Nuovo Capitolo Della Serie “Bravo, Ma Basta?” Philip Sayce – Influence

philip sayce influence

Philip Sayce – Influence – Mascot/Provogue/Edel

Philip Sayce è uno dei miei “clienti” abituali e ogni tanto mi ritrovo a parlare dei suoi dischi http://discoclub.myblog.it/2010/05/14/hard-rock-blues-dal-canada-philip-sayce-inner-revolution/, ma  non ho ancora capito bene che genere faccia esattamente. O meglio, l’ho capito ma non lo condivido in toto: facendo parte il nostro della categoria dei “guitar heroes”, il genere è un rock-blues assai energico che spesso sfocia in un heavy rock un po’ di maniera, il talento c’è, anche lo stile non difetta, ancorché influenzato (non per nulla il titolo del nuovo album è Influence) https://www.youtube.com/watch?v=3QCzJuduDf8  da mille diversi chitarristi, da Jimi Hendrix, il maestro assoluto a Stevie Ray Vaughan https://www.youtube.com/watch?v=6lkRiAaWQxU , passando per Eric Clapton (che lo ha chiamato anche all’ultimo Crossroads Guitar Festival), Jeff Healey, con cui ha suonato in passato https://www.youtube.com/watch?v=EOeKcwr2YYE : entrambi canadesi, anche se Sayce in effetti è nato nel Galles.

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Nella sua musica c’è anche qualcosa del compagno di etichetta Joe Bonamassa, magari quello più tamarro e rocker dei primi album o dei Black Country Communion, purtroppo, di tanto in tanto, affiora anche un sound alla Lenny Kravitz o tipo la Melissa Etheridge meno ispirata, con la quale peraltro ha diviso, come lead guitarist, i palchi di tutto il mondo per quattro anni. Ho ascoltato il disco in streaming qualche tempo prima dell’uscita, che comunque avverrà questo martedì 26 agosto (il 2 settembre in Italia), e quindi non ho tutte le informazioni sull’album, però ad un ascolto rapido mi sembra buono, forse addirittura uno dei suoi migliori, con i soliti pregi e difetti dei dischi di Sayce. Come detto, nel calderone sonoro di Philip confluiscono mille influenze, sia nei brani originali quanto nelle cover, in questo album assai eclettiche https://www.youtube.com/watch?v=6qMuhy-Qqig .

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Si passa in un baleno dall’hard rock più tirato, a ballate melodiche ma sempre ricche nel reparto chitarristico, brani hendrixiani puri, omaggi ai Little Feat, a sorpresa una bella Sailin’ Shoes o Graham Nash, ancor più sorprendentemente con Better Days, una di quelle ballate classiche e senza tempo, che forse il tempo ha dimenticato, ma non il nostro amico che le rende giustizia con classe e buon gusto. Buon gusto che manca in molte delle orge di wah-wah a manetta, coretti idioti e cliché heavy, come in Easy On The Eyes o in Evil Woman, che non è né quella dei Black Sabbath né quella degli ELO, che sembrano entrambi dei brani di seconda mano del peggior Bon Jovi, con un figlioccio di Hendrix alla chitarra, bravo ma assai scontato. Altrove gli omaggi a Jimi riescono meglio, come nelle atmosfere futuristiche di Triumph, un brano strumentale che ha un giro di accordi che sembra un incrocio tra gli Who diTommy e l’opera omnia di Hendrix. O in Out Of My Mind, un omaggio al Jimi più frenetico di Fire e Crosstown Traffic,anche se ovviamente la classe e l’esecuzione non sono proprio le stesse, però la chitarra c’è e si sente.

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Nell’ambito Hendrix, leggasi quindi come orge di wah-wah, sorprende parzialmente una discreta versione di Green Power, un brano minore del repertorio di Little Richard, che francamente non conoscevo, anche se poi, con l’aiuto del produttore Dave Cobb, che inserisce dei coretti femminili decisamente irritanti, riescono quasi a rovinarla. L’iniziale Tom Devil non è male, sembra un brano dei Cream di Wheel’s On Fire, sempre con i dovuti distinguo e soprattutto per la parte musicale, mentre il lato vocale è quello dove Sayce deve ancora migliorare, e di molto. I’m Going Home è un’altra tiratissima versione del rock according to Philip, decisamente meglio Fade Into You, una lenta cavalcata elettroacustica tra i Pink Floyd e la psichedelia, uno dei territori sonori dove bisognerebbe insistere, chitarre tirate ma sognanti, un po’ Trower e un po’ Gilmour, quindi mille volte derivative, ma cionondimeno molto piacevoli. Tra i momenti positivi c’è anche una bella Blues Ain’t Nothing But A Good Woman, a cavallo tra Healey e Bonamassa, con un gagliardo assolo di Sayce, che anche in questo album. è uno dei motivi che salva il giudizio finale, almeno per gli amanti del genere, rock, sempre rock, fortissimamente rock (anche troppo) e quindi alla fine il solito, bravo, ma…solo per chitarrofili https://www.youtube.com/watch?v=X5kVmCZGSZ8  e https://www.youtube.com/watch?v=QaiGPUSyRS0? Comunque in giro c’è molto, ma moolto di peggio!

Bruno Conti

Cosa Troveremo Nell’Uovo Pasquale? Sicuramente Xtc – Skylarking (Corrected Polarity Edition) & Little Feat – Live In Holland 1976 (E Lista Record Store Day)

xtc skylarking corrected xtc skylarking

Le settimane pre e post pasquali (15 e 22 aprile) ci riservano, tra le tante, due uscite che faranno la gioia degli appassionati della buona musica. Partiamo con la prima:

XTC – Skylarking Corrected Polarity Edition – Ape/Panegiryc 15-04-2014

Nel 1986 dalla burrascosa unione tra il musicista e produttore americano Todd Rundgren e gli inglesi Xtc (che non si erano particolarmente amati, per usare un eufemismo) nacque quello che è giustamente considerato uno dei più bei dischi di Pop in Excelcis Deo della storia della nostra musica, Skylarking http://www.youtube.com/watch?v=TOQG0WtPhsc . Prima visto con sospetto dalla etichetta americana Geffen, che lo distribuiva sul mercato USA, e poi, sulla scia dell’inconsueto successo del brano Dear God http://www.youtube.com/watch?v=hk41Gbjljfo , aggiunto in tutta fretta (infatti la versione UK della Virgin, quella che ha anche il sottoscritto non lo riporta, in quanto la canzone era uscita solo su un 12″), arrivando a vendere oltre 250.000, il massimo successo commerciale della band di Andy Partridge e Colin Moulding.

Anche la copertina, forse per ovvi motivi, venne rifiutata e al posto del simpatico pube fiorito apparvero due fauni che se la zufolavano di gusto. Preceduta nel 2010 dalla edizione in vinile “corretta”, ora esce anche la nuova versione in CD, curata dal mastering engineer John Dent, con la polarità del suono riposizionata, qualsiasi cosa voglia dire, ma che da quello che ho inteso non è semplicemente l’inversione dei due canali dello stereo, bensì un più subdolo e difficile da rivelare difetto che faceva sì che il suono perdesse in presenza e brillantezza. Forse non se ne era mai accorto nessuno per decenni, musicisti inclusi e men che meno il vostro fidato estensore di Post, al quale il disco è sempre parso avere un suono della Madonna, ma non Dear God (ebbene sì, ho fatto la battuta). Nella nuova versione il controverso brano c’è e quindi penso che me lo ricomprerò:

1. Summer’s Cauldron
2. Grass
3. The Meeting Place
4. That’s Really Super, Supergirl
5. Ballet for a Rainy Day
6. 1000 Umbrellas
7. Season Cycle
8. Earn Enough for Us
9. Big Day
10. Another Satellite
11. Mermaid Smiled
12. The Man Who Sailed Around His Soul
13. Dear God
14. Dying
15. Sacrificial Bonfire

Questa è la lista sul sito della Ape, l’etichetta del gruppo, ma altre liste riportano 17 brani con Dying e Sacrificial Bonfire riportate una seconda volta alla fine del CD (forse le versioni del singolo dell’epoca?). Il tutto dovrebbe essere a mid-price.

little feat live in holland 1976

Little Feat – Live In Holland 1976 CD+DVD Eagle Rock 22-04-2014

Altra bella sorpresa, dopo il recente cofanetto Rad Gumbo – The Complete Warner Bros Years 1971-1990, fra un mesetto esce questo bel doppio dedicato sempre ai Little Feat. La copertina potrebbe essere provvisoria ma l’uscita è certa http://www.youtube.com/watch?v=lvelsr9vHhI . Si tratta della prima pubblicazione ufficiale del concerto europeo della grande band di Lowell George, tenutosi il 7 giugno del 1976 allo Sportpark di Geelen, nel corso del Pinkpop Festival avvenuto in quell’anno in terra olandese e debitamente mandato in onda ai tempi (non solo da quali radio e televisioni!). Il tutto era uscito già in edizione bootleg, sia audio

little feat pink pop bootleg

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Ma ora esce finalmente in edizione ufficiale, anche se per i soliti misteriosi motivi (problemi tecnici?), il DVD avrà due brani in meno del CD. Comunque è sempre grasso che cola o se preferite un commento più composto, gran bella musica. E non dovrebbe costare molto!

Ci sono altre uscite interessanti nel prossimo mese di aprile (ma non per il Record Store Day, a parte per gli appassionati di vinile, come potete vedere nella lunga lista pubblicata dopo la fine del Post, pochi CD e DVD, qualche cassetta!), restate sintonizzati sul Blog e le scoprirete.

Alla prossima.

Bruno Conti

???, Side by Side Series (7” Vinyl)

The Allman Brothers, Selections from: Play All Night: Live at the Beacon Theatre 1992 (12” Vinyl)

Dave Alvin & Phil Alvin, Songs from Common Ground (12” Vinyl)

American Authors/The Mowglis, “In a Big Country”/”You Make My Dreams Come True” (7” Vinyl)

Albert Ammons, Boogie Woogie Stomp/Boogie Woogie Blues (12” Vinyl)

Anamanaguchi, Scott Pilgrim vs. the World (Original Movie Soundtrack) (12” Vinyl)

The Animals, The Animals EP (10” Vinyl)

Atmosphere, The Lake Nokomis Maxi Single (12” Vinyl)

Autumn Defense/Josh Rouse, Sentimental Lady/Trouble (7” Vinyl)

Joan Baez, Blessed Are (12” Vinyl)

Bastille, Of the Night Picture Disc (10” Vinyl)

Beauregarde, Testify (7” Vinyl)

Between the Buried and Me, Colors_Live

Big Mama Thornton, Sassy Mama (12” Vinyl)

David Bowie, 1984 Picture Disc (7” Vinyl)

Charles Bradley, I Hope You Find the Good Life (12” Vinyl)

Brian Jonestown Massacre, (12” Vinyl)

Broken Bells, Holdin on for Life (12” Vinyl)

Jake Bugg, Live at Silver Platters (CD) (12” Vinyl)

Built to Spill, Ultimate Alternative Wavers (12” Vinyl)

Cage the Elephant, Take It or Leave It (7” Vinyl)

Cancerous Growth, Cancer Causing Agents; A Cancerous Growth Discography (12” Vinyl)

Eric Carmen, Brand New Year/Starting Over (7” Vinyl)

Chiodos, R2Me2/Let Me Get You A Towel (7” Vinyl)

Chocolate Milk, Actions Speak Louder Than Words (12” Vinyl)

Christian Death, The Edward Colver Edition (7” Vinyl)

Eric Church, The Outsiders (12” Vinyl)

Chvrches, Recover EP (12” Vinyl)

Circa Survive/Sunny Day Real Estate, Split (7” Vinyl)

The Civil Wars, Live at Eddie’s Attic (12” Vinyl)

Clutch/Lionize, Split (7” Vinyl)

Sam Cooke, Ain’t That Good News (12” Vinyl)

Creedence Clearwater Revivial, The 1969 Singles (10” Vinyl)

Cults, Upstairs at United (12” Vinyl)

The Cute/Dinosaur Jr., Side by Side Series (7” Vinyl)

Cut Copy, In the Arms of Love/Like Any Other Day (10” Vinyl)

Dave Matthews Band, Live Trax Vol. 4

Dawes/Conor Oberst, Split (7” Vinyl)

Death Cab for Cutie feat. Magik*Magik Orchestra, Live 2012

Deer Tick, Eel Bowel (7” Vinyl)

Deerhoof & Ceramic Dog, Split (7” Vinyl)

Devo, Butch Devo and the Sundance Gig (12” Picture Disc)

Devo, Live at Max’s Kansas City (12” Vinyl)

Devo/The Flaming Lips, Side by Side Series (7” Vinyl)

Die Kreuzen, Cows and Beers (7” Vinyl)

Disclosure, Apollo (12” Vinyl) (CD)

The Doors, Weird Scenes Inside the Goldmine

Dream Theater, Illuminastion Theory (12” Vinyl)

The Dresden Dolls, The Dresden Dolls

Drive-By Truckers, The Dragon Pants (10” Vinyl)

Steve Earle, Townes: The Basics (12” Vinyl)

The Everly Brothers, Roots

The Everly Brothers, (12” Vinyl)

Fishbone, Fishbone (12” Vinyl)

The Flaming Lips, 7 Skies H3 (12” Vinyl)

Fleetwood Mac, Dragonfly/The Purple Dancer (7” Vinyl)

Foals, Live at Royal Albert Hall (12” Vinyl)

Darq E Freaker, Ironside (12” Vinyl)

Frightened Rabbit, Live from Criminal Records (12” Vinyl)

Jerry Garcia, Garcia

Genesis, From Genesis to Revelation (12” Vinyl)

The Glitch Mob, Drink the Sea/We Can Make The…

Gram Parsons, 180 Grams: Alternate Takes from GP and Grievous Angel

Grateful Dead, Live at Hampton Coliseum

Green Day, Demolicious (Cassette) (CD) (12” Vinyl)

Norman Greenbaum, Spirit in the Sky (12” Vinyl)

Haim, Forever (12” Vinyl)

Grant Hart, Every Everything/Something Something (12” Vinyl)

Oliver Hart, The Many Faces of Oliver Hart Or: How Eye One The Write Too Think

Donny Hathaway, Live at the Bitter End 1971

Mayer Hawthorne/Shintaro Sakamoto, Wine Glass Woman/In A Phantom (7” Vinyl)

Husker Du, Candy Apple Grey (12” Vinyl)

Ice T, Greatest Hits (12” Vinyl)

Chuck Inglish & Action Bronson, Gametime (7” Vinyl)

Chuck Inglish & Chance The Rapper, Glame (7” Vinyl)

Chuck Inglish & Chromeo, Legs (7” Vinyl)

Chuck Inglish, Mac Miller & Ab-Soul, Easily (7” Vinyl)

J Spaceman & Kid Millions, Live at La Poisson Lounge (12” Vinyl)

Jay Z/Linkin Park, Collision Course (12” Vinyl)

Joan Jett and the Blackhearts, Glorious Results of a Misspent Youth (12” Vinyl)

The Jon Spencer Blues Explosion, She’s On It/Jack the Ripper (12” Vinyl)

Joy Division, An Ideal for Living (12” Vinyl)

The Julie Ruin, Brightside/In the Picture (7” Vinyl)

Stephen John Kalinich, A World of Peace Must Come

Karma to Burn, Karma to Burn (12” Vinyl)

Katatonia, Kocytean (12” Vinyl)

Jorma Kaukonen, Quah (12” Vinyl)

Kings of Leon, Wait for Me (7” Vinyl)

Lake Street Dive, What I’m Doing Here/Wedding Band (7” Vinyl)

Ray LaMontagne, Supernova (7” Vinyl)

Langhorne Slim & The Law, Animal (7” Vinyl)

The Last Internationale, Life, Liberty and the Pursuit of Indian Blood (7” Vinyl)

Hamilton Leithauser, Alexandria B/W In the Shadows (7” Vinyl)

Meade “Lux” Lewis, (12” Vinyl)

The Litter, Action Woman/A Legal Matter (7” Vinyl)

Little Dragon, Klapp Klapp

Charles Lloyd, Lie at Slug’s in the Far East (12” Vinyl)

Machine Head, A New Machine (10” Vinyl)

Man Man, The Man in Turban with Blue Face (12” Vinyl)

Mastodon, Live at Brixton (12” Vinyl)

Jim McCarthy (of The Yardbirds), Frontman (12” Vinyl)

MKTO, Classic (7” Vinyl)

Wes Montgomery & The Montgomery-Johnson String Quintet, Wes Montgomery & The Montgomery-Johnson Quintet (10” Vinyl)

Wes Montgomery & The Montgomery-Johnson String Quintet, Live at the Turf Club (10” Vinyl)

Motorhead, Aftershock (12” Vinyl)

Mudhoney, On Top (12” Vinyl)

Mark Mulcahy, Fathering (12” Vinyl)

Randy Newman, Randy Newman (12” Vinyl)

Nirvana, (7” Vinyl)

The Notorious B.I.G, Life After Death

The Notwist, Run Run Run (10” Vinyl)

Oasis, Supersonic (12” Vinyl)

Conor Oberst, Hundreds of Waves/Fast Friends (7” Vinyl)

Of Montreal, Jigsaw Puzzle (7” Vinyl)

Of Montreal, Satanic Panic: 10th Anniversary

Off!, Learn to Obey (7” Vinyl)

William Onyeabor, What?! (12” Vinyl)

Opeth, Watershed

The Orwells, The Righteous One (12” Vinyl)

Ozric Tentacles, Sploosh! (12” Vinyl)

Jimmy Page & The Black Crowes, Live at the Greek

Paramore, Ain’t It Fun (12” Vinyl)

Dolly Parton, Blue Smoke (7” Vinyl)

Katy Perry, Prism Picture Disc

Pinback, Pinback (12” Vinyl)

Pissed Jeans, The Very Best of Sub Pop (10” Vinyl)

The Pogues, Live with Joe Strummer

Poison Idea/Pantera, Side by Side Series (7” Vinyl)

Pussy Galore, Pussy Gold 5000 (12” Vinyl)

Quantic, You Will Return (7” Vinyl)

Ramblin’ Jack Elliott, Jack Elliott (12” Vinyl)

The Ramones, Meltdown with The Ramones (10” Vinyl)

Otis Redding, Pain in My Heart (12” Vinyl)

Alexander Robotnick, Vintage Robotnick (12” Vinyl)

Rockabye Baby!, Rockabye Baby! Lullaby Renditions of David Bowie (12” Vinyl)

RPM Turntable Football, A Two Player Game Played at 33 1/3 RPM (12” Vinyl)

Bobby Rush, Upstairs at United (12” Vinyl)

Skrillex, Recess (Cassette)

Slipknot, Vol. 3 (12” Vinyl)

Soundgarden, Superunknown: The Singles

Spanish Gold, Out on the Street (7” Vinyl)

Ronnie Spector & The E Street Band, Say Goodbye To Hollywood/Baby Please Don’t Go (7” Vinyl)

Regina Spektor, You’ve Got Time (7” Vinyl)

Bruce Springsteen, American Beauty (12” Vinyl)

The Standells, Dirty Water/Twitchin’ (7” Vinyl)

The Sunrays, Our Leader/Won’t You Tell Me (7” Vinyl)

Tame Impala, Live Versions (Vinyl)

Tears for Fears, Ready Boys & Girls (10” Vinyl)

The The, Giant Double A-Side (12” Vinyl)

Type O Negative, Slow, Deep and Hard (12” Vinyl)

Chad Vangaalen, I Want You Back (7” Vinyl)

Various Artists, The Space Project (12” Vinyl) (CD)

Various Artists, The Folk Box 50th Anniversary

Various Artists, Electroconvulsive Therapy Vol. 2 (12” Vinyl)

Various Artists, Rough Guide to Psychedelic Bollywood (12” Vinyl)

Various Artists, Rough Guide to Voodoo (12” Vinyl)

Various Artists, Rough Guide to African Blues (12” Vinyl)

Various Artists, Rough Guide to Latin Rare Groove (Vol 1) (12” Vinyl)

Various Artists, Rough Guide to Mali (2nd Edition) (12” Vinyl)

Various Artists, Sun Records Curated by Record Store Day (Volume 1) (12” Vinyl)

Various Artists, The Muppet Movie (12” Vinyl)

Various Artists, Live from High Fidelity Podcast: The Best of the Podcast Performances (12” Vinyl)

Various Artists, The Newport Folk Festival 1963—The Best of the Evening Concerts, Vol. 1 (12” Vinyl)

The Velvet Underground, Loaded (12” Vinyl)

Veruca Salt, Veruca Salt (7” Vinyl)

Vitamin String Quartet, Vitamin String Quartet Performs Weezer’s Pinkerton (12” Vinyl)

Butch Walker, End of the World (One More Time)/Battle vs. The War (10” Vinyl)

Doc Watson, Southbound (12” Vinyl)

White Denim, A Place to Start (Jamie Lidell Remix) (7” Vinyl)

The Wild Feathers, Got it Wrong/Marie (7” Vinyl)

Hank Williams, The Garden Spot Programs, 1950—Extended Play (10” Vinyl)

James Williamson, Open Up and Bleed/Give Me Some Skin (7” Vinyl)

Link Wray, Slinky/Rendezvous (7” Vinyl)

The Yardbirds, Little Games (12” Vinyl)

Frank Zappa, (7” Vinyl)

Zedd, Find You: Turn Up Your Night Edition (12” Vinyl)

The Zombies, I Love You (12” Vinyl)

The Zombies, Odessey and Oracle (12” Vinyl)

Semplicemente Una Delle Più Grandi Band Di Sempre! Little Feat – Rad Gumbo: The Complete Warner Bros. Years 71-90

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*NDB Torna il supplemento della Domenica Del Disco Club, dischi, gruppi e musicisti che hanno fatto la storia del Rock (e altro). Se il Blog fa giudizio, nei giorni festivi periodicamente c’è sempre spazio per questa rubrica: la parola a Marco!

Little Feat – Rad Gumbo: The Complete Warner Bros. Years 71-90 – Rhino/Warner 13 CD Box Set in uscita il 25-02-2014

Tra le mode discografiche degli ultimi tempi, una delle più apprezzate è la riproposizione delle discografie complete (o quasi) di gruppi o solisti che hanno fatto la storia della nostra musica, in piccoli box comodi e pratici, con tutti gli album in formato mini-LP, ad un prezzo il più delle volte contenuto (basti pensare al recente cofanetto dedicato a Ry Cooder): l’ultimo in ordine di tempo ad essere preso in esame è il periodo Warner, cioè il migliore, di uno dei gruppi americani cardine degli anni settanta, i Little Feat.

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Se leggete abitualmente questo blog sapete già di chi stiamo parlando, ma per quei pochi che ancora non li conoscono, questo box di 13 CD, che raccoglie tutta la discografia degli anni settanta più i premi due album della reunion di fine anni ottanta (ed una chicca che vedremo), è assolutamente indispensabile per colmare una grave lacuna nella propria discoteca personale.

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Formatisi nel 1969 a Los Angeles su iniziativa del geniale cantante e chitarrista Lowell George (già membro delle Mothers Of Invention di Frank Zappa, che aveva intuito prima di tutti il suo talento) e del tastierista Bill Payne, i Little Feat (che pare prendessero il nome dalla dimensione dei piedi di George) furono probabilmente il primo gruppo di Americana della storia (insieme a The Band, che però aveva una dimensione più rock) in quanto la loro musica fondeva mirabilmente rock, blues, errebi, country, funk, southern rock, boogie, marcate influenze di New Orleans ed in un secondo tempo perfino jazz e fusion.

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Lowell George era la vera punta di diamante del gruppo, un songwriter geniale ed anche ottimo chitarrista (purtroppo incostante e con brutte abitudini – leggi droghe ed alimentazione non proprio bilanciata – che lo porteranno ad una morte prematura), ma anche Payne era (è) un pianista della Madonna, ed i restanti membri del gruppo (Sam Clayton, Roy Estrada, sostituito dopo pochi anni da Kenny Gradney, Richie Hayward e Paul Barrere) un treno in corsa che in quegli anni aveva pochi rivali come backing band (Jimmy Page, non un pivello qualsiasi, dichiarò che i Feat erano il suo gruppo americano preferito).

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E’ quindi un piacere immenso ripercorrere l’epopea della band californiana, dall’esordio del 1971 Little Feat, un disco ancora un po’ acerbo e parzialmente influenzato dal blues, ma con un futuro classico come Truck Stop Girl ed una prima versione simil-demo del loro capolavoro, Willin’ (e Ry Cooder in session), ai due album seguenti, gli imperdibili Sailin’ Shoes e Dixie Chicken, due dischi da cinque stelle che hanno imposto i Feat come una delle realtà più brillanti del periodo: brani come Tripe Face Boogie, A Apolitical Blues, Cold Cold Cold, Teenage Nervous Breakdown, la stupenda Dixie Chicken, un brano così “New Orleans” che sembra impossibile sia stato scritto da un californiano, Fat Man In The Bathtub, Roll Um Easy e la meravigliosa Willin’, in assoluto una delle più belle canzoni della decade (e non solo).

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In più, comincia con questi due album l’iconica serie di artwork ad opera di Neon Park, tra il surreale e l’umoristico, che diventerà un punto fermo della discografia della band; Feats Don’t Fail Me Now, del 1974, ha la sfortuna di venire dopo due capolavori come i due album precedenti, ma è comunque un signor disco, con una prima facciata quasi perfetta (Rock & Roll Doctor, Oh Atlanta, Skin It Back, Down The Road  e Spanish Moon) e con Emmylou Harris e Bonnie Raitt ospiti.

A questo punto della carriera comincia la fase discendente: George inizia ad avere seri problemi fisici e si disinteressa sempre di più delle sorti del gruppo (terrà il meglio per sé stesso, pubblicandolo poi nell’ottimo album solista Thanks I’ll Eat It Here), mentre il resto della band, con Payne in testa, pretende di avere più spazio ed introduce nel suono elementi jazzati e quasi fusion.

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Si sa che nelle band la democrazia ha sempre funzionato poco (basti pensare all’ultimo album dei Creedence, Mardi Gras, o ai brani dei Grateful Dead non scritti da Jerry Garcia), ed i due lavori che i Feat pubblicano in questo periodo, The Last Record Album e Time Loves A Hero, sono i meno interessanti della loro discografia: si salvano chiaramente i (pochi) brani a firma di George (specialmente Rocket In My Pocket) ed una splendida versione di New Delhi Freight Train di Terry Allen.

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Dal vivo però il sestetto continua ad essere una formidabile macchina da guerra, come testimonia il fantastico live del 1978 Waiting For Columbus (l’unico doppio CD presente in questo box), un album imperdibile nel quale tutti i classici del gruppo vengono proposti nella loro versione definitiva, un momento di ispirazione generale che ha pochi eguali nella storia della musica (personalmente è nella mia Top 3 dei dischi live anni 70, subito dopo il Live At Fillmore East degli Allman e Rock And Roll Animal di Lou Reed, con Made In Japan dei Deep Purple a fungere da disturbatore).

Little_Feat_-_Down_on_the_Farm

Le condizioni di salute di George sono però sempre più critiche, e la situazione precipiterà durante le sessions per Down On The Farm, quando il talentuoso musicista viene trovato morto per un attacco di cuore (causato da anni di stravizi): il resto della band porterà a termine da sola il disco (che per ironia della sorte è meglio dei due precedenti lavori di studio) per poi annunciare lo scioglimento.

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Ma la storia non finisce qui: nel 1981 esce Hoy Hoy!, una collezione di brani live inediti e di demos ed outtakes di studio (un ottimo disco, in quanto c’è dentro parecchio Lowell George) e, nel 1988, la reunion a sorpresa dei membri originali, con l’aggiunta del chitarrista Fred Tackett e, al posto di George, di Craig Fuller, ex membro dei Pure Prairie League.

Little_Feat_-_Let_It_Roll Little_Feat_-_Representing_the_Mambo

I primi due album della nuova formazione sono anche gli ultimi (o quasi) di questo box: Let It Roll è un buon disco, suonato alla grande (i Feat sono sempre dei grandi musicisti), anche se si sente la mancanza del genio di George, mentre Representing The Mambo è più riuscito, grazie soprattutto ad una serie di canzoni di qualità superiore.

La carriera dei Little Feat proseguirà fino ad oggi, tra dischi buoni, un paio ottimi (Ain’t Had Enough Fun e Join The Band, sorta di auto-tributo con grandi ospiti) ed altri più ordinari, l’uscita di Fuller e l’ingresso (e poi uscita) della vocalist Shaun Murphy e, purtroppo, la perdita recente (nel 2010) di Hayward, andato a far compagnia a George a causa di un cancro al fegato.

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Il box in questione non prende in considerazione questi album, in quanto usciti per altre etichette, ma ha in serbo un’ultima sorpresa: un CD intitolato Outtakes From Hotcakes, pieno di inediti in studio e live del loro periodo d’oro, una vera leccornia finora disponibile soltanto all’interno del box di quattro CD Hotcakes And Outtakes, uscito nel 2000.

Motivo in più, insieme al costo non elevato, per accaparrarsi questo cofanettino: dentro c’è musica tra la migliore degli ultimi quarant’anni.

Marco Verdi

C’è Sempre Qualcuno Bravo Che Sfugge! Greg Koch Band – Plays Well With Others

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Greg Koch Band – Plays Well With Others – Rhymes With Chalk Music

C’è sempre in giro qualcuno di talento da “scoprire”. Questa volta parliamo di chitarristi. Greg Koch non è un novellino, questo Plays Well With Others (finalmente un titolo di un CD che chiarisce i suoi intenti fin dal titolo, ma ci arriviamo fra un attimo) dovrebbe essere il 12° titolo pubblicato, in una carriera discografica iniziata nel lontano 1993 con Greg Koch & The Tone Controls, ma i cui risultati non sono facilmente reperibili nelle nostre lande (e un po’ ovunque per la verità). Per tornare al “chi è costui?” di Manzoniana memoria che non utilizzavo da un po’ nei miei pezzi, direi che Greg Koch è un virtuoso della chitarra, originario di Milwaukee, Wisconsin, lo stato di Les Paul, dove tuttora registra i suoi album, ma che, curiosamente, lavora come “clinician” per la concorrente Fender, è stato fatto conoscere (si fa per dire) al grande pubblico da Steve Vai, che gli ha pubblicato un disco per la sua etichetta, la Favored Nations, nel 2001. Che altro? Tom Wheeler di Guitar Player lo ha definito “a friendly Talent”, nel senso che la sua tecnica è umana e godibile, altri hanno detto che è “il segreto meglio custodito del mondo dei chitarristi”. Joe Bonamassa ha detto “Credo che Greg Koch sia oggi il miglior chitarrista del mondo”, in definitiva, tradotto in parole povere, un talento! Lui, modestamente, ma non troppo, nelle note di The Grip, il CD di cui si diceva poc’anzi, ha definito il suo stile: “Chet Hendrix che incontra i King (BB, Albert e Freddie) alla prima convention Zeppelin-Holdsworth”, arzigogolata ma efficace, come descrizione.

Venendo al nuovo album il titolo lascia intendere che il nostro suona, bene, con altri? E’ proprio così! Nei dieci brani originali, più tre bonus che ripropongono tre dei pezzi già eseguiti, ma in radio mix, che, tradotto per gli ascoltatori, vuole dire praticamente identici alle versioni “normali”, ma più corti (misteri della discografia)! Allora dicci chi c’è? Calma, se state leggendo la recensione, avete già visto la copertina del disco, che riporta i nomi degli ospiti. Comunque questo album è leggermente (o notevolmente, secondo i punti di vista) diverso dalla prove precedenti, prevalentemente strumentali, Greg Koch è uno della famiglia dei Buchanan o dei Gatton, cioè cantare “minga bun” o quasi, come si dice dalle mie parti (ma sono stato cattivo, non è proprio verissimo, c’è di peggio in giro) quindi giustamente in questo disco si è fatto aiutare da John Sieger dei Semi-Twang, che oltre ad avere scritto i dieci brani con Koch, se li canta, meno uno, con profitto. Della sua band ci sono Dylan Koch alla batteria, che immagino parente, Theo Merriweather alle tastiere e Eric Hervey al basso, più parecchi ospiti.

Nel rock-blues sinuoso, vorticoso e riffato di Simone, dopo il primo assolo molto “lavorato” della solista di Greg arriva Joe Bonamassa ed i due cominciano a scambiarsi fendenti nella migliore tradizione delle (Super)sessions, nel secondo brano, Robben Ford, il bassista Roscoe Beck e Brannen Temple alla batteria rinnovano i fasti dei vecchi Blue Line, con un blues raffinato e virtuosistico, a colpi di scale impossibilmente fluide, in Walk Before You Crawl, uno dei pezzi forti di questa raccolta. E non è finita, arriva Jon Cleary che con il suo pianino ci porta dalle parti delle paludi della Louisiana e di New Orleans, come dite, sembrano un po’ i Little Feat? Non sapete come siete nel giusto, infatti nella successiva The Whole Town Has A Broken Heart ecco Paul Barrère (che per motivi che mi sfuggono, sulla copertina, ha l’accento sull’ultima e), che con la sua slide magica tramuta questo brano in una sorta di novella People Get Ready, che ricorda molto nella melodia.

Ancora un paio di gagliarde collaborazioni, a tempo di blues, con Robben Ford e soci, nelle ottime Sho Nuff e What You Got To Lose, con scambi di timbriche e assolo felpati per la gioia degli amanti della chitarra. Whiskey Rainstorm, di nuovo con Paul Barrère, ha un che di funky e sudista nella migliore tradizione featiana, con i due che fanno i George e i Barrère della situazione, anche scambiandosi i ruoli. Down The Road è una bella slow blues ballad dove si apprezza anche la voce di John Sieger, cantante dotato ed apprezzabile, mentre Night Owl Now è l’unico brano cantato da Greg della raccolta e l’occasione per sbizzarrirsi per Barrère e Koch,  che trovato un groove alla Little Feat, aiutati dall’organo di Merriweather, lo portano alle giuste conseguenze. Conclude Hey Godzilla, ancora con Barrère, il brano più rock ed hendrixiano (un eroe della gioventù di Koch) del disco, tirato e cattivo il giusto. Bel disco e grande chitarrista(i). Se vi piacciono quelli che sanno suonare!

Track Listing:
1.) Simone (with Joe Bonamassa)
2.) Walk Before You Crawl (with Robben Ford, Roscoe Beck and Brannen Temple)
3.) Spanish Wine (with Jon Cleary)
4.) This Whole Town Has A Broken Heart (with Paul Barreré)
5.) Sho Nuff (with Robben Ford, Roscoe Beck and Brannen Temple)
6.) What You Got To Lose (with Robben Ford, Roscoe Beck and Brannen Temple)
7.) Whiskey Rainstorm (with Paul Barreré)
8.) Down The Road
9.) Night Owl Now (with Paul Barreré)
10.) Hey Godzilla (with Paul Barreré)
BONUS TRACKS
11.) Spanish Wine, radio mix
12.) What You Got To Lose, radio mix
13.) Hey Godzilla, radio mix

Bruno Conti

La “Banda” Della Domenica Mattina. Band Of Heathens – Sunday Morning Record

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The Band Of Heathens – Sunday Morning Record – Boh Records/Blue Rose 2013

Band Of Heathens è il riuscito esperimento sonoro di un “ensemble” di musicisti che da qualche anno anima le notti di Austin, Texas, con il loro mix musicale che comprende country e blues, folk e roots rock, arrivando ad essere nominati come band dell’anno nella capitale mondiale proprio della roots music (Austin). I primi due album d’esordio sono stati dal vivo, Live From Momo’s (2006) e Live At Antone’s (2007), poi, sotto la produzione di Ray Wylie Hubbard, escono allo scoperto con il primo album di studio, intitolato semplicemente The Band Of Heathens (2008,) una delle migliori miscele di rock, country e blues (in una parola “americana”). La band non ha mai avuto un vero e proprio leader, in quanto gli autori dei brani erano tre, Ed Jurdi, Gordy Quist e Colin Brooks (tutti chitarristi), ben sostenuti da Seth Whitney al basso e da John Chipman alla batteria, formazione che ha inciso pure One Foot In The Ether (2009) e il notevole Top Hat Crown & The Clapmaster’s Son, dove spaziano tra la musica del Texas e la Louisiana (una-riuscita-miscela-di-black-ad-white-band-of-heathens-top.html).

Persi per strada durante gli anni Brian Keane (uno dei fondatori del gruppo) Seth Whitney, John Chipman e Colin Brooks, la band texana continua la sua incessante attività live, testimoniata dal bellissimo The Double Down (2012) contenente la bellezza di 24 canzoni (due confezioni ognuna con un CD e un DVD) con un suono potente da vera band americana, degni eredi di gruppi come Little Feat e The Band. A circa due anni dal precedente lavoro, pubblicano questo nuovo Sunday Morning Record scritto a quattro mani da Jurdy e Quist, (chitarre e voce) con una nuova line-up composta da Trevor Nealson al piano e tastiere, Richard Millsap alla batteria, e con la partecipazione di validi musicisti tra i quali, Ryan Big Bowman al contrabbasso, Nick Jay e Joshua Zarbo al basso, George Reiff alle chitarre e Ricky Ray Jackson alla pedal steel.

Il brano iniziale Shotgun  è un country rock cadenzato, a cui fanno seguire Caroline Williams dalla forte impronta cantautorale, e una Miss My Life, brano pop blues, dominato dall’uso della chitarra e pianoforte, mentre nella chitarra che accompagna Girl With Indigo Eyes rivive lo spirito acustico dei Grateful Dead. Si riparte con la tambureggiante Records In Bed e le tenue atmosfere anni ’70 di Since I’ve Been Home (ricorda anche le cose più delicate dei Beatles), mentre The Same Picture è una dolce melodia pop, con un buon impasto vocale. One More Trip accompagnata dalla pedal steel di Ricky Ray Jackson, sembra uscita dalla penna di Robbie Robertson (The Band), seguita dalla energia contagiosa di Shake The Foundation, un boogie-blues che invita a pigiare il tasto “replay” del lettore, per poi chiudere con la ballata riflessiva Had It All, e la canzone finale Texas, (una pura meraviglia) uscita dalla collaborazione dei due leader, una piccola poesia sostenuta dalle chitarre acustiche e dal pianoforte,

I “nuovi” The Band Of Heathens con Sunday Morning Record, un gioiellino da gustare per la sua atmosfera rilassata, e al tempo stesso intensa, promettono bene, iniziando un nuovo percorso musicale, dinamico e creativo, in grado di mantenerli ai vertici per molto tempo della scena Americana, perché quello che loro hanno in più rispetto ad altri gruppi, è la superba qualità delle canzoni, merce rara in questi anni difficili.

NDT: Da menzionare che nelle note di copertina del disco, vengono ricordati gli ex membri del gruppo Colin Brooks, Seth Whitney e John Chipman, a testimomianza dell’importanza avuta nella crescita del gruppo texano.

Tino Montanari

Good News From Louisiana! Honey Island Swamp Band – Cane Sugar

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Honey Island Swamp Band – Cane Sugar – Louisiana Red Hot CD

Ecco un disco che mantiene quello che promette. Gli Honey Island Swamp Band (HISB da qui in poi) sono un quintetto fondato all’inizio della scorsa decade da Aaron Wilkinson e Chris Mulé (che sono anche i due leader del gruppo), originari di New Orleans ma conosciutisi a San Francisco, dove si erano trasferiti a seguito dell’uragano Katrina. Nella metropoli californiana hanno fatto comunella con quelli che poi completeranno la attuale formazione della band, cioè Sam Price, Garland Paul e Trevor Brooks, anche loro fuggiti dalla capitale della Louisiana in seguito al disastro del 2005, e dopo una lunga serie di concerti hanno inciso il loro primo disco, un EP, oggi molto difficile da reperire, ai famosi Record Plant Studios di Sausalito.

Ad esso sono seguiti altri due album, nel 2009 e 2010 (nel frattempo hanno fatto ritorno nella loro città natale), ma è soltanto con Cane Sugar, il loro nuovo lavoro, che hanno trovato una distribuzione a carattere nazionale. Gli HISB sono stati definiti una band di Bayou Americana, e se vi aspettate una miscela di country, rock e puro New Orleans sound…è esattamente quello che avrete! Cane Sugar è infatti uno stimolante e riuscito cocktail di suoni e colori, con sonorità che ricordano un mix di Little Feat, The Band, Dr. John, rock sudista, un pizzico di country ed un filo di blues, dodici brani che si ascoltano tutti d’un fiato, senza cadute di tono o riempitivi. Wilkinson e Mulé si alternano al canto, ma quello che più impressiona è il suono, solido e compatto come se stessimo parlando di una band che suona insieme da almeno trent’anni: la ciliegina sulla torta sono i sessionmen, oscuri (tranne Mickey Raphael, armonicista di Willie Nelson) ma bravissimi, con un plauso particolare per l’ottima sezione fiati, quasi indispensabile per un gruppo della “Big Easy”.

Change My Ways apre il disco con uno swamp-rock paludoso, dominato dalla slide di Mulé, con un suono tra John Fogerty, la Band ed i Feat, un brano pulsante e perfetto per iniziare il nostro viaggio nel Bayou. Black And Blue è più mossa, ha il sapore del Sud in ogni nota, un miscuglio ancora di Band con Zac Brown o, se vogliamo, i Gov’t Mule più leggeri: sentite il piano di Brooks, sembra quasi Allen Toussaint.  Cast The First Stone è bluesata, ma sempre ricca di suoni e di ritmo, e se chiudete gli occhi potrete immaginare di essere in mezzo ai vicoli di New Orleans; One Shot è annerita e meno immediata, ma l’accompagnamento è sempre molto fluido, mentre Cane Sugar è scorrevole, limpida, solare, con elementi country ad insaporire ulteriormente il piatto.

Miss What I Got è invece puro country: il mandolino è lo strumento guida e la melodia fuoriesce limpida e pura, con un bel botta e risposta tra solista e coro. Prodigal Son torna al Sud, con la voce roca di Wilkinson che prende subito possesso del brano, mentre la slide ricama puntuale sullo sfondo; la cadenzata Just Another Fool, elettroacustica e con fisa alle spalle, è forse un po’ risaputa ma si ascolta con grande piacere.Johnny Come Home è puro Feat-sound, con elementi funky fin qui assenti, Pills è solare e bucolica, ancora country di grande spessore, che dimostra che i nostri sono a loro agio anche con sonorità non propriamente della Louisiana (anche se un tocco di cajun da qualche parte lo avrei gradito). L’elettroacustica Never Saw It Comin’ e la fluida Strangers, puro southern sound, chiudono in bellezza un disco fresco ed inatteso, da parte di una band da tenere d’occhio.

Potrebbero essere i nuovi Subdudes.

Marco Verdi

Da New Orleans Tommy Malone – Natural Born Days

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Tommy Malone – Natural Born Days – M.C. Records/Ird

Questo Natural Born Days, tanto per mettere subito le cose in chiaro, è uno dei migliori dischi dell’anno in quel genere che potremmo definire “Country Got Soul”?, “Soul Got Blues”,?, fate voi, qualsiasi buona musica che sia “Got qualcosa”!. Sia rock, blues, country, R&B, funky, ballate, musica di New Orleans, prendetela e miscelatela ed otterete questo ibrido, questo Gumbo sonoro, che può provenire solo dalla Crescent City. Se i fratelli principali della città della Louisiana sono indubbiamente i Neville Brothers, anche la famiglia Malone ha dato un importante contributo alla reputazione di New Orleans. La storia dei fratelli Malone prende il suo abbrivio ad inizio anni ’70 con una band chiamata Dustwoofie, di cui ammetto di non avere mai ascoltato nulla, poi la carriera di Tommy Malone prosegue con agli altrettanti “oscuri” Cartoons, una band di R&B dove militava anche l’ottima vocalist Becky Kury (mi fido di quello che dicono le note del CD) e si incrocia anche con quella dei Continental Drifters, che da lì a poco (metà anni ’80) si sarebbero trasformati nei grandi Subdudes, che a fine decade avrebbero pubblicato il loro omonimo e ottimo disco d’esordio, proseguendo poi per altre due decadi (in due fasi, anni ’90 e reunion anni 2000) a deliziare gli amanti della buona musica, con una consistente serie di dischi, culminata con la pubblicazione di Flower Petals nel 2009 e la partecipazione alla colonna sonora di Treme e spero proseguirà anche dopo la pubblicazione del secondo disco da solista di Malone.

Lungo il suo percorso musicale ha collaborato, come Malone Brothers (ma non hanno inciso nulla a parte un live della serie Live At Jazzfest), con il fratello Dave Malone, co-leader dei formidabili Radiators (From New Orleans), che nel corso degli anni hanno inciso una dozzina di album più una miriade di dischi dal vivo, culminati con l’uscita del fantastico triplo The last Watusi, che riporta la registrazione del loro ultimo concerto al Tipitinas di New Orleans, a chiudere 33 anni di onorata carriera. Fine della digressione. Torniamo a Tommy Malone, che sino ad ora aveva pubblicato un unico album solo in precedenza, dodici anni fa, l’ottimo Soul Heavy, che peraltro, vista la difficile reperibilità, per usare un eufemismo, della etichetta locale Louisiana Red Hot, pochi avevano visto e meno ancora sentito. Il nostro amico Tommy è un ottimo chitarrista ma soprattutto è dotato di una voce espressiva, ricca di soul, che mette in evidenza le sue capacità compositive e la varietà di stili impiegati in questo Natural Born Days. Disco che segna il suo ritorno alla città nativa, dopo cinque anni di “esilio” in quel di Nashville, Tennesse, a seguito dell’uragano Katrina. Per l’occasione Malone ha anche riallacciato i rapporti con Jim Scheurich, musicista che faceva parte, una quarantina di anni fa, di quei Dustwoofie citati ad inizio articolo. I due hanno composto insieme ben sei brani, tra cui la struggente, a livello di testo, Home, ma la musica del brano d’apertura è un southern rock con uso di slide, degno dei migliori Allman, con il pianino di Jon Cleary (magico alle tastiere in tutto il disco) in grande spolvero e la voce di supporto di Susan Cowsill, che può ricordare quella di Susan Tedeschi. 

Grande partenza, ma è tutto il disco che soddisfa, anche grazie alla produzione di John Porter, mitico bassista inglese dei primi Roxy Music, ma da moltissimi anni uno dei migliori produttori in quel di New Orleans, l’ideale per chi vuole fare dei dischi ricchi di blues, soul e musica nera in generale, ma contaminati dal miglior rock. E così possiamo ascoltare l’intenso blues acustico di Hope Diner o l’accorata e bellissima deep soul ballad God Knows (I Just Ain’t Talkin’), con le tastiere solo per l’occasione affidate a Nigel Hall, degna dei migliori Delbert McClinton o John Hiatt, una piccola meraviglia. O ancora il funky carnale e vagamente reggato di Wake Up Time, scritto propria con il pard di McClinton, Gary Nicholson, alla pari coi migliori Neville o con i Radiators del fratello Dave Malone, con una chitarrina choppata e insinuante che si fa strada tra organo e sezione ritmica, per poi rilasciare un solo à la Radiators, quindi dalle parti di Lowell George. Distance è un’altra ballata, come le migliori scritte nel corso degli anni con i Subdudes, sempre con la seconda voce della Cowsill in evidenza e un alto tasso di soul nei contenuti. Mississippi Bootlegger, dedicata al padre, è uno swamp rock assatanato, dalle parti delle paludi della Louisana, ma che ricorda anche i migliori Creedence.

Didn’t wanna hear it è un altro brano lento, molto “atmosferico” e lavorato nei suoni e ci permette di gustare ancora una volta la voce molto espressiva di Tommy Malone, cantante ricco di pathos e tecnica vocale sopraffina. Natural Born Days scritta con Johnny Allen e il fratello Dave, è un bel country-funk o se preferite country got soul, degno ancora, nei suoi retrogusti gospel, del miglior Fogerty, o degli ultimi Subdudes che in Flower Petals avevano virato verso un sound più country, ma anche il sound classico della Band non si può dimenticare, molto bello. Altrettanto belle le melodie solari della dolce No Reason, con Malone che sfodera le sue capacità melodiche più accattivanti per un’altra chicca sonora, che chissà perché mi ha ricordato il miglior Costello, forse per la costruzione sonora, semplice ma raffinata al tempo stesso. Non manca neppure il country puro Nashville della caramellosa (ma di quelle buone) Important To Me, con John Porter al mandolino e Malone ad una twangy guitar. Life Goes On con slide acustiche ed elettriche che si incrociano, sta a cavallo tra Subdudes, Radiators e Little Feat, che non è un brutto andare, Susan Cowsill sostiene, non Pereira, ma l’ottimo Malone e Jon Cleary titilla ancora una volta il suo pianino magico. “Magica” anche la ballata Word In The Street che conclude in gloria le operazioni di un dischetto sorprendente che mi sento di consigliare a chi ama la buona musica che viene dal profondo del cuore e dell’anima!

Bruno Conti

Girovagando Per Il Sud Degli States. Mike Zito – Gone To Texas

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Mike Zito & The Wheel – Gone To Texas – Ruf Records 

Forse non entrerà nelle liste assolute dei top di fine anno ma questo nuovo album di Mike Zito è assolutamente tra i migliori nel suo genere. Già ma che genere è? Intanto, come diranno altri, perché lo dice lui stesso nelle note di copertina, è un disco autobiografico. Canzoni che raccontano come il Texas, in un certo senso, gli ha salvato la vita. Ha trovato la compagna della sua vita, ma anche la salvezza dalla dipendenza da droghe che aveva caratterizzato una lunga fase della sua esistenza. Prendere un Greyhound e andare da St. Louis, la sua città, al Texas, per un americano non è una cosa difficile, ma Zito racconta nelle sue canzoni questa storia come una sorta di redenzione.

Naturalmente nel suo percorso musicale ci sono anche altri quattro album (tra cui un live), usciti dal 2008 ad oggi, tutti validi, oltre alla carriera parallela con i Royal Southern Brotherhood, di cui è uno dei soci fondatori (con Cyril Neville e Devon Allman, insieme ai quali firma un brano a testa per questo Gone To Texas), quindi il southern rock è sicuramente uno dei generi presenti in questo album, per rispondere alla domanda precedente.

Non manca una forte dose di blues (e la Ruf Records è una etichetta che “capisce” il genere a fondo). Il disco è registrato ai Dockside Studios di Maurice, in Louisiana, e quindi il gumbo sonoro della Crescent City è un altro degli elementi del sound, come evidenzia in modo stupendo la slide di Sonny Landreth, presente in una canzone come Rainbow Bridge, che potremmo definire “swamp Blues”, ma ricorda moltissimo anche le pagine migliori del songbook dei Little Feat o di John Hiatt, con la voce di Susan Cowsill (una dei componenti dei Wheel) a dare ulteriore spessore al suono del gruppo, con una presenza alla Bonnie Raitt o alla Susan Tedeschi, per citare un’altra band con cui hanno affinità elettive.

Gruppo che ha una sezione ritmica solidissima e piena di fantasia, nelle persone di Rob Lee alla batteria e Scot Sutherland al basso, a cui aggiungiamo un Jimmy Carpenter che si disimpegna a sax e percussioni e aumenta la quota soulful della formazione. Quindi ricapitolando abbiamo un suono “sudista”, nell’accezione più ampia del termine, dove confluiscono rock, soul, blues, R&B, tante chitarre (e Mike Zito è un signor chitarrista), belle voci, lo stesso Mike, Susan Cowsill, Carpenter, anche Delbert McClinton, che appare a duettare con il leader in una sontuosa The Road Never Ends. Ma tutto il disco è ricco di belle canzoni, a partire dalla emozionante title-track, Gone To Texas, che ricorda quelle ballate southern mid-tempo che ai tempi facevano Allman Brothers o Marshall Tucker, percorsa dalle chitarre di Zito, dal sax di Carpenter e guidata dalla voce di Mike, che è anche un signor cantante, devo rivalutare il suo ruolo nei Brotherhood.

I Never Knew A Hurricane è un’altra ballata deep soul (scritta con Cyril Neville) con l’organo di Lewis Stephens che è un ulteriore elemento portante nel sound del gruppo e mette in evidenza il duettare tra Zito e la Cowsill, oltre al sax di Carpenter che si integra perfettamente al suono d’insieme. Suono che ricorda molto anche la qualità di Hiatt e McClinton oltre ai sudisti e agli altri citati. Ma il sound si può incattivire di brutto, come in Don’t Think Cause You’re Pretty, dove il nostro amico, voce distorta e slide tagliente dimostra (o conferma) di essere anche un bluesman a tutto tondo. E lo ribadisce nell’acustica Death Row, un folk blues dalla grande atmosfera, solo voce, National steel con bottleneck, un tamburello e tanto feeling. In questa alternanza di stili c’è spazio anche per il funky sanguigno di una carnale Don’t Break A Leg, con accenti di James Brown e Sly Stone o per la ballata pianistica Take It Easy, firmata da Delbert McClinton e interpretata alla grande da Mike, un blue eyed soul con il bollino di qualità. La già citata The Road Never Ends, attribuita a Devon Allman e Mike Zito, vede la partecipazione di McClinton, anche all’armonica ed è un bluesone con slide a a cavallo tra Allmans e un Bob Seger d’annata.

Subtraction Blues il genere lo dichiara fin dal titolo, ma è di nuovo quello meticciato dei Little Feat o dei musicisti di New Orleans, con chitarra, piano e sax a dividersi i compiti con ottimi risultati. Per Hell On Me Zito estrae dal cilindro anche un vigoroso wah-wah che si fa largo tra sax, organo e lo voci di Mike e Susan, per dimostrare, se ce n’era bisogno, che questo signore è anche un solista coi fiocchi. Voices In Dallas è uno dei brani che raccontano la sua odissea passata con le droghe, sempre con ritmi bluesati e ancora con un’ottima slide e organo in bella evidenza, oltre al sax baritono di Carpenter. Sempre slide anche per la trascinante Wings Of Freedom altro brano rock che mi ha ricordato nuovamente il miglior Bob Seger e conclusione acustica con la cover acustica del blues di William Johnson Let Your Light Shine On Me. Un disco di sostanza, caldamente consigliato a chi ama la buona musica!   

Bruno Conti     

Preparate Giradischi E Puntina! Black Crowes – Wiser For The Time

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Black Crowes – Wiser For The Time – Silver Arrow 4LP e download

Da quando mi occupo di critica musicale (espressione volutamente autoironica, diciamo da quando espongo il mio parere sulle cose che ascolto) è solo la seconda volta che mi trovo a recensire qualcosa nel vecchio e glorioso formato LP (per l’esattezza un box di 4LP), dopo il mini live di Tom Petty Kiss My Amps uscito un paio d’anni fa per il Record Store Day.

I Black Crowes, ormai fra le rock band migliori nel panorama mondiale, hanno infatti deciso di celebrare il proprio ritorno all’attività live nel 2013 con la pubblicazione di Wiser For The Time, un sontuoso box in cartone duro, con all’interno ben quattro vinili, che testimoniano il meglio dei loro concerti a New York a cavallo tra Ottobre e Novembre del 2010. Niente CD quindi (ma l’album è comunque disponibile in download), e questo mi rende la band di Chris e Rich Robinson (con Steve Gorman, Sven Pipien ed Adam MacDougall) ancora più simpatica: non che io sia contro il supporto digitale (contro la musica liquida invece un po’ sì), ma il vinile rimane sempre il vinile, ha un fascino che il dischetto di plastica non avrà mai. Il box in realtà si presenta quasi come un (costoso) bootleg: nessuna nota, solo i titoli dei brani e la data di incisione, ma per fortuna la qualità di registrazione è perfetta, i Corvi sono in stato di grazia, e ci consegnano quello che si può certamente definire il loro live definitivo.

Sì, perché Wiser For The Time è forse ancora meglio dei seppur ottimi Freak’n’Roll Into The Fog e Warpaint Live (del deludente Live del 2002 non voglio neanche parlare, mentre lo stupendo Live At The Greek con Jimmy Page non fa testo, in quanto composto soltanto di covers dei Led Zeppelin), è più completo, ci presenta le due facce del gruppo, quella acustica (i primi due LP, quindici canzoni) e quella elettrica (il terzo e quarto, altri undici brani), per quasi due ore e mezza complessive di grandissima musica. Chi li ha visti dal vivo sa cosa intendo: i Corvi Neri sono una vera forza della natura, di gran lunga la migliore band venuta fuori dagli anni novanta in poi, ma se questo era risaputo per quanto riguarda la parte elettrica dei loro concerti, il lato acustico era meno noto. Ebbene, Wiser For The Time ci dimostra che i fratelli Robinson ci sanno fare (eccome) anche quando abbassano il volume (ma Rich un aiutino con la chitarra elettrica se lo dà), e quando accade questo significa che hai sia i musicisti che le canzoni, oltre al feeling che è il loro valore aggiunto. Una band abbastanza unica nel panorama mondiale: tra rock, blues, southern, Zeppelin, Rolling Stones e Faces, un cocktail ad alto tasso adrenalinico che mi lascia a bocca aperta ogni volta.

Il primo disco si apre con Cursed Diamond, per sola voce e chitarra, una versione lunga e fluida, con Chris che gorgheggia da par suo con il suo timbro vocale caldo e soulful. Con Sister Luck entra la band, e cominciamo a ritrovare il tipico sound del gruppo di Atlanta, una ballata liquida (grande MacDougall al piano) con Rich che comincia a fare i numeri con la solista (l’unico strumento elettrico on stage, per ora) e Chris che si conferma ottimo vocalist. Anche Smile è un brano di grande impatto, melodia classica e Corvi in gran spolvero; la vivace Downtown Money Waster, tra blues e soul, precede due superbe versioni di Hot Burrito # 1 e Hot Burrito # 2, due classici dei Flying Burrito Brothers, dove i nostri fanno rivivere lo spirito di Gram Parsons. Non vorrei citare tutti i brani (non ce n’è uno sottotono neanche per sbaglio), ma mi preme evidenziare Garden Gate, in una scintillante versione tra folk appalachiano e bluegrass, la bucolica Better When You’re Not Alone, con Rich che suona alla grande, la nota Hotel Illness, a cui la veste acustica dona particolarmente, la splendida Oh, The Rain (un classico di Blind Willie Johnson), tra folk, blues e gospel, e la bella resa di Tonight I’ll Be Staying Here With You, uno dei capolavori minori di Bob Dylan, che rientra perfettamente nelle corde dei Crowes.

La parte elettrica inizia con la dura e potente Exit, molto influenzata dal Dirigibile di Page e Plant, per proseguire con il rock’n’roll ad alto tasso energetico No Speak No Slave, e con la lunga Only Halfway To Everywhere, una southern jam di undici minuti con le contropalle, dove ognuno tira fuori il meglio dal suo strumento. Senza dimenticare la possente A Conspiracy, chitarristica fino al midollo, e la splendida Title Song, ballatona sudista di grande impatto sonoro. Il quarto ed ultimo LP prosegue con la cavalcata elettrica, un vero e proprio muro del suono di decibel da parte di una band che ha pochi eguali sulla Terra: segnalerei senz’altro il medley My Morning Song/Stare It Cold, altri undici minuti di libidine, uno spettacolo che da solo vale il prezzo richiesto per il box, oltre a She Talks To Angels, una ballata piena di anima, uno slow degno degli Allman Brothers dei bei tempi. Il quadruplo è quasi alla fine, ma c’è il tempo per un’ultima sorpresa: una versione fantastica del superclassico dei Little Feat Willin’, forse una delle più belle versioni da me mai ascoltate di questo brano senza tempo, nella quale la turgida melodia di Lowell George viene valorizzata in maniera incredibile.

Che altro dire? Vale la pena togliere dalla soffitta il vostro vecchio giradischi e fare vostro questo Wiser For The Time: musica così fa bene alla salute.

God bless the Black Crowes.

Marco Verdi

Era Ora! Finalmente In CD. Tom Jans – Loving Arms The Best Of 1971-1982

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Tom Jans – Loving Arms: Best Of 1971-1982 –Raven Records ****

Tom Jans, in un certo senso, è il prototipo perfetto del “Beautiful Loser”: bello ,e magari non dannato, ma sicuramente perdente. La sua storia è lì a testimoniarlo, addirittura nella biografia su Wikipedia non è certa neppure la data di nascita (e non è che sia nato nella notte dei tempi), 9 febbraio 1948-barra 1949 riporta l’enciclopedia della rete, ma le altre biografie e il suo sito, tuttora attivo e molto interessante http://www.tomjans.com/, dicono ‘48 mentre, purtroppo, è certa la data della morte, 25 marzo 1984. Ma in mezzo sono successe molte cose, il problema è che non le conosce quasi nessuno; nativo di Yakima, nello stato di Washington, figlio di un agricoltore amante di Hank Williams e con una mamma spagnola appassionata di flamenco, la musica ha sempre girato nella sua casa, soprattutto dopo il trasferimento a San Jose in California. Saltando un po’ di passaggi, arriviamo al 1970, quando tramite gli auspici di Jeffrey Shurtley, collaboratore di Joan Baez, viene presentato alla sorella della Baez, Mimi Farina (altra cantante di talento ma sfortunatissima, vedova del grande Richard Farina, con cui registrò dei dischi epocali di folk per la Vanguard): i due appaiono lo stesso anno al Big Sur Folk Festival (non l’annata del film) e, l’anno successivo, dopo avere girato in tour come supporto di James Taylor e Cat Stevens, vengono messi sotto contratto dalla A&M, che pubblica il loro primo (e unico) album, Take Heart.

Se leggete i giudizi dei fans, a seconda dei punti di vista, quello scarso nel duo era Tom Jans o Mimi Farina, ma tutti concordano nel dire che, insieme, erano una valida coppia, sia per le armonie vocali che per la tecnica alle chitarre acustiche, che, con qualche spruzzata di pedal steel (Sneaky Pete) e l’apporto discreto di Leland Sklar, Russ Kunkel e Craig Doerge, costituivano il cuore del sound di questo disco, dove la presenza di Jans come autore è limitata a tre brani, firmati insieme alla Farina. Nell’antologia della Raven che stiamo trattando Loving Arms:Best Of 1971-1982, da quel disco provengono due dei brani migliori, Carolina, un bell’esempio di West Coast acustica alla James Taylor e Letter To Jesus, un country-folk con pedal steel, cantato all’unisono. Successo zero, e  i due si dividono, ma nel frattempo interviene quella che i più fini definirebbero “un colpo di fortuna”, ma più volgarmente fu una “botta di culo”, uno dei nuovi brani scritti da Jans, Loving Arms, diventa un successo per Dobie Gray, e secondo quello che diceva lo stesso Tom, tramite un incontro fortuito in treno con Elvis Presley, ma probabilmente è una delle tante leggende apocrife della musica rock, diventa una degli ultimi grandi successi di Elvis (la versione video che trovate nel Post è quella di Presley, perché la versione originale non è stata caricata, c’è di chiunque ma non quella di Jans, che è bellissima) e, negli anni, l’unica canzone conosciuta di Tom Jans, brano che verrà cantato, tra gli altri, da Kris Kristofferson, Dixie Chicks e Irma Thomas nelle versioni da ricordare. L’album omonimo del 1974, registrato a Nashville con la crema dei turnisti dell’epoca (Troy Seals, Reggie Young, David Briggs, Mike Leech, Weldon Myrick, Kenny Malone più Lonnie Mack) contiene questa meravigliosa ballata, un brano malinconico che rivaleggia con le canzoni più belle di Tom Waits, Jackson Browne e Eagles di quegli anni, stupenda ancora oggi.

Sempre da Tom Jans del 1974, sull’antologia Raven appaiono anche Old Time Feeling, Margarita e Free And easy, altre piccole meraviglie di country all’altezza del meglio di Townes Van Zandt, Guy Clark, Jerry Jeff Walker e Guthrie Thomas (altro grandissimo servito male dall’industria discografica). A titolo informativo, la Real Gone Music annuncia per aprile la ristampa dei primi due dischi. Dopo l’insuccesso anche di questo disco, se ne torna in California dove conosce un altro musicista tormentato dal talento immenso, Lowell George, che sarà il produttore esecutivo dell’album, The Eyes Of An Only Child, etichetta Columbia (ho verificato sul vinile, uno dei pochi che ancora posseggo, come tutti quelli di Jans), anno 1975, disco stupendo, con George che si porta dietro alcuni Little Feat, oltre a Fred Tackett, David Lindley, Jesse Ed Davis, Jerry McGee (e ricordiamo solo i chitarristi), anche i batteristi? Jeff Porcaro, Jim Keltner, Harvey Mason, oltre alle armonie vocali di Valerie Carter ed Herb Pedersen. Il disco, naturalmente, è una meraviglia, percorso dalla slide di Lowell George e con una serie di canzoni, più rock, ma che possono ricordare anche il miglior Jackson Browne: Gotta Move, Once Before I Die, Struggle In Darkness, Out Of Hand e The Eyes Of An Only Child sono quelle presenti nell’antologia Raven, da sentire per credere.

La Columbia gli concede ancora una chance, un disco “scuro” e pessimista sin dal titolo, Dark Blonde, che molti considerano il suo capolavoro (chi scrive ha una leggera preferenza per il precedente, ma averne di dischi così), Lowell George non c’è più, ma nel disco ci sono ancora Bill Payne, Fred Tackett, Jerry Swallow e una serie di ottimi musicisti californiani, difficile fare meglio di brani come di Distant Cannon Fire o Back On My Feet Again, ma anche Inside Of You e Why Don’t You Love Me, sempre presenti nel CD, non sono da meno. I due album sono apparsi brevemente in CD, solo sul mercato giapponese, e proprio in Giappone, dopo 5 anni di silenzio, viene pubblicato l’ultimo album, quasi sconosciuto (più degli altri) di Tom Jans. Siamo nel 1982, il disco si chiama Champion, è prodotto da Don Grusin, ancora una volta con un parterre de roi di musicisti, oltre ai soliti Payne, Tackett, Porcaro, Carter, Sklar ci sono anche Lee Ritenour, Steve Lukather, Bob Glaub, Paul Barrere, Ernie Watts: il sound è un po’ più leccato, commerciale, figlio di quegli anni, tra Toto e sound 80’s, ma ci sono delle eccezioni come l’eccellente ballata pianistica Mother’s Eyes e Working Hot che ha qualcosa degli Steely Dan più riflessivi o l’acustica e malinconica Lost In Your Eyes che si ricollega agli album precedenti.

Solo When The Rebel Comes Home, presente nel CD ha quel sound più modaiolo e commerciale che peraltro non gli ha fatto vendere di più, visto che di questo album, per molti anni, si è addirittura ignorata l’esistenza. Verso la fine del 1983 Jans è coinvolto in un serio incidente motociclistico e, in via di guarigione, il 25 marzo del 1984, a seguito di una overdose lo sfortunato Tom ci lascia. Direi che la sua parabola è stata esattamente inversa al suo talento, che era grandissimo, ma le strade del rock sono lastricate di queste storie. Almeno questo CD, che peraltro esce solo nella lontana Australia, colma una lacuna imbarazzante: non so se molti se ne sono accorti o ci hanno fatto caso, ma su Bone Machine, Tom Waits, gli ha dedicato una canzone Whistle Down The Wind (For Tom Jans), un tributo alla sua grandezza. Un piccolo capolavoro e un CD da avere, consigliato a tutti gli amanti della buona musica, veramente imperdibile!

Bruno Conti