Apre Gli Archivi Anche L’Altra Grande Icona Della Musica Canadese. Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967

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Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967 – 5CD Box Set Rhino – 30-10-2010

Mentre prosegue faticosamente l’iter della pubblicazione degli Archivi di Neil Young, che dopo una infinita serie di annunci e a “soli” 11 anni dall’uscita del primo volume sta per pubblicare il 20 novembre il secondo cofanetto (ma non si sa ancora il prezzo, il formato effettivo della confezione, solo il contenuto, che non è poi detto sia esatto), anche Joni Mitchell, altra grande icona della musica canadese, e probabilmente la più grande cantatutrice di tutti i tempi (anzi togliamo il probabilmente), inizia a pubblicare, sotto l’egida della Rhino, ma con la sua fattiva collaborazione, il primo volume di una serie di cofanetti che illustreranno tutta (anche il periodo Geffen, Nonesuch e Hear Music? Vedremo) la sua fantastica discografia. Il primo annuncio parlava di “alcuni” volumi in uscita nei prossimi anni, ora si parla di “parecchi”, lo sapremo solo vivendo, perciò non sarà una cosa breve, speriamo solo più rapida di quella di Young, e senza troppi doppioni e ripetizioni.

Però il primo cofanetto è previsto per il 30 ottobre, prezzo indicativo non troppo modico, oscillante tra i 70 e gli 80 euro a seconda dei paesi (meno che in Nord America dove dovrebbe costare circa 15 euro in meno, ma poi, per noi europei, ti massacrano con spese di spedizione, dogana e IVA, a meno che non conosciate qualche residente locale): nella confezione c’è anche un bel libretto di 40 pagine che intravedete qui sotto, con una lunga conversazione della stessa Joni Mitchell con il giornalista e regista Cameron Crowe e molte foto mai viste, prese dalla sua collezione personale.

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E stiamo parlando solo del periodo 1963-1967, quindi prima della uscita del primo album ufficiale e alcune quando si presentava ancora come Joni Anderson, già bellissima, come si vede nel video sopra: come si diceva la Mitchell ha dato la sua piena collaborazione, non solo, ha anche corretto alcune sue dichiarazioni del passato, la più famosa quella che diceva “Non sono una folk singer”, mentre ora Joni, dopo avere ascoltato tutto questo vecchio materiale dichiara “Era bellissimo, mi ha fatto perdonare i miei inizi, Ed ho avuto questa realizzazione…In realtà ero una cantante Folk”. Anche il sottoscritto, che la considera, come detto poc’anzi, la più grande (con Sandy Denny, buona seconda, parere personale ovviamente), dopo avere letto e visto i contenuti (e i prezzi) era un po’scettico, ma poi ho dato una veloce ascoltata a quello che si può sentire e devo dire che la qualità, anche sonora, dei contenuti, mi pare eccellente, anche se mi riservo di valutare il tutto bene dopo l’uscita.

Intendiamoci, come sanno i fans, e anche gli appassionati praticanti di buona musica, come chi scrive, molto di questo materiale è già uscito su bootleg, e soprattutto in vari broadcast radiofonici di CD più o meno legittimi: la Rhino dichiara che tutto il materiale consta di “six hours of unreleased recordings”, registrazioni casalinghe, dal vivo e radiofoniche, tra le quali 29 composizioni originali mai ascoltate prima con la sua voce, ovvero, qualcuna ha già circolato, ma non cantata da lei. Tra le cover, che sono parecchie, oltre ad alcuni traditionals, citiamo, per rimanere in argomento Sugar Mountain di Neil Young. Per ora il primo brano che è stato rilasciato su video, è proprio una versione del brano tradizionale House Of The Rising Sun registrato per la CFQC AM Radio Station di  Saskatoon, Saskatchewan, Canada nel 1963.

E non è finita, per gli amanti della cantautrice canadese, e del vinile, oltre che con un portafoglio ben rifornito, usciranno anche due vinili, piuttosto costosi, con brani estratti dal box, uno triplo e uno singolo, rispettivamente Live at Canterbury House – 1967 Early Joni – 1963. Comunque ecco come al solito la lista completa dei contenuti.

[CD1]
Radio Station CFQC AM, Saskatoon, Saskatchewan, Canada (ca. 1963)

“House Of The Rising Sun”
“John Hardy”
“Dark As A Dungeon”
“Tell Old Bill”
“Nancy Whiskey”
“Anathea”
“Copper Kettle”
“Fare Thee Well (Dink’s Song)”
“Molly Malone”

Live at the Half Beat: Yorkville, Toronto, Canada (October 21, 1964)
First Set

Introduction
“Nancy Whiskey”
Intro to “The Crow On The Cradle”
“The Crow On The Cradle”
“Pastures Of Plenty”
“Every Night When The Sun Goes In”
Intro to “Sail Away”
“Sail Away”

Second Set

“John Hardy”
“Dark As A Dungeon”
Intro to “Maids When You’re Young Never Wed An Old Man”
“Maids When You’re Young Never Wed An Old Man”
“The Dowie Dens Of Yarrow”
“Deportee (Plane Crash At Los Gatos)”
Joni’s Parents’ House: Saskatoon, Saskatchewan, Canada (February 1965)
“The Long Black Rifle”
“Ten Thousand Miles”
“Seven Daffodils”

[CD2]
Myrtle Anderson Birthday Tape: Detroit, MI (1965)

“Urge For Going”
“Born To Take The Highway”
“Here Today And Gone Tomorrow”

Jac Holzman Demo: Detroit, MI (August 24, 1965)

“What Will You Give Me”
“Let It Be Me”
“The Student Song”
“Day After Day”
“Like The Lonely Swallow”

Let’s Sing Out, CBC TV: University of Manitoba, Winnipeg, MB, Canada (October 4, 1965)

“Favorite Colour”
“Me And My Uncle”

Home Demo: Detroit, MI (ca. 1966)

“Sad Winds Blowin’”

Let’s Sing Out, CBC TV: Laurentian University, London, ON, Canada (October 24, 1966)

“Just Like Me”
“Night In The City”

Live at the 2nd Fret: Philadelphia, PA (November 1966)

“Brandy Eyes”
Intro to “Urge For Going”
“Urge For Going”
Intro to “What’s The Story Mr. Blue”
“What’s The Story Mr. Blue”
“Eastern Rain”
Intro to “The Circle Game”
“The Circle Game”
Intro to “Night In The City”
“Night In The City”

[CD3]
Folklore, WHAT FM: Philadelphia, PA, (March 12, 1967)

Intro to “Both Sides Now”
“Both Sides Now”
Intro to “The Circle Game”
“The Circle Game”

Live at the 2nd Fret: Philadelphia, PA (March 17, 1967)
Second Set

“Morning Morgantown”
“Born To Take The Highway”
Intro to “Song To A Seagull”
“Song To A Seagull”

Third Set

“Winter Lady”
Intro to “Both Sides Now”
“Both Sides Now”

Folklore, WHAT FM: Philadelphia, PA (March 19, 1967)

Intro to “Eastern Rain”
“Eastern Rain”
Intro to “Blue On Blue”
“Blue On Blue”

“A Record Of My Changes” – Michael’s Birthday Tape: North Carolina (May 1967)

“Gemini Twin”
“Strawflower Me”
“A Melody In Your Name”
“Tin Angel”
“I Don’t Know Where I Stand”
Joni improvising

Folklore, WHAT FM: Philadelphia, PA (May 28, 1967)

Intro to “Sugar Mountain”
“Sugar Mountain”

[CD4]
Home Demo: New York City, NY (ca. June 1967)

“I Had A King”
“Free Darling”
“Conversation”
“Morning Morgantown”
“Dr. Junk”
“Gift Of The Magi”
“Chelsea Morning”
“Michael From Mountains”
“Cara’s Castle”
“Jeremy” (Incomplete)

Live at Canterbury House: Ann Arbor, MI (October 27, 1967)
First Set

“Conversation”
Intro to “Come To The Sunshine”
“Come To The Sunshine”
Intro to “Chelsea Morning”
“Chelsea Morning”
Intro to “Gift Of The Magi”
“Gift Of The Magi”
“Play Little David”
Intro to “The Dowie Dens Of Yarrow”
“The Dowie Dens Of Yarrow”
“I Had A King”
Intro to “Free Darling”
“Free Darling”
Intro to “Cactus Tree”
“Cactus Tree”

[CD5]
Live at Canterbury House: Ann Arbor, MI (October 27, 1967)
Second Set

“Little Green”
Intro to “Marcie”
“Marcie”
Intro to “Ballerina Valerie”
“Ballerina Valerie”
“The Circle Game”
Intro to “Michael From Mountains”
“Michael From Mountains”
“Go Tell The Drummer Man”
Intro to “I Don’t Know Where I Stand”
“I Don’t Know Where I Stand”

Third Set

“A Melody In Your Name”
Intro to “Carnival In Kenora”
“Carnival In Kenora”
“Songs To Aging Children Come”
Intro to “Dr. Junk”
“Dr. Junk”
“Morning Morgantown”
Intro to “Night In The City”
“Night In The City”
“Both Sides Now”
“Urge For Going”

Quindi non ci resta che aspettare l’uscita e poi ne riparliamo diffusamente.

Bruno Conti

Il Live Che I “Veri” Pink Floyd (Se Fossero Ancora Insieme) Non Avrebbero Il Coraggio Di Fare! Nick Mason’s Saucerful Of Secrets – Live At The Roundhouse

nick mason live at the roundhouse

Nick Mason’s Saucerful Of Secrets – Live At The Roundhouse – Sony 2CD/DVD

Quando esce un nuovo album da solista di un ex membro dei Pink Floyd il pensiero va chiaramente prima a Roger Waters (che infatti si farà vivo tra pochi giorni, il 2 ottobre, con il live Us + Them) e poi a David Gilmour, dato che Richard Wright non è purtroppo più tra noi da dodici anni (e poi comunque la sua carriera al di fuori della band non era mai stata molto attiva). Più difficile che la mente vada all’ex batterista del gruppo, Nick Mason, un altro che non ha avuto un percorso solista esattamente fulminante: eppure il buon Nick avrebbe tutto il diritto di ereditare almeno una parte dell’eredità artistica del suo famoso ex gruppo, dal momento che è l’unico tra i componenti ad essere stato presente in tutti i dischi da The Piper At The Gates Of Dawn fino al “postumo” The Endless River, anche se il suo nome tra gli autori dei vari brani è comparso molto di rado.

Mason nel 2018 ha pensato che era ora di tornare a sedersi ai tamburi, e non avendo la possibilità di farlo con i Floyd ha deciso di formare una sua band, che ha chiamato Nick Mason’s Saucerful Of Secrets, un combo che fin dal nome fa intendere che il riferimento principale sono proprio le canzoni del suo leggendario ex gruppo: attenzione però a confonderli con una cover band, dato che come ho detto prima Mason è più che legittimato a portare in giro certe canzoni. Il moniker del gruppo, che fa riferimento al secondo album dei Floyd targato 1968, è però indicativo sul tipo di repertorio che Nick ha deciso di proporre on stage: infatti il nostro ha evitato accuratamente tutto il materiale tratto da dischi famosissimi come The Dark Side Of The Moon, Wish You Were Here e The Wall, optando invece per una rilettura in chiave moderna di canzoni del periodo che va dagli esordi del 1967 fino al 1972; per fare ciò, Mason si è affidato ad una band giovane (non sono proprio dei pischelli, ma hanno comunque diverse primavere in meno rispetto al leader) formata da Gary Kemp, ex chitarrista degli Spandau Ballet (!), dal bassista Guy Pratt, che faceva già parte della live band dei Floyd dal 1987 in poi, dall’altro chitarrista Lee Harris e dal tastierista Dom Beken, con Kemp e Pratt a dividersi le parti vocali soliste.

Ora i nostri hanno pubblicato questo Live At The Roundhouse, un doppio CD con DVD allegato che inizialmente doveva uscire ad aprile, e che documenta il meglio di due show tenutisi il 3 e 4 maggio del 2019 nel teatro citato nel titolo, che sorge nel quartiere di Camden a Londra. Ebbene, devo dire che Mason e compagni hanno avuto un’idea davvero brillante, cioè riproporre canzoni meno note dei Floyd dando loro un taglio più attuale e moderno, attraverso rappresentazioni fresche e vitali: i vari brani sono riletti in modo diretto, piacevole e creativo, ed i nostri sono stati bravissimi a togliere quella patina di antico e datato che caratterizzava alcuni pezzi soprattutto del periodo psichedelico, rispettando comunque la struttura originale ed impreziosendola con un suono da moderna rock band (mentre dal punto di vista visivo il concerto rievoca i primi spettacoli dei Floyd, con uno show di luci e colori tipici della seconda metà dei sixties). E poi Mason, nonostante i suoi 76 anni, quando si siede dietro la batteria smette di essere un tranquillo signore inglese e riaccende come per magia il sacro fuoco.

Anche la setlist è molto interessante, con ben cinque brani che neppure i Floyd originali avevano mai suonato dal vivo, e con solo un pezzo, One Of These Days, in comune con le scalette degli ultimi tour dal 1987 al 1995 (analogo discorso per la suggestiva ed orientaleggiante Set The Controls For The Heart Of The Sun, l’unica traccia che saltuariamente Waters ripropone ancora dal vivo). Non potevano mancare numerosi tributi a Syd Barrett, con versioni accattivanti e coinvolgenti dei singoli Arnold Layne e See Emily Play, ma anche mini-suite acide come l’uno-due che apre la serata formato da Interstellar Overdrive e Astronomy Domine (suonate splendidamente) e pezzi meno visitati in passato ma di sicuro impatto come una decisamente rockeggiante Lucifer Sam, la saltellante Bike e addirittura la rara Vegetable Man (un inedito dell’epoca uscito nel 2016 nel megabox The Early Years).

Altre rarità sono i tre pezzi tratti da Obscured By Clouds (la title track, When You’re In e Childhood’s End), che sembrano rinascere in queste riletture attuali; a proposito di omaggi, Mason si ricorda anche di Wright con la fluida Remember A Day, e anche dell’amico-nemico Waters (che però con lui non ha mai avuto grossi problemi) con le poco esplorate The Nile Song, Green Is The Colour (che non rammentavo così bella, una ballatona sontuosa) e Let There Be More Light, brani che forse neppure Roger si ricorda più. Non solo psichedelia, ma spazio va anche a delicate ballate acustiche come l’intensa Fearless e la bellissima If, e c’è perfino un estratto dalla suite Atom Heart Mother, sempre formidabile ed eseguita alla grandissima. Un concerto così bello e creativo non poteva che chiudersi in maniera adeguata, con la sempre travolgente One Of These Days (piccola curiosità: era l’unico pezzo dei Floyd ad essere “cantato”, se così si può dire, da Mason), la super-psichedelica A Saucerful Of Secrets, qui con uno splendido finale da rock song “classica” (uno degli highlights dello show), e la deliziosa ed orecchiabile Point Me At The Sky, che per anni fu l’ultimo singolo dei Pink Floyd.

Un doppio CD tutto da godere quindi, che non esito a mettere tra i migliori album dal vivo del 2020.

Marco Verdi

Un Annuncio Atteso Da Anni (Ed Un Piccolo Disco Per Ingannare L’Attesa)! Neil Young – Archives Vol. II/The Times

neil young archives vol. 2

Neil Young – Archives Vol. II – Reprise/Warner 10CD Box Set 20/11/2020

Neil Young – The Times – Reprise/Warner EP CD

Quando qualche mese fa Neil Young aveva annunciato una lunga serie di progetti da pubblicare tutti entro il 2020 mi ero fatto una grassa risata, abituato ormai alla volubilità del musicista canadese, che una ne fa e cento ne pensa. Ricapitolando, la lista delle uscite in programma era: il mitico album inedito Homegrown, poi effettivamente pubblicato a giugno, il live con i Crazy Horse Return To Greendale inciso nel 2003 (che ad oggi sembra seriamente candidato ad uscire veramente, pare il 6 novembre), un altro disco dal vivo con il Cavallo Pazzo registrato nel 1990 (Way Down In The Rust Bucket), un concerto acustico del 1971 intitolato Young Shakespeare, la ristampa del mini CD El Dorado ed un’edizione speciale di After The Gold Rush per il cinquantesimo anniversario. Come se non bastasse, la settimana scorsa Young ha annunciato un nuovo doppio live con i Promise Of The Real, Noise And Flowers, che però più ragionevolmente potrebbe vedere la luce nel 2021.

Ho lasciato per ultima la pubblicazione che rappresenta il fiore all’occhiello di questa valanga di materiale, e cioè il pluri-annunciato e pluri-rimandato secondo volume degli archivi di Neil, a ben undici anni dal primo “tomo”. Ebbene, che ci crediate o no, Young ha appena confermato l’uscita di Archives Vol. II, con tanto di foto del cofanetto postata sul suo sito ed addirittura la tracklist: la data di uscita è ora il 20 novembre, e pare che il box sarà disponibile in esclusiva proprio sul website del Bisonte, con i pre-ordini che scatteranno dal 16 ottobre (a che prezzo ancora non si sa). Voci non confermate dicono però che una versione più “povera” dal punto di vista del manufatto verrà comunque messa in commercio attraverso i canali tradizionali. Ecco comunque di seguito la tracklist dei dieci CD: come vedete il periodo di tempo coperto, 1972-1976, è molto più breve di quello del primo volume (che andava dal 1963 al 1972), ma bisogna dire che in quegli anni Young era posseduto da un fermento artistico incredibile; così come nel box precedente, i brani sono un mix tra canzoni inedite, versioni alternate e brani già conosciuti, e ci sono ancora quelle antipatiche ripetizioni di album già usciti separatamente (e che quindi tutti hanno già comprato), come per esempio il già citato Homegrown o i live Tuscaloosa e Roxy: Tonight’s The Night Live.

Archives Volume II: 1972-1976 track listing:
* = previously unreleased song
# = new unreleased version

Disc 1 (1972-1973)
Everybody’s Alone

Letter From ‘Nam *
Monday Morning #
The Bridge #
Time Fades Away #
Come Along and Say You Will *
Goodbye Christmas on the Shore *
Last Trip to Tulsa
The Loner #
Sweet Joni *
Yonder Stands the Sinner
L.A. (Story)
L.A. #
Human Highway &#035

Disc 2 (1973)
Tuscaloosa

Here We Go in the Years
After the Gold Rush
Out on the Weekend
Harvest
Old Man
Heart of Gold
Time Fades Away
Lookout Joe
New Mama
Alabama
Don’t Be Denied

Disc 3 (1973)
Tonight’s the Night

Speakin’ Out Jam #
Everybody’s Alone #
Tired Eyes
Tonight’s the Night
Mellow My Mind
World on a String
Speakin’ Out
Raised on Robbery (Joni Mitchell song) *
Roll Another Number
New Mama
Albuquerque
Tonight’s the Night Part II

Disc 4 (1973)
Roxy: Tonight’s the Night Live

Tonight’s the Night
Mellow My Mind
World on a String
Speakin’ Out
Albuquerque
New Mama
Roll Another Number
Tired Eyes
Tonight’s the Night Part II
Walk On
The Losing End #

Disc 5 (1974)
Walk On

Winterlong
Walk On
Bad Fog of Loneliness #
Borrowed Tune
Traces #
For the Turnstiles
Ambulance Blues
Motion Pictures
On the Beach
Revolution Blues
Vampire Blues
Greensleeves *

Disc 6 (1974)
The Old Homestead

Love/Art Blues #
Through My Sails #
Homefires *
Pardon My Heart #
Hawaiian Sunrise #
LA Girls and Ocean Boys *
Pushed It Over the End #
On the Beach #
Vacancy #
One More Sign #
Frozen Man *
Give Me Strength #
Bad News Comes to Town #
Changing Highways #
Love/Art Blues #
The Old Homestead
Daughters *
Deep Forbidden Lake
Love/Art Blues #

Disc 7 (1974)
Homegrown

Separate Ways
Try
Mexico
Love Is a Rose
Homegrown
Florida
Kansas
We Don’t Smoke It No More
White Line
Vacancy
Little Wing
Star of Bethlehem

Disc 8 (1975)
Dume

Ride My Llama #
Cortez the Killer
Don’t Cry No Tears
Born to Run *
Barstool Blues
Danger Bird
Stupid Girl
Kansas #
Powderfinger #
Hawaii #
Drive Back
Lookin’ for a Love
Pardon My Heart
Too Far Gone #
Pocahontas #
No One Seems to Know #

Disc 9 (1976)
Look Out for My Love
Like a Hurricane
Lotta Love
Lookin’ for a Love
Separate Ways #
Let It Shine #
Long May You Run
Fontainebleau
Traces #
Mellow My Mind #
Midnight on the Bay #
Stringman #
Mediterranean *
Ocean Girl #
Midnight on the Bay #
Human Highway #

Disc 10 (1976)
Odeon Budokan Live

The Old Laughing Lady #
After the Gold Rush #
Too Far Gone #
Old Man #
Stringman #
Don’t Cry No Tears #
Cowgirl in the Sand #
Lotta Love #
Drive Back #
Cortez the Killer #

neil young the times

Sembra quindi la volta buona (e di materiale interessante pare essercene a bizzeffe)…ma siccome a Neil non piace stare con le mani in mano, da pochi giorni è uscito The Times, un EP di sette canzoni registrato durante le Fireside Sessions (una serie di concerti acustici trasmessi via web che il nostro ha tenuto durante il lockdown e anche dopo) che contiene sei brani del passato reincisi per sola voce e chitarra più una cover, tutte con il comune denominatore del carattere “politico” dei testi (tranne un’eccezione), allo scopo di cercare di contrastare la possibile rielezione di Donald Trump. Il dischetto, 26 minuti, è stato inciso in presa diretta in puro stile “buona la prima”, ed il fascino risiede proprio nella voce sempre più fragile del nostro e nelle imperfezioni tecniche, che sono però compensate dal feeling che i fans del nostro conoscono bene (e che mancava nell’analogo A Letter Home di qualche anno fa). Neil non si preoccupa di rilasciare la versione definitiva delle canzoni presenti, ma riesce comunque ad emozionare con una performance intensa e di grande forza emotiva. E poi ci sono tre capolavori assoluti (Alabama, Ohio e Southern Man), una grande canzone poco conosciuta (Campaigner), la cover di un brano leggendario (The Times They Are A-Changin’ di Bob Dylan, forse la più traballante del lotto), un pezzo discreto ma eseguito in maniera molto intima (Little Wing, l’unica non di “protesta”) e la riedizione con un nuovo testo attualizzato di Lookin’ For A Leader, originariamente scritta “contro” la presidenza di George W. Bush.

Un dischetto da ascoltare tutto d’un fiato, in attesa del piatto forte in arrivo a novembre…sperando che sia davvero la volta buona.

Marco Verdi

Tra Jazz E Blues Acustico, Un Trio Molto Raffinato. Steve Howell Dan Sumner & Jason Weinheimer – Long Ago

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Steve Howell Dan Sumner & Jason Weinheimer – Long Ago – Out Of The Past Music

Il disco si chiama Long Ago, l’etichetta che lo pubblica è la Out Of The Past Music, la stessa che ha pubblicato di recente il disco di Katy Hobgood Ray con il marito Ray https://discoclub.myblog.it/2020/03/02/un-riuscito-omaggio-alla-propria-terra-da-parte-di-una-nuova-coppia-musicale-katy-hobgood-ray-wdave-ray-i-dream-of-water/ : quindi pare chiaro che non si parla di musica legata alla stretta contemporaneità. Steve Howell, il chitarrista e cantante di questo CD, ne ha già pubblicati una decina, spesso in coppia con il bassista Jason Weinheimer, e con l’altro chitarrista Dan Sumner ha pubblicato anche il precedente History Rhymes, e in quello prima ancora era presente la Hobgood Ray. Il disco è stato concepito ed inciso in una serie di studi di registrazione all’intersezione tra Arkansas, Texas e Louisiana, Ark-La-Tex e lo stile impiegato è un misto tra blues acustico e jazz, visto che entrambi i chitarristi usano chitarre acustiche archtop e flattop, nel caso di Howell suonate in fingerpicking.

Il repertorio viene appunto da blues e standard jazz, con il buon Steve in possesso di una voce suadente e piacevole, che mi ha ricordato vagamente il Clapton di Unplugged, ma anche quella dei crooner più delicati ed il risultato è un disco intimo e raffinato indicato a chi ama la musica tradizionale, magari di nicchia. Diciamo che la vivacità non è uno dei tratti principali dell’album, non succede molto nelle canzoni per intenderci, Howell e Sumner accarezzano le chitarre con grande tecnica, feeling e voluttà e l’insieme, oltre che saltare fuori dal passato è in fondo senza tempo, volutamente demodé. Dalla rilettura di Singin’ The Blues, un oscuro brano ripescato dagli anni ‘20, ma ripreso anche da Geoff Muldaur e Martha Wainwright, si passa ad Angel Eyes, una canzone anni ‘40 dal repertorio di Ella Fitzgerald e Frank Sinatra, ma in queste versioni ovviamente non ci sono orchestre swinganti, bensì esecuzioni per sottrazione, molto discrete. Please Send Me Someone To Love, il pezzo di Percy Mayfield lo conoscono quasi tutti, e le note immortali della canzone non sarebbero fuori posto in qualche fumoso localino dove passare la serata in compagnia, anche di buona musica, con Howell che la porge con classe e discrezione sia nella parte cantata che in quella strumentale, Do Nothing ‘Til You Hear From Me era di Duke Ellington e le due chitarre si intrecciano con grande nonchalanche tra tecnica e feeling, mentre Steve porge su un vassoio il suo contributo vocale.

Insomma ci siamo intesi su cosa aspettarci: non mancano brani più intricati come Song For My Father di Horace Silver, per quanto sempre eseguito con moderata sobrietà e sussurrato da Howell, che poi si lascia trasportare dalla bossa nova di Dindi qui in chiave strumentale, per poi tornare alle 12 battute classiche di Nothin’ But The Blues, anche questa dell’Ellington anni ‘30, seguita da una Z’s, che, se mi perdonate la battuta irriverente, un poco riflette anche l’effetto che potrebbe avere su qualche ascoltatore, anche se è uno dei brani più mossi del CD. Che prevede pure la presenza di Bei mir bist do schön, un pezzo yddish sempre anni ‘30, felpato e divertente, con intricati intarsi sonori, conosciuto nella versione cantata in inglese dalle Andrew Sisters; I’ll Remember April era in un film di Abbott e Costello, che per noi italiani sarebbero “Gianni E Pinotto” ed è stata cantata anche da Judy Garland, per quanto questo malinconico ed intricato pezzo qui appare in versione strumentale, a sottolineare la bravura di Howell e Sumner, che chiudono con una composizione di Johnny Mercer come la brillante I Thought About You. In definitiva se vi sentite di spirito “jazzy” e rilassato questo CD potrebbe fare per voi, non iniziati astenersi.

Bruno Conti

Prima O Poi Era Giusto Recuperare Anche Questo Periodo. Fleetwood Mac – 1969 To 1974

fleetwood mac 1969-1974

Fleetwood Mac – 1969 To 1974 – Reprise/Warner 8CD Box Set

Se chiedete ad un campione di fans dei Fleetwood Mac quale sia la loro versione preferita del gruppo penso che la maggior parte sceglierà quella del periodo “californiano” dal 1975 al 1987, mentre i puristi opteranno per il primi anni in cui i nostri erano una blues band al 100% britannica guidata da Peter Green, ma penso che ben pochi indicheranno i cosiddetti “anni di mezzo”, cioè la prima metà degli anni settanta (i novanta, con Rick Vito e Billy Burnette prima e Dave Mason e Bekka Bramlett poi, non li prendo neanche in considerazione). Eppure sarebbe secondo me sbagliato accantonare il quinquennio che va dal 1970 al 1974 come un lungo incidente di percorso, in quanto quegli anni hanno testimoniato la lenta metamorfosi dei nostri da gruppo ancora legato a stilemi di matrice blues ad esponente di un elegante soft rock di stampo West Coast, con una serie di dischi interessanti pur senza capolavori (ma nemmeno album brutti) ed una certa unitarietà nonostante i continui cambi di formazione.

La Warner ha avuto l’ottima idea di riunire i lavori sopracitati in un pratico cofanetto chiamato semplicemente 1969 To 1974 (fra poco farò una considerazione sul titolo), otto CD rimasterizzati ad arte e con diverse bonus tracks anche inedite, e soprattutto sull’ultimo dischetto un concerto radiofonico mai sentito prima, il tutto ad un costo molto interessante (attorno ai 40-45 euro). Dicevo del titolo, che riflette una (piacevole) bizzarria del box: infatti il primo CD incluso è il mitico Then Play On del 1969, un vero capolavoro che però è ancora legato alla prima fase del gruppo essendo l’ultimo lavoro con Green alla leadership, e che pur essendo un grandissimo album in cui la base blues dei Mac incontra la psichedelia, c’entra poco nel contesto del cofanetto (sarebbe stato sufficiente partire dal 1970); la cosa ha ancora meno senso in quanto Then Play On è uscito di nuovo più o meno in contemporanea per festeggiare i 50 anni, e qui nel box è presente con le stesse bonus tracks della ristampa “singola”, che tra l’altro ricalca per filo e per segno quella uscita nel 2013, alla recensione della quale vi rimando https://discoclub.myblog.it/2013/08/10/torna-uno-dei-dischi-storici-del-rock-anni-70-fleetwood-mac/

Scelte incomprensibili a parte (Then Play On è comunque sempre un bel sentire), il “vero” cofanetto inizia con Kiln House del 1970, con il gruppo ridotto a quartetto (Mick Fleetwood, John McVie, Danny Kirwan e Jeremy Spencer, il quale era rientrato nel gruppo dopo aver “saltato” Then Play On) ma con la partecipazione in un paio di pezzi di tale Christine Perfect, ex Chicken Shack che diventerà famosissima di lì a pochissimo come Christine McVie dopo aver sposato il bassista del gruppo (ma qui viene accreditata solo come autrice del disegno di copertina). La leadership è quindi nelle mani di Kirwan e Spencer, e l’album ha una piacevole connotazione pop-rock con alcuni brani addirittura in stile anni cinquanta, come la deliziosa This Is The Rock, tra Elvis e musica doo-wop, o lo slow “mattonella style” Blood On The Floor, il rock’n’roll ruspante di Hi Ho Silver, con Spencer ottimo alla slide, e l’omaggio a Buddy Holly (non solo nel testo) di Buddy’s Song; non male anche la countreggiante One Together e la mossa e coinvolgente Tell Me All The Things You Do, suonata alla grande. Le bonus tracks comprendono le versioni a 45 giri di Jewel Eyed Judy e Station Man e l’unico “non-album single” del periodo, formato dalla corale e californiana Dragonfly e dalla bella rock song dal sapore sudista Purple Dancer.

Il 1971 vede l’ingresso ufficiale della McVie nella lineup del gruppo ma anche l’uscita definitiva di Spencer, sostituito dall’americano Bob Welch che si dimostrerà un valido autore e chitarrista. Future Games è un buon disco, che però come tutti gli altri contenuti in questo box ha vendite deludenti: i brani migliori per il momento escono ancora dalla penna di Kirwan, come il sognante folk-rock alla David Crosby Woman Of 1000 Years, la sinuosa e fluida Sands Of Time o la solare e pianistica Sometimes, davvero gradevole. Christine scrive e canta due pezzi, Morning Rain e Show Me A Smile, che rivelano il suo stile pop-rock raffinato che negli anni arriveremo a conoscere benissimo. Interessanti le bonus tracks (a parte la single version di Sands Of Time), tutte inedite: tre riletture alternate di Sometimes, Lay It All Down e Show Me A Smile, la take completa e non sfumata di What A Shame e soprattutto Stone, una delicata folk song di Welch per sola voce e due chitarre acustiche, mai sentita prima.

Caso più unico che raro, i Mac restano nella medesima formazione anche per il seguente Bare Trees (1972), altro piacevole lavoro che si apre con il trascinante rock’n’roll di Child Of Mine di Kirwan, dal sapore westcoastiano, e che contiene piccole gemme come il soft rock alla Chicago The Ghost, la decisa Homeward Bound, che svela il lato rock della McVie (mentre il suo lato balladeer è rappresentato splendidamente da Spare Me A Little Of Your Love, un brano al livello di quelli che pubblicherà dal 1975 in poi), la bella e raffinata Sentimental Lady, una delle canzoni migliori di Welch e la deliziosa pop song Dust, ultima testimonianza di Kirwan all’interno della band. Tre le bonus tracks: oltre alla versione a 45 giri di Sentimental Lady abbiamo la rara e “petergreeniana” Trinity ed una solida Homeward Bound registrata dal vivo.

Nel 1973 esce Penguin ed i Mac sono addirittura in sei: lascia Kirwan ma subentrano il chitarrista Bob Weston e, dai Savoy Brown, il vocalist Dave Walker che rimarrà pochissimo in seno al gruppo. Penguin è un disco meno brillante dei precedenti ma non disprezzabile, che inizia però splendidamente con la squisita Remember Me, un’accattivante pop song come solo Christine McVie sa scrivere (e la bionda cantante/pianista dimostra di essere in ottima forma anche con la saltellante Dissatisfied). Altri pezzi degni di nota sono la countreggiante The Derelict, il rock etnico alla Santana Revelation (grande Welch alla sei corde), la solare e caraibica Did You Ever Love Me ed il fluido pop-rock psichedelico Night Watch, mentre la cover di (I’m A) Road Runner di Junior Walker non è il massimo. Stranamente questo è l’unico dischetto del box senza bonus tracks.

Nello stesso anno di Penguin i FM sono ancora tra noi con Mystery To Me, un disco migliore del precedente nonostante la copertina orribile. Walker se ne è già andato ed i nostri sono nuovamente in cinque, con Welch che assume il ruolo di leader con sette brani su dodici a sua firma (ma Keep On Going, che è quasi discomusic ante litteram, è cantata dalla McVie), tra le quali spiccano la sontuosa rock song d’apertura Emerald Eyes, l’elegante Hypnotized, puro pop di squisita fattura, il grintoso rock-blues con slide e wah-wah The City e la cavalcata elettrica di Miles Away. Quattro pezzi portano la firma di Christine: ottime il pop’n’roll Believe Me e la deliziosa ed orecchiabile Just Crazy Love; c’è anche una discreta cover di For Your Love, un brano di Graham Gouldman reso popolare dagli Yardbirds, canzone presente anche in una rara versione in mono come prima delle due bonus tracks, seguita dall’inedita ed energica Good Things (Come To Those Who Wait) di Welch.

E veniamo all’ultimo album di studio del periodo, ovvero Heroes Are Hard To Find del 1974 (con una copertina che oggi verrebbe censurata), con la band ridotta a quartetto a causa della partenza di Weston. Un disco nel quale la McVie conferma il suo sopraffino gusto pop con il solido ma fruibile errebi che intitola il lavoro, la magnifica ballata pianistica Come A Little Bit Closer, con bella orchestrazione e la steel guitar di Sneaky Pete Kleinow, e con le vibranti ed intense Bad Loser e Prove Your Love. Welch dal canto suo dà il meglio si sé nella robusta e pressante Angel, tra rock, jazz e tentazioni jam, la bizzarra Bermuda Triangle che fonde blues, pop e flamenco, la diretta ed immediata She’s Changing Me, californiana al 100%, ed il gustoso funkettone Born Enchanter, Trascurabile l’unica traccia bonus, la single version della title track.

Dulcis in fundo, ecco l’album dal vivo inedito: Live From The Record Plant è un concerto registrato in studio per una trasmissione radiofonica (quindi senza pubblico) dalla stessa formazione di Heroes Are Hard To Find, il 15 dicembre del 1974, ed è quindi una delle ultimissime apparizioni di Welch con i Mac a pochi mesi dall’ingresso di Lindsey Buckingham e Stevie Nicks che cambierà per sempre (in meglio) le sorti del gruppo. Il suono è splendido, e Welch lascia un ottimo ricordo con una prestazione splendida: nella setlist non mancano i pezzi migliori tratti da Kiln House in poi (Spare Me A Little Of Your Love, Sentimental Lady, Future Games, Hypnotized) ed alcune scelte dagli ultimi due lavori (Angel, Bermuda Triangle, Believe Me, Why), tutto ad un livello più alto delle controparti in studio. Ma le canzoni che valgono da sole il CD (e buona parte del cofanetto) sono tre fantastiche rivisitazioni di brani di Peter Green (The Green Manalishi, Rattlesnake Shake ed un irresistibile medley Black Magic Woman/Oh Well), in cui Welch fa di tutto per non far rimpiangere il grande chitarrista britannico e non va molto lontano dall’eguagliarne la bravura.

Se siete dei fans dei Fleetwood Mac inglesi o californiani che siano ma non conoscete la loro fase post-blues (o pre-successo planetario), questo box è da tenere assolutamente in considerazione. Anche per il prezzo, una volta tanto abbordabile.

Marco Verdi

A Furia Di Pillole Il Blues Diventa Sempre Più Rock. Blues Pills – Holy Moly

blues pills holy moly

Blues Pills – Holy Moly – Nuclear Blast

Riassunto delle puntate precedenti: li avevamo lasciati alla fine del 2017, con la pubblicazione di un CD/DVD dal vivo Lady In Gold Live In Paris https://discoclub.myblog.it/2017/12/12/pillole-sempre-piu-robuste-per-la-cura-del-rock-blues-pills-lady-in-gold-live-in-paris/  che in pratica era il resoconto dei concerti del tour del 2016 per promuovere appunto Lady In Gold, il secondo disco di studio del Blues Pills, dopo l’omonimo esordio del 2014, preceduto e seguito da una pletora di Mini CD, EP, e anche DVD, sia in studio che dal vivo, visto che la band di Elin Larsson, la carismatica leader e frontwoman del gruppo è in pista ormai dal 2011, quando Cory Berry alla batteria e Zack Anderson al basso avevano incrociato le loro strade con la Larsson che viveva In California. Poi a fine anno si trasferiscono in Svezia, a Orebro, dove li raggiunge il giovanissimo chitarrista francese Dorrian Soriaux, che con gli altri condivideva la passione per un robusto rock-blues (Cream, Led Zeppelin, Free) con venature psichedeliche (la predilezione di Soriaux per i Fleetwood Mac di Peter Green, come dargli torto e di Erin per Janis Joplin).

Nel frattempo Berry viene sostituito da André Kvarnström alla batteria, già dal 2014, e a fine 2018 Soriaux lascia amichevolmente gli altri, con Anderson che passa alla chitarra, sostituito al basso da un altro svedese Kristoffer Schander. Con la nuova formazione il quartetto è entrato in studio per il terzo album, con l’aiuto dell’ingegnere del suono Andrew Scheps (Red Hot Chili Peppers, Iggy Pop, Black Sabbath, Rival Sons), tutta gente dal suono “pesante, ed in effetti il sound dei Blues Pills, disco dopo disco, si è fatto sempre più duretto. Cosa che conferma pure Holy Moly, previsto in uscita a giugno, ma poi spostato ad agosto inoltrato per le note vicende Covid: undici brani dove non si prendono prigionieri, la Larsson è sempre una figlioccia illegittima di Janis e delle sue varie discepole (Beth Hart, Dana Fuchs, Lynn Carey Mama Lion, Colleen Rennison), ma dovendo “combattere” con il suono decisamente più aggressivo dei suoi pard, la vocalità viene ancora più sbattuta in primo piano, come dimostra la riffatissima Proud Woman, con chitarre e sezione ritmica che ci danno dentro di brutto, anche se Anderson è un chitarrista meno virtuosistico di Soriaux, come dimostra la tirata Low Road, una sorta di psych heavy rock, con wah-wah a manetta e chitarre distorte, di buona fattura comunque.

Dreaming My Life Away, tra Sabbath e Zeppelin, non concede requie, anche se l’approccio 70’s hard rock non dispiace e Anderson si disbriga con un buon assolo, mentre Erin è sempre impegnatissima a domare i suoi compagni, dedicandosi ad una heavy ballad come California, dove qualche piccolo afflato melodico non manca nella vocalità pur sempre esagerata della Larsson, che ha comunque una gran voce, in grado a tratti di infiammare lascoltatore; Rhythm In The Blood è un’altra “pillola” infiammata, ma il sound mi pare pasticciato e velleitario, con Dust che tenta la strada dell’hard blues, minaccioso e sospeso, sempre violento e carico, con il suono troppo lavorato fino a coprire la voce di Elin, per amanti di certo doom rock. Kiss My Past Goodbye, il terzo singolo, rimane ancora in questo alternative rock, “moderno” ma poco ispirato, voce filtrata, drumming potente e suoni carichi, ma mi pare non troppe idee.

Wish I’d Known finalmente sembra recuperare quelle ballate sognanti in cui lo spirito degli amati Fleetwood Mac si riaffaccia, sonorità più raffinate e una bella interpretazione vocale della Larsson risollevano lo spirito del disco, e anche l’incalzante Bye Bye Birdie, pur nella sua veemenza, rimanda al sound dei Blues Pills dei dischi precedenti, con un discreto solo di Zack, che però non è chitarrista di grande tecnica. In Song For A Mourning Dove, il brano più lungo, appare anche un pianoforte, l’atmosfera della ballata si fa più rarefatta e raccolta e si apprezza maggiormente la voce della Larsson, inserita in un ambito psych strumentale in leggero crescendo, dove anche la solista di Anderson fa la sua porca figura. In chiusura del CD, a risollevare comunque il livello qualitativo complessivo di questo Holy Moly, un’altra ballata come Longest Lasting Friend, solo voce e chitarra elettrica. Disco di transizione? Ai fans della band l’ardua sentenza.

P.S. E’ disponibile anche una versione di Holy Moly doppia, con allegato l’EP di 4 brani Bliss, già uscito nel 2012, ma che non era di facile reperibilità.

Bruno Conti

Excuse Me While I Kiss The Sky! Jimi Hendrix 27-11-1942 18-09-1970

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*NDB Lo avevo scritto per il 40° dalla morte, ma rimane valido anche per il 50° Anniversario e quindi ve lo ripropongo, in versione riveduta e corretta, anche sui video proposti, alcuni non più disponibili.

Esattamente 50 anni fa oggi moriva James Marshall Hendrix, in arte Jimi Hendrix, il più grande chitarrista di tutti i tempi e uno dei cinque musicisti più importanti nella storia della musica rock. Era nato a Seattle il 27 novembre del 1942 e morì in circostanze mai del tutto chiarite a Londra il 18 settembre del 1970. Non aveva quindi ancora compiuto 28 anni, quindi anche lui nel Club dei 27,

Per ricordarlo questi sono 5 momenti salienti della sua carriera.

1) Jimi Hendrix il compositore.

Little Wing, per me, forse, la più bella canzone che sia mai stata scritta. In particolare emozionante in questa versione registrata dal vivo al Winterland di San Francisco nel 1968 . La versione è magnifica e raggiunge la sua apoteosi nella parte finale quando Jimi innesta il wah-wah e fa “parlare” la sua chitarra. Sublime!

2) Jimi Hendrix il Bluesman.

Red House, la versione registrata a Santa Clara nel 1969. Questa versione è assolutamente superlativa, quando la chitarra entra in overdrive raggiunge vette veramente spaziali, peccato per la qualità della parte vocale. Il Blues (rock) secondo Hendrix!

3) Jimi Hendrix il Chitarrista.

Voodoo Child (Slight return). Ve la presento nella versione che verrà pubblicata il 20 novembre p.v. nella nuova uscita Live In Maui 2CD+Blu-Ray :il distillato della chitarra rock, più volte imitato e mai eguagliato!

4) Jimi Hendrix l’interprete.

All Along The Watchtower. Tratta da Electric Ladyland. Perfino Bob Dylan ha adottato la versione di Hendrix nel suo repertorio. L’intreccio di chitarre acustiche ed elettriche e l’interpretazione di Jimi la rendono insuperabile.

5) Jimi Hendrix il performer.

The Star Spangled Banner. Hendrix interpreta l’inno nazionale americano al Festival di Woodstock e scrive una pagina di storia.

Queste, tra decine di brani fantastici di Jimi, sono le mie scelte per un piccolo omaggio. A proposito di omaggi: mi chiedevo proprio in questi giorni, ma possibile che la Sony music e soprattutto la Experience Hendrix Lcc (ovvero la famiglia, la sorella Janie in particolare) non ci “regalino” qualcosa per celebrare il 50° anniversario della morte di Jimi Hendrix, la risposta è poche righe sopra, e anche qui sotto.

jimi hendrix live maui front jimi hendrix live maui box

Era quasi inevitabile, poi nei prossimi giorni ne parliamo più diffusamente.

Bruno Conti

Dalla Terra Dei Canguri Il Ritorno Di Un Chitarrista Di Quelli Tosti. Rob Tognoni – Catfish Cake

rob tognoni catfish cake

Rob Tognoni – Catfish Cake – MIG Made In Germany

Rob Tognoni, 60 anni a ottobre, italo-australiano, è uno dei punti di forza della scena rock-blues down under. 35 anni di carriera, ma solo 25 a livello discografico, con un output di pubblicazioni che oscilla a seconda delle fonti, tra i venti e venticinque album, compresi parecchi pubblicati a livello autogestito, inclusi i due recenti CD Live del 2018. Tognoni, dato il suo luogo di nascita, è noto come “The Tasmanian Devil”, per la grinta e la forza delle sue esibizioni e per il suo stile impetuoso, tanto che anche se viene catalogato come artista blues, direi che sarebbe più giusto ascriverlo alla categoria Power Trio con derive hard-rock 70’s, per quanto di buona fattura, non sarà un caso che tra le sue influenze citi Cream, Hendrix, i compatrioti AC/DC, ma anche Led Zeppelin, Deep Purple, Grand Funk, e bluesmen come B.B King, Robert Johnson, il primo Peter Green, vengono aggiunti al menu solo in seguito.

Uno dei suoi mentori in patria è stato l’eccellente chitarrista Dave Hole https://discoclub.myblog.it/2018/07/17/torna-il-miglior-chitarrista-slide-australiano-dave-hole-goin-back-down/  che lo ha aiutato ad avere il primo contratto con la Provogue nel 1995, e da allora ha pubblicato dischi anche con la Blues Boulevard e la Dixie Frog, per la quale è uscito nel 2012 Energy Red, se non ricordo male l’ultimo album che ho recensito per il Blog https://discoclub.myblog.it/2012/05/16/le-ripetizioni-giovano-rob-tognoni-energy-red/ , anche se l’ultimo album di studio “importante” è stato Birra For Lira, che fa chiaro riferimento alle sue origini italiane, e ha anche piazzato un paio di recenti collaborazioni con il buon Max Meazza. Se dovessi ricordare uno dei suoi dischi migliori magari opterei per Boogie Like You Never Did, una compilation del 2012 che fin dal titolo è una sorta di dichiarazione di intenti https://discoclub.myblog.it/2012/03/07/southern-hard-rock-rob-tognoni-boogie-like-you-never-did/ : in questo Catfish Cake, torta di pesce gatto, si fa riferimento ad uno degli abitatori abituali delle paludi del Mississippi e quindi della tradizione delle 12 battute.

Che poi nel disco viene coniugata in modo decisamente ribollente, con la ritmica rocciosa tedesca di Slawen Semeniuk basso e Mirko Kirch batteria, che picchia con criterio e i riff della chitarra di Tognoni che arrivano da destra e da manca, come nell’iniziale New Set Of Rays, un boogie cadenzato che deve parecchio a Canned Heat e al loro maestro John Lee Hooker, dove si apprezza il vocione vissuto di Rob e la sua peraltro eccellente tecnica chitarristica, che viene sottolineata dal lavoro di un organo sullo sfondo, suonato dallo stesso Tognoni. Il copione è questo, poi ci sono piccole variazioni sul tema con nel funky-blues-rock della cattiva Dealin’ At the Crossroads, dove il nostro innesta il wah-wah in onore dell’amato Jimi, o nella frenetica Captain Magic dove si va di boogie alla ZZ Top o alla Thorogood, con ottimi assoli del “Diavolo” che comincia a scaldare le corde della solista.Fat Orange Man è un roccaccio sudista di quelli duri e puri, mentre Superficial è una sorta di hard ballad con uso di organo, che poi d’improvviso accelera di botto e Rob inchioda un altro assolo di buona tecnica.

No Sleep In Hell è un altro pezzo rock classico di quelli robusti, con assolo di chitarra dove il nostro si sdoppia e raddoppia alle soliste, She Waited è un’altra ballatona, solo voce e chitarra elettrica, cantata con pathos e con lirico assolo, mentre James Brown, come da titolo, è un super funky con grande lavoro di Semeniuk al basso. Makin’ Me Live è una delle tracce dove il blues è più presente, ma sempre con forti iniezioni di rock, non particolarmente originale, e non manca neppure un altro riff’n’roll, forse in omaggio agli AC/DC nella vibrante Conspiracy Deep State e anche Outback non concede requie all’ascoltatore, sarà anche tutto registrato ad Aquisgrana in Cruccolandia, ma si respira aria di sterminate highways australiane, quando si potranno percorrere di nuovo dopo il virus, a finestrini abbassati e a tutto volume, che non manca neppure nel poderoso rock sudista della conclusiva Full Recovery, dove Tognoni e soci ci danno dentro sempre alla grande. “Forse” Tognoni non è uno raffinato, ma grinta e ritmo non mancano di sicuro in questo CD.

Bruno Conti

Il “Solito” Bravo Musicista Texano. Matthew Austin Hunt

matthew austin hunt

Matthew Austin Hunt – Matthew Austin Hunt – Edgewater CD

Uno degli ultimi nomi usciti da quell’inesauribile fucina di talenti che è il Texas è quello di Matthew Austin Hunt, giovane musicista dell’area di Houston che ha appena pubblicato in maniera rigorosamente indipendente il suo album di esordio. Nipote di un musicista di Los Angeles degli anni quaranta, Matthew è cresciuto ascoltando i dischi del nonno (più che altro crooner del calibro di Perry Como, Bing Crosby e Johnny Mathis) e del padre (cose decisamente più texane, come Waylon, Willie e Jerry Jeff Walker) aggiungendo a tutto ciò le sue influenze dirette che vanno da Lyle Lovett a Jackson Browne passando per James Taylor. Il risultato di cotanto bagaglio è appunto l’omonimo Matthew Austin Hunt, un album che non è country come si potrebbe pensare ma una miscela di vari stili che comprendono anche rock, folk e musica cantautorale, il tutto riassumibile con il solito termine “Americana”.

Il country fa certamente parte del suo background, ma Hunt aggiunge spesso e volentieri generose dosi di rock coniugando molto bene un suono forte e chitarristico ad una vena compositiva degna di nota, grazie anche all’apporto di una solida band che va dritta al bersaglio, i cui membri più in vista sono il polistrumentista Derek Hames (che produce anche il disco), il chitarrista John Shelton, l’energica sezione ritmica formata da Mark Riddell al basso e Isaias Gil alla batteria e la violinista Ellen Melissa Story. Puro rock made in Texas quindi, intenso e godibile allo stesso tempo. L’iniziale American Made è un robusto rockin’ country elettrico dal ritmo sostenuto e suono potente, che parte dalla lezione di Waylon per aggiungere ulteriori dosi di rock, con le chitarre in gran spolvero e l’organo a tessere sullo sfondo: un avvio solido e coinvolgente.

Anche Open Book si apre con una bella schitarrata, ma poi il brano si rivela una ballata distesa di pregevole fattura con un motivo che si snoda fluido, anche se il tasso elettrico resta elevato; molto bella Bye London Bye, uno slow elettroacustico dalla melodia toccante ed uno sviluppo strumentale arioso e non privo di pathos, mentre Drip By Drip è una rock song rocciosa con il solito importante apporto di Shelton alla solista ed una sezione ritmica granitica: non solo muscoli però, in quanto anche il songwriting è decisamente valido. Close To Me è gentile, attendista e quasi rarefatta (e spuntano violino e mandolino) a differenza di We Can Dream che è pur sempre una ballata ma parte con un riff molto potente e sanguigno, anche se Matthew conserva quel suo modo gentile di porgere il brano.

The Day I Met You è l’ennesimo pezzo lento, ma il nostro sa scrivere e riesce a trovare la veste sonora adeguata ad ogni canzone senza pertanto risultare noioso: qui il sound è aperto, terso e vibrante, con violino e chitarra elettrica in decisa evidenza. L’incalzante rock ballad Let Me Breathe (ottimo l’uso dell’organo) e la tenue e leggiadra Shade Of Gray portano alla conclusiva My Dear Friend, intensa ed emozionante ballatona tra country e musica d’autore, tra le migliori del CD. Matthew Austin Hunt ha sicuramente grossi margini di miglioramento, ma il suo omonimo debut album rappresenta comunque una base di partenza più che buona.

Marco Verdi

Un’Altra Succulenta Uscita Di Archivio Per Gli Amanti Della Buona Musica! Commander Cody & His Lost Planet Airmen – Bear’s Sonic Journals Found in the Ozone

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Commander Cody & His Lost Planet Airmen – Bear’s Sonic Journals Found in the Ozone – 2 CD Owsley Stanley Foundation

Come i lettori più attenti avranno notato, in questi ultimi tempi c’è stata una notevole attività discografica di Commander Cody, sia CD “nuovi”, che pubblicazioni di materiale di archivio, ufficiali (come il disco dal vivo del 1971 uscito per la Sundazed nel 2015 e i due titoli della RockBeat https://discoclub.myblog.it/2017/06/13/un-comandante-perduto-ritrovato-commander-cody-and-his-lost-planet-airmen-live-from-ebbets-field-denver-colorado-august-11-1973/ ), ma anche parecchie uscite (semi)legali di materiale radiofonico da etichette di dubbia provenienza, alcuni incisi anche bene e con contenuti interessanti. Sicuramente una etichetta “seria” (ed è strano dirlo parlando di un personaggio come Owsley Stanley, più noto come Bear, che ai tempi in cui era ingegnere del suono e fornitore di sostanze illegali per i Grateful Dead probabilmente era sempre “leggermente” fatto), gestita da moglie, figli, nipoti e pronipoti, che stanno amministrando il suo archivio in modo oculato

.Dopo le uscite dedicate a Doc & Merle Watson, Allman Brothers Band https://discoclub.myblog.it/2018/08/11/le-loro-prime-registrazioni-dal-vivo-di-nuovo-disponibili-allman-brothers-band-fillmore-east-february-1970/ , Jorma Kaukonen & Jack Casady pre Hot Tuna https://discoclub.myblog.it/2019/02/14/nuovi-dischi-live-dal-passato-6-prima-di-essere-gli-hot-tuna-erano-gia-formidabili-jorma-kaukonen-jack-casady-bears-sonic-journals-before-we-were-them-live-june-2/  e il quintuplo New Riders Of The Purple Sage https://discoclub.myblog.it/2020/03/23/anche-prima-di-diventare-una-vera-band-erano-gia-belli-pronti-new-riders-of-the-purple-sage-dawn-of-the-new-riders-of-the-purple-sage/ , questa volta tocca ad un doppio CD dedicato a Commander Cody & His Lost Planet Airmen. *NDB Non è facile da trovare e costa caro, ma cercatelo perché vale la pena.

Si tratta di registrazioni effettuate tra il 27 febbraio e il 29 marzo del 1970, al Family Dog At The Great Highway (per dargli il suo nome completo) di San Francisco, California, di proprietà dell’impresario Chet Helms, grande rivale di Bill Graham con il suo Fillmore West: nei due locali si alternavano grandi serate con i Grateful Dead, che di volta in volta cambiavano i loro opening acts, e Owsley era sempre lì a registrare tutto su nastro, con una costanza ed una qualità che ancora oggi sorprendono all’ascolto. Come di consueto anche il libretto del CD (una ventina di pagine, comprese fronte e retro della copertina) sono ricchissime di notizie ed un vero piacere da leggere. Mi permetto di “rubare” pari pari l’incipit del lungo saggio scritto da Nicholas G. Meriwether, che racconta con grande dovizia di particolari la storia dei primi anni della band ed il contenuto del doppio CD (se proprio siete ricchi sono disponibili anche i download ad alta risoluzione dei sei concerti completi): “Nel 1969 il famoso critico musicale Ralph J. Gleason chiamò San Francisco “la Liverpool dell’Ovest”vedendo la risonanza tra la fonte britannica di un pop innovativo e la varia e vibrante scena che si stava sviluppando nella Bay Area. Il 1969 fu anche l’anno in cui George Frayne e gli altri membri della band arrivarono a Berkeley…”

Il gruppo si chiamava Commander Cody & His Lost Planet Airmen (ispirati da due serie televisive di culto) e veniva dalla zona di Detroit, anche se i componenti, a partire da Frayne, che era di Boise, Idaho, venivano in pratica da tutti gli States. Agli inizi George, che si era laureato in Scultura e Pittura (Belle Arti se preferite) all’Università del Michigan, aveva fatto anche l’insegnante, ma poi il richiamo della musica lo aveva travolto e tra le le prime incarnazioni degli Airmen, ancora a Detroit, ce n’era una di 34 elementi che faceva concorrenza alla visione di Andy Warhol per i Velvet Underground, con una sezione di 5 kazoo, una ragazza tutta vestita di nero, con una frusta, che stava sul palco e non faceva nulla, ed un’altra di oltre 90 chili, avvolta solo dalla bandiera americana pure, mentre sullo sfondo scorrevano filmati di estrazioni dentali. Poi le cose si sono normalizzate e quando Frayne e soci arrivano in California (precedendo di poco gli amici Asleep At The Wheel) in poco tempo acquisiscono la reputazione di favolosa (e unica) band dal vivo. George Frayne al piano, e occasionale voce solista, Billy C. Farlow, cantante ed armonicista, Bill Kirchen, chitarra e voce, Andy Stein, violino e sax, Steve Davis, pedal steel guitar, Bruce Barlow basso e Lance Dickerson batteria, completano la line-up, dove manca John Tichy, chitarra ritmica e voce, che rientrerà in formazione per la pubblicazione del primo album di studio alla fine del 1971. Genere musicale? Country, rock (and roll), western swing, rockabilly, americana, blues, zydeco, cajun, mi sa che ne ho dimenticato qualcuno: e tutto è perfettamente bilanciato.

I due CD contengono il concerto completo del 28 marzo 1970, il migliore dei sei, poi ci sono altre 26 canzoni, 41 brani in totale, estratti dalle varie serate, badando ad evitare doppioni e con moltissime canzoni mai più apparse in seguito negli album ufficiali della band, che permettono di apprezzare, con eccellente qualità sonora, i coinvolgenti e scoppiettanti set del gruppo. Si apre proprio in modo ruspante con il soundcheck in diretta di fronte al pubblico, che poi confluisce nel breve strumentale Cajun Fiddle, affidato al violino di Andy Stein e alla pedal steel di Davis, per gli amici “The West Virginia Creeper”.  seguito dal R&R scatenato Good Rockin’ Tonight, il secondo singolo di Elvis per la Sun, con Kirchen, di nuovo Stein e il Comandante che cominciano a scaldare i loro strumenti, mente Farlow mette in mostra la sua voce calda e sicura, a seguire una pimpante Jambalaya per il lato country, e poi il lato R&B, R&R e New Orleans con My Girl Josephine di Fats Domino, l’originale di Barlow What’s The Matter Now, di nuovo di impianto country, con Davis alla steel, non manca neppure il zydeco’n’roll della travolgente Bon Ton Roulet, degna dei futuri sviluppi di Zachary Richard, il rockabilly di Matchbox di Carl Perkins, con Frayne che può fare il Jerry Lee Lewis della situazione, una ballata country spezzacuori come Long Black Limousine, la vivace cover di Only Daddy That’ll Walk The Line che era stata la canzone country del 1968 da un album di Waylon Jennings, e anche Truck Drivin’ Man, loro futuro cavallo di battaglia per i truckers del mondo intero, non scherza quanto a brio, con la steel del “West Virgina Creeper” a.k.a. Steve Davis e Kirchen a scambiarsi licks, Back To Tennessee di Barlow e Frayne, tra boogie e country è un’altra divertente pillola del loro repertorio, e la rilettura melò di Sleepwalk di Santo & Johnny è l’occasione per sentire di nuovo la steel di Davis e fischiettata di Frayne.

Dai rumori di ambiente non sembra esserci molto pubblico, ma il Family Dog era un piccolo locale, che comunque si riscalda al rockabilly/western swing di Midnight Shift e con una trascinante Blue Suede Shoes, per chiudere con un altro country’n’roll di Farlow come la frenetica Lost In Ozone, title track del loro album di debutto, qui finisce il concerto della domenica 28. Senza stare a citare tutti i brani, vi segnalo nella selezione degli altri cinque concerti, il cajun blues di Sugar Bee, una perfetta Mama Tried di Merle Haggard, di nuovo rockabilly a go-go con Boppin’ The Blues, la loro unica futura Top 10, una sempre vorticosa Hot Rod Lincoln, e pure Rip It Up non scherza come ritmo, la pianistica Lawdy Miss Clawdy, la potente (I’m Gonna) Burn That Woman, un Johnny Cash d’annata come Big River, il divertente doo-wop Stranded In the Jungle, un’altra occasione per Farlow di sfoderare il suo miglior Elvis in Baby Let’s Play House, I’m Coming Home di Johnny Horton, puro country, e la loro migliore ballata, la suadente Seeds And Stems (Again), degna antesignana della loro cover di Willin’, la più bella mai sentita a parte quella dei Little Feat. E mi fermo, ma si potrebbe andare avanti per ore. Una fantastica “scoperta”! Nel frattempo sto preparando un bell’articolo (mi lodo da solo) retrospettivo sulla band che leggerete prossimamente.

Bruno Conti