano questa settimana, sabato 10 gennaio, allo Spazio Teatro 89 (ormai zona di conquista per le band di Pavia e dintorni, in questo caso Voghera) nell’ambito della rassegna Milano Blues 89, di cui potete leggere gli altri partecipanti nella locandina raffigurata ad inizio Post), rimedio alla mancanza pubblicando le sue liste dei Best of 2014, ovviamente incentrate sul Blues e dintorni (* NDB. alcuni sono anche tra i miei preferiti dell’anno del genere, come potete verificare nei link):

DISCHI – (LUCKY 13)
charlie musselwhite juke joint

-Charlie Musselwhite – Juke Joint Chapel  Anche se è uscito nel 2013! Gran disco però http://discoclub.myblog.it/2014/01/14/tre-consecutivi-meglio-dellaltro-charlie-musselwhite-juke-joint-chapel/

tommy castro the devil

-Tommy Castro & The Painkillers – The Devil You Know

too slim blue heart

-Too Slim And The Taildraggers – Blue Heart  Pure questo sarebbe del 2013 http://discoclub.myblog.it/2013/07/10/di-nuovo-lo-smilzo-too-slim-the-taildraggers-blue-heart-5501/

keb mo bluesamericana

-Keb’ Mo’ – Bluesamericana http://discoclub.myblog.it/2014/06/08/il-titolo-del-disco-dice-keb-mo-bluesamericana/

ronnie earl good news

-Ronnie Earl & The Broadcasters – Good News  http://discoclub.myblog.it/2014/07/12/ottimo-ed-abbondante-ronnie-earl-and-the-broadcasters-good-news/

bobby rush decisions

-Bobby Rush With Blinddog Smokin’ – Decisions http://discoclub.myblog.it/2014/07/19/otis-senpre-laltro-bobby-rush-with-blinddog-smokin-decisions/

walter trout blues came

-Walter Trout – The Blues Came Callin’  http://discoclub.myblog.it/2014/05/19/disco-la-vita-walter-trout-the-blues-came-callin/

selwyn birchwood don't call

-Selwyn Birchwood – Don’t Call No Ambulance  http://discoclub.myblog.it/2014/06/14/piccoli-alligatori-pettinature-afro-selwyn-birchwood-dont-call-ambulance/

john mooney son & moon

-John Mooney – Son And Moon

rob paparozzi

-Rob Paparozzi And The Ed Palermo Big Band – Electric Butter A Tribute To Paul Butterfield And Michael Bloomfield

eric bibb blues people

-Eric Bibb – Blues People  di questo colpevolmente non ho parlato ma è li tra i “sospesi” da recuperare, altro gran bel disco

levon helm midnight ramble 3

-Levon Helm Band – The Midnight Ramble Sessions Vol. 3

regina carter southern comfort

-Regina Carter – Southern Comfort  http://discoclub.myblog.it/tag/regina-carter/

RISTAMPE:
allman brothers 1971 fillmore east
Allman Brothers Band The 1971 Fillmore East Recordings
LIBRI:
please be with me duane allman
Please Be with Me: A Song for My Father, Duane Allman di Galadrielle Allman
CONCERTI:
-2014 Blues Music Awards – Memphis  Tennessee
-2014 Porretta Soul Festival – Guitar Shorty / Anthony Paule & Frank Bey
-2014 Aglientu Summer Blues Festival – Charlie Musselwhite
-2014 Piacenza Blues Festival – Royal Southern Brotherhood
-2014 King Biscuit Blues Festival – Helena Arkansas
FILM:
muscle shoals
Muscle Shoals
Fabrizio Poggi
Questo è tutto, comunque segnatevi sull’agenda, sullo smartphone, nel PC, su un pezzo di carta, dove vi capita: sabato 10 gennaio Spazio Teatro 89, Via F.lli Zoia 89 Milano, concerto di Fabrizio Poggi & Chicken Mambo, una bella serata blues. Fine dello spottone!
Bruno Conti

 

Music, Etc. Un’Intervista? Quattro Chiacchiere Con Ed Abbiati Dei Lowlands Sui Massimi (E Minimi) Sistemi! Ovvero Cosa E’ Successo Lo Scorso Anno E Cosa Succederà Nel 2015.

Supplemento della domenica di Disco Club!

lowlands 2014

Vi starete chiedendo se, non sempre ma spesso, i titoli dei Post, in questo dispiegarsi quasi alla Lina Wertmuller, nella loro eccessiva e didascalica lunghezza, siano voluti, la risposta è sì! Già si dice quale sarà il contenuto fin dall’abbrivio, ma poi c’è anche molto altro da leggere.

abbiati

Cosa è successo ai Lowlands (e nello specifico anche a Ed Abbiati), almeno a livello discografico, lo vedete nella foto posta in apertura (tre dischi nel 2014),  il resto proviamo a delinearlo in queste quattro chiacchiere in amicizia e libertà, a ruota libera (non un’intervista vera e propria) fatte in una uggiosa giornata di dicembre nella pausa pranzo di Edward e quindi con tempi rapidi, ma rilassati allo stesso tempo. Questa è, più o meno, con un po’ di editing, la trascrizione di quanto ci siamo detto, ma prima ribadisco via link quello che ho scritto durante l’anno sia sull’album di Chris & Edward http://discoclub.myblog.it/2014/06/02/accoppiata-anglo-italo-americana-quel-pavia-chris-cacavas-ed-abbiati-me-and-the-devil/, sia per il disco Love, Etc. http://discoclub.myblog.it/2014/11/21/continua-linvasione-delle-band-pavesi-lowlands-love-etc-disco-concerto/, inseriti entrambi tra le liste dei migliori dell’anno, nell’ambito rock italiano, di questo Blog. Possiamo cominciare…

*NDB Quel “signore” che vedete nel video è Nello Leandri, una delle figure storiche del piccolo mondo musicale di Pavia, titolare nel corso degli anni di vari negozi di dischi in città, e scomparso il giorno di Natale, grande amico ed estimatore di Ed e della sua musica.

B. L’ultima volta che ci eravamo parlati (a parte gli incontri ai concerti) era più o meno un anno e mezzo fa e già allora mi avevi parlato di quelli che erano solo progetti, idee nella tua testa, ma poi si sono concretizzati tutti nel corso del 2014.

E. L’annata tutto sommato è andata bene, abbiamo fatto un pelo in meno del solito come progetti a livello discografico, da quando ci ha lasciati Enrico il bassista (appena prima della registrazione del Live in teatro) ci siamo concentrati su questo progetto nato come unplugged, diciamo acustico, con arrangiamenti chiaramente diversi da quelli degli altri dischi e concerti, con in evidenza piano e fisarmonica e l’uso dei fiati, anche se l’idea iniziale era di fare un disco folk con marching band, tipo gruppo paesano, ma poi abbiamo preso un’altra strada. All’inizio dell’anno Roberto Diana non c’era, era in America, Enrico aveva lasciato la band ed era entrato “Rigo”  Righetti in pianta stabile, che prima aveva collaborato solo saltuariamente con noi.

Abbiati Cacavas Me And The Devil

B. Ma in quel periodo, inizio aprile, non avevi ancora registrato il disco con Chris Cacavas?

E. No, no, avevamo già fatto tutto, lo stavamo mixando, era stato registrato ad agosto del 2013, quindi abbiamo avuto tempo per prepararci per l’unplugged (registrato e ripreso ad inizio aprile allo Spazio Teatro 89 di Milano), anche se in precedenza, prima che partisse Roberto Diana per l’America, avevo passato una giornata in studio con lui e la band e registrato dei pezzi acustici con loro. Poi, appena prima del concerto, mi sono messo d’accordo con il gruppo e ospiti vari e ho proposto loro di entrare in studio, il giorno successivo, per imparare i brani di un album nuovo, visto che non c’era stato il tempo di prepararli prima e in ogni caso arrangiarli, in modo fluido e naturale, sullo stile del lavoro che è stato fatto per i pezzi vecchi, per poi interpretarli in quella vena lì. Quindi circa metà album era costituito dai brani acustici registrati ad inizio anno e gli altri sono stati “insegnati” al resto della band…

lowlands love etc

B. Se mi passi il termine una sorta di “dittatura democratica”, tu scrivi i pezzi e gli altri…

E. Forse. I brani li scrivo tutti io, ma penso che comunque ci sia molto spazio per i musicisti, visto che poi li conosco molto bene, per collaborare. 

B. Parte poi una breve deviazione sul modo di gestione di gruppi dove il leader è uno e gli altri collaborano, ma cantante e autore di testi e musiche è uno solo, tipo Waterboys o i Kinks di Ray Davies, con Roberto Diana nel ruolo di braccio destro à la Wickham o Dave Davies, anche se Ed non mi pare del tutto convinto (in effetti l’idea era mia).

E. Sono quello che ci passa più tempo sui brani, sui testi, sulla musica, quindi alla fine alcune delle canzoni di Love, Etc sono molto vecchie, erano quelle che mi erano rimaste in testa per un sacco di tempo e non avevo trovato la “casa giusta” per loro, pezzi che conoscevo solo io, altri che la band aveva sentito. Per esempio You, Me, The Sky And The Sun lo avevamo anche già registrato per Gypsy Child, mixato, masterizzato e poi non usato, suonato in qualche concerto ai tempi, quando c’era ancora Chiara Giacobbe in formazione, addirittura con l’aggiunta di una sezione di dodici archi, erano dei concerti natalizi e in quella occasione avevamo fatto anche quel brano. Quindi l’inizio dell’anno era partito così, anche con lo split EP registrato con i Lucky Strikes , qualche data in giro e la registrazione degli Unplugged, sia live che in studio. Poi è arrivata l’estate è uscito il disco solista con Chris, registrato ad agosto dell’anno prima, era stato un vero godimento farlo, un paio di canzoni tutte mie, un paio di canzoni tutte sue, il resto è una collaborazione, anche se ammetto che lui è veramente un peso massimo, un musicista che ammiro. Diciamo che nei due terzi dei brani i testi erano più miei e musicalmente qualcosa in più lo ha messo lui.

B. A questo punto chiedo a Ed se per questo disco avesse pensato di suonare anche lui la chitarra elettrica.

E. Ma guarda io la chitarra elettrica ce l’ho…(a questo punto parte una divagazione del buon Ed su una band che ha sempre ammirato moltissimo e di chitarre elettriche ne avevano proprio due), ovvero i Soul Asylum, che con la formazione dove a dominare sono le elettriche e piano e organo, quindi l’essenza del rock according to Mr. Abbiati : Let Your Dim Light Shine, il disco della metà anni ’90, è la mia idea di rock ideale, anzi secondo me hanno anticipato il genere “Americana” …

B. Qui non sono completamente d’accordo io e ricordo che però band tipo Uncle Tupelo, e poi Wilco e Son Volt, e prima ancora Jayhawks e Blue Rodeo in Canada, già facevano quel genere da tempo…

E’ vero, però loro (i Soul Asylum) avevano tutta un’altra visibilità. Quindi tornando al nuovo disco alcuni brani, almeno quattro o cinque erano da dieci anni che circolavano, How many e Still I Wonder sono molto, molto vecchi, anche You And I (oltre a The Sky And The sun), il resto, forse a parte anche My Baby che ho scritto per mia figlia quando aveva sei anni, oggi ne ha tredici quindi…anzi quando ne aveva cinque, ricordo che le avevo regalato il CD con una registrazione molto basica del pezzo per il suo quinto compleanno. Il resto viene dall’ultimo anno, anno e mezzo di vita vissuta, amici persi, e tutto un concetto di amore, meno romantico e più generale.

thompson family family

B. Altra breve diversione del sottoscritto che presenta a Edward il disco della famiglia Thompson, che si chiama proprio Family, che stavo ascoltando proprio mentre andavo all’appuntamento, a questo punto Mr. Abbiati ammette la sua ammirazione per Richard Thompson, a prescindere, anche se non ha ancora ascoltato il disco (però conosce James Walbourne, anzi familiarmente Jamey, il marito della figlia e quindi genero di Richard, grande chitarrista è il commento, lo conosco da quando aveva 16 anni, ma non sapeva del suo grado di parentela con la famiglia Thompson, conoscendo peraltro anche il fratello di James, che fa il batterista). Tra un boccone e l’altro si divaga ancora sul gruppo di Walbourne e Kami Thompson, i Rails, che hanno pubblicato un CD per la Island con il vecchio logo dell’etichetta, disco che naturalmente in Europa continentale non si è neppure visto. Concordiamo entrambi che il disco acustico di Richard Thompson è bellissimo.

lowlands live

B. Torniamo a noi, il famoso disco dal vivo registrato in quella occasione che fine ha fatto, quando uscirà?

E.  Ormai siamo nella fase finale, abbiamo l’audio mixato, le immagini mixate, dobbiamo metterle insieme e ai primi di aprile 2015 dovrebbe uscire…

B. Ma il progetto di cui mi avevi parlato di eventuali altri concerti da pubblicare, una sorta di Bootleg series vostra…

https://www.youtube.com/watch?v=Bl8q0bY1hZ0

E.  Comunque non verranno inserite nella confezione dell’Unplugged che dovrebbe essere di un CD singolo, con parte del concerto, quello che ci sta negli ottanta minuti di durata e il DVD con tutto il concerto. Parlando dei concerti abbiamo molte cose registrate, anche se tornando alla serata a Milano, ci sono stati dei momenti in cui ho pensato di non farlo uscire (B. Perchè era suonato troppo bene? E qui esce il perfezionista che vive in Ed che dice, abbiamo suonato un po’ bene e un po’ male, molti brani avevano dei difetti, ogni brano aveva dei pro e dei contro, l’idea era quella di accorciarlo ma poi abbiamo deciso per il completo in DVD, mentre nel CD taglieremo introduzioni dei brani e brevi racconti, anche perché in quella serata ci sono stati vari momenti di emozione pura, una bella serata di cui Ed Abbiati è in ogni caso molto contento, anche per la notevole affluenza di pubblico nella trasferta milanese, ricordando concerti del passato suonati davanti a venti, anche dieci persone, contro le diverse centinaia di quella occasione).

E. Anche quando siamo andati in Inghilterra con i Lucky Strikes, comunque il nostro target è simile al loro, siamo band da settanta – cento persone a serata, ma non è raro suonare per 20 o 30. Però settanta persone a Spazio Musica di Pavia è quasi il tutto esaurito. E’ stato anche uno degli stimoli che ci ha spinto a portare i concerti del breve tour di Love, etc. nei teatri, però è difficile trovare date, perché il concerto è comunque caro, con così tanti musicisti sul palco, fiati inclusi, siamo una decina.

mandolin' brothers 35

B. Si parla poi brevemente dell’affluenza ai concerti di band scome la loro, tipo Mandolin’ Brothers e Cheap Wine, che più o meno in sequenza hanno suonato allo Spazio Teatro 89 di Milano e si conviene che è veramente difficile avere pubblici più numerosi, con l’esclusione della serata in cui hanno fatto da opening act per Massimo Priviero all’Alcatraz, sempre a Milano, suonando però un set più breve.

E. Comunque mi piacerebbe tornare in teatro almeno una volta all’anno, in occasioni speciali, non suonare solo nei club soliti, per vedere se c’è modo di allargare in qualche modo il nostro pubblico e anche per vendere qualche disco direttamente, che in fondo è il nostro principale mezzo di sostentamento.

RockingChairs2

Sempre divagando sui teatri si parla anche della reunion dei Rocking Chairs, che proprio a marzo del 2015 verranno a Milano con la formazione originale e che nei giorni dell’intervista hanno fatto il concerto di apertura del tour a Casalgrande (Re) ed il cui leader, Graziano Romani ha avuto belle parole per Ed, ricambiate dal leader dei Lowlands che ricorda come la band emiliana sia stata tra gli apripista del rock italiano di fine millennio scorso (in fondo hanno anche un bassista in comune, Antonio “Rigo” Righetti), che, mi dice Edward, in questo periodo ha pubblicato anche un disco da solista, io pensavo il primo, ma invece dovrebbe essere il quarto o il quinto. . Poi si parla anche del fatto che Chris Cacavas ed Ed Abbiati non siano mai riusciti ad esibirsi in concerto per presentare l’album, a parte qualche apparizione di Chris con i Lowlands, e con l’auspicio che l’estate prossima qualcuno li chiami. Con il dispiacere per non essere stati invitati la scorsa estate al Buscadero Day, se non all’ultimo momento, gratis e con spese a loro carico, quindi non se ne è fatto nulla.

https://www.youtube.com/watch?v=XdAGaNJXKIk

Poi nella parte restante del colloquio si è parlato di quei massimi (e minimi) sistemi dell’industria discografica: l’impossibilità di essere trasmessi in radio, di apparire sulla carta stampata, se non quella specializzata, ma zero quotidiani, a parte l’exploit iniziale sul Corriere della Sera, che praticamente ha lanciato l’inizio della loro carriera, del vinile, come unico supporto che ha numeri non i calo, ma su numeri di vendita comunque bassi, di culto, e loro hanno pubblicato l’ultimo album pure in vinile e alla fine ci lasciamo con l’augurio che il disco dal vivo esca effettivamente ad Aprile (magari non il 1°, a mo’ di scherzo) e dovrebbe essere l’unico prodotto del 2015. Anche se in questi giorni ho visto che Ed sul loro sito ha scritto che sta lavorando sul bootleg ufficiale della serata all’Alcatraz, per la serie “una ne pensa e cento ne fa”!

That’s all, grazie Edward e alla prossima.

Bruno Conti

Il “Solito Giovane Vecchio” Bluesman Texano! Larry Lampkin

larry lampkin

Larry Lampkin – The Blues Is Real – Kaint Kwit Records

Mentirei se vi dicessi che Larry Lampkin è sempre stato nel mio cuore di appassionato di Blues (in effetti questo The Blues Is Real è il suo secondo disco, dopo l’esordio When I Get Home, uscito nel 2011), però questo artista nero Texano, di Fort Worth, con la tipica faccia da “giovane vecchio” che hanno molti bluesmen, ha un suo perché. Autore, si scrive tutte le canzoni, chitarrista e cantante di buon spessore, il suo genere spazia tra il classico suono Texas Blues, che è nel suo DNA, ma con la giusta quota di Chicago e Delta sound che non può mancare, innervato anche da innesti di rock, funky e soul https://www.youtube.com/watch?v=rMesOLXBXqI . Quindi quel classico suono elettrico e moderno che non rende pallosa la sua visione della tradizione delle dodici battute: una voce vissuta, una chitarra pungente e il buon apporto di una sezione ritmica efficiente senza essere geniale, con il plus delle tastiere di Rich E Rich (uno scioglingua?), poi ci pensa la chitarra di Lampkin, sempre fluida e diversificata, come dimostra, sin dall’apertura, con la title-track.

larry lampkin 1 larry-lampkin 2

Se vogliamo trovare un difetto, il suono, a livello tecnico, è fin troppo crudo, molto basico, tra “ruspante” e lo-fi, ma la classe c’è, sentire lo slow blues Got To Get Away, con le sue linee chitarristiche semplici ma efficaci https://www.youtube.com/watch?v=j2AzvSZk4us , o le atmosfere sognanti e raffinate di Let Me In, che sta da qualche parte tra Peter Green e Ronnie Earl, ma con un sound più nero, la grinta funky di Maintenance Man, vagamente alla Albert King, anche se la presenza di un produttore sarebbe urgentemente richiesta. World Blues è sempre caratterizzato da questa chitarra cruda e lancinante, ma anche pervasa da una tecnica acquisita in lunghi anni di tour con gente come Buddy Guy, John Mayall e Lucky Peterson. Grinta e passione che fuoriescono anche da Crown Royal, e da un’altra piccola perla come She’s So Good To Me, con le sue atmosfere sognanti e riflessive, ben delineate dalla solista di Lampkin e dal piano dell’ospite Jermaine Marshall. The Way She Makes It introduce quegli elementi soul e errebì ricordati all’inizio, mentre Sad Eyes è quasi una ballata deep soul blues sudista , con una chitarra acustica inserita ad impreziosire il suono, sembra quasi un brano di stampo southern alla Allman Brothers, interessante. Conclude, in puro Chicago Blues Style Working Man, altro limpido esemplare di blues elettrico, come d’altronde The Blues Is Real manifesta fin dal suo titolo. Se vi piacciono Buddy Guy e Gary Clark jr., ma con tracce meno rock, potreste farci un pensierino!

Bruno Conti