Torna La Premiata Ditta “Imbrogli & Fregature”. Prima Parte: Tom Petty – Finding Wildflowers (Alternate Versions)

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Tom Petty – Finding Wildflowers (Alternate Versions) – Warner CD

Ci sono pochi dubbi, almeno per quanto mi riguarda, che la migliore ristampa del 2020 sia stata Wildflowers & All The Rest, uno splendido cofanetto che riepilogava le sessions di quello che per molti è il capolavoro di Tom Petty (Wildflowers appunto, anche se personalmente preferisco di poco Full Moon Fever), aggiungendo all’album originale del 1994 un intero CD di inediti – inizialmente il lavoro avrebbe dovuto essere doppio – uno di “home recordings” ed un altro dal vivo con le canzoni del disco suonate nel corso degli anni. Sul sito di Tom era poi disponibile una edizione Super Deluxe limitata con una confezione potenziata e soprattutto un quinto dischetto intitolato Finding Wildflowers, che proponeva sedici ulteriori pezzi tra takes alternate e qualche inedito: peccato però che per averla bisognava sborsare una differenza di oltre cento dollari rispetto alla versione quadrupla normale.

Ma siccome nell’industria discografica non c’è limite al peggio, il 16 aprile Finding Wildflowers uscirà come CD a parte, una beffa atroce per chi, come il sottoscritto, lo ha dovuto strapagare solo pochi mesi fa ed ora lo vede tranquillamente a disposizione di tutti. Una mossa moralmente censurabile della quale incolpo certamente la Warner, ma anche gli eredi di Tom che hanno dovuto per forza dare l’assenso. Sono sicuro che se il biondo rocker della Florida fosse ancora tra noi si sarebbe fieramente opposto a questa porcata (non trovo altro termine), e non sarebbe stata neanche la prima volta: famosa per esempio fu la battaglia, tra l’altro vinta, che Petty condusse contro la MCA che nel 1981 voleva aumentare di un dollaro (!) il prezzo del suo allora nuovo LP Hard Promises (ed anche il suo album del 2002 The Last DJ è una sorta di concept contro le major). Considerazioni morali a parte, il contenuto musicale di Finding Wildflowers è come sempre eccelso, e vista l’imminente uscita ho deciso di tornarci sopra in breve.

Non tutto è inedito: ci sono due takes differenti di Don’t Fade On Me e Wake Up Time già pubblicate su An American Treasure, una rilettura semi-acustica di Cabin Down Below (ma con Mike Campbell alla chitarra elettrica) ed una versione alternativa di Only A Broken Heart (che paga l’influenza delle allora recenti produzioni di Jeff Lynne) entrambe uscite come B-sides, e poi Girl On LSD, un divertente ed ironico rockabilly sempre uscito come lato B. Troviamo poi finalmente una studio version di Drivin’ Down To Georgia (che però funziona meglio dal vivo), una bellissima A Higher Place più elettrica e Heartbreaker-sounding (con Kenny Aronoff alla batteria), Hard On Me leggermente più lenta dell’originale e con Campbell alla slide, a differenza di Crawling Back To You che è molto più veloce e ritmata di quella nota (e non so quale delle due preferire), You Wreck Me sempre energica ma con le chitarre acustiche, House In The Woods con un’inedita parte strumentale centrale dal sapore jazz, ed una Wildflowers delicatamente country e con Ringo Starr ai tamburi.

Cabin Down Below è presente anche in una take alternata elettrica, ancora più grezza di quella finita sul disco originale (e con gli Hearbreakers al completo, compreso Stan Lynch in una delle sue ultime apparizioni prima di lasciare la band; It’s Good To Be King è molto rallentata ma rimane una grande canzone, mentre Honey Bee musicalmente non è molto diversa da quella nota ma presenta differenze nel testo ed una strofa in più. C’è spazio anche per un inedito assoluto intitolato You Saw Me Comin’, pop song gradevole dal ritmo incalzante, un brano abbastanza sconosciuto e che pare non fosse mai stato realmente considerato per l’inclusione in Wildflowers. Tra una quindicina di giorni circa vi parlerò di un altro episodio catalogabile sotto la categoria “Imbrogli & Fregature”, e questa volta riguarderà una nota band inglese che in passato ha avuto problemi con maiali e muri.

Marco Verdi

Ecco Uno Che Sa Fare Solo Dischi Bellissimi! Chris Stapleton – Starting Over

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Chris Stapleton – Starting Over – Mercury/Universal

Chris Stapleton ha esordito come solista abbastanza tardi (Traveller, del 2015, è stato pubblicato quando il singer-songwriter del Kentucky aveva già 37 anni), ma in pochissimo tempo ha fatto vedere di non avere molto terreno da recuperare. Con un passato da autore per conto terzi ed una militanza in un paio di band con le quali non ha mai inciso alcunché, Stapleton infatti non ci ha messo molto per affermarsi come uno dei musicisti migliori oggi in America: Traveller era un lavoro splendido e ha avuto anche un notevole successo https://discoclub.myblog.it/2015/07/25/good-news-from-dave-cobb-productions-chris-stapleton-traveller-christian-lopez-band-onward/ , ed anche il doppio From A Room del 2017 (pubblicato però in due diverse tranche) era di livello notevole seppur leggermente inferiore all’esordio. C’era quindi parecchia attesa per il terzo album di Chris (in quanto io considero i due From A Room come una cosa unica), e sappiamo quanto possa essere problematico il terzo lavoro per un artista che ha debuttato col botto https://discoclub.myblog.it/2017/12/16/peccato-solo-che-forse-non-ci-sara-un-terzo-volume-chris-stapleton-from-a-room-volume-2/ .

Ebbene, non solo Starting Over conferma la crescita esponenziale del nostro come autore e performer, ma a mio parere è perfino superiore a Traveller, e si candida fin dal primo ascolto ad uno dei posti di vertice per la classifica dei migliori del 2020. Starting Over (che si presenta con una copertina ultra-minimalista, per non dire inesistente) propone la consueta miscela di rock, country e southern music tipica del nostro, ma con una qualità compositiva di primissimo livello ed un feeling interpretativo notevole, grazie soprattutto ad una voce tra le più belle ed espressive del panorama musicale odierno ed una tecnica chitarristica da non sottovalutare. Prodotto al solito dall’amico Dave Cobb e con gli abituali compagni di ventura (la moglie Morgane Stapleton alla seconda voce, Cobb stesso alle chitarre acustiche, J.T. Cure al basso e Derek Mixon alla batteria), Starting Over ha anche degli ospiti che impreziosiscono alcuni brani , come Paul Franklin, leggendario steel guitarist di Nashville, e gli Heartbreakers Benmont Tench e Mike Campbell, non una presenza casuale in quanto Stapleton è presente sul nuovissimo album d’esordio dei Dirty Knobs, il gruppo guidato proprio da Campbell (appena recensito su questi schermi).

In poche parole, forse il miglior disco uscito negli ultimi mesi insieme a quello di Bruce Springsteen, in un periodo solitamente dedicato alle antologie e ristampe proiettate alle vendite natalizie. Il CD parte benissimo con la title track, una spedita ballata di stampo acustico servita da una melodia di prim’ordine e con la prima di tante prestazioni vocali degne di nota: il refrain, poi, è splendido. Devil Always Made Me Think Twice è una robusta rock’n’roll song di chiaro stampo sudista: Chris ha la voce perfetta per questo tipo di musica, ma è il brano in sé ad essere trascinante, ed io ci vedo chiara e lampante l’influenza di John Fogerty sia nelle sonorità swamp che nella linea melodica e modo di cantare. Il piano di Tench introduce Cold, una ballata elettroacustica eseguita con grande forza e pathos (ma sentite che voce), con un leggero accompagnamento d’archi che le dona un tocco suggestivo in più e crea un crescendo da brividi.

When I’m With You è un lento alla Waylon Jennings, una canzone bella, limpida e ricca di anima con gli strumenti dosati alla perfezione, a differenza di Arkansas che è una travolgente rock song elettrica di grande potenza, con Campbell co-autore e chitarra solista che si produce in un mirabolante assolo dei suoi, mentre Joy Of My Life, prima cover del disco, è un delicato pezzo che Fogerty aveva dedicato a sua moglie nel 1997: Stapleton fa lo stesso con Morgane ed il risultato è eccellente, con l’aggiunta di elementi southern che l’originale non aveva. Il sud è ancora presente nell’intensa Hillbilly Blood, notevole ballata tra rock e musica d’autore che ricorda molto da vicino il Gregg Allman più roots, timbro vocale compreso, al contrario di Maggie’s Song, bellissima country ballad dal motivo molto classico (vedo l’ombra di The Band, zona The Weight) e con l’organo di Benmont ad impreziosire ulteriormente un gioiello già luccicante di suo.

Lo slow elettrico di matrice rock-blues Whiskey Sunrise, suonato ancora con indubbia forza e con un paio di pregevoli assoli da parte del leader, precede le altre due cover del CD, entrambe prese dal songbook del grande Guy Clark: se Worry B Gone è un coinvolgente rockin’ country texano al 100% contraddistinto da una performance collettiva da applausi, Old Friends è uno dei pezzi più noti e belli dello scomparso cantautore di Monahans, e la resa di Chris è semplicemente da pelle d’oca. Watch You Burn è il secondo brano scritto e suonato con Campbell, una rock song asciutta e diretta, sempre con quell’afflato southern che è insito nella voce del nostro, canzone che precede You Should Probably Leave, strepitoso e cadenzato pezzo dal sapore decisamente errebi (uno dei più godibili del lotto), e l’intensa Nashville, TN, country ballad “cosmica” alla Gram Parsons che chiude degnamente un album davvero splendido. A parte un paio di dubbi avevo praticamente già deciso i dieci dischi più belli di quest’anno, ma dopo aver ascoltato Starting Over mi vedo costretto a ritoccare la lista. E nei primissimi posti.

Marco Verdi

Il Disco Rock’n’Roll Dell’Anno? The Dirty Knobs – Wreckless Abandon

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The Dirty Knobs – Wreckless Abandon – BMG Rights Management CD

Dopo l’inattesa e dolorosa scomparsa di Tom Petty avvenuta nel 2017 gli Heartbreakers si sono giocoforza dedicati all’attività di sessionmen di lusso, ed uno dei più attivi in tal senso è stato Mike Campbell, grandissimo chitarrista e vera colonna portante del suono degli Spezzacuori insieme al piano di Benmont Tench: prima è entrato a far parte, un po’ a sorpresa devo dire, dei Fleetwood Mac insieme a Neil Finn dopo il licenziamento di Lindsey Buckingham (ed il fatto che per la seconda volta l’ex marito di Stevie Nicks sia stato rimpiazzato da DUE musicisti – la prima fu nel 1987 – la dice lunga sulla sua bravura), e poi ha potuto dedicarsi a tempo pieno alla sua band “dopolavoristica” The Dirty Knobs, da lui formata nel 2001 ma che fino ad oggi si era limitata a qualche esibizione dal vivo.

In effetti mi ero sempre chiesto, anche durante i periodi di massimo splendore di Petty e della sua band, come mai un musicista del talento di Campbell non avesse pensato ad un album da solista, dal momento che oltre alla grande abilità chitarristica Mike è anche un valido songwriter (oltre a molti brani insieme a Petty ha infatti collaborato alla scrittura con fior di colleghi, come la stessa Nicks, Don HenleyThe Boys Of SummerJohn Prine, Roy Orbison, perfino Bob DylanJammin’ Me – e Roger McGuinn), poi nel 1999 l’ho sentito cantare in I Don’t Wanna Fight nell’album di Petty Echo, unico caso in tutta la discografia degli Heartbreakers, e ho capito perché. Nel 2016 però Campbell aveva dato prova di essere notevolmente migliorato alla voce nell’affrontare Victim Of Circumstance, il suo contributo al secondo album dei Mudcrutch, ma nonostante tutto mi sono stupito quando ho visto che nel primo album dei Dirty Knobs da poco uscito, intitolato Wreckless Abandon, il lead singer oltre che chitarra solista era proprio lui. Questa però è solo la prima sorpresa, in quanto ascoltando il CD mi sono reso conto di avere a che fare con un bellissimo album di puro rock’n’roll come oggi purtroppo non si fa quasi più, musica diretta, potente, chitarristica fino al midollo ma con una qualità compositiva notevole (le canzoni sono tutte di Campbell).

I “Pomelli Sporchi” sono un classico quartetto due chitarre-basso-batteria (oltre a Mike, Jason Sinay, Lance Morrison e Matt Laug), e la loro musica è un misto di rock, blues e boogie con le sei corde sempre in evidenza, ma come ho detto poc’anzi ci sono anche le canzoni e, sorprendentemente, la voce. La produzione, diretta ed asciutta, è nelle sapienti mani di George Drakoulias (che ricordo alla consolle per i primi due album dei Black Crowes, i migliori lavori dei JayhawksHollywood Town Hall e Tomorrow The Green Grass – nonché in The Last DJ di Petty), e come ospiti abbiamo Tench in un brano, Augie Meyers in un altro e soprattutto Chris Stapleton alla voce in due pezzi, che rende quindi il favore a Mike che è apparso di recente nel suo nuovo Starting Over; piccola curiosità: anche l’immagine di copertina ha origini illustri, essendo opera del noto designer tedesco di beatlesiana memoria (nonché bassista) Klaus Voormann, autore della mitica cover di Revolver.

Un indizio del livello del disco lo dà l’iniziale title track, rock’n’roll song chitarristica potente e coinvolgente, anzi direi irresistibile: la voce di Campbell è notevolmente migliorata (la sua chitarra non si discuteva neanche prima) ed è paragonabile a quella di Graham Parker, e la canzone stessa sarebbe potuta benissimo stare su un album di Petty & Heartbreakers. Pistol Packin’ Mama (brano nuovo, non il classico di Bing Crosby) è uno strepitoso country-rock elettrico, con Stapleton che duetta alla grande con Mike e Meyers che ricama da par suo con il farfisa per un cocktail decisamente trascinante; Sugar, dura e cadenzata, porta il disco verso sonorità rock-blues, un pezzo meno sfavillante dal punto di vista compositivo ma suonato sempre con grinta e perizia tecnica che vanno di pari passo. Molto buona anche Southern Boy, un boogie spedito come un treno dalle goduriose parti strumentali tra chitarre normali e slide, mentre I Still Love You è una rock ballad intensa e potente a dimostrazione che Mike se la cava benissimo anche con brani più lenti (ma le chitarre arrotano anche qua, basti sentire l’assolo finale). Irish Girl calma un po’ le acque, le chitarre sono acustiche e spunta anche un’armonica, per un pezzo dallo script superbo (a metà tra Dylan e Petty, manco a dirlo) e suonato alla grande, con Stapleton ancora presente ma solo alle armonie vocali: canzone splendida.

Fuck That Guy vede invece Chris coinvolto come co-autore in un godibile e divertente rock’n’roll suonato in punta di dita, dal ritmo insinuante ed una slide malandrina sullo sfondo, mentre Don’t Knock The Boogie è appunto un boogie-blues alla John Lee Hooker ma suonato con la forza degli ZZ Top, che procede attendista fino alla strepitosa coda chitarristica finale (lo avrei visto bene su Mojo, ed anche il modo di cantare di Mike qui ricorda quello del suo ex principale). Anche la solida Don’t Wait ha cromosomi blues, ma stavolta vedo più influenze british alla Cream, con un bel riff circolare e drumming possente, a differenza di Anna Lee che è una deliziosa ballata acustica, quasi bucolica. Chiusura con Aw Honey, altro ruspante e travolgente rock’n’roll impreziosito dal piano di Tench, la gagliarda Loaded Gun, una fucilata elettrica in pieno petto, ed una ripresa strumentale di un minuto a base di slide acustica di Don’t Knock The Boogie.

Gran bel CD questo Wreckless Abandon, un lavoro sorprendente che dimostra che i Dirty Knobs sono molto di più di una “side band”: l’album è dedicato a Petty (che Mike definisce “il mio co-capitano”), e sono sicuro che da lassù il buon Tom apprezzerà senza remore. Senza dubbio tra i dischi dell’anno.

Marco Verdi

Chiamarla “Ristampa” Mi Sembra Un Tantino Riduttivo! Tom Petty – Wildflowers & All The Rest

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Tom Petty – Wildflowers & All The Rest – Warner 2CD – 3LP – 4CD Deluxe – 7LP – 5CD Super Deluxe – 9LP

Sia prima che dopo la sua improvvisa e dolorosa scomparsa avvenuta il 2 ottobre 2017, quando si è trattato di dedicare un cofanetto alla musica di Tom Petty è sempre stato fatto un lavoro eccellente, a partire dal box set antologico Playback del 1995 (tre CD di greatest hits, uno di rarità e b-sides e due di inediti), passando per la spettacolare Live Anthology del 2009, cinque CD dal vivo completamente unreleased, per finire con il bellissimo An American Treasure del 2018, box quadruplo che, vicino a qualche pezzo già conosciuto, presentava diverse canzoni mai sentite prima, oppure altre note ma in versioni alternate https://discoclub.myblog.it/2018/10/14/recensioni-cofanetti-autunno-inverno-2-un-box-strepitoso-che-dona-gioia-e-tristezza-nello-stesso-tempo-tom-petty-an-american-treasure/ . Da qualche anno si parlava della possibile ristampa di Wildflowers, album del 1994 del biondo rocker della Florida giustamente considerato uno dei suoi più belli (è nella mia Top 3 dopo Full Moon Fever e Damn The Torpedos), ristampa che inizialmente sembrava dover ricalcare la sequenza pensata in origine, con diversi brani scartati che nelle intenzioni di Tom avrebbero dovuto formare un album doppio.

tom petty wildlowers and all the rest

Quest’anno si è finalmente deciso di rendere pubblico il tutto con l’uscita di Wildflowers & All The Rest, ma oltre alla versione con due dischetti (o tre LP) si è scelto di fare le cose in grande ed allargare il progetto ad un box quadruplo (o con sette vinili) e, se volete spendere parecchio di più, solo sul sito di Tom è disponibile una splendida edizione Super Deluxe quintupla, o con nove LP, che è quella di cui vado a parlare tra poco (in realtà c’è anche una edizione “Ultra Deluxe” che costa 500 dollari ma non offre nulla di aggiuntivo dal punto di vista sonoro, ma solo una confezione più elegante ed una serie di gadgets abbastanza inutili). La confezione del box quintuplo è splendida, con all’interno la riproduzione dei testi originali con la calligrafia di Tom, un certificato di autenticità numerato e soprattutto un bellissimo libro con copertina dura che vede all’interno parecchie foto inedite, un saggio del “solito” David Fricke, i testi di tutte le canzoni (anche quelle inedite), tutte le indicazioni su chi ha suonato cosa e, dulcis in fundo, un esauriente commento track-by-track con le testimonianze dei protagonisti, tra cui il produttore Rick Rubin, gli storici tecnici del suono di Tom Ryan Ulyate e Jim Scott ed alcuni dei musicisti coinvolti).

Wildflowers già al momento della sua uscita aveva colpito per la sua bellezza e per la profondità delle canzoni scritte da Tom, sia musicalmente che dal punto di vista dei testi, un album da vero e maturo songwriter rock che infatti era stato pubblicato come disco solista (il secondo dopo Full Moon Fever), dal momento che molte delle canzoni avevano uno stile che non veniva ritenuto adatto al sound prettamente rock degli Heartbreakers. Comunque i componenti del gruppo storico di Petty erano presenti al completo in session, soprattutto Mike Campbell e Benmont Tench che anche qui costituivano la spina dorsale del suono, mentre Howie Epstein non suonava il basso ma si limitava alle armonie vocali ed il batterista Steve Ferrone non era ancora entrato ufficialmente nella band ma lo avrebbe fatto subito dopo; tra gli altri musicisti presenti meritano una citazione il noto percussionista Lenny Castro, lo steel guitarist Marty Rifkin, Jim Horn al sax in un brano, il famoso arrangiatore Michael Kamen, responsabile delle orchestrazioni in una manciata di pezzi, e soprattutto Ringo Starr alla batteria ed il Beach Boy Carl Wilson alla voce in una canzone ciascuno.

Ma veniamo ad una disamina dettagliata del cofanetto, il cui ascolto si è rivelato un magnifico scrigno pieno di sorprese (ma non avevo dubbi in proposito). Il primo CD è il Wildflowers originale, un disco ancora oggi bellissimo ed attuale, pieno di deliziosi esempi di cantautorato maturo ed intimo come la splendida title track, il country-rock crepuscolare di Time To Move On, il puro folk-blues Don’t Fade On Me, una voce e due chitarre acustiche, la limpida e folkeggiante To Find A Friend e la ballata pianistica Wake Up Time. Ma la presenza degli Heartbreakers fa sì che il vecchio suono non sia certo messo in soffitta: così abbiamo il potente rock’n’roll di You Wreck Me, la bluesata ed elettrica Honey Bee, la creedenciana e “swampy” Cabin Down Below ed il notevole rock-blues quasi psichedelico House In The Woods, pieno di accordi discendenti; non mancano neppure i tipici pezzi midtempo del nostro, come la popolare You Don’t Know How It Feels, pare ispirata a The Joker della Steve Miller Band, la straordinaria It’s Good To Be King, che dal vivo diventerà uno dei momenti salienti dello show, e la younghiana Hard On Me. Infine troviamo dell’ottimo folk-rock d’autore come la cristallina Only A Broken Heart, con il suo feeling alla George Harrison, la sixties-oriented A Higher Place e l’elegante Crawling Back To You.

Come ho accennato poc’anzi, il secondo dischetto presenta dieci brani esclusi dalla tracklist del 1994 (a parte Girl On LSD che era uscita come lato B di un singolo, e che qui ritroviamo nel quinto CD), quattro dei quali finiranno in versione diversa sulla colonna sonora di She’s The One nel 1996. Il bello è che non stiamo parlando di dieci pezzi di livello inferiore, ma di canzoni che avrebbero potuto benissimo uscire e fare la loro ottima figura, in alcuni casi elevando addirittura il livello già alto di Wildflowers. Something Could Happen è una suggestiva ballata elettroacustica leggermente tinta di pop, con una melodia di prima qualità ed un gran lavoro di Tench, un pezzo inciso nel 1993 ancora con Stan Lynch in formazione e che sarebbe potuto diventare un classico. Ancora più incomprensibile l’esclusione di Leave Viginia Alone, stupendo uptempo folk-rock dal mood coinvolgente ed un motivo irresistibile, una delle migliori canzoni scritte da Tom negli ultimi 25 anni: poteva essere uno dei pezzi centrali di Wildflowers (e verrà invece registrata da Rod Stewart nel 1995 e pubblicata su A Spanner In The Works).

Climb That Hill Blues vede il solo Petty alla voce e chitarra acustica, un brano bluesato come da titolo che ritroveremo tra poco in una versione diversa e full band, ma questa take “unplugged” è davvero affascinante; Confusion Wheel è una limpida ballata dal passo lento e con un bel crescendo, influenzata in parte dalle folk songs tradizionali britanniche ed in parte dai Byrds “acustici”, mentre per California vale quasi lo stesso discorso fatto per Leave Virginia Alone, in quanto ci troviamo di fronte ad una deliziosa e solare canzone pop-rock dal motivo accattivante, che fortunatamente è stata poi reincisa per She’s The One (ma qui è migliore). Harry Green vede ancora Petty da solo, ma se Climb That Hill era un blues, qui siamo dalle parti del più puro e cristallino folk di stampo tradizionale, a differenza di Hope You Never che è un incalzante ed intrigante rock song chitarristica dal passo cadenzato, con un organo molto sixties ed un suono potente: altro pezzo che poteva tranquillamente finire su Wildflowers.

Somewhere Under Heaven è una rock ballad classica, molto anni 70, con un retrogusto psichedelico e Campbell che suona tutti gli strumenti, brano che precede la versione elettrica di Climb That Hill, solida rock song contraddistinta da un riff insistente ed un drumming martellante; chiusura con Hung Up And Overdue, ballata eterea dal gusto pop simile a certe cose del “periodo Jeff Lynne” di Tom, ancora con il pianoforte protagonista e la presenza simultanea di Ringo e Carl Wilson. Molto interessante il terzo CD, che si occupa degli “home recordings” precedenti alle sessions dell’album, registrati da Tom nel suo studio casalingo: non ci troviamo però davanti ai soliti demo per voce e chitarra acustica (e qualche volta armonica), ma a vere e proprie canzoni quasi complete, con sovraincisioni di chitarra elettrica, basso, piano, organo e percussioni. Ci sono anche tre inediti assoluti: There Goes Angela (Dream Away), una soave e delicata ballata impreziosita da una squisita melodia, A Feeling Of Peace, che se sviluppata maggiormente avrebbe potuto diventare una rock ballad di spessore (e parte delle liriche verranno utilizzate su It’s Good To Be King), e There’s A Break In The Rain, uno slow lento ed intenso che rispunterà con qualche modifica su The Last DJ con il titolo Have Love, Will Travel.

Le altre canzoni, alcune delle quali con qualche differenza testuale e strumentale, sono già bellissime così, in particolare You Don’t Know How It Feels, California, Leave Virginia Alone, Crawling Back To You, A Higher Place, To Find A Friend, Only A Broken Heart e Wildflowers. Quindi non la solita collezione di demo, magari un po’ noiosa, ma un disco che sta in piedi con le sue gambe. Il quarto dischetto è una delle ragioni per cui questo box era da me tanto atteso, dato che presenta 11 dei 15 brani di Wildflowers (più tre “aggiunte”) in versioni inedite dal vivo registrate da Tom ed i suoi Spezzacuori tra il 1995 ed il 2017, un CD strepitoso dal momento che stiamo parlando di una delle migliori rock’n’roll band di sempre, in grado di fornire la rilettura definitiva di qualsiasi brano suonato live (e se, per fare un esempio, nel 2003 con Live At The Olympic i nostri erano riusciti a trasformare un album deludente come The Last DJ in un disco da quattro stelle vi lascio immaginare cosa potessero fare con un lavoro del calibro di Wildflowers).

Tanto per cominciare abbiamo una monumentale It’s Good To Be King che da sola vale il CD, undici minuti di rock sublime con una prestazione monstre da parte di Campbell ed un crescendo irresistibile a cui partecipa attivamente anche Tench. Poi vanno segnalate una strepitosa You Don’t Know How It Feels, con Petty che arringa la folla da consumato showman, un trio di rock’n’roll songs formato da Honey Bee, Cabin Down Below e You Wreck Me, che dal vivo sono letteralmente esplosive, una limpida e countreggiante To Find A Friend acustica eseguita allo School Bridge Benefit di Neil Young nel 2000, la sempre bella Crawling Back To You, registrata a fine luglio 2017 (e quindi una delle ultime testimonianze dal vivo di Tom), puro vintage Heartbreakers, una versione molto più rock e diretta di House In The Woods ed una decisamente intima di Time To Move On, per chiudere con la sempre magnifica Wildflowers, qui in versione full band comprensiva di sezione ritmica.

Dicevo dei tre pezzi non appartenenti al disco originale, che iniziano con una deliziosa rilettura stripped-down di Walls (singolo portante di She’s The One), la vigorosa jam chitarristica Drivin’ Down To Georgia, brano che i nostri suonavano dal vivo già dal 1992 (ma questa è del 2010) e che abbiamo già sentito in un’altra versione su The Live Anthology, per chiudere con una rara Girl On LSD, un pezzo folle e divertente, musicalmente molto Johnny Cash, con Tom che mentre la canta fa fatica a rimanere serio. E veniamo al quinto dischetto, quello esclusivo dell’edizione Super Deluxe: sottointitolato Finding Wildflowers, presenta sedici versioni alternate prese dalle sessions dell’album, alcune simili ai brani ufficiali ed altre abbastanza diverse. Non tutto è inedito, ma piuttosto raro sì: ci sono due takes differenti di Don’t Fade On Me e Wake Up Time già pubblicate su An American Treasure, una rilettura semi-acustica di Cabin Down Below ed una versione alternativa di Only A Broken Heart (molto Jeff Lynne) uscite su B-sides, e poi la Girl On LSD originale, sempre spassosa e dall’arrangiamento più rockabilly di quella live.

Troviamo poi finalmente una studio version di Drivin’ Down To Georgia (che però funziona meglio dal vivo) e, tra le altre, segnalerei una A Higher Place più elettrica e Heartbreaker-sounding (con Kenny Aronoff alla batteria), Hard On Me leggermente più lenta dell’originale e con Campbell alla slide, a differenza di Crawling Back To You che è molto più veloce e ritmata di quella nota (e non so quale delle due preferire), You Wreck Me sempre energica ma con le chitarre acustiche, House In The Woods con un’inedita parte strumentale centrale dal sapore jazz, ed una Wildflowers delicatamente country, ancora con Ringo ai tamburi. Anche qui c’è spazio per un inedito assoluto intitolato You Saw Me Comin’, pop song gradevole dal ritmo incalzante, un brano abbastanza sconosciuto che mette la parola fine ad un cofanetto che definire splendido è poco, e che si batterà certamente per il titolo di ristampa dell’anno.

Tom Petty ci manca maledettamente, ogni anno di più.

Marco Verdi

E Dopo L’Ex Marito E La Sua Band Principale, Anche La Piccola “Zingara” Ha Il Suo Triplo Antologico! Stevie Nicks – Stand Back 1981-2017

stevie nicks stand back box

Stevie Nicks – Stand Back 1981-2017 – Rhino/Warner CD – Deluxe 3CD

 Lo scorso anno mi sono occupato dell’ottima retrospettiva tripla Solo Anthology di Lindsey Buckingham https://discoclub.myblog.it/2018/10/16/un-esaustivo-viaggio-attraverso-la-carriera-solista-di-un-musicista-eccelso-ma-sottovalutato-lindsey-buckingham-solo-anthology/ , mentre ho soprasseduto per l’ennesimo greatest hits dedicato ai Fleetwood Mac (Don’t Stop), in quanto a parte un brano prima disponibile solo in download ed un paio di rarità prese dal vecchio box The Chain non presentava nulla che non fosse già noto. Ora è la volta dell’altro membro di punta dei Mac, ovvero Stevie Nicks, di pubblicare un triplo CD antologico che si occupa del suo periodo da solista (esiste anche una versione singola con il meglio dei tre dischetti), intitolato Stand Back 1981-2017. (NDM: mi scuso con Christine McVie se ho definito la Nicks “altro membro di punta”, ma il mio giudizio tiene conto della carriera fuori dal gruppo, e non è che quella della ex moglie del bassista dei Mac sia stata memorabile). Le mie sensazioni su questo triplo dedicato alla Nicks sono contrastanti, in quanto tra i 50 titoli compresi non c’è l’ombra di un inedito, mentre qualche chicca e rarità sì, ma alla fine penso che si poteva fare molto meglio, anche perché di retrospettive di Stevie sul mercato ce ne sono già altre (mentre quella dell’ex consorte Lindsey era la prima) e almeno una di esse, il box del 1998 Enchanted, di inediti ne conteneva eccome.

Sulla statura artistica della Nicks (non quella fisica, che è piuttosto limitata) penso di non dover spiegare nulla: dotata di una grande voce, Stevie è sempre stata un’ottima songwriter, ed anche se non fosse diventata popolare all’interno dei Mac sono convinto che sarebbe emersa comunque. Non tutto ciò che ha pubblicato da solista è stato impeccabile, ma a volte più per scelte sonore (leggi anni ottanta) che altro, ma all’attivo ha almeno un capolavoro (il “debutto” Bella Donna) ed altri buoni lavori di ottimo rock di stampo californiano; Stevie ha poi sempre avuto frequentazioni giuste in termini di musicisti, e di conseguenza nei suoi dischi troviamo nomi che solo a leggerli c’è da leccarsi i baffi: Tom Petty & The Heartbreakers al completo, Bob Dylan (nella cover della sua Just Like A Woman, dall’album Street Angel, assente però in questo triplo), Roy Bittan, Waddy Wachtel, Russ Kunkel, Tony Levin, Steve Lukather, Davey Johnstone, Kenny Aronoff, Bernie Leadon, gli stessi Buckingham e Mick Fleetwood…e qui mi fermo (ho volutamente omesso tutti quelli con cui ha duettato, anche perché buona parte li troviamo sul secondo CD). Ma veniamo appunto al contenuto di questo triplo.

CD1. Il primo dischetto offre una panoramica tratta dai vari album di Stevie, e stranamente Bella Donna è quello meno rappresentato con due sole selezioni, la potente e trascinante Edge Of Seventeen e la splendida e countreggiante After The Glitter Fades, una delle migliori ballate della bionda cantante di Phoenix. Ma non è che le belle canzoni manchino, a partire dall’orecchiabile Rooms On Fire, perfetto pop-rock californiano, per proseguire con la roccata Blue Denim, scritta con Mike Campbell che è anche responsabile del bel riff chitarristico, la toccante ballata pianistica Has Anyone Ever Written Anything For You, la pimpante e grintosa Long Way To Go e la squisita e bucolica For What It’s Worth (che non è quella dei Buffalo Springfield). Alcune scelte non potevano mancare, ma non incontrano i miei gusti a causa di sonorità troppo “ottantiane”, come il brano che intitola la raccolta (contraddistinto da un invadente synth), If Anyone Falls, una buona canzone che avrebbe beneficiato di un arrangiamento più leggero, Talk To Me, che invece sembra un brano commerciale alla Tina Turner, la quasi orripilante I Can’t Wait e Planets Of The Universe, una vibrante rock ballad dal suono però troppo gonfio.

CD2. Dischetto dedicato ai duetti, alcuni di essi davvero degni di nota, come la famosa e bellissima Stop Draggin’ My Heart Around con Tom Petty (presente come partner anche nella meno nota, ed anche meno bella, I Will Run To You), una divertente e gioiosa Santa Claus Is Coming To Town con Chris Isaak, un paio con Sheryl Crow (e You’re Not The One è piuttosto rara, in quanto proviene da un lato B di un singolo di Sheryl), le deliziose Leather And Lace e Too Far From Texas, rispettivamente con Don Henley e Natalie Maines, la bella e raffinata Cheaper Than Free con l’ex Eurythmics Dave Stewart, e la rockeggiante You Can’t Fix This con i Foo Fighters. Ci sono anche due duetti risalenti al 1978 con Kenny Loggins e Walter Egan, ed uno (la strepitosa Gold) del 1979 con John Stewart, che mi fanno domandare perché il periodo di tempo citato nel titolo dell’antologia parta dal 1981. Infine, avrei fatto a meno delle collaborazioni con i Lady Antebellum, addirittura due, LeAnn Rimes e Lana Del Rey. CD3. L’ultimo dischetto si occupa delle incisioni dal vivo, con alla fine una manciata di brani finiti su colonne sonore (ma ne mancano diversi). E qui è dove avrei insistito di più nel cercare di inserire degli inediti, invece di rivolgermi a versioni già conosciute, seppur di grande valore.

La maggior parte dei pezzi live fanno parte del songbook dei Fleetwood Mac, come Gold Dust Woman, Dreams, Angel e Rhiannon che sono tratti dal bonus CD della recente ristampa di Bella Donna, una Landslide con l’Orchestra Filarmonica di Melbourne (presa da un’altra antologia di Stevie, Crystal Visions) e Sara, che insieme alle cover di Crash Into Me della Dave Matthews Band e Circle Dance di Bonnie Raitt proviene dalle Soundstage Sessions, concerto dal quale possiamo riascoltare anche una travolgente Rock And Roll dei Led Zeppelin (che però è più rara in quanto compariva solo sul DVD), in cui la Nicks se la cava alla grandissima; come ultimo brano dal vivo, una strepitosa e “byrdsiana” rilettura del classico di Jackie DeShannon Needles And Pins ancora con Petty e gli Spezzacuori, che era sul  loro live del 1985 Pack Up The Plantation! Infine, cinque pezzi tratti da varie soundtracks, e se Blue Lamp (dal film Heavy Metal) e Sleeping Angel (da Fast Times At Ridgemont High) sono abbastanza note, If You Ever Did Believe, una rock song decisamente bella, e Crystal, entrambe dal film Practical Magic, lo sono molto meno. Il CD termina con la lenta ed intensa Your Hand I Will Never Let It Go, che essendo in origine sulla soundtrack di Book Of Henry del 2017, è il brano più recente della raccolta.

In definitiva, a parte il box Enchanted (che però si fermava al 1998), questo Stand Back 1981-2017 è la migliore antologia di Stevie Nicks presente sul mercato, ma ciò non toglie che si poteva fare qualcosa di più.

Marco Verdi

Recensioni Cofanetti Autunno-Inverno 2. Un Box Strepitoso Che Dona Gioia E Tristezza Nello Stesso Tempo! Tom Petty – An American Treasure

tom petty an american treasure fronttom petty an american treasure box

Tom Petty – An American Treasure – Reprise/Warner 2CD – 6LP – Deluxe 4CD

E’ già passato un anno dalla tragica ed inattesa scomparsa di Tom Petty, uno dei maggiori cantautori rock del pianeta, e la ferita causata dalla sua perdita fa ancora immensamente male, ed anche la rabbia per come è accaduto il fatto (un’accidentale overdose di antidolorifici) non è sbollita per niente. Petty aveva appena terminato una trionfale tournée con gli inseparabili Heartbreakers per i 40 anni di attività (e chissà quali progetti aveva in testa per il futuro) e la notizia della sua morte è stata una vera mazzata. Quasi ad un anno esatto dal decesso la Reprise ha deciso di omaggiare la memoria di Tom con un cofanetto a dir poco splendido, An American Treasure, un box di 4CD (esiste anche una versione doppia che non prendo neanche in considerazione, ed una Super Deluxe lussuosa e con un libro potenziato, ma che non aggiunge nulla a livello musicale rispetto a quella quadrupla “normale” e costa oltre cento euro in più) che ci fa entrare idealmente negli archivi del biondo rocker della Florida, per un viaggio magnifico di quattro decadi nella grande musica.

tom petty an american treasure super deluxe

Tutte le volte che si è trattato di pensare ad un cofanetto che riguardasse Petty è stato fatto un lavoro stupendo, prima con l’antologico Playback, tre CD di “best of” più uno di rarità e b-sides e due di inediti, e poi con il magnifico The Live Anthology, cinque dischetti di materiale dal vivo mai sentito prima: anche con An American Treasure è stato seguito lo stesso approccio, quattro CD (uno per decade) pieni di chicche tra inediti, rarità, versioni alternate e brani dal vivo mai pubblicati prima, il tutto curato dal fido Ryan Ulyate e dagli ex Spezzacuori Mike Campbell e Benmont Tench, che commentano anche le varie canzoni (con l’aiuto del noto giornalista Bud Scoppa) arricchendole con curiosi e divertenti aneddoti. Ma quello che ci interessa di più è la musica, ed in più di quattro ore (60 brani) c’è di che godere, ma nello stesso tempo non ci si può non rattristare pensando che un musicista di questo calibro non è più tra noi. Il box in realtà non è del tutto inedito, in quanto comprende anche diversi brani tratti dai vari album, anche se si tratta perlopiù di quelli che vengono definiti “deep cuts”, cioè canzoni meno conosciute ed in alcuni casi oscure: una scelta un po’ strana, che però non inficia certo il piacere dell’ascolto, anche perché si sta parlando comunque di grande musica. Qualche titolo: The Wild One, Forever, No Second Thoughts, You Can Still Change Your Mind, You And I Will Meet Again, To Find A Friend, Crawling Back To You, Accused Of Love, Money Becomes King, Something Good Coming, Fault Lines.

Brani che difficilmente si possono trovare in un greatest hits di Tom: forse i più noti sono Alright For Now, usata spesso per chiudere i concerti, e due tra i pezzi migliori rispettivamente di The Last DJ e Highway Companion, cioè Have Love, Will Travel e Down South. Ma veniamo all’esame dei brani inediti, dividendo la recensione in tre parti: le canzoni mai sentite, le alternate takes (la maggior parte) ed i pezzi dal vivo. Gli inediti assoluti non sono poi moltissimi, appena dieci, ma il livello è decisamente alto, a partire da Surrender, un brano inciso da Tom con il suo gruppo per il primo album ma rimasto fuori in quanto i nostri non erano sicuri del risultato (ne esiste una versione rifatta nel 2000 per l’antologia Through The Years, ed è presente anche dal vivo nella Live Anthology): secondo me andava benissimo, un brano rock potente ed orecchiabile al tempo stesso, puro Heartbreakers sound. Lost In Your Eyes, un pezzo dei Mudcrutch originali, è una toccante ballata pianistica, che mostra l’abilità come songwriter di Tom già nel 1975; Keep A Little Soul non solo non capisco come possa essere stata lasciata fuori da Long After Dark, ma addirittura l’avrei vista bene come singolo.

Ancora più incomprensibile la scelta di non pubblicare la splendida Keeping Me Alive, una rock song dalla melodia irresistibile e contagiosa, che avrebbe potuto facilmente diventare un classico (ed è la preferita dalla figlia di Petty, Adria). Walkin’ From The Fire è quasi uno swamp rock, con Campbell brillante alla slide, e non avrebbe sfigurato su Southern Accents (anzi); classico Petty sound anche nella robusta ed autobiografica Gainesville, una outtake del 1998, un brano rock fluido e diretto che richiama il suono dei nostri negli anni settanta. Lonesome Dave è uno scatenato rock’n’roll registrato nelle sessions per le bonus tracks del Greatest Hits del 1993, gran ritmo e performance piena di energia; davvero bella anche I Don’t Belong, una vivace e solare canzone pop giusto a metà tra Byrds e Beatles, con un ritornello accattivante (ma perché lasciarla fuori da Echo?), mentre Bus To Tampa Bay è una squisita folk-rock song illuminata da uno di quei motivi orecchiabili che Petty sapeva tirar fuori con estrema facilità, ed è meglio di molto del materiale incluso nel disco dal quale è stata esclusa, cioè Hypnotic Eye. Chiude il gruppo delle canzoni inedite Two Men Talking, versione in studio di un brano proposto più volte dal vivo (anche a Lucca, concerto al quale ero presente), un rock-blues intrigante con fantastica jam chitarristica finale ed un organo molto anni sessanta (nelle note viene definito “alla Riders On The Storm”, noto brano dei Doors).

Non è un inedito ma è decisamente rara Don’t Treat Me Like A Stranger, lato B del singolo I Won’t Back Down, una bella canzone tra pop e rock, molto vigorosa e con il suono tipico di Jeff Lynne, mentre il gustoso demo di The Apartment Song in duetto con Stevie Nicks era già uscito su Playback. Per quanto riguarda le versioni alternate, mi limito (si fa per dire) a citare le mie preferite, cominciando con la take completa, cioè non sfumata, di Here Comes My Girl, con un bellissimo assolo finale di Mike mai sentito prima, per continuare con una divertita e spontanea What Are You Doing In My Life, grande rock’n’roll, ed una Louisiana Rain più diretta e meno prodotta, ma sempre splendida. Straight Into Darkness resta una delle più belle di Tom, anche se questa versione non è molto diversa da quella pubblicata, ma Rebels è ancora meglio di quella su Southern Accents (e ce ne vuole), più rock e con la batteria più aggressiva: sempre una grandissima canzone. Molto bella anche Deliver Me, non molto nota, e questa è leggermente meno veloce di quella ufficiale (ottimi piano e chitarra, come sempre d’altronde), ed anche il trascinante rock’n’roll The Damage You’ve Done non so se sia meglio qui o nell’album Let Me Up (I’ve Had Enough), forse in questa Petty è più convinto. La struggente The Best Of Everything è una delle ballate più belle del nostro, e questa stupenda take è allo stesso livello di quella edita; sorprendente l’inclusione della prima versione del folk-rock King Of The Hill, uno scintillante duetto con Roger McGuinn che poi finirà sull’album dell’ex Byrds Back From Rio, ma già in questa “early take” la canzone era più che pronta.

Poi non posso omettere due ottime versioni diverse di due brani di Wildflowers (in attesa della più volte rimandata edizione espansa dell’album), la potente e lucida Wake Up Time, rock ballad dallo spirito quasi sudista (uno degli ultimi pezzi con Stan Lynch alla batteria), e la deliziosa Don’t Fade On Me, solo Tom e Mike, una voce e due chitarre acustiche, puro folk. Tra gli ultimi highlights abbiamo senza dubbio una fantastica You And Me di nuovo acustica, voce, chitarra e piano, resa ancora più commovente dalla testimonianza della moglie di Tom, Dana, che dice che questa è stata l’ultima canzone che il marito ha voluto ascoltare prima di morire, ed una superlativa Good Enough, straordinaria take alternata di uno dei pezzi migliori di Mojo, una rock song da manuale ed una delle tante gemme di questo box. E veniamo ai brani dal vivo, che iniziano con la splendida Listen To Her Heart, byrdsiana fino al midollo e con un refrain di prima qualità, la trascinante Anything That’s Rock’n’Roll, tutta da godere, e con la sinuosa Breakdown, che pur essendo solo vecchia di un anno al tempo di questa versione aveva già il sapore del classico. Even The Losers è uno dei grandi brani rock di Tom, ma qui è in una rilettura del 1989 acustica (ma full band), decisamente sorprendente e dall’aspetto totalmente nuovo; la poco nota Kings Road si rivela essere una rock song solida e vibrante, mentre A Woman In Love (It’s Not Me) è un classico, e questa potente performance del 1981 ad Inglewood è tra le migliori mai sentite, con un grande Campbell.

I Won’t Back Down, presa da una delle mitiche venti serate al Fillmore nel 1997, è rilasciata in una rallentata e toccante versione elettroacustica, Into The Great Wide Open, una delle migliori canzoni uscite dalla collaborazione tra Petty e Lynne, è in una strepitosa rilettura ad Oakland nel 1991 (concerto uscito al tempo su VHS), con le armonie vocali di Howie Epstein ben in evidenza, mentre la scintillante Two Gunslingers, un brano tra i più sottovalutati del nostro, è anche qua unplugged, registrata nel 2013 (e già uscita, ma solo su vinile, su Kiss My Amps 2). Saving Grace è un boogie trascinante che apriva alla grande Highway Companion, e qui è in una roboante performance a Malibu nel 2006; Southern Accents e Insider (quest’ultima con la Nicks) sono entrambe splendide, forse le più belle slow ballads mai scritte da Tom, e danno sempre i brividi anche se non sono proprio inedite (provengono tutte e due dal concerto di Gainesville del 2006 già uscito sul DVD allegato alla prima edizione del film Runnin’ Down A Dream, e Southern Accents era anche sulla Live Anthology). Una spettacolare Hungry No More con i Mudcrutch nel 2016, sette minuti di performance infuocata, chiude in maniera superba sia il gruppo di brani dal vivo sia il box.

Un cofanetto, ripeto, imperdibile (anche se non inedito al 100%), che ci fa ancora di più rimpiangere la prematura dipartita di uno dei più grandi di sempre: ho da poco finito di ascoltarlo e già ho voglia di rimetterlo da capo.

Marco Verdi

P.S: siccome le case discografiche una ne fanno e cento ne pensano, la Universal ha deciso di rispondere alla Warner programmando per il 16 Novembre The Best Of Everything, una nuova retrospettiva di Petty (devo dire molto ben compilata), che comprende anche alcuni pezzi con i Mudcrutch (ma mancano i Traveling Wilburys, quindi non c’è proprio “everything”…forse perché il supergruppo è della Warner?) e, cosa che farà un po’ incavolare i fans che si dovranno ricomprare per l’ennesima volta le stesse canzoni, altri due brani “unreleased”: una versione alternata del pezzo che dà il titolo all’antologia, diversa da quella presente su An American Treasure, e l’inedito assoluto  For Real. Di seguito comunque la tracklist completa del doppio CD, poi fate voi.

tom petty the best of everything

Tracklist
[CD1]
1. Mary Jane’s Last Dance – Tom Petty and the Heartbreakers
2. You Wreck Me – Tom Petty
3. I Won’t Back Down – Tom Petty
4. Saving Grace – Tom Petty
5. You Don’t Know How It Feels – Tom Petty
6. Don’t Do Me Like That – Tom Petty and the Heartbreakers
7. Listen To Her Heart – Tom Petty and the Heartbreakers
8. Breakdown – Tom Petty and the Heartbreakers
9. Walls (Circus) – Tom Petty and the Heartbreakers
10. The Waiting – Tom Petty and the Heartbreakers
11. Don’t Come Around Here No More – Tom Petty and the Heartbreakers
12. Southern Accents – Tom Petty and the Heartbreakers
13. Angel Dream (No.2) – Tom Petty and the Heartbreakers
14. Dreamville – Tom Petty and the Heartbreakers
15. I Should Have Known It – Tom Petty and the Heartbreakers
16. Refugee – Tom Petty and the Heartbreakers
17. American Girl – Tom Petty and the Heartbreakers
18. The Best Of Everything (Alternate Version) – Tom Petty and the Heartbreakers

[CD2]
1. Wildflowers – Tom Petty
2. Learning To Fly – Tom Petty and the Heartbreakers
3. Here Comes My Girl – Tom Petty and the Heartbreakers
4. The Last DJ – Tom Petty and the Heartbreakers
5. I Need To Know – Tom Petty and the Heartbreakers
6. Scare Easy – Mudcrutch
7. You Got Lucky – Tom Petty and the Heartbreakers
8. Runnin’ Down A Dream – Tom Petty
9. American Dream Plan B – Tom Petty and the Heartbreakers
10. Stop Draggin’ My Heart Around (featuring Stevie Nicks) – Tom Petty and the Heartbreakers
11. Trailer – Mudcrutch
12. Into The Great Wide Open – Tom Petty and the Heartbreakers
13. Room At The Top – Tom Petty and the Heartbreakers
14. Square One – Tom Petty
15. Jammin’ Me – Tom Petty and the Heartbreakers
16. Even The Losers – Tom Petty and the Heartbreakers
17. Hungry No More – Mudcrutch
18. I Forgive It All – Mudcrutch
19. For Real – Tom Petty and the Heartbreakers

 

Prossime Uscite Autunnali 12. Fleetwood Mac 50 Years: Don’t Stop – Altro Cofanetto Natalizio Fondamentalmente Inutile. In Uscita Il 16 Novembre.

fleetwood mac 50 years don't stop

Fleetwood Mac – 50 Years: Dont Stop – 3 CD Warner/Rhino – 16-11-2018

Al titolo del Post potrei aggiungere: a meno non abbiate nulla dei Fleetwood Mac! In effetti si tratta di una antologia tripla pura e semplice, in ordine cronologico, quindi meno pasticciata di 25 Years – The Chain, uscita nel 1992, appunto per il 25° Anniversario della band (anche se non capisco perché il conteggio dell’attuale box ci porta a 50 anni, se partendo dal 1967 ed essendo nel 2018, dovremmo essere a 51 anni, ma si sa che la matematica per le case discografiche è un optional e si conta dalle date degli album). Però nel caso del quadruplo del 1992, anche i brani erano inseriti alla rinfusa c’erano cinque canzoni nuove, più  alcune rarità e versione inedite di brani già noti.

Nel caso di questo 50 Years – Don’t Stop, che esce in concomitanza del nuovo tour autunnale, dove non sarà presente Lindsey Buckingham, sostituito da Neil Finn dei Crowded HouseMike Campbell degli Heartbreakers di Tom Petty, si è optato per una sequenza cronologica delle canzoni, senza versioni inedite, se non vogliamo considerare tali le single versions e gli edits, che praticamente, tradotto, vuole dire versioni più brevi. I tre CD coprono le diverse epoche della Band. nel primo si va dal 1968 (anche se il gruppo aveva iniziato a suonare già nel 1967) al 1974, quindi il periodo blues-rock inglese con Peter Green; Jeremy Spencer Danny Kirwan, e le prime avventure americane con Christine McVie, Bob Welch Bob Weston. Il secondo CD segue gli anni californiani, quelli del grande successo, con la coppia Buckingham/Stevie Nicks dal 1975 al 1980 e il terzo CD, l’ultimo periodo dal 1982 al 2013, quello dove tra uscite, rientri e nuovi arrivi, nella band transitano anche Billy Burnette, Rick Vito, Dave Mason e Bekka Bramlett. Quindi, ripeto, solo se non avete nulla, e anche in considerazione del fatto che il triplo CD dovrebbe avere un prezzo interessante, potete farci un pensierino, eventualmente anche come regalo natalizio. Aggiungo che è prevista anche una versione singola ridotta dell’antologia. In ogni caso ecco la tracklist completa.

[CD1]
1. Shake Your Moneymaker
2. Black Magic Woman
3. Need Your Love So Bad
4. Albatross
5. Man Of The World
6. Oh Well – Pt. I
7. Rattlesnake Shake
8. The Green Manalishi (With The Two Prong Crown)
9. Tell Me All The Things You Do
10. Station Man – Single Version
11. Sands Of Time – Single Version
12. Spare Me A Little Of Your Love
13. Sentimental Lady – Single Version
14. Did You Ever Love Me
15. Emerald Eyes
16. Hypnotized
17. Heroes Are Hard To Find – Single Version 1.

[CD2]
1. Monday Morning
2. Over My Head – Single Version
3. Rhiannon (Will You Ever Win) – Single Version
4. Say You Love Me – Single Version
5. Landslide
6. Go Your Own Way
7. Dreams
8. Second Hand News
9. Don’t Stop
10. The Chain
11. You Make Loving Fun
12. Tusk
13. Sara – Single Version
14. Think About Me – Single Version
15. Fireflies – Single Version
16. Never Going Back Again – Live

[CD3]
1. Hold Me
2. Gypsy
3. Love In Store
4. Oh Diane
5. Big Love
6. Seven Wonders
7. Little Lies
8. Everywhere
9. As Long As You Follow
10. Save Me – Single Version
11. Love Shines
12. Paper Doll
13. I Do – Edit
14. Silver Springs – Live-Edit
15. Peacekeeper
16. Say You Will
17. Sad Angel

P.S. Proprio a voler essere “buonisti” a tutti i costi, Sad Angel, l’ultima canzone contenuta nel triplo CD, è inedita almeno nel formato fisico, essendo stata pubblicata solo nell’Extended Play del 2013 con quattro brani, disponibili esclusivamente per il download digitale. Ma sempre per non voler essere cattivi, allora non le potevano pubblicare tutte e quattro nel box?

E’ tutto, altre news su future uscite nei prossimi giorni e settimane.

Bruno Conti

Ancora Un Bellissimo “Bootleg” Radiofonico…Peccato Sia Solo Singolo! Tom Petty & The Heartbreakers – Strange Behaviour

tom petty strange behaviour

Tom Petty & The Heartbreakers – Strange Behaviour – Hobo CD

Come ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni, non sono un grande fan dei CD tratti da vecchi broadcast radiofonici, in pratica dei bootleg sotto falso nome, non tanto per la qualità che spesso è eccellente, e nemmeno per il valore storico di certe performances che è indiscutibile, ma per una mera ragione finanziaria: le mie (nostre) finanze di music lover(s) sono già abbastanza provate da album nuovi, live ufficiali, edizioni celebrative e cofanetti super deluxe, e non c’è il bisogno di aggiungere altra carne sul fuoco. Uno dei rari artisti per il quale faccio, e non sempre, un’eccezione è Tom Petty, soprattutto perché con i suoi Heartbreakers dal vivo era un’autentica meraviglia: dalla tragica ed improvvisa scomparsa del biondo rocker avvenuta lo scorso Ottobre si sono ovviamente moltiplicate le uscite per così dire semi-ufficiali, ed il culmine artistico si è avuto verso la fine del 2017 con il formidabile triplo San Francisco Serenades, uno dei migliori live degli ultimi trent’anni (ignoriamo per un attimo il fatto che sia un bootleg), esaltato giustamente da Bruno su questo blog http://discoclub.myblog.it/2018/01/07/supplemento-della-domenica-il-piu-bel-disco-dal-vivo-dello-scorso-anno-anche-se-non-e-ufficiale-ed-e-registrato-nel-1997-tom-petty-and-the-heartbreakers-san-francisco-serenades/ .

Oggi vorrei parlarvi di questo Strange Behaviour, che se non raggiunge e neppure sfiora le vette del poc’anzi citato triplo CD, è comunque uno splendido live album, che ha l’unico difetto di essere singolo: registrato il 13 Settembre del 1989 a Chapel Hill (North Carolina), questa serata fa parte del tour seguito a Full Moon Fever, primo album registrato da Tom come solista (con la collaborazione di Jeff Lynne), anche se dal vivo non manca l’apporto degli inseparabili Spezzacuori. La qualità sonora è strepitosa, sembra un live ufficiale, peccato come ho già detto che non sia almeno doppio: le note del foglietto allegato al CD parlano di concerto completo, ma non credo proprio che all’epoca gli show di Tom durassero solo 72 minuti (forse si riferiscono alla parte trasmessa per radio). Inizio a tutto rock’n’roll con la trascinante Bye Bye Johnny (Chuck Berry), con Tom subito caldo e gli Heartbreakers già lanciati come treni ad alta velocità; l’incalzante The Damage You’ve Done era uno dei brani migliori del sottovalutato Let Me Up (I’ve Had Enough), un disco poco amato anche da Tom (ma a me piace), e ci dà un primo assaggio di come i nostri riuscivano a trasformare una canzone on stage: sinuoso, cadenzato e dominato dal basso pulsante di Howie Epstein, il pezzo risulta decisamente riuscito. Breakdown, uno dei classici che Tom usava per improvvisare sul palco, ha una bella intro jazzata, poi entra il brano vero e proprio per la gioia del pubblico, che ci dà dentro con il singalong; Free Fallin’ è il primo dei pezzi tratti da Full Moon Fever, e non la scopro certo io oggi: grandissima canzone, riproposta qui in maniera davvero scintillante.

The Waiting è puro Petty sound, ed è dotata di uno dei ritornelli più immediati del nostro: per l’occasione Tom la propone senza accompagnamento ritmico, solo voce e chitarre elettriche, ma poi al momento dell’assolo di Mike Campbell  entra anche il resto della band. Benmont’s Boogie è un breve showcase strumentale per l’abilità di Benmont Tench, uno dei migliori pianisti rock della nostra epoca, mentre Don’t Come Around Here No More è la chiara dimostrazione di come Tom e i suoi potevano cambiare un pezzo sul palcoscenico: un ottimo brano rock diventa una straordinaria jam di otto minuti, tra rock e psichedelia, con Campbell devastante specie nel pirotecnico finale. Southern Accents è una delle più toccanti ballate pettyiane, e qua il pubblico, anch’esso del sud, va letteralmente in visibilio; Even The Losers è invece uno dei grandi pezzi rock di Tom, che stasera decide di suonarla con un arrangiamento acustico, ed il brano non perde un grammo della sua forza (e questo è il sintomo di una grande band). Stesso trattamento viene riservato a Listen To Her Heart, in origine un pezzo di stampo byrdsiano e qui trasformato in una sorta di folk ballad, mentre A Face In The Crowd, già elettroacustica nella versione di studio, è solo un filo più lenta. Something Big non è molto nota, ma ha un bel tiro anche in questa veste “stripped-down” (stavolta anche con la sezione ritmica), mentre I Won’t Back Down (si torna elettrici) non ha bisogno di presentazioni: una delle signature songs di Tom, che soprattutto dopo la sua morte è destinata a diventare un classico della musica americana, un pezzo che non stufa nemmeno al millesimo ascolto. Finale a tutto rock’n’roll con la potente I Need To Know, il superclassico Refugee è la torrida Runnin’ Down A Dream, quasi un quarto d’ora complessivo a tutta elettricità, con Campbell assoluto protagonista.

Un altro superlativo live album che, anche se non ufficiale, ha il merito di tenere vivo il ricordo di Tom Petty, un musicista che ci manca già da morire.

Marco Verdi

Supplemento Della Domenica: Il Più Bel Disco Dal Vivo Dello Scorso Anno. Anche Se Non E’ “Ufficiale” Ed E’ Registrato Nel 1997! Tom Petty And The Heartbreakers – San Francisco Serenades

tom petty san francisco serenades

Tom Petty And The Heartbreakers – San Francisco Serenades The Classic 1997 West Coast Broadcast- 3 CD Leftfield Media

Credo, anzi ne sono pressoché certo, che questo sia il disco dal vivo, relativo ad un concerto pubblicato a livello diciamo “non ufficiale”, più bello che sia stato mai pubblicato! Forse solo un paio di quelli di Springsteen relativi alle date del 1978 possono rivaleggiare con questo triplo, per i contenuti e la durata, per la forza della esibizione, per la bravura dei protagonisti, per la scelta del repertorio, per la qualità sonora della registrazione, veramente superba, degna del concerto. Si tratta del broadcast radiofonico relativo all’ultima data tenuta al Fillmore di San Francisco il 7 febbraio del 1997, in una serie di 20 concerti (in parte pubblicati, anche questa serata, solo una canzone però, nel boxset ufficiale Live Anthology). Il concerto è veramente formidabile, e vede Tom Petty riunito con gli Hearbreakers, e “solo” per quelle venti date, dopo una pausa di circa due anni dal tour del 1995, e anche a livello discografico non usciva nulla insieme (a parte la colonna sonora del film She’s The One dell’anno prima e il box Playback del 1995) da Into The Great Wide Open del 1991:quindi una serata in piena libertà, in cui il gruppo, che era diventato forse il quel momento il n°1 al mondo a livello concertistico, visto che la E Street Band era in pausa al momento e considerando gli Stones fuori concorso.

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https://www.youtube.com/watch?v=19G4L27gW1k

Comunque, anche per gli altissimi standard delle esibizioni Live di Tom Petty & The Heartbreakers, come detto, questo concerto è veramente oltre ogni volo più pindarico della immaginazione, una serata fenomenale, durata oltre 3 ore, dove il quintetto, Tom Petty, chitarra e voce, Mike Campbell, chitarre, Benmont Tench, tastiere, Howie Epstein, basso, e l’ultimo arrivato Steve Ferrone, alla batteria, più Scott Thurston, a chitarre e tastiere, prende il rock and roll e lo rivolta come un calzino, in tutte le sue coniugazioni e attraverso tutti i suoi generi (anche con una divagazione nel blues, di cui tra un attimo): Petty lo dice fin dall’inizio al pubblico che vogliono suonare moltissimo, anche per celebrare quella che è una delle location più importanti della storia della musica rock, e vogliono dare quindi fondo anche alle loro profonda ammirazione per molti dei musicisti che quella storia hanno creato, attraverso i 40 brani che suoneranno: la partenza è subito bruciante, con una versione fantastica di Around And Around di Chuck Berry, uno scossone R&R che mette subito in chiaro come sarà la serata, Campbell e Tench sono subito in azione, Epstein, Thurston e Ferrone li seguono a ruota e Tom Petty è il Maestro delle cerimonie perfetto, a seguire Jammin’ Me, uno dei loro brani più diretti e potenti, scritto con Bob Dylan per l’album Let Me Up (I’ve Had Enough), versione incredibile, ma non ce n’è una scarsa nel concerto, arriva poi subito una turbinosa Runnin’ Down A Dream da Full Moon Fever, con un Campbell veramente scatenato, ma tutti i brani hanno una urgenza, una grinta, raramente riscontrate in una band che era comunque sempre una macchina da guerra.

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https://www.youtube.com/watch?v=EqhJKsBwL_I

A questo punto partono le sorprese, Time Is On My Side è un piccolo classico del R&B, ma la versione è un omaggio a quella dei “maestri” Stones, come pure quella di Call Me The Breeze è ispirata da quella dei Lynyrd Skynyrd (ma il brano è di JJ Cale), il southern secondo gli Heartbreakers, con chitarre spiegate; Cabin Down Below non è uno dei brani più conosciuti di Tom, ma la serata è un po’ così, particolare: versione breve ma intensa, seguita da Diddy Wah Diddy, con Petty che ricorda che “Elvis Is King, but Diddley is Daddy”, poi spazio a Mike Campbell con lo strumentale Slaughter On 10Th Avenue, un brano da balletto classico che probabilmente il chitarrista conosceva nella versione dei Ventures. Listen To Her Heart viene dal secondo album con gli Heartbreakers, uno dei brani più jingle jangle, tra Beatles, Searchers e Byrds, I Won’t Back Down, sempre bellissima, in una versione raccolta solo per voce, chitarra elettrica, organo e dei bonghi, anche The Date I Had With That Ugly Homecoming Queen, uno strano divertissement di Campbell, tra R&R e Zeppelin, con Tom all’armonica, non era un brano comune nei loro concerti, ma la band ci dà dentro di brutto, prima di chiamare sul palco John Lee Hooker, per un trittico di canzoni che sono la storia del blues, Find My Baby, It Serves You Right To Suffer e Boogie Chillun, con il grande “Hook” ancora in forma, nonostante gli 80 li avesse già passati, e pure lui viene “pettyzzato” per l’occasione.

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https://www.youtube.com/watch?v=8LSuzIKEyn0

Si riparte con una versione colossale di It’s Good To Be King, una delle più belle mai ascoltate, spaziale, psichedelica, tra west coast e i Pink Floyd di Dark Side, con Tench e soprattutto Campbell  che suonano in modo divino, soprattutto nella lunga coda strumentale, si prosegue con una sfilza di brani inconsueti, una perfetta Green Onions di Booker T. & The Mg’s, il classico popolare You Are My Sunshine, cantata dal pubblico e Ain’t No Sunshine di Bill Withers che mantiene il tempo dell’originale ma diventa molto più rock, On The Street era uno dei primissimi brani scritto da Tench, quando erano dei ragazzini ed è uscita solo nel box Playback, comunque puro Heartbreakers sound, e che dire di I Want You Back Again degli Zombies, uno dei classici della British invasion, tra le influenze dichiarate da Tom. E il bluegrass degli Stanley Brothers con Little Maggie da dove sbuca? Perfetto comunque, come Walls (Circus) una delle loro ballate più belle, delicata ed evocativa come poche, seguita dall’acustica Angel Dream, il secondo brano tratto dal disco più recente all’epoca She’s The One, entrambe bellissime in questa serata magica, con Mike Campbell che poi si “reinventa” il vecchio Guitar Boogie (Shuffle) di Arthur Smith, prima di un uno-due da sballo con Even The Losers e American Girl, in modalità acustica, e sono bellissime anche così. You Really Got Me dei Kinks si può fare solo con le chitarre a manetta, e quindi procedono in tal senso, prima di lanciarsi nel traditional County Farm fatto a tempo di boogie southern come dei novelli ZZ Top o Thorogood , un brano di una potenza devastante con Campbell che giganteggia alla slide e al wah-wah, e per non farsi mancare nulla anche la versione di You Wreck Me è da antologia, presa a 300 all’ora contromano in autostrada.

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https://www.youtube.com/watch?v=9JOzOlB4Vm8

Siamo al terzo CD e devo dire che a parte un paio di super classici, nella parte finale il menu è ancora zeppo di sorprese fantastiche: Shakin’ All Over, forse più vicina a quella sixties di Johnny Kidd & The Pirates che a quella degli Who, comunque sempre un gran bel sentire, non poteva certo mancare una Mary Jane’s Last Dance in versione deluxe da 10 minuti, degna di questo concerto fantastico, con le chitarre che arrotano rock e Petty che dirige il carrozzone come solo lui sapeva fare, con il suoi fido luogotenente Mike Campbell a insaporire la lunga parte strumentale con la loro maestria, molto bella anche You Don’t Know How It Feels in versione quasi younghiana con armonica aggiunta; un’altra scarica di adrenalina è offerta da I Got A Woman del genius Ray Charles, tramutata quasi in un rockabilly, altro brano immancabile è Free Fallin’, per molti la canzone più bella mai scritta da Tom Petty, quasi commovente per l’occasione, poi parte un gran finale pirotecnico, l’enciclopedia del rock rivistata, prima una Gloria lunghissima e scoppiettante, che mastro Van avrebbe approvato, Bye Bye Johnny di Chuck Berry, rock and roll allo stato puro, Satisfaction di tali Jagger/Richards, altra versione micidiale, Louie Louie, a proposito di riff memorabili, e tanto per gradire anche It’s All Over Now. E per mandare tutti a casa una ninna nanna rock come Alright Now. Questo sarebbe il classico disco da 5 stellette, ma visto che non arriva da una casa discografica ufficiale ne togliamo mezza. E comunque ci mancherà tantissimo!

Bruno Conti

Probabilmente Il Suo “Capolavoro”! Marty Stuart – Way Out West

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Marty Stuart & His Fabulous Superlatives – Way Out West – Superlatone CD

La carriera di Marty Stuart è sempre stata legata a doppio filo a quella di Johnny Cash, a partire dai primi anni ottanta nei quali era il chitarrista della backing band dell’Uomo in Nero (e sposò pure una delle sue figlie, Cindy, anche se i due divorziarono dopo soli cinque anni). Poi Marty lasciò questo incarico, che comunque era servito ad insegnargli più di un segreto del mestiere, per intraprendere una remunerativa carriera solista all’insegna di un country molto energico, sulla falsariga di gente come Dwight Yoakam e Travis Tritt (con il quale incise più di un duetto). Poi, all’inizio del nuovo secolo (e dopo aver dato alle stampe il bellissimo concept The Pilgrim nel 1999), Marty fondò i Fabulous Superlatives, una band formidabile in grado di suonare qualsiasi cosa (formata da Kenny Vaughan alla chitarra, Chris Scruggs al basso e Harry Stinson alla batteria), ed iniziò a pubblicare una serie di dischi nei quali recuperava mirabilmente il vero suono country delle origini, opportunamente rivitalizzato dal suono tosto del suo nuovo gruppo, veri e propri dischi a tema che si rifacevano direttamente ai lavori che Cash sfornava negli anni sessanta, tra brani originali e qualche cover. Ecco quindi CD che parlavano degli indiani d’America (Badlands), altri costruiti intorno alla figura quasi mitologica del treno (Ghost Train), oppure album di puro country-gospel (Souls Chapel), tutte tematiche affrontate a suo tempo anche dal suo ex suocero.

Mancava forse un disco che affrontava il tema del vecchio west, mancanza oggi riparata con questo nuovissimo Way Out West, altro concept che, tra brani strumentali e cantati (quasi tutti originali, ci sono solo due cover e neppure così scontate), ci consegna un Marty Stuart in forma più che smagliante, che forse mette a punto il suo disco più bello ed intenso, grazie anche ad importanti novità dal punto di vista del suono. Infatti Way Out West non è solo un lavoro di country & western, ma per la prima volta Marty ed i suoi si cimentano anche con sonorità decisamente più rock, traendo ispirazione dal suono della California dei primi anni settanta (ed anche la copertina sembra quella di un album di quel periodo), tra Byrds, Flying Burrito Brothers e persino un tocco di psichedelia in puro stile Laurel Canyon. Il merito va senz’altro alla scelta vincente di avvalersi di Mike Campbell, chitarrista degli Heartbreakers di Tom Petty, come produttore e musicista aggiunto, il quale ha portato la sua esperienza di rocker all’interno del disco, fondendola in maniera splendida con le atmosfere decisamente western e desertiche create da Marty, e dando vita ad un album bello, stimolante e creativo, e che forse apre una nuova porta nella carriera di Stuart. Il CD si apre con un breve strumentale intitolato Desert Prayer, molto evocativo e con un canto indiano in sottofondo, che sfocia nella strepitosa Mojave, un western tune ancora strumentale, con echi di Ennio Morricone e Hank Marvin, chitarre a manetta e sezione ritmica subito in tiro.

Lost On The Desert è un vecchio brano poco conosciuto di Cash (ma non l’ha scritta lui), un valzerone classico ma suonato con piglio da rock band (si sente lo zampino di Campbell), davvero godibile, mentre Way Out West è il brano centrale del CD, e non solo perché gli dà il titolo (è anche il più lungo): inizio rarefatto, quasi alla Grateful Dead, poi entra la voce di Marty che un po’ parla e un po’ canta, mentre le chitarre ricamano di fino sullo sfondo, un pezzo country nelle tematiche ma decisamente rock nella struttura musicale. El Fantasma Del Toro è un altro strumentale guidato da una bella steel e da una chitarra flamenco, un tipo di brano che mi aspetterei di ascoltare in un western diretto da Quentin Tarantino; la delicata Old Mexico vede il ritorno di atmosfere country più canoniche, ed anche qui si nota che Marty è uno dei fuoriclasse del genere, un brano ancora figlio di Cash ma con l’imprimatur di Stuart, mentre Time Don’t Wait è uno scintillante folk-rock che ha il suono di Tom Petty: in questo disco Marty osa decisamente di più, e con risultati egregi.

Quicksand, ancora senza testo, ha un’andatura marziale e le solite grandi chitarre, Air Mail Special è la seconda cover, ed è il classico brano che non ti aspetti: infatti si tratta di un vecchio standard jazz (scritto da Benny Goodman e reso popolare da Ella Fitzgerald), ma il nostro lo trasforma in uno scatenato rockabilly, suonato alla velocità della luce. Torpedo, ennesimo strumentale, è ancora tra rock e surf music, eseguito al solito magistralmente, Please Don’t Say Goodbye è ancora decisamente bella, con la sua atmosfera d’altri tempi (quasi alla Chris Isaak) ed un quartetto d’archi che dona ulteriore spessore, mentre Whole Lotta Highway è un altro limpido folk-rock, orecchiabile, diretto e vibrante. Il CD si chiude con una ripresa vocale a cappella di Desert Prayer, con la fluida Wait For The Morning, ancora con echi di Tom Petty (ma stavolta quello più balladeer), ed una fantastica coda strumentale che riprende splendidamente il tema di Way Out West, il tutto affrontato con il solito approccio molto cinematografico.

Che Marty Stuart fosse sinonimo di qualità lo sapevo da tempo, ma che avesse nelle sue corde un disco di questo livello sinceramente no: imperdibile.

Marco Verdi