Meno Bello Del Precedente, Ma Sempre Una Gran Voce! Matt Andersen – Honest Man

matt andersen honest man

Matt Andersen – High Romance – True North 

Di solito non mi cito, ma per questa volta farò una eccezione, di cui sarà chiara la ragione proseguendo nella lettura della recensione. Ecco ciò che dissi in occasione dell’uscita del precedente album Weightless… “ Se dovessi definire lo stile di questo ottimo musicista canadese mi riferirei a gente come John Hiatt, il primo Joe Cocker, il Clapton influenzato da Delaney & Bonnie, la Band. Tutta musica buona.” (qui potete leggere la recensione completa http://discoclub.myblog.it/2014/04/12/musica-peso-fate-caso-al-titolo-del-cd-matt-andersen-weightless/( E sottoscrivo tutto: solo che per l’occasione del nuovo album Honest Man, Matt Andersen si è affidato come produttore a Commissioner Gordon (all’anagrafe Gordon Williams), un veterano con un CV che vanta tra i suoi clienti la prima Amy Winehouse e l’ultima Joss Stone (forse non i migliori periodi per entrambe), ma anche nomi come Wyclef Jean, KRS-One, 50 Cent e Will Smith, oltre all’album di esordio di Lauryn Hill. Voi giustamente vi chiederete, e questo signore che ci azzecca con Matt Andersen? In teoria poco. Infatti, quando tutto contento mi accingevo all’ascolto di questo High Romance, dopo qualche brano mi sono chiesto, ma perché su una base di blues, soul, R&B, rock, c’è questa aggiunta “fastidiosa” e continua di drum programming?

Me lo sono chiesto soprattutto dopo il quarto brano, I’m Giving In, una splendida ballata, solo voce e piano, dove in un crescendo intenso ed emozionale Andersen poteva dare libero sfogo a tutta la sua potenza vocale, in un brano che si ricollegava integralmente alle emozioni del disco precedente. A quel punto sono andato a leggere le note del CD e di fianco a Gordon Williams ho trovato la scritta, drum programming, percussion, vocals, seguito però anche da una lista lunghissima di musicisti, perché nel disco suonano almeno tre chitarristi, di cui uno alla steel guitar, tre diversi batteristi, a seconda dei brani, tastieristi a profusione, oltre ad una cospicua sezione fiati e a molti vocalist di supporto. E allora perché quei suoni sintetici, come direbbero a Napoli, posti in coppa a tutto questo ben di Dio? Non lo so e non lo capisco completamente. Ciò nonostante l’album mi pare comunque buono, sorvolando su quei fastidiosi, per fortuna solo a tratti, inserimenti, le canzoni, tutte firmate da Matt Andersen con diversi partner, sono interessanti e nel finale del disco, gli ultimi tre brani, oltre a quello citato e a qualche altro momento in corso d’opera, ci fanno assistere alla rivincita del suono naturale su quello sintetico, con Last Surrender, una perla di puro deep southern soul da leccarsi le orecchie per la goduria https://www.youtube.com/watch?v=k7O7VcbZTRI , con qualche reminiscenza dei brani di Otis Redding o Percy Sledge, un travolgente rock come Who Are You Listening To? degno del miglior Clapton anni ’70, con influenze Delaney & Bonnie e ancora una ballata à la Joe Cocker o alla Hiatt, come la conclusiva, splendida One Good Song, con addirittura inserti di soul celtico van morrisoniano, grazie all’uso geniale di un whistle suonato da Darren McMullen, che nel disco suona anche banjo e bouzouki.

Molto bella anche Quiet Company, altro splendido brano,  in questo caso di atmosfera country, che scivola sulle note della pedal steel di Michael Flanders, con una serenità e una dolcezza invidiabili. Quindi almeno cinque brani di notevole caratura nell’album ci sono. Per il resto ci si può accontentare: per fare un parallelo, preferisco il Marvin Gaye del periodo Motown, ma un disco come Midnight Love, quello con Sexual Healing per intenderci, tutto drum machines ed elettronica, non mi dispiace per nulla. Diciamo che in questo High Romance rimaniamo in questi territori, anzi forse meno accentuati, però mi ero abituato alla produzione brillante di Steve Berlin per il precedente Weightless, dove c’erano anche tanto rock e blues, quindi adeguarsi ai suoni morbidi e suadenti, molto soul oriented, delle iniziali Break Away e The Gift, richiede un attimo di adattamento, ma la voce, sempre di grande fascino, di Matt Andersen indubbiamente aiuta  Non male anche il R&B della mossa Honest Man, prima di tuffarci nelle profonde emozioni della citata I’m Giving In. McMullen, oltre al brano ricordato, è impegnato a banjo e bouzouki in Let’s get back, altra ottima canzone, dove organo e un solo di trombone accentuano quella componente soul sudista. Infatti scorrendo le note si legge che alcuni brani sono stati registrati a Nashville, TN, altri a New York e in Canada, e uno persino in Giamaica, credo, dai ritmi reggae-soul, una comunque piacevole All The Way, che mi ricorda ancora il Marvin Gaye citato poc’anzi. In definitiva, nonostante gli inserti “moderni”, sarei comunque tentato di assegnare una mezza stelletta supplementare, quindi 3 e 1/2, o un sette, se preferite, a questo High Romance, perché alla distanza il disco regge bene.

Bruno Conti   

Il “Blues Brother” Originale Colpisce Ancora! Curtis Salgado – The Beautiful Lowdown

curtis salgado the beautiful lowdown

Curtis Salgado – The Beautiful Lowdown – Alligator/ird 

Anche al nostro amico si potrebbe applicare la regola cinematografica dei sequel e quindi il titolo del Post riecheggia la saga della Pantera Rosa o di Guerre Stellari. A chi non lo ricorda o non lo sa, vorrei far presente che Curtis Salgado é il “Blues Brother originale”, il musicista in carne e ossa a cui si ispirò John Belushi per la  creazione del Live A Briefcase Full Of Blues e poi della colonna sonora del film Blues Brothers. Ho già raccontato la storia, ma visto che Curtis pubblica album con una cadenza quadriennale, mi sembrava giusto rinfrescare la memoria dei lettori. In quel locale di Eugene, Oregon dove Belushi stava girando Animal House, ci fu una sorta di epifania: John, che ai tempi era un appassionato soprattutto di metal, per la prima volta incontrò Curtis Salgado, che poi sarebbe diventato il suo mentore ed ispiratore per la creazione del personaggio Joliet “Jake” Blues https://www.youtube.com/watch?v=38ewGmzaxFs . Ma soprattutto il nostro era, ed è, un formidabile cantante, un vero “bianco” dall’anima e dalla voce “nera”, con una emissione vocale che ricorda al 75-80% Solomon Burke e per il resto B.B. King; Salgado è una vera forza della natura, anche notevole armonicista e buon autore, negli anni è stato pure cantante della primissima versione della Robert Cray Band, poi dei Roomful Of Blues, ha fondato Curtis Salgado & the Stilettos, iniziando la sua carriera solista. E per dare credito al suo personaggio di Curtis (che nel film era interpretato da Cab Calloway) ha subìto anche un trapianto di fegato nel 2005, dopo una vita di probabili eccessi, come il suo amico John.

Ma la voce è rimasta sempre intatta, e dagli anni 2000 ha iniziato a pubblicare ottimi dischi con regolarità, nel 2012 si è accasato con la Alligator con cui ha pubblicato lo splendido Soul Shot http://discoclub.myblog.it/2012/03/25/il-blues-brother-originale-curtis-salgado-soul-shot/  e ora torna alla carica con questo nuovo The Beautiful Lowdown. Salgado più che un Blues Brother è un “soul brother”, perché nella sua musica la quota di soul & R&B è nettamente preponderante rispetto al blues (che pure è presente in quantità, soprattutto dal vivo), ma la sua arma vincente è la voce, si tratta di uno dei rari casi in cui anche se gli date da cantare l’elenco telefonico (se ne trovate ancora) l’effetto sarebbe devastante. Inutile dire che per fortuna nel disco le canzoni presenti sono più che adeguate, suonate ed arrangiate con grande maestria da un manipolo di esperti musicisti, guidati dal batterista Tony Braunagel, che è il co-produttore del disco (ed il secondo migliore nel campo dopo Tom Hambridge): Braunagel (attuale batterista della band di Robert Cray) ha radunato per il disco alcuni musicisti eccellenti, tra i tanti, Johnny Lee Schell alla chitarra, Mike Finnigan  (ora con Bonnie Raitt( e Jim Pugh (anche lui a lungo con Cray), alle tastiere, una pattuglia di ben sei altri chitarristi, bassisti vari, tra cui, parlando di Bonnie, James “Hutch” Hutchinson, fiati e background vocalist a profusione e il risultato si vede e si sente.

A partire dalla scarica di puro R&B fiatistico dell’iniziale Hard To Feel The Same About Love, con Salgado che titillato dalle background vocalist, dai fiati e dal gruppo tutto, inizia a dispensare la sua sapienza soul, con quella voce ancora pimpante a dispetto dei 62 anni suonati; Low Down Dirty Shame è un funky soul sinuoso ed avvolgente, che tra chitarrine maliziose ed un organo Hammond d’ordinanza ribadisce i pregi della migliore soul music, con Schell che ci regala il primo solo di slide dell’album. I Know A Good Thing, con slide, Alan Hager per l’occasione, ed armonica che si rispondono dai canali dello stereo è la prima traccia decisamente blues, puro Mississippi Sound, anche se il disco è stato registrato in California. Walk A Mile In My Blues, titolo evocativo, è più grintosa e fluida, ma sempre intrisa dal fascino delle 12 battute, un brano quasi alla BB King, con uso di fiati, mentre Healing Love è la prima ballata, e qui sembra di ascoltare Solomon Burke redidivo, con quella voce rauca ma poderosa, da vero nero, cosa che Salgado non è, ma ce ne facciamo un baffo.

E che dire di Nothing In Particular (Little Bit Of Everyting), pagina 12 del manuale del perfetto soulman, organo, chitarre, voci femminili di supporto, tutti gli ingredienti cucinati alla perfezione; con quella voce riesco a sopportare anche l’incursione nel reggae di Simple Enough. Per poi tornare a un blues di nuovo alla BB King nell’ottima I’m Not Made That Way e ad un’altra ballata splendida come Is There Something I Should Know, dove la voce duettante è quella di Danielle Schnebelen (ora in arte Nicole), altra bianca dalla voce che più nera non si può, i due si sfidano, si confrontano, si accarezzano, e quello che gode è l’ascoltatore. Un po’ di sano funky alla James Brown non guasta, e My Girlfriend svolge questa funzione alla perfezione, prima di lasciare spazio di nuovo al blues con uno shuffle pungente come Ring Telephone Ring e a un mid-tempo blue eyed soul con uso di armonica come Hook Me Up. Chi ama le grandi voci qui avrà motivo di soddisfarsi appieno. Ufficialmente esce l’8 aprile.

Bruno Conti

Non Più Solo Countryman, Ma Un Songwriter Completo! Hayes Carll – Lovers And Leavers

hayes carll lovers and leavers

Hayes Carll – Lovers And Leavers – Highway 87/Thirty Tigers CD

Con cinque dischi in quindici anni, non si può certo dire che Hayes Carll, singer-songwriter texano, sia uno che inflazioni il mercato discografico. Dopo i due album di esordio, nei quali aveva fatto già intravedere buone qualità (specie nel secondo, Little Rock), è con lo splendido Trouble In Mind del 2008 che il nostro si rivela come uno dei più dotati talenti in campo alternative country, con un disco di ottime canzoni in perfetto stile Americana, condite da testi contraddistinti da uno spiccato senso dell’ironia, un lavoro bissato tre anni dopo dall’altrettanto valido KMAG YOYO, altro CD molto country-oriented che non faceva che confermare quanto di buono Carll aveva mostrato in precedenza.

Ora, a ben cinque anni di distanza, Hayes torna tra noi con Lovers And Leavers, che segna un deciso cambiamento di registro: un lavoro molto meno country e più folk, nel quale il nostro predilige le ballate ed i pezzi più riflessivi, ma da un certo punto di vista migliora anche la qualità della sua proposta: Lovers And Leavers ci mostra infatti un autore definitivamente maturato, che ha una perfetta padronanza della materia e sa come fare un album intero di sole ballate senza annoiare neppure per un attimo. In più, Hayes ha scelto come produttore uno dei migliori sulla piazza, Joe Henry, che fa al solito un ottimo lavoro e si conferma perfetto per un certo tipo di sonorità, cucendo attorno alla voce del nostro pochi strumenti, centellinando gli interventi, e mettendo in risalto le melodie piene di fascino dei dieci brani presenti. Anche la band che accompagna Carll è frutto di una attenta selezione: oltre a Hayes stesso che suona la chitarra acustica, troviamo il fedelissimo (di Henry) Jay Bellerose alla batteria, che come di consueto fa un lavoro raffinatissimo e mai invasivo, l’ottimo Tyler Chester al piano ed organo, David Piltch al basso ed Eric Heywood alla steel; avrete notato l’assenza assoluta di chitarre elettriche, ma devo dire che durante l’ascolto del CD quasi non ci si fa caso.

Dulcis in fundo, Hayes ha scritto i pezzi di questo disco con alcuni personaggi a noi ben noti, dal famoso countryman Jim Lauderdale, ai meno conosciuti ma non meno validi Darrell Scott e Will Hoge, passando per Jack Ingram, l’ex signora Earle, Allison Moorer e, in Jealous Moon, addirittura J.D. Souther. Drive inizia soffusa, con un arpeggio chitarristico ed una leggera percussione, e la voce di Carll ad intonare una melodia molto folk, un brano puro con un bel crescendo emozionale. E la mano di Henry si sente già. Molto bella Sake Of The Song, un pezzo tra folk e blues dal motivo coinvolgente, ritmo cadenzato ed ottimi fills di piano, steel ed organo, mi ricorda curiosamente certe cose dei Kaleidoscope (un grandissimo gruppo oggi purtroppo totalmente dimenticato dove suonavano David Lindley Chris Darrow): grande canzone. Anche Good While It Lasted è dotata di un pathos notevole, pur avendo tre strumenti in croce intorno alla voce particolare del leader: è proprio da brani come questo che si comprende la crescita esponenziale del nostro come autore, e la scelta di Henry, un maestro della produzione “per sottrazione”, si rivela vincente.

You Leave Alone ha l’andatura di una country ballad, ma anche qualche vaga somiglianza con Deportee di Woody Guthrie: voce e poco altro, ma che feeling; My Friends ha un suono più pieno, con punti in comune con il country “cosmico” di Gram Parsons, il passo è sempre lento ma non ci si annoia per niente; The Love That We Need, scritta a sei mani con Ingram e la Moorer, è in effetti una delle migliori del CD, con la sua melodia splendida e grande uso del piano, una ballata sontuosa. La tenue e “sotto strumentata” Love Don’t Let Me Down precede The Magic Kid, altra folk song purissima e dal solito accompagnamento pulito e di gran classe. Il dischetto termina con Love Is So Easy, molto John Prine primo periodo (testo ironico compreso) e graditi riff di organo stile sixties, e con Jealous Moon, chiusura malinconica e poetica per un album davvero notevole.

Ottime canzoni, musicisti di valore e produzione perfetta: Hayes Carll ormai è uno dei “nostri”.

Marco Verdi

Solo Per Il Giappone E Solo Per Super Completisti! Una “Nuova” Interessante Antologia Di Bob Dylan!

bob dylan revisited front

Breve post che si ricollega idealmente a quello di qualche giorno fa ad opera di Bruno che annunciava il cofanetto Totally Stripped dei Rolling Stones in uscita a Maggio soltanto sul mercato giapponese http://discoclub.myblog.it/2016/03/30/se-vorrete-farvi-del-male-il-20-maggio-giappone-esce-the-rolling-stones-totally-stripped-cofanetto-limitato/ : a metà aprile, sempre e solo nell’isola nipponica, la Sony metterà fuori un’esclusiva antologia di Bob Dylan, un elegante cofanetto di cinque CD intitolato Dylan Revisited: All Time Best, per celebrare il tour di Bob nella terra del Sol Levante (che parte proprio oggi 4 aprile da Tokyo).

bob dylan melnchololy mood 

(NDM: è già uscito da qualche giorno, e sempre solo per il Giappone, un mini CD  intitolato Melancholy Mood, con quattro brani tratti dal nuovo album di Dylan Fallen Angels in uscita il 20 Maggio: l’EP uscirà in vinile in tutto il mondo il 15 Aprile per il Record Store Day, ma il CD è un’esclusiva giapponese. Tra l’altro lo sto aspettando e, quando mi arriverà, gli dedicherò un breve post ad hoc).

bob dylan revisited

Ecco comunque la tracklist del box:

Disc   1

  • 01. Song To Woody 
  • 02. Blowin` In The Wind 
  • 03. Don`t Think Twice. It`s All Right 
  • 04. A Hard Rain`s A-gonna Fall 
  • 05. The Times They Are A-changin` 
  • 06. One Too Many Mornings 
  • 07. All I Really Want To Do 
  • 08. It Ain`t Me Babe 
  • 09. My Back Pages 
  • 10. Subterranean Homesick Blues 
  • 11. Maggie`s Farm 
  • 12. Mr. Tambourine Man 
  • 13. Like A Rolling Stone 
  • 14. Highway 61 Revisited 
  • 15. Queen Jane Approximately 
  • 16. Positively 4th Street 
  • 17. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again 
  • 18. Rainy Day Women #12 & 35 

Disc   2

  • 01. I Want You 
  • 02. Just Like A Woman 
  • 03. All Along The Watchtower 
  • 04. I`ll Be Your Baby Tonight 
  • 05. I Threw It All Away (Album Version) 
  • 06. Lay. Lady. Lay 
  • 07. Tonight I`ll Be Staying Here With You (Album Version) 
  • 08. This Wheel`s On Fire 
  • 09. You Ain`t Goin` Nowhere 
  • 10. Wigwam 
  • 11. If Not For You 
  • 12. The Man In Me 
  • 13. I Shall Be Released 
  • 14. Watching The River Flow 
  • 15. Knockin` On Heaven`s Door 
  • 16. On A Night Like This 
  • 17. Forever Young (Album Version) 
  • 18. Most Likely You Go Your Way (And I`ll Go Mine) (Live) 
  • 19. Tangled Up In Blue 
  • 20. Simple Twist Of Fate 
  • 21. Hurricane 

Disc   3

  • 01. Mozambique 
  • 02. One More Cup Of Coffee 
  • 03. Changing Of The Guards 
  • 04. Gotta Serve Somebody 
  • 05. Precious Angel 
  • 06. Jokerman 
  • 07. Sweetheart Like You (Album Version) 
  • 08. Groom`s Still Waiting At The Altar 
  • 09. Every Grain Of Sand 
  • 10. Tight Connection To My Heart (Has Anyone Seen My Love) 
  • 11. Brownsville Girl 
  • 12. Silvio 
  • 13. Everything Is Broken 
  • 14. Ring Them Bells 
  • 15. Most Of The Time 

Disc   4

  • 01. Under The Red Sky 
  • 02. Dignity 
  • 03. Not Dark Yet 
  • 04. Trying To Get To Heaven 
  • 05. Things Have Changed 
  • 06. Make You Feel My Love 
  • 07. Summer Days 
  • 08. Po` Boy 
  • 09. Someday Baby 
  • 10. When The Deal Goes Down 
  • 11. Workingman`s Blues #2 
  • 12. Beyond Here Lies Nothin` (Album Version) 
  • 13. I Feel A Change Comin` On (Album Version) 
  • 14. Duquesne Whistle 
  • 15. Long And Wasted Years 
  • 16. That Lucky Old Sun 

Disc   5

  • 01. Dink`s Song (Album Version) 
  • 02. Worried Blues 
  • 03. Mama. You Been On My Mind 
  • 04. Farewell. Angelina 
  • 05. I`ll Keep It With Mine 
  • 06. Lay Down Your Weary Tune 
  • 07. It Takes A Lot To Laugh. It Takes A Train To Cry(Take 8. Alternate Take) 
  • 08. Tell Me. Momma 
  • 09. All You Have To Do Is Dream 
  • 10. Pretty Saro 
  • 11. Blind Willie Mctell 
  • 12. Abandoned Love 
  • 13. Series Of Dreams 
  • 14. Born In Time (Unreleased. Oh Mercy) 
  • 15. Cold Irons Bound (New Version) 
  • 16. Mississippi (Unreleased. Time Out Of Mind) 
  • 17. High Water (For Charley Patton) (Live. 2003) 

Ora, sappiamo che le antologie di Dylan sul mercato non mancano di certo (e questa, essendo di importazione giapponese, costa pure parecchio), ma indubbiamente qui troviamo più di un punto di interesse, pur con la mancanza di inediti.

*NDB Questa versione del video è splendida, adesso che Clapton si è “ritirato” potrebbe fare il chitarrista ufficiale per un bel tour mondiale di Dylan! E dal concerto da cui è tratto questo video trovate alcune altre canzoni splendide, nella stessa pagina di YouTube!

Innanzitutto ci sono alcuni brani non usuali sui best of di Bob (Wigwam, The Man In Me, Mozambique, Sweetheart Like You), poi la cronologia si spinge fino all’ultimo Shadows In The Night (rappresentato dalla splendida That Lucky Old Sun), ma soprattutto quello che lo differenzia dalle altre retrospettive è il quinto CD, che propone una interessante selezione di brani tratti dai vari Bootleg Series (non da tutti però).

Io da parte mia ci sto facendo un pensierino, anche se alla fine penso che per questa volta soprassiederò, ma se fate parte della categoria che di Bob deve avere proprio tutto, allora questo speciale greatest hits è decisamente uno dei migliori sul mercato.

Marco Verdi

Dal Boogie Blues Del Mississippi Agli Ardent Studios Di Memphis, Con Ottimi Risultati. Reed Turchi – Speaking In Shadows

reed turchi speaking in shadows

Reed Turchi – Speaking In Shadows – Devil Down Records/Ird 

Dal blues delle colline del Mississippi e dal kudzu boogie agli Ardent Studios di Memphis, il passo potrebbe sembrare lungo, ma Reed Turchi lo ha compiuto senza apparente sforzo, regalandoci un disco che, pur sempre imbevuto di blues, ha comunque molte altre frecce al suo arco: ballate (?!?), pezzi quasi Stonesiani o sudisti, ritmi funky-rock sghembi, intermezzi dal sound più “moderno” e lavorato, un suono spesso più complesso e meno “selvaggio” dei lavori come band, ma agli occhi di chi scrive più interessanti e meno monocordi del suono del gruppo, anche se ogni tanto forse ci mancano quelle sgroppate chitarristiche selvagge e distorte (ma appena un poco). In fondo se il sound non cambiava che senso aveva fare un disco come solista: disco solo ma non solitario, nell’album appaiono ben 11 musicisti, non contemporaneamente in tutti i pezzi. L’unica costante è Paul Taylor che suona sia basso che, soprattutto, batteria e percussioni, oltre al co-produttore Billy Bennett (MGMT, The Whigs) che suona tastiere e synth in sei brani.

Per il resto, in ordine di apparizione, troviamo Heather Moulder, che è la deliziosa voce duettante nella delicata ballata Pass It Over, un brano che ricorda qualcosa addirittura dei Big Star, che registrarono i loro dischi proprio negli antenati dei leggendari Ardent Studios di Memphis, chitarre sospese per un pop-rock dal suono avvolgente. Fosse tutto così il disco sarebbe un mezzo capolavoro, ma alla fine potrebbe forse risultare noioso. Ed ecco allora la stonesiana Everybody’s Waiting (For Me To Come), con il sax di Art Edmaiston (della Gregg Allman Band) che duetta con la slide di Turchi e con Adrian Hill, aggiunto alla chitarra, come pure le tastiere di Bennett, e niente male anche Juggling Knives, dai solidi riff, dove Reed duetta con la chitarra del Bud Spencer Blues Explosion, l’italiano Adriano Viterbini, per un brano che suona come un blues (rock) per il 21° secolo. Atmosfere più sospese, ma sempre affascinanti, per una sognante e leggermente psych Texas Mist, dove le nebbie non sono così profonde, ma sporcano il sound, con una voce carica di riverbero, il Fender Rhodes di Anthony Farrell che lavora sullo sfondo ed un acidissimo solo in modalità slide di Reed Turchi.

E la slide è di nuovo protagonista in primo piano anche in Offamymimd, un bel pezzo di blues-rock chitarristico, tirato e classico, senza la ricerca delle asprezze sonore del passato, ma la solista tira comunque alla grande e tutta la band gira alla perfezione in un brano che si rifà ai classici del passato. Ima Bore, di nuovo in accoppiata con Viterbini, (mi) ricorda il sound dei primi brani dei Modern Lovers di Jonathan Richman, quando facevano ancora rock, grazie anche alla voce sottile e particolare di Turchi, mentre musicalmente c’è qualche parentela anche con l’altro Reed, Lou e Drawn And Quartered, grazie agli interventi delle sghembe tastiere di Bennett, percussioni minimali e di nuovo quella voce acerba, per strane associazioni di idee mi ha ricordato il Donovan del periodo psichedelico. La batteria elettronica di A Course To Stay, accoppiata ad una chitarra solista assai lavorata, sfocia quasi in un rock industriale e futuristico, dove le voci di supporto di Leigh Lucas e Steph Wells, rendono il tutto straniante, anche se è uno dei brani che mi piace meno. Floristella è forse il brano che più racconta il vecchio sound: una chitarra distorta, come pure la voce, sostenute da folate di organo e dal sax “maligno” di Edmaiston rendono l’atmosfera inquieta e a tratti quasi free, mentre Looking Up Past Midnight ricorda forse il desert rock introspettivo dei Thin White Rope, di nuovo con organo e sax a farsi largo in una ritmica spezzata e contorta, mentre la chitarra si tiene ai margini. A chiudere, torna il dualismo fra sax e chitarra slide e wah-wah in una Flash Of Gold dai ritmi funky e contorti, di nuovo vicini al suono dei vecchi Turchi, e forse per questo meno convincenti per il sottoscritto. Finale con Reed Turchi che duetta con sé stesso in uno strumentale dall’atmosfera folk-blues, solo due chitarre, una acustica e una slide, con un suono che ricorda quello delle colonne sonore di Ry Cooder. Dodici brani, solo 37  minuti, ma un disco interessante ed intenso che non mi aspettavo.

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica: Era Solo Una Questione Di Tempo! Elvis Presley – The Album Collection

elvis presley complete rca albums 60 cd

Elvis Presley – The Album Collection – RCA 60CD Box Set

Negli ultimi anni è diventata un’abitudine per la Sony pubblicare l’opera omnia dei più grandi artisti della nostra musica, basti pensare ai mastodontici box dedicati a Miles Davis (periodo Columbia), Johnny Cash (idem) e Bob Dylan, ma potrei fare molti altri esempi: sembrava strano che nel marasma di ristampe e riedizioni dedicate ad Elvis Presley non avessero pensato ad un trattamento analogo…ed in effetti ci hanno pensato! E’ uscito infatti da poco questo sontuoso box di sessanta CD, The Album Collection, che contiene tutti i dischi in studio e dal vivo incisi in vita dal King per la RCA (tranne fortunatamente i due dischi di spoken word), comprese le antologie pubblicate all’epoca che riunivano i singoli del periodo, e tre CD di rarità esclusivi per questo box (uno per decade): a parte gli esordi con la Sun Records, c’è quindi tutta la vita artistica di Elvis, uno dei rari casi di fedeltà ad una sola etichetta, la RCA appunto, che nel corso della sua carriera lo ha ricoperto di dollari, influenzando però anche pesantemente il suo indirizzo musicale e allontanandolo via via sempre di più dal rock’n’roll degli inizi, con veri e propri passaggi a vuoto specie negli anni sessanta, come vedremo.

Elvis è sempre stato considerato più un artista da singoli che da LP, e la cosa è vera solo in parte: se è indiscutibile che, soprattutto negli anni cinquanta, il nostro ha pubblicato una serie impressionante di 45 giri diventati leggenda, è anche vero che nello stesso periodo anche i suoi full-lenght contenevano in maggior parte grandi canzoni.

elvis presley elviselvis presley 2nd album

E’ questo il caso di Elvis Presley, suo esordio per la RCA ed ancora oggi considerato una pietra miliare del rock’n’roll (e dall’iconica ed imitatissima copertina, basti pensare a London Calling dei Clash ed a Raindogs di Tom Waits), ma anche del suo seguito Elvis ed anche i due successivi, usciti nel periodo in cui il nostro prestava servizio militare e composti da materiale inciso in quelle prolifiche sessions del 1956.

elvis is back

Gli anni sessanta iniziarono benissimo con lo splendido Elvis Is Back!, che anche dal titolo fa capire che si trattava del primo materiale inciso ex novo dopo la naia, un album che contiene classici come Fever, Reconsider Baby e Such A Night, ma poi, dopo i meno riusciti Something For Everybody e Pot Luck la RCA (con la complicità del famigerato manager di Elvis, il “Colonnello” Tom Parker) cercò di fare del King una star del cinema, con una serie di filmucoli di basso livello che servivano come pretesto per le performances canterine del nostro, e le cui colonne sonore, a tratti imbarazzanti, occuparono quasi tutta la discografia di Presley in questa decade: chiaramente qua ci sono tutte, e se qualcuna si salva (Blue Hawaii, Girls! Girls! Girls!) le canzoni degne di essere tramandate ai posteri non sono molte (ma Can’t Help Falling In Love, tratta proprio da Blue Hawaii, è una delle più grandi ballate di sempre in assoluto) https://www.youtube.com/watch?v=5V430M59Yn8

elvis comeback special

E veniamo alla fase finale della carriera di Elvis, cioè la parte che inizia con l’album Elvis, colonna sonora del famoso comeback special del 1968 in cui il nostro (tirato a lucido ed in forma smagliante) si esibì dal vivo in TV per uno show divenuto leggendario.

Da qui e per tutti gli anni settanta (fino alla prematura morte avvenuta nel 1977), il nostro pubblicherà diversi altri dischi dal vivo, tutti di grande valore (nella fase finale, a parte i costumi e certe pacchianerie molto Las Vegas, era diventato un performer straordinario e dalla potenza vocale impressionante, in grado di interpretare qualsiasi brano e fornirne la versione definitiva), tra cui vorrei citare il famosissimo Aloha From Hawaii Via Satellite (1973), un grandissimo successo di vendite, e l’altrettanto riuscito concerto al Madison Square Garden pubblicato l’anno prima.

elvis country

Anche in studio però Elvis, a parte qualche arrangiamento in tantino sopra le righe, seppe dare il meglio di sé stesso nella sua ultima decade, con un vero e proprio capolavoro come Elvis Country (I’m 10.000 Years Old) (1971, il miglior disco del Re?), a cui fece seguire a ruota il meno riuscito (ma sempre più che buono) Love Letters, inciso nelle stesse sessions; anche Promised Land e soprattutto Today (entrambi del 1975) sono degli ottimi esempi di pop-rock di gran classe, come pure Moody Blue, uscito circa un mese prima della sua scomparsa (so che gli anni settanta di Elvis sono sempre stati oggetto di critiche, ma a mio parere certe critiche sono influenzate in parte dagli eventi di contorno ed extra-musicali).

Inoltre, nella discografia di The Pelvis una parte fondamentale sono sempre stati i gospel albums (era molto religioso), pubblicati lungo tutta la carriera con intervalli più o meno regolari: se i primi due (His Hand In Mine, 1960, e How Great Thou Art, 1967) sono assolutamente imperdibili, anche He Touched Me del 1972 non era niente male; e poi, dulcis in fundo, i due dischi di Natale (Elvis’ Christmas Album, 1957, e Elvis Sings The Wondeful World Of Christmas, 1971), ancora oggi tra i più richiesti durante le festività.

Disc: 58
1. My Happiness
2. That’s When Your Heartaches Begin
3. I’ll Never Stand In Your Way
4. It Wouldn’t Be the Same Without You
5. Blue Moon of Kentucky
6. Tomorrow Night
7. Fool, Fool, Fool
8. I’m Left, You’re Right, She’s Gone
9. Tweedlee Dee
10. Maybellene
11. When It Rains, It Really Pours
12. One Night (Of Sin)
13. Loving You
14. Treat Me Nice
15. King Creole
16. Ain’t That Loving You Baby
17. I Asked the Lord
18. Earth Angel
19. I’m Beginning to Forget You
20. Mona Lisa

Disc: 59
1. Stuck On You
2. Fame and Fortune
3. Witchcraft / Love Me Tender
4. Lonely Man
5. Today, Tomorrow and Forever
6. I’m A Roustabout – Elvis Presley & The Jordanaires
7. If I Loved You
8. Tennessee Waltz
9. What Now My Love
10. Show Me Thy Ways, O Lord
11. Oh How I Love Jesus
12. Hide Thou Me
13. Write to Me from Naples
14. My Heart Cries for You
15. Dark Moon
16. Beyond the Reef
17. Suppose
18. It Hurts Me
19. Let Yourself Go
20. This Time / I Can’t Stop Loving You (Informal Recording)
21. Are You Lonesome Tonight?

Disc: 60
1. A Hundred Years from Now
2. Faded Love
3. Ghost Riders In the Sky
4. Alla en el Rancho Grande
5. Froggy Went a Courtin’
6. Little Sister / Get Back
7. Something
8. Lady Madonna
9. I Shall Be Released
10. My Way
11. I’ll Be Home On Christmas Day
12. Tiger Man
13. She Thinks I Still Care
14. I’m So Lonesome I Could Cry
15. The Twelfth of Never
16. You’re the Reason I’m Living
17. Softly As I Leave You
18. America the Beautiful

I tre CD finali del box (di cui cui sopra leggete la lista completa dei brani, se volete fare il classico “celo – manca”) contengono rarità varie (nel primo alcune appartengono al periodo Sun), prese dai vari cofanetti e riedizioni uscite dopo la morte di Presley: non ci sono inediti assoluti, ma è un’ottima opportunità di ascoltare brani altrimenti sparsi in decine di altri album; tutti i 57 CD originali sono presentati in versione mini-LP (senza bonus tracks) e con uno splendido libretto a copertina dura che completa il tutto.

Un box quindi che ci permette di risentire (quasi) tutto ciò che una delle più grandi voci di tutti i tempi ha pubblicato, con qualche indubbia caduta di stile ma nella maggior parte dei casi siamo di fronte a grandissima musica, e non dimentichiamo che Elvis ha sempre curato molto gli arrangiamenti e si è sempre circondato di musicisti formidabili (tra i quali come non citare Scotty Moore, D.J. Fontana, Floyd Cramer, The Jordanaires, James Burton, Chet Atkins, Charlie McCoy, Pete Drake, David Briggs, Reggie Young, Eddie Hinton, Norbert Putnam, Ronnie Tutt, Chip Young, Jerry Scheff e molti altri che meriterebbero di essere nominati ma non voglio fare un post a parte).

Certo, non costa due euro (e neppure quattro), ma averlo in casa è quasi un atto di rispetto nei confronti di una delle figure più importanti del secolo scorso, e non solo in campo musicale.

Marco Verdi

P.S: ecco comunque la lista completa degli album contenuti nel cofanetto:

1. Elvis Presley (1956)
2. Elvis (1956)
3. Loving You (1957)
4. Elvis Christmas Album (1957)
5. Elvis’ Golden Records (1958)
6. King Creole (1958)
7. For LP Fans Only (1959)
8. A Date With Elvis (1959)
9. Elvis’ Gold Records Volume 2- 50,000,000 Elvis Fans Can’t Be Wrong (1959)
10. Elvis Is Back! (1960)
11. G.I. Blues (1960)
12. His Hand In Mine (1960)
13. Something For Everybody (1961)
14. Blue Hawaii (1961)
15. Pot Luck (1962)
16. Girls! Girls! Girls! (1962)
17. It Happened At The World’s Fair (1963)
18. Elvis’ Golden Records Volume 3 (1963)
19. Fun In Acapulco (1963)
20. Kissin’ Cousins (1964)
21. Roustabout (1964)
22. Girl Happy (1965)
23. Elvis For Everyone (1965)
24. Harum Scarum (1965)
25. Frankie And Johnny (1966)
26. Paradise, Hawaiian Style (1966)
27. Spinout (1966)
28. How Great Thou Art (1967)
29. Double Trouble (1967)
30. Clambake (1967)
31. Elvis’ Gold Records Volume 4 (1968)
32. Speedway (1968)
33. Elvis Sings Flaming Star (1968)
34. Elvis (NBC-TV Special) (1968)
35. From Elvis In Memphis (1969)
36. From Memphis To Vegas/From Vegas To Memphis (2 discs, 1969)
37. Let’s Be Friends (1970)
38. On Stage (1970)
39. Almost In Love (1970)
40. That’s The Way It Is (1970)
41. Elvis Country (I’m 10,000 Years Old) (1971)
42. Love Letters From Elvis (1971)
43. C’mon Everybody (1971)
44. I Got Lucky (1971)
45. Elvis Sings The Wonderful World Of Christmas (1971)
46. Elvis Now (1972)
47. He Touched Me (1972)
48. Elvis: As Recorded At Madison Square Garden (1972)
49. Aloha From Hawaii Via Satellite (2 discs, 1973)
50. Elvis (Fool) (1973)
51. Raised On Rock (1973)
52. Good Times (1974)
53. Elvis: As Recorded Live On Stage In Memphis (1974)
54. Promised Land (1975)
55. Elvis Today (1975)
56. From Elvis Presley Boulevard, Memphis, Tennessee (1976)
57. Moody Blue (1977)
58. ’50s Rarities (new collection)
59. ’60s Rarities (new collection)
60. ’70s Rarities (new collection)

Chitarre A Go-Go, Tra Psych, Rock, Television, Richard Thompson E Libera Improvvisazione! Chris Forsyth & The Solar Motel Band – The Rarity Of Experience

chris forsyth the rarity of experience

Chris Forsyth & The Solar Motel Band – The Rarity Of Experience – 2 CD No Quarter Records

Chris Forsyth è un chitarrista americano, in azione già dagli anni ’90, quindi non un pivellino: uno che agli inizi della sua carriera si muoveva in territori alternative folk, drone music, improvvisazione allo stato puro, anche in ambito quasi avanguardistico e post-rock (pensate a cose tipo Glenn Branca, LaMonte Young e altri, che comunque un aggancio sia pure flebile con rock e blues ce l’hanno), collaborazioni con Steve Gunn e Meg Baird, poi ha “scoperto” Grateful Dead e Quicksilver, Television, Richard Thompson e un certo approccio più rock, fondando la Solar Motel Band, un quartetto che esordisce con un Live nel 2013, poi pubblica Intensity Ghost a fine 2014 https://www.youtube.com/watch?v=YEZJmN31CZs  ed ora, con un nuovo chitarrista in formazione, Nick Millevoi, approda a questo doppio The Rarity Of Experience, dove vengono confermati il bassista Peter Kerlin (anche alla chitarra quando serve) e l’ottimo batterista Steven Urgo, oltre alle tastiere di Shawn Edward Hansen. Diciamo che si tratta di uno dei soliti doppi CD “brevi”, intorno ai 72 minuti di durata, probabilmente per aderire alla mistica dell’album doppio, un classico del rock, 10 brani in tutto, di cui tre oltre i dieci minuti di durata, prettamente strumentali, con le parti cantate che se arrivano ai due minuti in tutto l’album è già tanto.

Per il resto chitarre, chitarre, e ancora chitarre, ma di quelle da gustare a fondo, quasi sempre in modalità improvvisativa o di ricerca sonora, in quello stile che fu caro appunto alle band psych-rock della fine anni ’60, ma anche a band come i Television, di cui il gruppo esegue dal vivo una poderosa Little Johnny Jewel (con citazione iniziale di Hendrix), o a solisti come Richard Thompson, del quale i Solar Motel ci regalano una fedele cover di Calvary Cross, come traccia conclusiva di questo The Rarity Of Experience. E chi legge questo Blog sa quanto ami il chitarrista inglese di cui considero quel brano uno delle punte di diamante della sua scintillante opera, soprattutto in ambito solistico, con un assolo tra i più lancinanti ed intensi mai regalati alla storia del rock https://www.youtube.com/watch?v=R8i61cG8Glk . Forsyth e Millevoi fanno del loro meglio per riprodurre quella memorabile cavalcata chitarristica, anche se la prima parte, specie all’inizio, quando il testo del brano viene più che altro recitato, è un piccolo passo falso poi riscattato dalla feroce veemenza della parte strumentale. Veemenza solista che viene subito a galla nel disco, fin dalle prime note di Anthem I, un pezzo dove il sound dei Television di Verlaine Lloyd sembra la stella polare delle twin guitars di Forsyth e soci, che poi si espandono ed elaborano il loro approccio nella gloriosa Anthem II, dove il mood del brano pesca anche nel bacino della psichedelia pura californiana dei Quicksliver di Cipollina Duncan, dove la chitarra lancinante e acida di Chris Forsyth, ben sostenuta dal vorticoso drumming di Urgo, ci riporta in territori sonori che credevamo dimenticati da anni. E questo, a ben vedere, è rock, di quello di grande qualità, pure se, non sempre di facile fruibilità, ma quando funziona, come in questi brani, e nelle due parti di The Rarity Of Experience, di cui la seconda parte, con il suo riff ciclico, è una sorta di Marquee Moon per i nostri giorni, è una vera gioia per i padiglioni auricolari.

Non tutto è “semplice” e facilmente fruibile, The First Ten Minutes Of Cocksucker Blues, una sorta di colonna sonora per la famosa pellicola “vietata” degli Stones https://www.youtube.com/watch?v=9DDHj-TUOVA , già nel loro repertorio Live, è, per dirla alla Sacchi o Trapattoni di Mai Dire Gol, tra l’ostico e l’agnostico, pura improvvisazione jazz dove il sax e la tromba di Daniel Carter aggiunti alle chitarre, sfidano la pazienza dell’ascoltatore, anche se in questo ambito ci sta. Però in brani più complessi come come la lunga High Castle Rock si percepiscono anche echi di Grateful Dead e dei primi Pink Floyd, sempre movimentati dallo stile percussivo quasi alla Keith Moon di Urgo, che lancia nella stratosfera le lunghe improvvisazioni dei due chitarristi, anche all’unisono a tratti, con le tastiere a creare un tappeto soffice di coloritura sonora. Harmonius Dance è un’oasi di serena e tranquilla musica quasi pastorale, sempre a cavallo tra scorribande sonore e segmenti che possono ricordare il miglior rock progressivo, quello più ricercato, etereo e sognante, dove le chitarre reiterano continuamente gli stessi giri d’accordi in una sequenza quasi circolare che continua a rincorrersi. Boston Street Lullaby potrebbe addirittura ricordare il sadcore rarefatto di band come i Red House Painters o i Sun Kil Moon di Mark Kozelek, in una sorta di dream pop minimale. Prima di arrivare alla conclusiva The Calvary Cross incontriamo  il lento e solenne crescendo di Old Phase una ulteriore occasione per incontrare di nuovo le deliziose traiettorie incrociate delle due chitarre soliste, veramente splendide nelle loro sonorità sognanti ed aggressive, a seconda dei momenti. Senza dimenticare che il tutto viene offerto con indubbia perizia tecnica allo strumento e un gusto particolare per la ricerca di sonorità spesso raffinate ed eleganti.

Bello ed affascinante, da sentire!

Bruno Conti

Una Bella Dose Di Rock And Roll Non Fa Mai Male! Willie Nile – World War Willie

willie nile world war willie

Willie Nile – World War Willie – River House Records/Blue Rose/Ird

Partiamo da un fatto assodato: Willie Nile (nome d’arte di Robert Anthony Noonan), rocker di Buffalo, ma trapiantato a New York, nel corso di 36 anni di attività non ha mai sbagliato un disco, anche se ne ha incisi appena una decina, sebbene le premesse di inizio carriera fossero ben diverse dallo status di cult artist al quale è ormai ancorato. Infatti il suo omonimo esordio del 1980, un disco di pura poesia rock’n’roll tra Byrds, Bob Dylan, punk e Lou Reed, era una vera e propria bomba, un album che personalmente avrei giudicato il migliore di quell’anno se un certo rocker del New Jersey non avesse pubblicato un doppio intitolato The River: il suo seguito, Golden Down (uscito l’anno seguente), non aveva la stessa forza, ma era comunque un gran bel lavoro, e lasciava presagire l’ingresso di Willie nell’olimpo dei grandi.

Poi, all’improvviso, ben dieci anni di silenzio, pare dovuti a beghe contrattuali con l’Arista e problemi personali, un’assenza che in buona fine gli ha stroncato la carriera (almeno a certi livelli): il ritorno nel 1991 con l’eccellente Places I Have Never Been, uno scintillante album con almeno una mezza dozzina di grandi canzoni ed una produzione di lusso, prima di ricadere nell’oblio per altri otto lunghi anni (in mezzo solo un EP, Hard Times In America, oggi introvabile), quando Willie pubblica il buon Beautiful Wreck Of The World, che ci mostra un artista un po’ disilluso ma sempre in grado di fare grande musica. Ancora sette anni di nulla, poi dal 2006 Nile si mette finalmente a fare sul serio, facendo uscire ben quattro lavori in otto anni (gli splendidi Streets Of New York e American Ride ed i discreti House Of A Thousand Guitars e The Innocent Ones): in tutto questo tempo Willie non è cambiato, fa sempre la sua musica, un rock urbano con pezzi al fulmicotone e ballate di grande impatto, dimostrando una coerenza ed una rettitudine che gli fa onore (io gli ho parlato brevemente una sera del 2008 a Sesto Calende e ho trovato una persona modesta, gentile e disponibilissima, e stiamo parlando di uno che da del tu a Bruce Springsteen).

Meno di un anno e mezzo fa , un po’ a sorpresa, Willie ha pubblicato il bellissimo If I Was A River http://discoclub.myblog.it/2015/01/12/fiume-note-poetiche-notturne-willie-nile-if-i-was-river/ , un disco di ballate pianistiche, un lavoro molto diverso dai suoi soliti, ma di una profondità ed intensità notevole, che un po’ tutti hanno giudicato uno dei suoi migliori di sempre: oggi, esce World War Willie (titolo un po’ così così, ed anche la copertina non è il massimo), un album che ci riporta il Willie più rocker, quasi fosse la controparte del disco precedente. Prodotto da Willie insieme a Stewart Lerman, e suonato con una solida band formata da Matt Hogan alle chitarre, Johnny Pisano al basso ed Alex Alexander alla batteria (e con la partecipazione di Steuart Smith, chitarrista dal vivo degli Eagles, in tre pezzi, e della nostra vecchia conoscenza James Maddox ai cori, oltre che a Nile stesso a chitarre e piano), World War Willie ci mostra il lato rock del nostro, e meno quello cantautorale, un disco di chitarre e ritmo altro che palesa l’ottimo stato di forma del riccioluto musicista, anche se, forse, si pone un gradino sotto i suoi lavori migliori. Ma forse la cosa è voluta: dopo due dischi come American Ride (uno dei suoi più belli di sempre) e If I Was A River Willie ha deciso di divertirsi e di fare solo del sano rock’n’roll senza fronzoli…e chi siamo noi per disapprovare?

Forever Wild ha un inizio pianistico alla Roy Bittan, poi entrano le chitarre, la sezione ritmica e la voce riconoscibilissima del nostro ad intonare una tipica rock ballad delle sue, con un bel ritornello corale ed una generosa dose di elettricità. La discorsiva Let’s All Come Together è classico Willie, sembra uscita da uno dei suoi primi due album, con la voce che non ha perso smalto, altro chorus da singalong e feeling a profusione; l’energica Grandpa Rocks è a metà tra Clash e rock urbano della New York anni ’70 (CBGB e dintorni), forse poco originale ma di sicuro impatto adrenalinico, mentre con Runaway Girl Willie stempera un po’ gli animi con una canzone elettroacustica che rivela il suo lato più romantico.

La title track è un boogie frenetico che ha la freschezza del primo Link Wray ed il solito mix tra ironia ed amarezza nel testo, niente di nuovo dal punto di vista musicale, ma ormai è chiaro che in questo disco il Willie songwriter si è preso una piccola vacanza in favore del suo gemello rocker. L’annerita Bad Boy è un travolgente e ritmato swamp-rock con venature blues, meno tipico ma decisamente riuscito, anche qui con un ritornello killer; Hell Yeah non avrà un testo da dolce stil novo ma ha un tiro irresistibile, un boogie frenetico e tostissimo, mentre Beautiful You fa calare un po’ la tensione e si rivela forse la meno riuscita del CD, priva com’è di una vera e propria melodia.

Splendida per contro When Levon Sings, un sentito omaggio a Levon Helm, suonata e cantata con un’andatura quasi da country ballad, ritmo saltellante e motivo di prim’ordine: il miglior Willie (come spesso capita quando dedica una canzone a qualcuno, pensate alla stupenda On The Road To Calvary, scritta in memoria di Jeff Buckley). L’album si chiude in deciso crescendo con il bel rock’n’roll urbano di Trouble Down In Diamond Town, un brano scintillante che rivela echi di Springsteen, seguito dalla divertente Citibank Nile, costruita intorno ad un tipico giro di blues, e soprattutto da una rilettura potente del superclassico di Lou Reed (e dei Velvet Underground) Sweet Jane, un brano che già in passato aveva avuto cover di livello (ricordo in particolare quelle, molto diverse tra loro, dei Mott The Hoople e dei Cowboy Junkies): Willie preme l’acceleratore, lascia in primo piano il mitico riff e ci consegna una versione piena di feeling e di rispetto per lo scomparso Lou.

Fa sempre bene un po’ di rock’n’roll ogni tanto, e Willie Nile è uno che non ce lo fa mai mancare.

Marco Verdi