Novità Prossime Venture 2020 4. Cream – Goodbye Tour Live 1968: Il 6 Marzo Esce Il Cofanetto Quadruplo.

cream goodbye tour live 1968

Cream – Goodbye Tour – Live 1968 – 4 CD Boxset Polydor/Universal – 06-03-2020 

Come detto in innumerevoli Post pubblicati in passato sul Blog, anche questa volta il 50° Anniversario dalla data di uscita originale non è stato rispettato (ma è poi così importante?): né quello del tour del 1968 e neppure dell’uscita dell’album Goodbye, avvenuta nel febbraio del 1969, con un disco che era metà in studio (compresa la deliziosa Badge, scritta insieme all’Angelo Misterioso, in italiano nel disco, ovvero George Harrison) e parte dal vivo, come il precedente doppio Wheels Of Fire. Molto materiale registrato in concerto era uscito anche nei due dischi postumi Live Cream Vol. 1 & 2 e poi nei due dischetti dal vivo del bellissimo cofanetto Those Were The Days, che raccoglieva appunto l’integrale dei Cream non album per album, ma suddividendo i brani come In The Studio Live. 

Senza dimenticare il famoso Farewell Concert alla Royal Albert Hall del 26 novembre 1968, uscito nel corso degli anni prima come documentario nei cinema, poi come trasmissione televisiva per la BBC, poi come Home Video in VHS, e infine come DVD, ma mai, prima di oggi, in CD. In questo cofanetto quadruplo, che in totale presenta 36 brani, di cui 19 inediti in assoluto, e i 9 della serata alla Royal Albert inediti invece su compact, sono riportate quattro date complete, tre registrate negli USA e quella finale di Londra.

Come al solito ecco il dettaglio completo dei contenuti:

Tracklist
[CD1: October 4, 1968 – Oakland Coliseum, Oakland (all tracks previously unreleased, except *)]
1. White Room*
2. Politician*
3. Crossroads
4. Sunshine Of Your Love
5. Spoonful
6. Deserted Cities Of The Heart*
7. Passing The Time
8. I’m So Glad

[CD2: October 19, 1968 – Los Angeles Forum, Los Angeles (all tracks previously unreleased except *)]
1. Introduction by Buddy Miles
2. White Room
3. Politician*
4. I’m So Glad*
5. Sitting On Top Of The World*
6. Crossroads
7. Sunshine Of Your Love
8. Traintime
9. Toad
10. Spoonful*

[CD3: October 20, 1968 – San Diego Sports Arena, San Diego (all tracks previously unreleased)]
1. White Room
2. Politician
3. I’m So Glad
4. Sitting On Top Of The World
5. Sunshine Of Your Love
6. Crossroads
7. Traintime
8. Toad
9. Spoonful

The Oakland Coliseum, Los Angeles Forum and San Diego Sports Arena concerts were mastered from the original 1968 analog mix reels by Kevin Reeves at Universal Mastering, Nashville, TN.

[CD4: Cream Farewell Concert November 26, 1968 – Royal Albert Hall, London (all tracks first-time release on CD)]
1. White Room
2. Politician
3. I’m So Glad
4. Sitting On Top Of The World
5. Crossroads
6. Toad
7. Spoonful
8. Sunshine Of Your Love
9. Steppin’ Out

The Royal Albert Hall concert was mastered from the original 1968 analog transfer reels by Jason NeSmith at Chase Park Transduction, Athens, GA.

Ci risentiamo dopo l’uscita prevista per il 6 marzo p.v., il cofanetto indicativamente dovrebbe costare intorno ai 50 euro.

Bruno Conti

Facciamo Finta Che Questo Disco Non Esista! Brantley Gilbert – Fire & Brimstone

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Brantley Gilbert – Fire & Brimstone – Valory/Universal CD

Brantley Gilbert, musicista nativo della Georgia, dopo aver esordito nel 2009 con un album dalle vendite incerte (Modern Day Prodigal Son), ha capito in fretta come funziona il giochino a Nashville ed in breve tempo è diventato uno degli artisti country più popolari d’America, con ben tre album di fila andati al numero uno della classifica, compreso quello di cui mi accingo a scrivere. Il nostro ha infatti smesso molto presto di fare musica di qualità preferendo la via più facile: ha saputo entrare nel giro giusto circondandosi così di produttori di grido, sessionmen che vanno a lavorare timbrando il cartellino e mettendo a punto degli album di pop radiofonico travestito da country, che però è il genere che dalle parti della capitale del Tennessee ti fa volare alto nelle classifiche.

Fire & Brimstone, il nuovo CD di Gilbert, non si distacca dalla mediocrità congenita che è ormai la sua carriera, e dal suo punto di vista Brantley ha anche ragione: ho trovato il filone d’oro, perché mai dovrei cambiare? Musica anonima dunque, canzoni fatte con lo stampo con una strumentazione infarcita di suoni finti, all’insegna di synth, loop vari e drum programming a go-go. Anche l’approccio del titolare del disco è piuttosto molle, senza grinta, come se già sapesse che basta il minimo sindacale di impegno per avere successo: il risultato finale è un lavoro che ha ben poco di interessante per chi ama il vero country, con l’aggravante di essere anche piuttosto lungo. L’inizio è appannaggio di Fire’t Up, un rockin’ country elettrico che ad un ascolto distratto potrebbe sembrare aggressivo e grintoso, ma qualcosa non quadra: i suoni sono infatti finti, poco spontanei e pieni di effetti, ed il tutto va a scapito dell’immediatezza. Not Like Us, ancora dura e chitarristica, è un po’ meglio dal punto di vista del suono anche se non sono del tutto convinto: l’assolo è decisamente hard e poi comunque la canzone è deficitaria dal punto di vista dello script.

Anche Welcome To Hazeville, una ballata qualsiasi e per di più con un drumming che sa di sintetico, non è niente di speciale, e dispiace che in una tale pochezza siano stati coinvolti il bravo Lukas Nelson e soprattutto il leggendario padre Willie (che però si limita a cantare una breve frase alla fine), per di più insieme al rapper Colt Ford: in poche parole, un pasticcio brutto e musicalmente criminale. What Happens In A Small Town sembra la continuazione del brano precedente, e devo guardare il lettore per capire che la traccia è cambiata (ed il refrain è puro pop commerciale), She Ain’t Home prosegue con banalità un tanto al chilo, una ballata buona per chi non sa neanche cosa sia il vero country, Lost Soul’s Prayer è bruttina e ha un arrangiamento finto-rock che non va da nessuna parte. Il disco come ho già detto è pure lungo, 15 canzoni, ed in certi punti è una sofferenza: fra i pezzi rimanenti salvo solo Tough Town, che se non altro ha un buon tiro rock ed i suoni abbastanza sotto controllo, la title track, ballata elettroacustica nobilitata dalla presenza di Jamey Johnson ed Alison Krauss (ed anche la canzone non è malaccio, forse la migliore del CD), l’orecchiabile Bad Boy e la discreta Man Of Steel, dalle (molto) vaghe atmosfere western.

Il resto però è da mani nei capelli, almeno per chi li ha ancora.

Marco Verdi

Una Band Poco Conosciuta Ma Di Sopraffina Qualità. Dustbowl Revival – Is It You, Is It Me

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Dustbowl Revival – Is It You, Is It Me – Medium Expectations/Thirty Tigers

Quinto album per la band californiana, però con il leader del gruppo Zach Lupetin, originario di Chicago, benché trasferito prima a L.A., ed ora a Venice, sempre California, dove è basato  il collettivo musicale da metà degli anni 2000. Parlo di collettivo perché è curioso il modo in cui i vari musicisti sono venuti in contatto tra loro: Lupetin aveva piazzato un annuncio in rete su Craiglist, alla ricerca di musicisti appassionati come lui di Louis Armstrong, Bob Wills, Old Crow Medicine Show, Paul Simon, Aretha Franklin, e anche delle brass band di New Orleans, senza dimenticare Wilco, Lucinda Williams e persino Bruce Springsteen. Uno spettro sonoro come si vede molto ampio ed eclettico, ma alla fine hanno comunque risposto diversi spiriti affini, e dopo qualche anno di gavetta i Dustbowl Revival hanno reso onore alla propria ragione sociale: tra roots rock, con una forte connotazione swing, bluegrass, soul e con organici variabili sul palco, fino ad una quindicina di elementi.

Poi, con la pubblicazione del disco omonimo del 2017, la formazione si è assestata su otto musicisti, il disco è uscito per la produzione di Ted Hutt ( Old Crow Medicine Show, Lucero, ecc.), e il suono e l’attitudine, da quella di “moderni” praticanti della musica della Grande Depressione, anche folk e swing, ha aggiunto ulteriori elementi tipo Motown & Memphis soul,  e anche funky,che ora in questo nuovo Is It You, Is It Me, in uscita il 31 gennaio 2020, si cristallizzano in un suono sempre più eclettico,  grazie al nuovo produttore Sam Kassirer, alla console con Josh Ritter, Lake Street Dive, soprattutto questi ultimi, con il loro frizzante pop, rock, retro soul, presentano molte affinità con i “nuovi “ Dustbowl Revival, che si sono ridotti a sei/sette, ma ognuno suona una miriade di strumenti: dal bravissimo violinista Connor Vance, che duplica alla chitarra elettrica, Matt Rubin  tromba, flicorno e tastiere, Ulf Bjorlin al trombone e altri strumenti a fiato, l’eccellente batterista  Josh Heffernan, alle prese anche con una pletora di percussioni, raggiunto dal nuovo bassista Yosmel Montejo,  tutti al servizio delle due voci di Zach Lupetin, in primis e di Liz Beebe, che sono i cantanti del gruppo.

Come nelle deliziose volute tra soul e pop raffinatissimo di Dreaming, con le voci che si intrecciano in modo adorabile, mentre sullo sfondo imperversano fiati a go-go e il violino, la saltellante Enemy, con il trombone a dettare il groove, sembra quasi un brano di Amy Winehouse, se invece che al soul (o non solo) si fosse dedicata anche al vecchio jazz, con la voce di Liz Beebe che un poco la ricorda, sempre con fiati folleggianti in azione. Divertente e coinvolgente anche la spumeggiante Sonic Boom, dove organo e violino sostengono gli immancabili fiati, mentre Lupetin e Beebe sono sempre impeccabili https://www.youtube.com/watch?v=ga9tzinFJZk , la sognante I Wake Up, dalle atmosfere sixties e delicati intrecci vocali è un altro garbato esempio del loro stile unico, con Penelope che alza i ritmi, sempre piacevoli e coinvolgenti, retrò ma senza essere datati, e con arrangiamenti comunque intricati nella loro fruibilità. Get Rid Of You, su paesaggi sonori quasi “innocenti” ma partecipi, narra le vicende tragiche della sparatoria con relativo massacro alla Parkland High School in Florida dello scorso anno.

Mirror, con una chitarrina arpeggiata e poi la solita strumentazione rigogliosa è un altro perfetto esempio del loro pop in excelsis deo, seguito dalla più leggerina ma sempre squisita Ghost con qualche piccolo tocco caraibico innestato sulla parte cantata dalla Beebe, che poi lascia spazio ai ritmi marcianti di Nobody Knows (Is It You) tra New Orleans e il Paul Simon più euforico, per poi passare a una Runaway che parte mossa , si acquieta e poi si rianima, in continui cambi di tempo https://www.youtube.com/watch?v=b6acYpyRmjw . Just One Song è uno dei brani più “corali”, sia per l’uso perfetto delle voci quanto per l’arrangiamento incantevole e quasi minimale, dove affiora anche un pianoforte. Preceduto da una breve corale fiatistica arriva infine in chiusura  la dolcissima Let It Go, altro raffinato ed elegante esempio del la loro musica sofisticata, vivace e molto godibile, non unica ma sicuramente decisamente originale. Esce il 31 gennaio.

Bruno Conti

Un Altro Disco Che Per Ora Non Esiste (In CD), Ma Vale Comunque La Pena Di Ascoltarlo! Matthew Ryan – The Future Was Beautiful

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Matthew Ryan – The Future Was Beautiful –  Spotify – Digital Download

Chi mi segue su queste pagine virtuali sa che ho sempre considerato Matthew Ryan uno dei cantautori più sottovalutati del panorama musicale americano, e questo suo ultimo lavoro di studio The Future Was Beautiful lo conferma. Il disco (?!?) non è altro che la combinazione di due EP ( Fallen Ash & Embers e On Our Death Day)  pubblicati per il download all’inizio dello scorso anno https://matthewryan.bandcamp.com/ . Dopo aver riflettuto su un possibile ritiro dalla scena musicale, il buon Matthew raduna nello studio di Nashville i suoi fidati musicisti, a partire da Kelley Looney al basso, Aaron Smith alla batteria, con alle chitarre Doug Lancio, David Henry al cello e Holly Knights dei Turin Brakes alle armonie vocali, per un set composto da sette brani e poco più di mezzora di musica, in cui come al solito i testi parlano di amore e speranza.

Come ogni tanto mi capita di fare, mi sembra giusto sviluppare i brani “track by track”:

On Our Death Day – Il brano iniziale si muove su coordinate dure e asciutte, suona come i brani di Springsteen più intimi, con i lamenti di una chitarra high string e del mandolino di Lancio, e la bella voce baritonale di Ryan, che suona l’acustica e il pump organ,

And It’s Such A Drag – Dall’album In The Dusk Of Everything (12) viene meritoriamente ripescato questo brano, che in questa versione viene rifatto in una versione più elettrica, dove emerge anche il suono lacerante di una armonica.

Steer Your Way – Con una versione (di nuovo) intima e passionale Matthew rende omaggio al grande Leonard Cohen con la bellezza di questa cover (la trovate sul recente You Want It Darker), che certifica ancora una volta il talento di Ryan.

Are You The Matador? –  Su un tessuto melodico e un arrangiamento quasi in stile Los Lobos, la canzone scivola via con un’atmosfera inquietante che ricorda anche Tom Waits, e di conseguenza un approccio quasi recitativo: Doug Lancio è alla chitarra, al basso, alla batteria e all’organo.

Warm Lightning – Pochi accordi di chitarra e il suono in sottofondo di un violino (Molly Thomas) accompagnano un ennesimo brano intimista, con la voce rauca di Matthew che sussurra vicino al microfono la canzone, mentre le armonie vocali sono di Brian Fallon (Gaslight Anthem), ed il basso è suonato da Clay Steakley.

The Last Event – Arriva il momento di una tenue ballata pianistica, con David Ricketts alle tastiere. quasi declamata da Ryan con la sua voce roca, che ben si adatta allo svolgimento del brano.

Avalanche Of Stars – Le tracce del disco terminano con un bel duetto tra Matthew e Kate York, una artista e cantautrice di Nashville, che si intrecciano in sottofondo con il contributo di un altro cantante, Mack Starks, in un importante mix di voci che si completano a vicenda nello sviluppo musicale della canzone.

The Future Was Beautiful è un breve lavoro che serve anche per sperimentare nuovi suoni, che non fa che certificare ancora una volta le potenzialità di questo autore, con una scrittura che nel tempo, dopo il blue collar rock degli esordi (May Day) si è fatta via vai più incisiva e misurata. Matthew Ryan mi sembra ormai che sia condannato ad una perenne condizione di “beautiful loser”, costretto a distribuire i suoi dischi tramite il suo sito internet http://(www.matthewryanonline.com), un percorso che lo accomuna a tanti alri più o meno stimati colleghi, ostacolati da un mercato che segue schemi ben precisi e mal sopporta i cani sciolti, e purtroppo Matthew Ryan è uno di questi, ma con una dignità che altri faticano a meritarsi.

Tino Montanari

*NDB Ogni tanto facciamo una eccezione anche per dischi che non esistono in un supporto fisico ma sono così belli!

Una Serata Blues Speciale A Londra Nel 2009. Gary Moore – Live From London

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Gary Moore – Live From London – Mascot/Provogue – 31-01-2020

Al 31 gennaio 2020 (pare posticipata al 7 febbraio all’ultimo momento in alcuni paesi) è prevista l’uscita di Live From London, ennesimo disco dal vivo postumo dedicato a Gary Moore. Non ricorre nessuna evenienza particolare: il musicista irlandese era nato a Belfast il 4 aprile del 1952, ed è morto a Estepona,una località di vacanza vicino a Malaga, in Spagna, il 6 febbraio del 2011, per un infarto, probabilmente causato dalla fortissima quantità di alcol ingerita nel corso della serata precedente (gli è stata trovata nel sangue una percentuale letale di alcol pari al 3,8%). Nel corso degli anni sono già usciti alcuni album postumi dal vivo di Moore: penso all’ottimo Blues For Jimi, uscito nel 2012 e relativo ad un concerto del 2007, una serata speciale dedicata ad tributo alla musica di Hendrix https://discoclub.myblog.it/2012/09/12/due-grandi-chitarristi-al-prezzo-di-uno-gary-moore-blues-for/ , e nel 2011 era stato pubblicato Live At Montreux 2010, con  la registrazione di una data del luglio 2010, la più recente rispetto alla data della sua scomparsa https://discoclub.myblog.it/2011/10/22/un-ultimo-saluto-gary-moore-live-at-montreux-2010/ , tutte della sorte di one-off, serate speciali, come anche questo Live From London, un evento organizzato dalla emittente radio Planet Rock, con una attenzione speciale riservata al materiale blues, pur non mancando alcuni brani dall’ultimo album di studio del 2008 Bad For You Baby, e la classica Parisienne Walkways in chiusura del set di 13 brani.

Ovviamente, e parlo per me, questo è il repertorio di Gary Moore che prediligo, ma il chitarrista ha fans sparsi per il mondo che amano anche il suo repertorio più robusto, diciamo pure hard-rock. La tecnica non si discute, ma dal 1990 della “conversione”, o del ritorno al blues, il nostro ha realizzato una serie di album eccellenti, inframmezzati ad altri più scontati: qui siamo di fronte al suo lato migliore. Aiuta anche il fatto che la serata si sia svolta alla 02 Academy di Islington, una venue più raccolta ed accogliente rispetto ad arene e palazzetti, quindi più adatta al tipo di repertorio. Non ho ancora informazioni precise sulla formazione, ma visto che si tratta del Bad For You Baby World Tour, e si sente chiaramente la presenza di un tastierista, azzardo Vic Martin a piano e organo, Pete Rees al basso e Sam Kelly alla batteria: partenza sparatissima con una poderosa Oh Pretty Woman, con potenti sventagliate della Gibson di Moore, versione gagliarda ma di ottima fattura, Bad For You Baby e Down The Line sono due dei brani nuovi  tratti dall’album in promozione, entrambe sempre tirate ma senza esagerazioni o “durezze” fuori luogo, la seconda veloce e compatta con chitarra ed organo ad interagire con le scale velocissime della solista di Gary in primo piano.

A questo punto parte la sezione blues, già inaugurata dalla cover di Oh, Pretty Woman di Albert King, da After Hours arriva l’omaggio a B.B. King, che appariva anche nel CD originale, con una solida e pungente Since I Met You Baby, seguita da un uno-due strepitoso dedicato al primo album di Mayall con i Bluesbreakers, prima una lunga e fluente Have You Heard, con la chitarra che improvvisa in grande libertà, e poi l’altrettanto classica All Your Love di Otis Rush, con il suo riff inconfondibile e le continue accelerazioni, grande lavoro nuovamente di Moore alla solista, e anche eccellente interpretazione vocale di Gary, brillante nel corso di tutta la serata. Seguono altre due canzoni dal disco del 2008, Mojo Boogie di JB Lenoir, dove il nostro mette in mostra anche la sua destrezza nell’uso del bottleneck, e una fantasmagorica versione di quasi 12 minuti di I Love You More Than You’ll Ever Know, il celebre slow blues scritto da Al Kooper per il primo album dei Blood, Sweat And Tears,  poi interpretato da Donny Hathaway e da decine di altri artisti, in anni recenti da Joe Bonamassa e Beth Hart, sia in studio che dal vivo, grande prestazione di Moore alla solista in una serie di assoli da sballo.

Di Too Tired, un brano di Johnny Guitar Watson, ricordiamo delle notevoli versioni con Albert Collins, sia in Still Got The Blues come nel Live At Montreux, uno shuffle dalla grande carica, e non manca neppure la title track del suo album più famoso, la splendida blues ballad Still Got The Blues (For You), prima di chiudere il concerto con una trascinante Walking By Myself. I due bis prevedono la pimpante e coinvolgente The Blues Is Alright, una dichiarazione di intenti  verso il suo grande amore per le 12 battute, e infine Parisieenne Walkways, la canzone scritta insieme al suo grande amico Phil Lynott, la lirica, struggente e malinconica ballata dedicata  al padre di Phil e alla Parigi del dopoguerra, caratterizzata da un lungo e lancinante assolo dove Moore tira le note fino all’inverosimile. Veramente un bel concerto che rende ancora una volta merito alla bravura e alla classe del musicista nord-irlandese. Esiste anche una edizione speciale cartonata del disco, con quattro plettri, due sottobicchieri personalizzati, un adesivo ed una cartolina, però mi sembra una cosa per feticisti.

Bruno Conti

Spirit E Randy California, Tra Acid Rock, Hendrix E Dylan. Parte II

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Ecco la seconda parte dell’articolo dedicato agli Spirit..

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Feedback – Epic 1972 ***

A questo punto l’anno prima, Jay Ferguson e Mark Andes se ne erano andati per formare i Jo Jo Gunne, Randy California aveva deciso di intraprendere una carriera solista e quindi rimanevano solo Ed Cassidy e John Locke, a cui si aggiungsero i fratelli Staehely, Chris alla chitarra e Al, basso e voce solista, nonché autore di 7 dei brani contenuti nell’album Feedback, sempre con la produzione di David Briggs. Che dire? Forse 3 stellette sono tante, ma il disco non è poi così disprezzabile, c’entra poco con gli Spirit, ma si lascia ascoltare, tra un piacevole R&R Chelsea Girls, il rock americano di Cadillac Cowboys, un gagliardo strumentale jazz-rock di  Locke, Puesta Del Scam con acidissimo assolo di Chris Staehely, Ripe And Randy che sembra un brano della Steve Miller Band, Darkness con una lunga intro di piano di Locke, che ne è l’autore, e poi con un andamento da rock got soul con coretti femminili, Earth Shaker un funky-rock ancora di Locke, che assomiglia molto al suono dei Jo Jo Gunne, di cui Chris poi diverrà a breve il chitarrista; un paio di tracce più morbide come Mellow Morning e Right On Time, il rock potente dello strumentale Trancas Fog Out, il country-rock energico di Witch con una bella slide tangenziale.

Interludio

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Randy California – Kapt. Kopter and the (Fabulous) Twirly Birds – Epic 1972 ***1/2****

Nel frattempo, sotto mentite spoglie, ma non troppo, Randy California rende omaggio al suo amico e mentore Jimi Hendrix, con un disco di puro power trio rock, infarcito di cover, tra cui due canzoni dei Beatles, un James Brown e un Paul Simon. Come avevo scritto recensendo la ristampa in CD del 2011 “Questo disco credo sia stato l’album più Hendrixiano mai uscito senza il nome di Jimi Hendrix sulla copertina del disco stesso e anche il migliore”, il nostro per certi versi decide di raccogliere l’eredità dello scomparso mancino di Seattle. Cosa altro possiamo aggiungere? Volume della chitarra quasi costante a 11, Noel Redding al basso in tre brani con lo pseudonimo ‘Clit McTorius’,  Ed Cassidy alla batteria in 2 brani, e versioni  ruggenti di Day Tripper e Rain dei Beatles, oltre alle veementi  iniziali Downer e Devil, in un vortice di chitarre, con e senza wah-wah, veramente esaltante.

The Mercury Years 1974-1979

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Spirit Of ’76 – Mercury 1975 ***1/2

Nel  frattempo, dopo avere registrato, sempre con Cassidy, The Adventures Of Kaptain Kopter And Commander Cassidy In Potato Land, che però viene respinto dalla Epic (e uscirà solo molti anni dopo), si trasferisce a vivere a Molokai, nelle Hawaii. L’anno successivo il patrigno lo convince a mettere in piedi una nuova versione degli Spirit, con la quale inizia ad incidere le canzoni che poi costituiranno Spirit Of ’76, in uscita per la Mercury a maggio 1975. Un doppio album molto bello, considerato a posteriori tra i suoi migliori, ma che all’inizio fu abbastanza snobbato dalla critica. Il disco, oltre ad una cover di Hey Joe, molto vicina allo spirito di quella dell’amato Jimi Hendrix, spaziale e sognante come alcun i brani di Electric Ladyland, comunque splendida, con California che lavora di fino alla solista, e poi anche la propria versione dell’inno nazionale americano, The Star Spangled Banner, non quella catartica e cataclismica di Woodstock, bensì un pezzo rock cantato e piacevole.

Il disco, dove Barry Keane suona il basso e Benji è impegnato a clavicembalo e Moog, è impostato come una sorta di concept, con diversi brevi interludi ed intermezzi  futuristici che poi confluiscono nel brano: per esempio un pastorale inno patriottico come America The Beautiful  si trasforma in una deliziosa versione di The Times They Are A-Changing di Bob Dylan. Dylan di cui viene ripresa anche Like A Rolling Stone, in una versione elettroacustica  e sognante, tra le più belle che io ricordi, che poi in un crescendo inarrestabile si anima in una lunga parte strumentale dove Randy estrae dalla sua chitarra una serie di passaggi solisti di grande fascino. Anche gli Stones vengono omaggiati con una vibrante cover di Happy, canzone scritta da Keith Richards, un altro “non cantante” come California, che, detto fra noi, non aveva una gran voce, ma la chitarra… Il resto del doppio era spesso frammentario, ma con parecchie punte di eccellenza quando la chitarra veniva lasciata in libertà.

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Son Of Spirit – Mercury 1975 ***

Lo stesso anno, ad ottobre, esce anche questo Son Of  Spirit, registrato insieme al precedente con la stessa formazione, anche se alcune canzoni sono demos con una rhythm machine. Morbido, quasi ai limiti del folk acido a tratti, come nell’iniziale Holy Man, incantevole e suggestivo in altri, vedi Maybe You’ll Find, Circle e Magic Fairy Princess, pervasi da una morbida psichedelia. Solo il blues elettrico The Other Song, con il suo classico vibrato hendrixiano, rimanda ai suoi episodi migliori, mentre la cover di Yesterday dei Beatles è pur sempre elegante.

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Farther Along – Mercury 1976 ***

Una specie di reunion album, visto che a parte Jay Ferguson gli altri ci sono tutti: Mark Andes si porta il fratello Matt, John Locke è di nuovo al suo posto, e il disco si avvale di un ottimo produttore nella persona di Al Schmitt. Il risultato, anche se non raggiunge neppure lontanamente i fasti del passato, è  elegante e fascinoso, un pop corale raffinato e quasi sfarzoso a tratti, che si fa ascoltare con piacere: la title track Farther Along, Atomic Boogie un funky lussurioso con fiati, cantato in falsetto da California, il ricercato blue eyed soul di World Eat World Dog, Stoney Night che sembra un pezzo dei Doobie Brothers di Michael McDonald, parlano un altro linguaggio forse fin troppo turgido, molto seventies, con addirittura una versione per sola orchestra di Nature’s Way. La sufficienza però è solo di stima.

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Future Games – Mercury 1977 **1/2

Sottotitolato “A Magical Kahauna Dream”, è il quarto ed ultimo disco del periodo anni ‘70 con la Mercury: in pratica un album solo, visto che Randy suona quasi tutti gli strumenti, a parte la batteria, affidata a Cassidy.  Un altro concept album di ambientazione science fiction, ispirato a Spirit Of ’76, ma decisamente meno bello, ancora più dispersivo, tra frammenti e canzoni che ogni tanto sembrano messe lì a casaccio. Peccato per la versione di All Along The Watchtower, che si intuisce, ma è  continuamente sommersa da interventi parlati ed effetti speciali.

Il Meglio Del Resto.

Dopo una serata tragicomica nel breve tour americano della reunion del 1977, con Randy che venne quasi alla mani con Neil Young e Locke che abbandonò il palco, giurando mai più insieme, gli Spirit nel 1978 arrivano in Europa, e tra il Live At Rockpalast ***1/2 in Germania e il Rainbow a Londra dimostrano che, dal vivo quantomeno, erano ancora una band vitale. La data di Londra uscì come Spirit Live nel 1978 e poi come Two Sides Of A Rainbow, che ora, con lo stesso titolo, vede la luce per la prima volta come concerto integrale per la Esoteric (il tutto coordinato dall’amico del Buscadero Mick Skidmore, che è sempre stato il curatore delle tantissime uscite postume della band).

Nel 1981 la Rhino pubblica una prima versione singola di The Adventures of Kaptain Kopter & Commander Cassidy in Potato Land, poi diverse versioni nel corso degli anni, fino ad arrivare a quella doppia per la Floating World del 2012 e quest’anno alla versione quadrupla (diciamo che nelle varie versioni oscilliamo tra le ***1/2  e le ****, considerato che parliamo di ottimo materiale).

Nel 2005 la Sundazed pubblica per la prima volta la colonna sonora di Motel Shop, film americano del 1969 del regista francese Jacques Demy, in italiano L’amante perduta, una pellicola con Ainouk Aimée e Gary Lockwood (reduce dal successo di 2001 Odissea Nello Spazio), in cui mi sono casualmente imbattuto una sera sui Rai Movie, attirato dalla musica che mi sembrava degli Spirit, e lo era, ma anche dal film che poi ho visto, molto bello. Il CD contiene materiale registrato nel 1968, a cavallo tra The Family That Plays Together e Clear, con parecchi brani che poi vennero riutilizzati sotto altra forma appunto in Clear: comunque pur contenendo quasi esclusivamente materiale strumentale è del tutto degno delle loro migliori opere, ancora  psichedelia ed acid rock di grande fascino, da avere ***1/2.

Spirit_-_The_Thirteenth_Dream Spirit_-_Rapture_in_the_Chambers

Nel 1984, nonostante la minaccia di Locke, si riuniscono di nuovo sotto il nome di Spirit Of ‘84 e pubblicano per la Mercury The Thirteenth Dream ***, anche con la presenza di Jay Ferguson: tre canzoni scritte per l’occasione e nuove versioni di alcuni dei loro classici, incise in digitale, sfruttando la tecnologia dell’epoca, quindi ottimo sound, anche se gli originali rimangono insuperabili. Il CD è scomparso quasi subito, diventando irreperibile per anni, fino a che non è stato ristampato dalla BGO in un twofer insieme a Future Games. Nel 1989 esce Rapture In The Chambers – I.R.S. Records **1/2, un appena discreto album di rock classico, però  suono ’’carico” molto anni ’80, con Cassidy alla batteria e John Locke alle tastiere, Mark Andes al basso in due brani (negli altri lo suona lo stesso Randy): al di là di molti coretti insulsi e dell’uso fin troppo marcato del synth, è l’ultimo album per una major, si può ascoltare, anche se escluso il buon lavoro di California alla solista non rimarrà certo negli annali. Tent Of Miracles -Line Records 1990 ***, è un po’ meglio, niente synth di mezzo e qualche sprazzo della vecchia classe in un ambito power trio e rock, con Mike Nile il produttore, al basso, il tutto registrato nello studio personale che Randy aveva alle Hawaii, sin dall’inizio anni ’80.

E proprio nelle sue amate isole, il 2 gennaio del 1997, troverà la morte per salvare il figlio dall’annegamento, mentre facevano del surf insieme. Dagli anni 2000 è iniziata una costante pubblicazione di materiale postumo, tra cui molti interessanti album dal vivo, curati come detto da Mick Skidmore,  Live From The Time Coast , Rock And Roll Planet, The Last Euro Tour e il triplo Salvation…The Spirit Of ’74, forse il migliore, anche per il periodo in cui è stato registrato il materiale, tra il 1974 e il 1975. Il più interessante dei dischi postumi è però  sicuramente Live At The Ash Grove,1967 Vol. I, che coglie la band nel suo periodo d’oro. E’ tutto.

Bruno Conti

Novità Prossime Venture 2020 3. James Taylor – American Standard: Album Nuovo, Ma Canzoni “Vecchie”, Esce Sempre Il 28 Febbraio

james taylor american standard

James Taylor – American Standard – Fantasy/Concord/Universal – 28-02-2020

Ci stava lavorando da tempo e le prime notizie sull’uscita imminente avevano iniziato a circolare dalla fine della scorsa estate:come lascia intuire il titolo American Standard, l’album, pur essendo completamente nuovo, raccoglie una serie di canzoni “vecchie”, o se preferite classici della canzone americana, brani composti dagli anni trenta fino agli anni sessanta, pezzi che, come ha raccontato lo stesso James Taylor, facevano parte degli ascolti abituali della famiglia Taylor negli anni formativi di James. Appunto grandi standard della musica popolare più raffinata made in America, ma anche tracce estratte dagli album di alcune classiche commedie musicali, Guys and Dolls, Oklahoma!, My Fair Lady, Brigadoon, Peter Pan, Show Boat, South Pacific, il tutto prodotto con l’aiuto di David O’Donnell e del grande chitarrista John Pizzarelli, che insieme a James hanno costruito una serie di arrangiamenti basati intorno al suono della chitarre, e non del pianoforte, magari con forti componenti orchestrali, come è tipico di questo repertorio. Per intenderci, se mi passate il termine, il suono è stato “James Taylorizzato”, almeno da quanto si può arguire ascoltando le prime tracce sonore che sono state caricate in rete. Sentite il primo singolo Teach Me Tonight per avere un’idea di quello che ci aspetta.

Insomma, pur essendo lo stile quello solito, raffinato e confidenziale, tipico del cantante di Boston, grazie all’aiuto della solita nutrita pattuglia di musicisti, il sound è comunque complesso e raffinato, infatti nel disco troviamo la sua band abituale, che poi lo accompagnerà anche nei tour che promuoveranno l’album, prima in Canada, insieme a Bonnie Raitt, e poi negli States con Jackson Browne: la lista dei collaboratori è lunga, il bassista Jimmy Johnson, il batterista Steve Gadd,il percussionista Luis Conte, alle tastiere Larry Goldings, ai fiati Lou Marini Walt Fowler e i vocalist di supporto Kate Markowitz, Caroline Taylor, Andrea Zonn, Dorian Holley e Arnold McCuller. In più, come ospiti, Jerry Douglas al dobro, Viktor Krauss al contrabbasso e Stuart Duncan al violino.

Inoltre, con l’aiuto del grande giornalista Bill Flanagan, quello che ha fondato la rivista Musician e poi ha “inventato” VH1, che ha prodotto il progetto, James Taylor il 31 gennaio pubblicherà anche Break Shot, una sorta di autobiografia sonora che uscirà nel formato Audible, e con la voce narrante dello stesso musicista racconterà la storia della sua vita, soprattutto la prima parte della sua carriera, anche attraverso molti supporti audio.

Comunque, tornando all’album,  il 19° in studio della sua discografia, nel CD, oltre ai brani tratti dai musical, troviamo le sue versioni di God Bless The Child di Billie Holiday, un classico dello swing come My Blue Heaven, la stupenda ballata The Nearness Of You e quella che viene presentata come la prima cover in assoluto di un brano As Easy As Rolling Off A Log, che faceva parte di un cartone animato del 1938 Katnip Kollege, della serie Merrie Melodies. Al solito ecco la lista completi dei contenuti dell’album, anche con gli autori dei singoli brani, che uscirà il prossimo 28 febbraio.

  1. My Blue Heaven (Walter Donaldson-George A. Whiting)
  2. Moon River (Henry Mancini-Johnny Mercer)
  3. Teach Me Tonight (Gene De Paul-Sammy Cahn)
  4. As Easy As Rolling Off A Log (M.K. Jerome-Jack Scholl)
  5. Almost Like Being In Love (Frederick Loewe-Alan Jay Lerner)
  6. Sit Down, You’re Rockin’ The Boat (Frank Loesser)
  7. The Nearness Of You (Hoagy Carmichael-Ned Washington)
  8. You’ve Got To Be Carefully Taught (Richard Rodgers-Oscar Hammerstein II)
  9. God Bless The Child (Billie Holiday-Arthur Herzog Jr.)
  10. Pennies From Heaven (Arthur Johnston-Johnny Burke)
  11. My Heart Stood Still (Richard Rodgers-Lorenz Hart)
  12. Ol’ Man River (Jerome Kern-Oscar Hammerstein II)
  13. It’s Only A Paper Moon (Harold Arlen-Yip Hardburg-Billy Rose)
  14. The Surrey With The Fringe On Top (Richard Rodgers-Oscar Hammerstein II)

Dopo l’uscita ovviamente recensione completa del disco, che arriva a ben cinque anni di distanza dal precedente Beyond This World, che nel 2015 era stato il primo album di James Taylor a raggiungere il primo posto delle classifiche americane.

Bruno Conti

Spirit E Randy California, Tra Acid Rock, Hendrix E Dylan. Parte I

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Era una notte buia a tempestosa del 1966 a New York, beh magari no, visto che eravamo in piena estate, un giovane ragazzino di 15 anni Randy Craig Wolfe, appena arrivato in città per accompagnare la madre Bernice Pearl e il patrigno Ed Cassidy, un 43enne batterista jazz che aveva avuto diversi  ingaggi per suonare in alcuni locali della città, tra cui il Manny’s Music, si aggira nella notte. Ed è proprio  lì che incontra tale Jimmy James, che con i Blues Flames si sta creando una reputazione come uno dei chitarristi più promettenti ed eccitanti in circolazione; anche Randy suona la chitarra, e Jimmy decide di inserirlo nella sua band, affibbiandogli il nomignolo di Randy California per non confonderlo con Randy Palmer che era “Randy Texas”. I due legano subito e Jimi Hendrix, perché di lui parliamo, comincia ad insegnarli qualche “trucchetto”, anche se il ragazzo ha talento ed è già un ottimo chitarrista, e mostra a sua volta a Hendrix l’uso della slide. Tanto che quando Chas Chandler, il bassista degli Animals, propone a Hendrix di trasferirsi in Inghilterra per lanciare la sua carriera, Jimi vorrebbe portare anche California con sé come secondo chitarrista.

A questo punto scattano le sliding doors: i genitori di Randy gli negano il permesso per l’espatrio in quanto deve ancora finire l’high school, e pare che anche Chandler preferisse comunque l’idea di un trio con Hendrix come solo chitarrista, e quindi non sapremo mai cosa sarebbe potuto scaturire da questa incredibile accoppiata. Nel frattempo comunque California,  a Los Angeles, aveva già fondato una band denominata Red Roosters, nella quale insieme a lui c’erano anche Mark Andes, e il cantante Jay Ferguson, che si occupava pure delle percussioni: per creare il sound tipico degli Spirit, diciamo la quota più jazz ed improvvisativa della band arrivano John Locke alle tastiere e Ed Cassidy alla batteria. All’inizio, prendendo ispirazione da un libro del poeta Kahlil Gibran, si fanno chiamare Spirits Rebellious, subito abbreviato in Spirit. Nell’agosto del 1967 registrano i primi demo che arrivano sulla scrivania di Lou Adler, il manager dei Mamas And Papas,  che stava giusto fondando la propria etichetta, la Ode, dove poi a breve sarebbe arrivata anche Carole King, ma queste sono altre storie.

Tornando agli Spirit, in questo ultimo periodo c’è stato un soprassalto di attività discografica, prima con l’ottimo box del Complete Potatoland di cui avete già letto sul Blog, e di recente anche la nuova edizione potenziata di Two Sides Of A Rainbow, con il concerto al Rainbow di Londra del 1978, entrambi relativi comunque ad un periodo successivo della parabola musicale di Randy California, ma che comunque sono le scintille che mi hanno convinto a parlare in modo approfondito di questo grande artista americano. Per cui partiamo con la loro discografia, iniziando da

The Ode/Epic Years 1968-1970. Quattro Album Formidabili!

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Spirit – Ode 1968 ****1/2

Dopo i primi demo incisi con l’amico di Topanga Canyon Barry Hansen (il futuro DJ Dr. Demento) i cinque entrano in studio nell’agosto del 1967 proprio con il produttore Lou Adler, ed in varie sessions che si protraggono fino a novembre del  1967, mettono a punto il loro” Acid Rock”, una esaltante mistura di musica psichedelica, rock progressivo, derive jazz, qualche tocco blues, e la chitarra fiammeggiante di Randy California. Ma anche alcune canzoni splendide, scritte soprattutto da Jay Ferguson, il cantante del gruppo, che azzecca subito  alcuni riff dalla presa immediata: uno in particolare è quello della travolgente Fresh-Garbage, il primo brano di questo album, che a sorpresa arriva anche al 31° posto della classifica di Billboard, con tutti i musicisti che lavoravano di fino, dal piano di Locke, alla batteria raffinata ed esplosiva al contempo del pelato Cassidy, con gli svolazzi e le accelerazioni della solista di Randy, tra intermezzi jazzati con il piano elettrico, e la voce a tratti filtrata di Ferguson a conferirle quei tratti psych peculiari. E la successiva Uncle Jack non è da meno, un altro brano rock trascinante con batteria e la chitarra raddoppiata di California sugli scudi, e le armonie vocali sognanti e quasi beatlesiane, una  vera meraviglia. Mechanical World, firmata da Ferguson con Andes, sempre con i tempi spezzati e complessi dettati dalla batteria di Cassidy, ha atmosfere quasi inquietanti, e le solite improvvise esplosioni della solista, oltre all’uso intelligente degli archi e alle tastiere di Locke che non sono solo un mero accompagnamento di sottofondo.

California scrive un solo pezzo, lo strumentale Taurus, ma ne parliamo ancora oggi, perché il brano, per usare un eufemismo, ha una “leggerissima “somiglianza con l’intro di Stairway To Heaven dei Led Zeppelin, qualche giudice ha negato il plagio ma, se non l’avete mai sentita, provate a verificare. Ferguson è anche autore della deliziosa Girl In Your Eye, con elementi psych e orientali, grazie ad una sitar guitar sinuosa, molto belle pure l’incalzante Straight Arrow , e Topanga Windows, sempre caratterizzate dai continui e repentini cambi di tempo , peculiarità delle loro canzoni ,con Randy alla slide (ricordiamo che California quando venne inciso questo album aveva 16 anni, ma era già un genio precoce). Gramophone Man, ancora splendida, è l’unico brano firmato collettivamente da tutti, mentre Water Woman e The Great Canyon Fire In General, altri due pezzi di Jay, sono forse, ma dico forse, gli unici due leggermente inferiori.

Prima del congedo con le volute tra jazz e psichedelia della lunga, oltre i dieci minuti, Elijah, scritta da John Locke, che conclude un disco magnifico che sfiora la perfezione. L’album è uscito varie volte in CD, l’ultima nel 2017, con diverse bonus tracks: Veruska, un vorticoso strumentale di California che replica anche con If I Had A Woman, lasciando a Locke la liquida Free Spirit e una alternativa Elijah. Un capolavoro assoluto.

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The Family That Plays Together – Ode 1968 ****

Alla fine dell’anno esce il secondo disco, forse complessivamente appena inferiore al primo omonimo, però contiene la celeberrima I Got A Line On You, il loro massimo successo come singolo, una canzone rock strepitosa  e perfetta scritta da Randy, con un riff e un gancio melodico indimenticabili: California che firma da solo o con altri membri della band altri quattro brani, con Locke la sognante It Shall Be, dove fa capolino anche il flauto, la delicata Darlin’ It, la acida It’s All The Same con il patrigno Ed Cassidy e la “strana” Jewish, lasciando a Ferguson i brani più garage-pysch-rock come Poor Richard, la delicata Silky Sam con arrangiamento orchestrale complesso, la dolce ballata Drunkard ancora con svolazzi orchestrali, forse a tratti superflui, e le canzoni conclusive, la raffinata e complessa Dream Within A Dream, un brano tipicamente à la Spirit, l’elettroacustica She Smiles e la pianistica Aren’t You Glad.

Nella ristampa in CD ci sono cinque bonus, tra cui spiccano So Little To Say, in cui Ferguson anticipa l’imminente svolta pop-rock con i Jo Jo Gunne, anche se la chitarra punge sempre e niente male anche lo strumentale di Locke Mellow Fellow, di nuovo con California che fa i numeri alla solista. Il disco arriva al 22° delle charts, un risultato che non verrà mai più raggiunto.

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Clear  – Ode 1969 ****

Ma la qualità dei dischi non dà segni di cedimento. Nel 1969 gli Spirit incidono anche la colonna sonora del film Model Shop, non pubblicata all’epoca, e di cui parliamo nella breve sezione finale dedicata ai dischi postumi. Venendo a Clear l’uno-due iniziale di  Dark Eyed Woman, altro brano coinvolgente a tutto riff e lo psych-garage di Apple Orchard, è da sballo, sempre con tutta la band su livelli stratosferici, sia strumentali che vocali, specialmente la chitarra incredibile di California nel secondo brano. So Litte Time To Fly è una delle canzoni che anticipano il futuro sound degli Spirit Mark II, quelli a guida Randy California, che la canta anche. Ground Hog ha qualche retrogusto blues-rock, sempre gagliarda e potente, con Cold Wind un’altra delle ballate sognanti e squisite di Ferguson, che firma anche lo strano dixie-rock futuribile e quasi dissonante di Policeman’s Ball. Sulla seconda facciata troviamo Ice di John Locke, che ricordo di aver letto ai tempi il critico Robert Christgau non apprezzò particolarmente, ma a me pare un buon strumentale, mentre eccellente è il pop-rock beatlesiano di Give A Life, Take A Life, scritta da Randy con il produttore Adler che forse gli dà pure dei tocchi vocali quasi alla Mamas and Papas.  I’m Truckin’ è una ennesima rock song vibrante alla Spirit di Locke, seguita da due strumentali Clear e Caught, diciamo non particolarmente memorabili, lasciando alla collettiva New Dope In Town il compito di risollevare il livello globale del disco.

Tra le bonus del CD la splendida 1984, che all’epoca fu pubblicata come singolo, altro brano rock memorabile di Randy California.

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Twelve Dreams of Dr. Sardonicus – Epic 1970 ****

Per l’ultimo grande album della band c’è un cambio di produttore (e di etichetta , esce Adler ed arriva David Briggs, che aveva appena lavorato nei primi dischi di Neil Young.  Tra le canzoni ce ne sono almeno tre o quattro ai livelli delle loro migliori: anche in questo caso astutamente poste in apertura del LP. Prelude-Nothin’ To Hide e l’ecologica ante litteram Nature’s Way, entrambe di California, sono due vere e proprie scariche di adrenalina rock, ma anche Ferguson contribuisce alla prima facciata con la ottima Animal Zoo e con la fiatistica Mr. Skin, anche la “strana” traccia psych rock Love Has Found A Way della coppia Locke/California ha un suo fascino. Space Child di Locke suona un po’incompiuta e velleitaria, lasciando alle due canzoni di Jay When I Touch You e Street Worm il compito di risollevare il livello qualitativo. E anche i tre brani conclusivi di Randy sono di eccellente qualità, la complessa Life Has Begun, l’immediata Morning Will Come e la ballatona Soldier. Viceversa in questo caso le bonus del CD, tutte alternative tracks mono sono ininfluenti.

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E qui si conclude la prima fase del gruppo; se non volete acquistare i primi quattro album, che comunque sono tutti imperdibili, potete optare per la doppia antologia Time Circle 1968-1972 **** uscita in CD nel 1991 e tuttora in produzione a prezzo speciale, 41 brani che sintetizzano alla perfezione il periodo magico degli Spirit, con i brani migliori dei 4 album, i due lati del singolo del 1969 e degli estratti da Motel Shop e Potato Land, oppure il box quintuplo del 2018 It Shall Be: The Ode & Epic Recordings 1968-1972 ****1/2, anche meglio come scelta.

Fine della prima parte, segue.

Bruno Conti

Sono Proprio Loro, Sono Tornati Ancora Una Volta, Ecco La Nona! Cold Chisel – Blood Moon

cold chisel blood moon

Cold Chisel – Blood Moon – CD Cold Chisel Music/Universal Australia – Deluxe Edition CD + DVD

Una premessa è d’obbligo, mi sono documentato e ho scoperto che dalla nascita di questo “blog”, stranamente e colpevolmente non ci siamo mai occupati di questa storica band australiana, i Cold Chisel: gruppo formatosi nel lontano 1978 per merito del carismatico leader Jimmy Barnes (avventura durata sette anni), e che poi si è riformato una prima volta dopo 14 anni per The Last Wave Of Summer (98), e di nuovo per No Plans (12), e The Perfect Crime (15), ritornano ora con questo nono lavoro in studio dal titolo romantico Blood Moon, uscito proprio sul finire dello scorso anno, e passato come sempre senza la giusta attenzione. L’attuale line-up della formazione si avvale sempre del grande Barnes, che si alterna alla voce con Ian Moss, anche alle chitarre, Phil Small al basso, Charley Drayton alla batteria, Don Walker alle tastiere, il produttore è Kevin Shirley (Joe Bonamassa, John Hiatt, lo stesso Barnes dei dischi solisti, che in questa veste è un cliente abituale del Blog) anche alle percussioni,con il determinante apporto delle coriste Juanita Tippins, Jade MacRae, e della figlia di Jimmy, Mahalia Barnes: ne risulta  il solito caratteristico ed energico “sound” dei Cold Chisel, che spazia da un trascinante rock classico a sfumature di blues, e non mancano ottime ballate.

Il CD parte e la traccia di apertura Getting The Band Back Together suona come i Cold  Chisel dei primi anni (o se volete anche il  Mellencamp più rock, e la band australiana c’era prima del Coguaro), con ottimi riff di chitarra e la voce condivisa di Barnes e Moss, mentre con la seguente Land Of Hope entriamo in un atmosfera più blues, cantata dalla voce arrabbiata di Jimmy e con un importante crescendo finale di chitarre, per poi passare al rock’n’roll classico di  Drive, scandita dalla batteria di Drayton e dalla chitarra di Moss https://www.youtube.com/watch?v=7cQq6aLQs3g . Con Killing Time si cambia ancora registro, una bella ballata introdotta da un pianoforte, e interpretata al meglio, con la solita grinta, da Barnes, per poi riproporre un altro solido blues-rock come I Hit The Wall, scritta da Walker insieme a Sonny Curtis (l’autore di I Fought The Law), con il suono brillante delle chitarre che vengono accompagnate dalla sezione ritmica, mentre la seguente e intrigante Boundary Street è uno dei punti salienti dell’album, una canzone da ascoltare in fumosi piano bar, accompagnata dai tasti lenti di un piano e da un sassofono sensuale, e naturalmente dalla grande voce di Jimmy, per poi passare alle sincopate cadenze musicali di Buried Treasure, forse il brano meno in sintonia con il resto del disco.

Con la sezione ritmica in primo piano di Accident Prone ci si avvia alla parte finale del lavoro,canzone a cui fa seguito la ritmata Someday con in evidenza i coretti soul in stile “Stax https://www.youtube.com/watch?v=EhxCQu_3-JQ ”, per andare a chiudere alla grande con una magnifica canzone d’amore come You Are So Beautiful, che ricorda in qualche lieve sfumatura un celebre brano di Clapton (ma Richard, il cantante australiano, anche se Eric ha in repertorio l’omonima canzone, quella di Billy Preston, resa famosa da Joe Cocker, e negli show di Manolenta cantata da Paul Carrack). Il DVD accluso presenta le tracce video di quattro brani, Getting The Band Back Together, Killing Time, You Are So Beautiful, Drive, e una galleria fotografica che aggiunge poco o nulla, ma se riuscite a trovare le versione deluxe può essere utile averla, benché già sia difficile trovare la versione standard, uscita solo down under.

I Cold Chisel sono stati e forse lo sono ancora oggi, la classica rock band australiana da pub e palchi di città poco conosciute, ma suonando un sano rock-blues ispirato alle band degli anni ’70 (Led Zeppelin e Deep Purple in primis), diventarono tra il 1978 e 1983 la band più popolare di Australia sia come vendite di dischi (oltre sei milioni solo in patria), sia come concerti tenuti in giro per il continente. Per il sottoscritto i Cold Chisel di Jimmy Barnes avranno sempre un posto di rilievo nella storia della musica australiana (in compagnia di Midnight Oil, Triffids, Black Sorrows, Church, Crowded House Inxs e Paul Kelly trai più noti, mentre tra i meno noti ricordo gente come Powderfinger, Blackeyed Susans, Radio Birdman), e comunque questo nuovo disco Blood Moon può essere un’occasione per avvicinarsi (per chi ancora non li conosce) alla loro musica, tutti gli altri fans invece sanno benissimo cosa fare. NDT: Ribadisco il concetto: purtroppo, come molti altri CD che arrivano dal continente Australiano, in pratica tutti, sono costosi e di difficile reperibilità, ma credetemi alla fine ne vale la pena. Per cui, cercate gente, cercate!

Novità Prossime Venture 2020 2. The Allman Brothers Band Trouble No More 50th Anniversary Collection 5CD box Set: Esce Il 28 Febbraio, Il Solito Anniversario, “Tardivo” Ma Gradito.

allman brothers trouble no more 50th anniversary collection

The Allman Brothers Band – Trouble No More: 50th Anniversary Collection – 5CD box set – Mercury/Universal – 28-02-2020

Il tardivo nel titolo del Post si riferisce al fatto che il 50° Anniversario sarebbe dovuto coincidere con l’effettiva nascita degli Allman Brothers, quindi con una jam session avvenuta nel marzo del 1969 a Jacksonville, Florida, senza Gregg Allman, ma con la presenza di Reese Wynans (futuro Double Trouble) alle tastiere, che però lascia subito il gruppo. Poco più di un mese dopo, il 1° di maggio, si trasferiscono, dopo il rientro in Florida avvenuto nel frattempo di Gregg, la band si trasferisce a Macon, Georgia, dove vengono messi sotto contratto per la nascente Capricorn Records di Phil Walden, e a novembre viene pubblicato il loro primo omonimo album. Ma questa è una storia raccontata mille volte. Era solo per ricordare che ancora una volta la data di uscita di questo cofanetto viene scelta in modo arbitrario, ma come abbiamo detto è ormai solo un optional per le case discografiche.

Quello che interessa è il fatto che per la prima volta questa è una antologia multilabel, ovvero raccoglie materiale di tutte le etichette per cui hanno inciso gli Allman Brothers nella loro storia: Capricorn, Arista, Epic e Peach Records. C’è da dire che gli inediti di questo cofanetto non sono molti, 7 in totale su 61 brani, anche perché, a partire da Dreams, il primo box uscito nel 1989 e passando per tutte le varie ristampe potenziate dei dischi uscite negli anni successivi, di materiale inedito e raro ne è uscito veramente tantissimo, comunque qualche chicca c’è anche questa volta, benché per impossessarsene bisognerà scucire indicativamente una cifra superiore ai 60 euro: in ogni caso come si vede dall’immagine ad inizio Post, molto bella la confezione, con libretto di 88 pagine che attraverso un saggio di John Lynskey e diverse foto inedite e memorabilia, traccia la storia del gruppo.

Ecco brevemente gli “inediti”: il primo demo di Trouble No More registrato nel 1969 e stranamente mai pubblicato prima, poi c’è una rara e lunghissima (23 minuti) Mountain Jam tratta dal concerto tenuto a Watkins Glen nel 1973, e cioé quella eseguita insieme ai Grateful Dead e a membri della Band. Dovrebbe essere questa.

E ancora I’m Not Crying (Live at the Beacon Theatre), dai tanti concerti tenuti nel famoso Teatro di New York negli anni ’90. Dalla stessa location sono tratti anche 4 tracce presenti nell’ultimo CD, quello dei Peach Years 2000-2014, tra i quali la rarissima Loan Me A Dime (penso nella versione che vedete sotto in due parti) il brano di Boz Scaggs dal suo album omonimo del 1969 (a proposito di anniversari mancati) in cui era presente Duane Allman alla chitarra, per un assolo leggendario; Desdemona, Blue Sky Little Marta completano i brani dal vivo inediti. Comunque, come al solito, ecco la lista completa dei contenuti del cofanetto.

[CD1: The Capricorn Years 1969 – 1979 Part I]
1. Trouble No More (Demo)*
2. Don’t Want You No More
3. It’s Not My Cross To Bear
4. Dreams
5. Whipping Post
6. I’m Gonna Move To The Outskirts Of Town (Live At Ludlow Garage)
7. Midnight Rider
8. Revival
9. Don’t Keep Me Wonderin’
10. Hoochie Coochie Man
11. Please Call Home
12. Statesboro Blues (Live At Fillmore East)
13. Stormy Monday (Live At Fillmore East)
14. In Memory Of Elizabeth Reed (Live At Fillmore East)

[CD2: The Capricorn Years 1969 – 1979 Part II]
1. One Way Out (Live At Fillmore East)
2. You Don’t Love Me / Soul Serenade (Live At A&R Studios)
3. Hot ‘Lanta (Live At A&R Studios)
4. Stand Back
5. Melissa
6. Blue Sky
7. Ain’t Wastin’ Time No More (Live At Mar Y Sol)
8. Wasted Words
9. Ramblin’ Man
10. Southbound
11. Jessica
12. Early Morning Blues (Outtake)

[CD3: The Capricorn Years 1969 – 1979 Part III / The Arista Years 1980 – 1981]
1. Come And Go Blues (Live At Watkins Glen)
2. Mountain Jam (Live At Watkins Glen)*
3. Can’t Lose What You Never Had
4. Win, Lose Or Draw
5. High Falls
6. Crazy Love
7. Can’t Take It With You
8. Pegasus
9. Just Ain’t Easy (Live At Merriweather Post Pavilion)
10. Hell & High Water
11. Angeline
12. Leavin’
13. Never Knew How Much (I Needed You)

[CD4: The Epic Years 1990 – 2000]
1. Good Clean Fun
2. Seven Turns
3. Gambler’s Roll
4. End Of The Line
5. Nobody Knows
6. Low Down Dirty Mean (Live At The Beacon Theatre)
7. Come On Into My Kitchen (Live At Radio & Records Convention)
8. Sailin’ ‘Cross The Devil’s Sea
9. Back Where It All Begins
10. Soulshine
11. No One To Run With
12. I’m Not Crying (Live At The Beacon Theatre)*

[CD5: The Peach Years 2000 – 2014]
1. Loan Me A Dime (Live At World Music Theatre)*
2. Desdemona (Live At The Beacon Theatre)*
3. High Cost Of Low Living
4. Old Before My Time
5. Blue Sky (Live At The Beacon Theatre)*
6. Little Martha (Live At The Beacon Theatre)*
7. Black Hearted Woman (Live At The Beacon Theatre)
8. The Sky Is Crying (Live At The Beacon Theatre)
9. “Farewell” Speeches (Live At The Beacon Theatre)
10. Trouble No More (Live At The Beacon Theatre)

* Previously Unreleased

Il tutto è prodotto da Bill Levenson, John Lynskey e Kirk West e ne uscirà anche una versione in 10 LP. Per festeggiare l’evento, il 10 marzo si terrà un concerto al Madison Square Garden di New York, dove la band denominata The Brothers eseguirà una scelta di brani del repertorio degli ABB: formazione per l’occasione Jaimoe, Warren Haynes, Derek Trucks, Oteil Burbridge, Marc Quinones, più Reese Wynans Duane Trucks (in rappresentanza del babbo Dickey) e come ospite Chuck Leavell.

Per il momento è tutto, poi al momento dell’uscita ci ritorniamo.

Bruno Conti