Un Piacevole “Scherzetto” Da Parte Dello Zio Bob: Il 26 Febbraio Esce Il Triplo “ Bob Dylan 1970”.

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Bob Dylan – 1970 – Sony 3CD 26/02/2021

A partire dal 2012, con cadenza annuale, la Sony ha immesso a sorpresa una serie di album multipli, inizialmente in LP e poi in CD, che riguardavano tutto ciò di inedito a livello di sessions che Bob Dylan aveva inciso 50 anni prima, allo scopo di proteggere il copyright (che in Europa scade appunto dopo mezzo secolo) e di evitare il proliferare di bootleg che altrimenti sarebbero stati perfettamente legali. Il problema che queste pubblicazioni non sono state pensate per una commercializzazione su larga scala, e quindi vengono immesse senza alcun battage pubblicitario, sempre verso fine anno ed in pochissimi negozi inglesi, francesi e se non sbaglio anche olandesi, diventando in breve degli ambitissimi oggetti da collezione e raggiungendo cifre da capogiro su Ebay. Ciò è avvenuto appunto nel 2012, 2013 e 2014 (rispettivamente per gli anni 1962, 1963 e 1964), mentre per il bienno 1965-66 ci hanno pensato la versione limitata “Big Blue” del dodicesimo episodio delle Bootleg Series dylaniane The Cutting Edge ed il “cubo” con le registrazioni complete del tour del 1966. Stessa cosa per i Basement Tapes, riepilogati nel Bootleg Series Vol. 11, mentre le poche sessions inedite di John Wesley Harding sono finite lo scorso anno in Travelin’ Thru insieme a quelle di Nashville Skyline (con e senza Johnny Cash) ed in parte Self Portrait.

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Nel 2019 però è ricominciata la prassi di far uscire senza preavviso la Copyright Collection (e dallo scorso anno pochissime copie sono state messe in vendita anche sul sito inglese Badlands) con tutte le sessions del 1969 che non erano finite su Travelin’ Thru e su Another Self Portrait, un dischetto interessante ma forse non indispensabile dal momento che il meglio era già stato pubblicato. Quest’anno è successo ancora, ma a differenza del 1969 le sessions del 1970 erano ancora per certi versi inesplorate, in quanto vertevano più che altro sull’album New Morning che era stato appena sfiorato dai Bootleg Series passati (anche se non manca ancora qualcosa da Self Portrait), ma soprattutto c’erano le nove canzoni incise il primo maggio insieme a George Harrison, una sessione più volte mitizzata e piratata. Inutile dire che sul sito della Badlands il triplo CD (72 canzoni), messo in commercio di punto in bianco lo scorso 30 novembre, è andato esaurito praticamente in due minuti, ma dato l’alto interesse musicale oltre che collezionistico della pubblicazione (che vede Dylan reincidere anche brani del suo periodo folk ed affrontare gustose ed inattese cover) in questa occasione le quotazioni su Ebay hanno toccato livelli di assoluta follia, partendo da basi d’asta di circa 500 euro fino ad arrivare a chiusure che si aggiravano sui duemila euro. La cosa deve aver attirato non poco l’attenzione della Sony (e forse dello stesso Dylan), in quanto con una mossa senza precedenti pochi giorni fa è stata annunciata l’uscita per il prossimo 26 febbraio di 1970, una versione della Copyright Collection disponibile su larga scala e con una nuova copertina, un evento abbastanza unico e per certi versi insperato dal momento che non farà parte delle Bootleg Series ma rimarrà un episodio a sé stante (ed il tempo ci dirà se sarà il primo di una nuova serie).

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E’ ovvio che il pensiero, non senza una punta di perfida soddisfazione, è andato verso quelli che hanno investito un capitale per accaparrarsi la versione “limitata” qui sopra, ed ora la vedono alla portata di tutti per la modica cifra di circa 30 euro, ma più ancora avrei voluto vedere la faccia di quelli che avevano ancora in essere una scommessa su Ebay e magari alla scadenza sono riusciti a vincerla essendo così costretti a strapagare una cosa che fra due mesi avrebbero potuto avere con il costo di una cena in pizzeria per due persone. E per aggiungere un’ulteriore beffa, 1970 conterrà due canzoni in più della versione del copyright! Ma entriamo nel dettaglio della pubblicazione. Come ho scritto poc’anzi, il grosso di queste sedute riguarda l’album New Morning che uscirà verso la fine del ‘70, ma alcune cose faranno in tempo a finire (non in queste versioni) su Self Portrait ed altre ancora come Lily Of The West, Spanish Is The Loving Tongue, l’hit di Elvis Presley Can’t Help Falling In Love e Sarah Jane verranno inserite sull’album “rinnegato” Dylan (ma qui abbiamo comunque takes alternate). Nei vari momenti suonano con Bob diversi musicisti di nome: nelle sessions di marzo troviamo David Bromberg alla chitarra e Al Kooper all’organo, che torneranno a giugno con una nuova sezione ritmica formata da Charlie Daniels al basso e Russ Kunkel alla batteria (con Ron Cornelius come chitarrista aggiunto).

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E poi c’è la già citata seduta del primo maggio, con Harrison alla solista https://www.youtube.com/watch?v=EKEGgIfIrUE&feature=emb_logo  e dietro le spalle Daniels e Kunkel (oltre al produttore Bob Johnston al piano): dopo un breve rehersal di Time Passes Slowly, Bob e George si divertono a suonare cose per il puro piacere di farlo, dato che era chiaro che il nuovo album non avrebbe avuto al suo interno nuove riletture full band di classici dylaniani della prima ora come Mama, You’ve Been On My Mind, It Ain’t Me, Babe, One Too Many Mornings e Gates Of Eden, né l’uno-due di brani di Carl Perkins (di cui George era grande fan) Matchbox e Your True Love, l’evergreen degli Everly Brothers All You Have To Do Is Dream o addirittura un divertente medley di due hit delle “girl groups” Shirelles e Crystals I Met Him On A Sunday/Da Doo Ron Ron. Ma oltre a Harrison c’è molto di più, e forse la parte meno interessante sono proprio le takes alternate dei brani di New Morning (con l’eccezione di If Not For You, della quale c’erano versioni migliori di quella poi finita sul disco originale), in quanto Bob si lancia in godibili riletture di canzoni che non ti aspetti da lui come Yesterday dei Beatles (sempre il primo maggio ma senza George), I Forgot To Remember To Forget di Elvis, Cupid di Sam Cooke, Universal Soldier di Buffy Sainte-Marie, Jamaica Farewell di Harry Belafonte ed Alligator Man di Jimmy C. Newman, quest’ultima in due gustose versioni, una rock’n’roll ed una country.

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Detto di un paio di strumentali senza titolo, più un riscaldamento che brani veri e propri, e della ripresa di altre canzoni passate del songbook dylaniano (Just Like Tom Thumb’s Blues, Rainy Day Women # 12 & 35, I Don’t Believe You, I Threw It All Away, Tomorrow Is A Long Time e perfino Song To Woody), una buona parte del triplo è occupata dalle versioni da parte di Bob di pezzi della tradizione ed altri che lo sono diventati, con menzioni particolari per Come All You Fair And Tender Ladies, Little Moses, Long Black Veil, ed il gospel Bring Me Little Water, Sylvie. Il triplo si chiude con tre canzoni prese da una session abbastanza misteriosa del 12 agosto con Buzzy Feiten alla chitarra e tutti gli altri musicisti sconosciuti, che comprende due ulteriori If Not For You e la non imperdibile Day Of The Locusts. Devo dire che la Sony e Bob Dylan hanno fatto bene a decidere di rendere queste sessioni disponibili al grande pubblico: 1970 è un triplo album perfetto per accompagnare Travelin’ Thru del 2019, e mette la parola fine alle prolifiche sedute del biennio 1969-70.

Ecco la lista completa delle canzoni, dei musicisti e degli autori dei brani presenti nel triplo CD.

[CD1]

March 3, 1970

I Can’t Help but Wonder Where I’m Bound
Universal Soldier – Take 1
Spanish Is the Loving Tongue – Take 1
Went to See the Gypsy – Take 2
Went to See the Gypsy – Take 3
Woogie Boogie

March 4, 1970
Went to See the Gypsy – Take 4
Thirsty Boots – Take 1

March 5, 1970
Little Moses – Take 1
Alberta – Take 2
Come All You Fair and Tender Ladies – Take 1
Things About Comin’ My Way – Takes 2 & 3
Went to See the Gypsy – Take 6
Untitled 1970 Instrumental #1
Come a Little Bit Closer – Take 2
Alberta – Take 5

Bob Dylan – vocals, guitar, piano
David Bromberg – guitar, dobro, bass
Al Kooper – organ, piano
Emanuel Green – violin
Stu Woods – bass
Alvin Rogers – drums
Hilda Harris, Albertine Robinson, Maeretha Stewart – background vocals

May 1, 1970
Sign on the Window – Take 2
Sign on the Window – Takes 3-5
If Not for You – Take 1
Time Passes Slowly – Rehearsal
If Not for You – Take 2
If Not for You – Take 3
Song to Woody – Take 1
Mama, You Been on My Mind – Take 1
Yesterday – Take 1

[CD2]

Just Like Tom Thumb’s Blues – Take 1
Medley: I Met Him on a Sunday (Ronde-Ronde)/Da Doo Ron Ron – Take 1
One Too Many Mornings – Take 1
Ghost Riders in the Sky – Take 1
Cupid – Take 1
All I Have to Do Is Dream – Take 1
Gates of Eden – Take 1
I Threw It All Away – Take 1
I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have Met) – Take 1
Matchbox – Take 1
Your True Love – Take 1
Telephone Wire – Take 1
Fishing Blues – Take 1
Honey, Just Allow Me One More Chance – Take 1
Rainy Day Women #12 & 35 – Take 1
It Ain’t Me Babe
If Not for You
Sign on the Window – Take 1
Sign on the Window – Take 2
Sign on the Window – Take 3

Bob Dylan – vocals, guitar, piano, harmonica
George Harrison – guitar, vocals (Disc 1, Tracks 20 & 24 and Disc 2, Tracks 2-3, 6-7, 10-11, & 16)
Bob Johnston – piano (Disc 1, Tracks 24-25 and Disc 2, Tracks 1-3)
Charlie Daniels – bass
Russ Kunkel – drums

June 1, 1970
Alligator Man
Alligator Man [rock version]
Alligator Man [country version]
Sarah Jane 1
Sign on the Window
Sarah Jane 2

[CD3]

June 2, 1970
If Not for You – Take 1
If Not for You – Take 2

June 3, 1970
Jamaica Farewell
Can’t Help Falling in Love
Long Black Veil
One More Weekend

June 4, 1970
Bring Me Little Water, Sylvie – Take 1
Three Angels
Tomorrow Is a Long Time – Take 1
Tomorrow Is a Long Time – Take 2
New Morning
Untitled 1970 Instrumental #2

June 5, 1970
Went to See the Gypsy
Sign on the Window – stereo mix
Winterlude
I Forgot to Remember to Forget 1
I Forgot to Remember to Forget 2
Lily of the West – Take 2
Father of Night – rehearsal
Lily of the West

Bob Dylan – vocals, guitar, piano, harmonica
David Bromberg – guitar, dobro, mandolin
Ron Cornelius – guitar
Al Kooper – organ
Charlie Daniels – bass, guitar
Russ Kunkel – drums
Background vocalists unknown

August 12, 1970
If Not for You – Take 1
If Not for You – Take 2
Day of the Locusts – Take 2

Bob Dylan – vocals, guitar, harmonica
Buzzy Feiten – guitar
Other musicians unknown

March 3-5 and May 1, 1970 sessions took place at Studio B, Columbia Recording Studios, New York City, New York
June 1-5 and August 12, 1970 sessions took place at Studio E, Columbia Recording Studios, New York City, New York

All songs written by Bob Dylan, except: “I Can’t Help but Wonder Where I’m Bound” by Tom Paxton; “Universal Soldier” by Buffy Sainte-Marie; “Spanish Is the Loving Tongue,” “Alberta,” “Come All You Fair and Tender Ladies,” “Things About Comin’ My Way,” “Fishing Blues,” “Honey, Just Allow Me One More Chance,” “Bring Me Little Water, Sylvie,” “Lily of the West” traditional, arranged by Bob Dylan; “Little Moses” by A.P. Carter; “Thirsty Boots” by Eric Andersen; “Come a Little Bit Closer” by Tommy Boyce, Bobby Hart, and Wes Farrell; “Yesterday” by John Lennon and Paul McCartney; “I Met Him on a Sunday (Ronde-Ronde)” by Shirley Owens, Beverly Lee, Addie Harris, and Doris Coley; “Da Doo Ron Ron” by Phil Spector, Jeff Barry, and Ellie Greenwich; “Ghost Riders in the Sky” by Stan Jones; “Cupid” by Sam Cooke; “All I Have to Do Is Dream” by Boudleaux Bryant; “Matchbox” and “Your True Love” by Carl Perkins; “Alligator Man” by Jimmy C. Newman and Floyd Chance; “Jamaica Farewell” by Irving Burgie; “Can’t Help Falling in Love” by Hugo Peretti, Luigi Creatore, and George David Weiss; “Long Black Veil” by Marijohn Wilkin and Danny Dill; and “I Forgot to Remember to Forget” by Charlie Feathers and Stan Kesler.

Produced for release by Jeff Rosen and Steve Berkowitz
Sessions originally produced by Bob Johnston

Marco Verdi

Jimi Hendrix – 50 Years Live, Parte I

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Il 18 settembre del 1970, poco più di 50 anni fa, Jimi Hendrix moriva a Londra nel Samarkand Hotel, anche lui uno del Club dei 27, per una probabile intossicazione da barbiturici (ma il fatto non è stato mai chiarito con certezza). Ma per questa retrospettiva, in contemporanea con l’uscita di Live At Maui, di cui leggete la recensione in altra parte del Blog https://discoclub.myblog.it/2020/11/19/uno-anzi-due-degli-ultimi-grandi-concerti-della-sua-carriera-jimi-hendrix-live-in-maui/ , vorrei occuparmi in parole, musica ed immagini, come esplicita anche il titolo, di cinquanta anni di musica dal vivo del mancino di Seattle, sicuramente il più grande chitarrista di tutti i tempi, ma anche un performer tra i più straordinari espressi dalla musica rock, e vogliamo ricordarlo attraverso i suoi dischi Live più importanti, praticamente (quasi) tutti pubblicati postumi, proprio dal 1970 in avanti. La storia di Hendrix è nota, come pure la sua discografia di studio, tre dischi in tutto, ma che dischi, Are You Experienced?, Axis: Bold As Love e Electric Ladyland, pubblicati nel biennio 1967-1968, album formidabili, vere pietre miliari che hanno cambiato la storia della chitarra elettrica e del rock tout court. Nello stesso periodo, anzi già dal 1966, Hendrix iniziava anche la sua parabola concertistica, con esibizioni in giro per il mondo, che però, come appena ricordato, vedranno la luce per la maggior parte solo a livello postumo e negli anni ‘60, a livello ufficiale, non verrà pubblicato nulla.

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Pubblicazioni Del 1970

Nell’ultimo anno di vita di Hendrix, però escono alcuni dischi epocali, il primo ad uscire, il 25 marzo, è il famoso Band Of Gypsys,il concerto dal vivo registrato tra il 31 dicembre del 1969 e il 1° gennaio del 1970, quattro esibizioni pubblicate poi nel corso delle decadi in svariate versioni, che partendo dal disco singolo originale sono culminate lo scorso anno con il colossale

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Songs For Groovy Children: The Fillmore East Concerts – 2019 5CD Sony Legacy ****1/2

un box set bellissimo dove sono raccolte 43 canzoni suonate nelle due serate, anche se ne mancano cinque dal totale di quelle eseguite, e una è stata abbreviata per apparire nel cofanetto, ma comunque siamo di fronte a una spettacolare dimostrazione complessiva di forza ed eleganza del trio di Jimi Hendrix, Billy Cox e Buddy Miles https://www.youtube.com/watch?v=8c7hPSPHlwY . Se volete saperne di più trovate l’articolo completo qui https://discoclub.myblog.it/2019/12/02/cofanetti-autunno-inverno-11-dopo-quasi-50-anni-le-due-strepitose-serate-della-banda-degli-zingari-al-completo-jimi-hendrix-songs-for-groovy-people-the-fillmore-east-conc/ .

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Il 27 di maggio esce il triplo vinile Woodstock: Music from the Original Soundtrack and More 3LP Atlantic Cotillion 1970****, con Hendrix che appare in 3 brani estrapolati dalla sua esibizione del mattino del 18 agosto 1969 https://www.youtube.com/watch?v=4TgbWOy6Buk , e poi nel corso degli anni, nelle varie edizioni che si sono susseguite e culminate con il megabox da 38 CD Woodstock – Back to the Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive, dove però mancano due canzoni del set completo di Jimi perché la famiglia non ha concesso i diritti, mentre in quella da 10 CD addirittura ci sono solo tre brani. Se volete la leggendaria esibizione completa dovete cercare

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Jimi Hendrix – Live At Woodstock – 2019 2 CD Sony Legacy **** oppure il doppio DVD o Blu-Ray singolo, con la parte video e con una durata di oltre tre ore e mezza https://www.youtube.com/watch?v=TKAwPA14Ni4 , di cui però non so dirvi se sia ancora in produzione.

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Il 26 agosto in comproprietà con Otis Redding, esce il famoso Historic Performances Recorded at the Monterey International Pop FestivalReprise 1970 *****. Un vinile, con una facciata per ciascuno, registrato nel giugno 1967, solo quattro canzoni per Hendrix, che però fa la storia con due epocali versioni di Like A Rolling Stone di Bob Dylan e Wild Thing dei Troggs https://www.youtube.com/watch?v=E2aQ4gVsSL8 , immortalate anche nel famoso documentario di D.A Pennebaker Monterey Pop, dove la chitarra suonata dietro la schiena, con i denti e alla fine incendiata è entrata nella iconografia della musica rock, oltre ad essere una performance di grande fascino, con il giovane ed ancora poco conosciuto negli USA Jimi che incanta il pubblico presente. Anche di questo se volete esiste l’esibizione completa come

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Live At Monterey (The Definitive Edition) – 2014/2017 CD DVD o Blu-Ray Sony Experience Hendrix Legacy ****1/2 l’Ideale sarebbero le versioni in DVD o Blu-Ray che hanno parecchi extra https://www.youtube.com/watch?v=fe82eYRjiBU , tre documentari aggiunti, e una parte supplementare dal vivo con due brani registrati a Chelmsford in Inghilterra, Like A Rolling Stone e Stone Free, da un concerto del 25 febbraio 1967, la data più antica conosciuta di una ripresa audio e video della Jimi Hendrix Experience.

Pubblicazioni del 1971

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Ad Aprile esce Woodstock Two, il doppio vinile, sempre Atlantic Cotilion, con altre tre canzoni dell’esibizione al Festival. Ad agosto esce Experience – Ember Records ***1/2, con 4 pezzi registrati alla Royal Albert Hall di Londra il 24 febbraio del 1969, il seguito More Experience uscirà a marzo del 1972. Mettendo insieme i due si ottiene il film dello stesso titolo, di provenienza dubbia: comunque al concerto londinese parteciparono anche Chris Wood e Dave Mason dei Traffic, e durante la serata venne eseguita Sunshine Of Your Love dei Cream.

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Ad ottobre esce il triplo vinile Isle Wight/Atlanta Pop Festival – 1971 Columbia ****, che comprende nella parte dell’Isola di Wight tre canzoni di Hendrix. Anche in questo caso, passando per varie edizioni uscite nel corso del tempo si arriva a Blue Wild Angel: Live at the Isle of Wight – 2002/2014 Sony Experience Hendrix Legacy **** 2CD oppure DVD, dove, stranamente (ma con la case discografiche non c’è mai da fidarsi molto) nel doppio CD ci sono 18 brani e nel video 15, anche se ne esisterebbe una edizione Sound And Vision che raccoglie entrambi i formati. Si tratta dell’ultima esibizione di Jimi in terra d’Albione il 31 agosto del 1970, tre settimane prima della morte. Un altro dei concerti all’inizio non considerati tra i migliori e poi rivalutato nel corso del tempo: ci sono versioni dell’inno nazionale inglese God Save The Queen, seguita dal breve “inno non ufficiale” Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, All Along The Watchtower, tanto sua quanto di Bob Dylan, nonché una ciclopica versione di oltre 22 minuti di Machine Gun, dove a un certo punto si sente una interferenza dei walkie-talkie del servizio sicurezza  .

Pubblicazioni del 1972

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Nel corso dell’anno, oltre al citato More Experience, esce anche Hendrix In The West – 1972LP – 1988 CD Polydor/ 2011 Hendrix Experience ****1/2, a mio parere uno tra i più belli dei dischi postumi dal vivo pubblicati nella discografia di Jimi, che ho consumato sia nella versione in vinile che poi in quella in CD https://www.youtube.com/watch?v=eZQOnynN2G8&t=72s . Peccato che nella sequenza delle ristampe la tracklist sia stata ritoccata alcune volte, pur non essendo mai stata molto chiara la esatta provenienza delle canzoni, otto in tutto, una sorta di greatest hits di Hendrix dal vivo, compilato e prodotto all’epoca da Eddie Kramer, con tre brani dal Berkeley Community Theatre del maggio 1970, due dall’Isola di Wight, uno, o forse tre, dalla San Diego Sports Arena nel maggio 1969, ma due probabilmente erano alla Royal Albert Hall nel febbraio 1969, una ferocissima versione di Voodoo Child (Slight Return) e una sublime di Little Wing, dove nella coda del brano Jimi, in modalità wah-wah fa “parlare” dolcemente la sua chitarra, nella versione secondo me più bella mai registrata di questa canzone stupenda, sempre a mio parere, una delle più belle di tutti i tempi (non solo tra quelle di Hendrix). *NDB La versione, peraltro di grande fascino, che ogni tanto vi capita di ascoltare in qualche spot pubblicitario è quella di Stevie Ray Vaughan https://www.youtube.com/watch?v=An4uDegHB8s . Tra le chicche di In The West anche una lunga Red House, pure questa superba. Per scrivere questo articolo mi sono andato a riascoltare tutti i CD della produzione di Hendrix e oltre ad essere stato un piacere immenso, mi sono reso conto ancora una volta della genialità unica di questo musicista.

Fine prima parte, segue.

Bruno Conti

Né Disco Nuovo Né Ristampa: Solo Grandissima Musica! Dave Alvin – From An Old Guitar

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Dave Alvin – From An Old Guitar: Rare And Unreleased Recordings – Yep Roc CD

Sono ormai diversi anni che Dave Alvin non ci regala un nuovo album di inediti, e per l’esattezza da Eleven Eleven del 2011, peraltro uno dei suoi lavori migliori https://discoclub.myblog.it/2011/07/04/elementare-watson-undici-album-undici-canzoni-dave-alvin-ele/ . Non è però che in questi nove anni l’ex chitarrista e principale compositore dei Blasters se ne sia stato con le mani in mano, dal momento che ha pubblicato due dischi di cover insieme al fratello Phil e, nel 2018, il riuscito Downey To Lubbock in partnership con Jimmie Dale Gilmore https://discoclub.myblog.it/2018/06/11/la-non-poi-cosi-tanto-strana-coppia-funziona-alla-grande-dave-alvin-jimmie-dale-gilmore-downey-to-lubbock/ . E quest’anno è uscito anche un altro ottimo disco https://discoclub.myblog.it/2020/03/06/un-dave-alvin-diverso-ma-sempre-notevole-the-third-mind/ . Ora il musicista californiano torna tra noi con From An Old Guitar, il cui sottotitolo Rare And Unreleased Recordings lascia capire che anche questa volta non siamo di fronte ad una proposta nuova di zecca, ma nello specifico ad una raccolta di brani pubblicati in passato ma di difficile reperibilità.

Infatti tra i sedici pezzi del disco troviamo canzoni provenienti da tribute albums da tempo fuori catalogo, brani pubblicati solo in forma “liquida” (e quindi mai in CD) ed anche due inediti assoluti. Un po’ come aveva fatto a fine 2018 John Mellencamp con Other People’s Stuff, che però era troppo breve (mentre From An Old Guitar dura 67 minuti) e raccoglieva diversi brani non così rari. Alvin è un grandissimo musicista, uno dei paladini del genere Americana, ed il bello del CD di cui mi accingo a parlare è che ha un’unitarietà ed una compattezza, oltre ad essere splendido, che lo fanno sembrare proprio un disco nuovo e non un collage di incisioni passate. From An Old Guitar è composto principalmente da cover (i brani originali sono solo tre), ed è un fantastico mix di rock’n’roll, folk, parecchio blues, country e ballate, tutti generi in cui Dave è in grado di dire la sua in maniera più che autorevole sia che si esibisca in veste acustica sia a capo di una rock band.Nelle varie canzoni troviamo qua e là membri dei Guilty Men e delle Guilty Women, l’ex sezione ritmica dei Blasters John Bazz e Bill Bateman, l’amico Chris Gaffney, scomparso ormai da diversi anni, gli abituali collaboratori Greg Leisz e Rick Shea oltre a luminari come Bill Frisell, i bassisti Dave Roe e Bob Glaub, il pianista Gene Taylor e l’ex BR5-49 Chuck Mead.

I pezzi meno rari dell’album sono due canzoni tratte dall’edizione “expanded” di Eleven Eleven (entrambe scritte da Alvin), ovvero il travolgente boogie chitarristico Beautiful City ‘Cross The River, con la fisarmonica di Skip Edwards che crea un accattivante contrasto sonoro (ma sentite che due assoli che piazza Dave) ed il sinuoso ma solido blues elettrico Signal Hill Blues, suonato in maniera molto classica con due chitarre, basso e batteria. Cinque pezzi sono presi da vari tributi, a partire da Link Of Chain di Chris Smither, sontuosa ballata in bilico tra country e blues con uno splendido interplay chitarristico tra l’acustica di Dave e la slide di Danny Ott ed un motivo di prima scelta. Amanda di Waylon Jennings (ma scritta da Bob McDill) è rifatta in perfetto stile valzerone texano, cantata alla grande e suonata anche meglio, Mobile Blue (Mickey Newbury) è puro country-rock elettrico dal ritmo spedito e melodia diretta e coinvolgente, molto Blasters, mentre la folkeggiante e cristallina On The Way Downtown di Peter Case è uno dei tanti momenti magici di un disco che è un piacere continuo: Gaffney si unisce a Dave nel ritornello ed il brano viaggia spedito che è una meraviglia.

Il quinto ed ultimo brano tratto da un tributo è il formidabile rockin’ country Dynamite Woman, un classico di Doug Sahm che Alvin fa suo con una performance decisamente contagiosa. Ed ecco una delle parti più interessanti del CD, vale a dire sette pezzi pubblicati solo sul sito web della Yep Roc e quindi mai prima di oggi in formato fisico: si parte con un’ottima rilettura del classico di Bob Dylan Highway 61 Revisited, con Dave che usa il talkin’ alla John Lee Hooker (e la sua voce baritonale aggiunge fascino), mentre la parte strumentale tra blues e boogie è una goduria. Variations On Earl Hooker’s Guitar Rumba è uno strepitoso strumentale dal ritmo latineggiante scritto dal musicista citato nel titolo, con un sublime assolo pianistico di Joe Terry subito doppiato dalla fisa di Gaffney e Dave che ci regala fraseggi che sembrano uscire da una revue degli anni 50, al punto che mi aspetto quasi l’entrata della voce di Raul Malo da un momento all’altro. Albuquerque, di Papa Link Davis, è rifatta in puro spirito rock’n’roll con il nostro che va giù dritto di wah-wah ben sostenuto da una ritmica granitica ed un’armonica bluesy.

Perdido Street Blues (antico brano dei New Orleans Wanderers scritto da Lil Hardin, seconda moglie di Louis Armstrong) è un altro strumentale godurioso e swingatissimo, con prestazioni superbe di Dave alla chitarra, Taylor al piano e Leisz alla steel, un divertimento unico sia per loro che suonano che per noi che ascoltiamo; Krazy And Ignatz, terza ed ultima canzone composta da Alvin, è uno splendido duetto blues ancora strumentale tra la national guitar del leader ed il dobro di Cindy Cashdollar. Chiudono i sette brani pubblicati per la prima volta su CD una cadenzata e sanguigna rilettura del blues di Willie Dixon Peace ed una ripresa di Man Walks Among Us di Marty Robbins in veste di moderna western ballad. Dulcis in fundo, ecco i due inediti assoluti: Inside è la toccante cover di un brano dello scomparso Bill Morrissey, un pezzo fluido e disteso che dimostra la bravura di Dave anche in veste di balladeer, mentre Who’s Been Here è un duetto tra Alvin e Christy McWilson su un vecchio blues di Bo Carter trasformato in un trascinante country’n’roll con chitarre e dobro in evidenza. E’ un peccato che From An Old Guitar non sia un vero “nuovo” album: saremmo infatti di fronte ad uno dei dischi dell’anno.

Marco Verdi

Gli Anni Migliori Di Un Grandissimo Songwriter. John Prine – Crooked Piece Of Time

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John Prine – Crooked Piece Of Time: The Atlantic And Asylum Albums – Rhino/Warner 7CD Box Set

Una delle perdite più gravi di questo maledetto 2020 è stata certamente quella di John Prine, grandissimo singer-songwriter che al suo esordio era stato indicato come uno dei tanti “nuovi Dylan”, ma che in poco tempo riuscì ad affermarsi come uno dei più lucidi e talentuosi artisti in circolazione arrivando quasi al livello del grande Bob (che tra parentesi è sempre stato un suo sincero ammiratore). Oggi non sono qui per commemorare la figura di Prine (a tal proposito vi rimando al mio post di aprile https://discoclub.myblog.it/2020/04/08/uno-dei-piu-grandi-cantautori-di-tutti-i-tempi-a-73-anni-ci-ha-lasciato-anche-john-prine-ed-un-ricordo-di-hal-willner/ ), ma per parlare nel dettaglio del cofanetto da poco uscito Crooked Piece Of Time, un pratico box in formato “clamshell” che include i primi sette album del cantautore di Chicago, quattro pubblicati in origine dalla Atlantic e tre dalla Asylum, che vanno a formare il suo periodo sicuramente migliore e più fertile. I sette dischetti sono stati opportunamente rimasterizzati e sono presentati in pratiche confezioni simil-LP, con all’interno tutti i testi (tranne che nell’album Pink Cadillac) e con accluso un libretto che comprende le tracklist disco per disco (ma non i musicisti) ed un bel saggio dell’ormai onnipresente David Fricke, oltre ad un bellissimo ritratto di John in copertina realizzato appositamente per questo box dal pittore Joshua Petker.

Ma veniamo nel dettaglio al contenuto musicale del cofanetto (che ha anche un prezzo interessante, circa 40 euro).

John Prine (1971). Messo sotto contratto dalla Atlantic, che lo ha notato come opening act dei concerti di Kris Kristofferson, Prine entra in studio con il famoso produttore Arif Mardin (che sarà presente anche nei due album seguenti) e con musicisti del giro di Elvis (Reggie Young, Bobby Emmons, Bobby Wood e Gene Chrisman), oltre all’amico e collega Steve Goodman. John Prine è uno dei debutti più fulminanti della storia della nostra musica, il classico album da cinque stelle che a posteriori sembra più un greatest hits che un disco nuovo. Un vero capolavoro, con canzoni formidabili come Illegal Smile, Hello In There (il brano più bello di sempre sulle persone anziane), Sam Stone (pezzo del quale Roger Waters, grande fan di John, ha ripreso la melodia pari pari per la sua The Post War Dream, che apriva The Final Cut dei Pink Floyd), Paradise, Far From Me, Angel From Montgomery e Donald And Lydia: una sequenza impressionante, canzoni che molti autori non scrivono in una carriera intera.

Ma nel disco ci sono altri brani strepitosi come l’irresistibile country song Spanish Pipedream, l’elettrica Pretty Good (questa sì dylaniana), la divertente Your Flag Decal Won’t Get You Into Heaven Anymore, la prima di una lunga serie di canzoni dal testo esilarante, la vivace e swingata Flashback Blues.

Diamonds In The Rough (1972). Album diverso nelle sonorità rispetto al precedente, in quanto John si presenta con un ristretto gruppo di musicisti (tra i quali figura anche David Bromberg) e mette a punto un album influenzato dalla musica folk, country e bluegrass delle origini, nel suono più che nelle canzoni che sono tutte sue tranne la title track che è della Carter Family.

Anche qui i pezzi da novanta non mancano, come il puro country della limpida Everybody, la classica Souvenirs, una delle sue ballate più note, il scintillante folk tune The Late John Garfield Blues, le graffianti bluegrass songs The Frying Pan e Yes I Guess They Oughta Name A Drink After You, la deliziosa Billy The Bum, solo voce, chitarra e dobro ma un mare di feeling e l’intensa The Great Compromise, con John in completa solitudine.

Sweet Revenge (1973). Prine torna a sonorità più elettriche con un altro splendido disco, il migliore della decade dopo l’inarrivabile esordio, con sessionmen di Nashville non famosissimi ma che cuciono intorno alla voce del nostro un accompagnamento perfetto. L’album parte alla grande con il rock-soul-gospel della title track e poi mette in fila una serie di canzoni di primissima qualità: Please Don’t Bury Me e Grandpa Was A Carpenter sono due country-rock irresistibili, Dear Abby, acustica e dal vivo (a New York) fa morire dal ridere, Christmas In Prison è una delle sue migliori ballate di sempre.

Ma poi c’è l’ariosa Blue Umbrella che è una country song semplicemente sublime, il rock’n’roll di Onomatopeia, il delizioso valzerone The Accident, la pura e cristallina Mexican Home, per concludere con una trascinante cover del classico di Merle Travis Nine Pound Hammer.

Common Sense (1975). Registrato tra Memphis e Los Angeles con la produzione del grande Steve Cropper, questo album non contiene superclassici ma è sempre stato uno dei miei preferiti grazie ad una qualità compositiva media decisamente alta e ad un suono più rock del solito, merito anche degli interventi dello stesso Cropper, del bassista suo compagno negli MG’s Donald “Duck” Dunn, di Rick Vito alle chitarre, di una sezione fiati e con il contributo alle backing vocals da parte di Jackson Browne, Glenn Frey, J.D. Souther e Bonnie Raitt.

Gli highlights sono il rockin’ country con fiati dal sapore sudista Middleman, la squisita e solare ballata che intitola il disco, dal mood californiano (non per nulla partecipano Browne, Frey e Souther), l’honky-tonk Come Back To Us Barbara Lewis Hare Krishna Beauregard, dallo strepitoso ritornello con la Raitt alla seconda voce, le vibranti rock ballads Wedding Day In Funeralville e My Own Best Friend, quest’ultima con un godurioso intreccio di chitarre elettriche e slide, la caraibica e scoppiettante Forbidden Jimmy, l’errebi rockeggiante della notevole Saddle In The Rain e la stupenda ballata He Was In Heaven Before He Died, degna di stare sul primo album del nostro. Finale a tutto rock’n’roll con una travolgente cover di You Never Can Tell, classico di Chuck Berry.

Bruised Orange (1978). Prine, scontento di come la Atlantic gestisce la sua figura, si accasa alla Asylum per tre dischi (e le cose non andranno meglio), tentando senza successo di fare un disco con la produzione di Cowboy Jack Clement. Un po’ sfiduciato dall’esperienza John torna a Chicago e chiede aiuto all’amico Steve Goodman, che gli produce questo Bruised Orange che si rivela un altro grande lavoro, solo di poco inferiore a Sweet Revenge.

Si inizia alla grande con lo strepitoso country-rock cadenzato di Fish And Whistle ed il livello si mantiene alto anche alla distanza. There She Goes è un western swing decisamente gustoso, If You Don’t Want My Love, scritta insieme a Phil Spector, una languida ballata che svela il lato romantico di John, mentre le splendide That’s The Way The World Goes ‘Round, Bruised Orange e Sabu Visits The Twin Cities Alone sono giustamente entrate a far parte dei suoi classici. Infine, un cenno al brano che intitola questo cofanetto, che sembra Dylan con alle spalle The Band, ed alla deliziosa folk song The Hobo Song, con un maestoso coro che comprende ancora Browne ed anche Ramblin’ Jack Elliott.

Pink Cadillac (1979). Prine torna a Memphis e si fa produrre dai figli del mitico Sam Phillips, Jerry e Knox (ma due pezzi vedono alla consolle proprio il vecchio Sam): il problema però è che John questa volta non ha abbastanza materiale valido (ed anche quello che porta non è al livello solito), con il risultato che su dieci brani totali la metà sono cover.

Tra i pezzi originali segnalo la potente Chinatown, con chitarre e piano in evidenza, il rockabilly Automobile, l’elettrica e sanguigna Saigon e la ballata dal sapore soul Down By The Side Of The Road, forse il brano migliore del disco. Tra le cover spiccano i classici rock’n’roll Baby Let’s Play House e Ubangi Stomp e l’honky-tonk song di Floyd Tillman Cold War (This Cold War With You).

Storm Windows (1980). Ultimo album di John per una major prima di fondare la Oh Boy Records, Storm Windows è un altro disco splendido, registrato ai mitici Muscle Shoals Sound Studios di Sheffield, Alabama, sotto la produzione di Barry Beckett.

La ballata pianistica che intitola l’album è un mezzo capolavoro, ma poi abbiamo le due rock’n’roll songs Shop Talk e Just Wanna Be With You, una più coinvolgente dell’altra, la fulgida Living In The Future, brano rock tipico di Prine (quindi bello), la tersa ed incantevole country ballad It’s Happening To You, la cristallina Sleepy Eyed Boy, splendida anche questa, e la gentile One Red Rose.

Se non conoscete John Prine (ne dubito, se siete su questo blog) o più semplicemente non possedete tutti i suoi album, Crooked Piece Of Time è un cofanetto da non perdere.

Marco Verdi

Il Vangelo di Augusto… Secondo Graziano. Graziano Romani – Augusto

graziano romani augusto

Graziano Romani – Augusto: Omaggio Alla Voce Dei Nomadi – Route 61 Music

Alcuni anni fa, al termine di un bel concerto di Graziano Romani in quel di Pavia (al Bar Trapani per la precisione), ho avuto la possibilità insieme all’organizzatore Paolo Pieretto, e al partner di quella serata di Romani, Max Marmiroli, di chiedere (come si fa sempre in queste occasioni) a Graziano se era in programma l’uscita di un nuovo disco e quelle che erano le sue voglie musicali (per intenderci, se proseguire il percorso dei CD dedicato ai fumetti), e fin d’allora il nostro amico manifestava un alto interesse di riuscire prima o poi a dedicare un tributo alle canzoni dei Nomadi e Augusto Daolio. E ora fortunatamente quel “poi” è arrivato, con il 24° disco della sua corposa carriera (compresi quelli con le sue band, i mitici Rocking Chairs e i meno noti Megajam 5), portando nel consueto e abituale Bunker Studio di Rubiera la sua attuale “line-up” composta da Max Marmiroli (amico di lunga data di Graziano) al sax, flauto, armonica e percussioni, Follon Brown alle chitarre, Lele Cavalli al basso, Nick Bertolani alla batteria, Gabriele Riccioni alle tastiere, e Lorenzo Iori al violino, dando così una nuova vita a brani più o meno noti dei Nomadi, risalenti al periodo compreso tra gli anni ‘60 e ‘70, e facendoli risplendere sotto una nuova luce con un progetto multiforme.

Il viaggio attraverso la via Emilia inizia con Augusto Cantaci Di Noi, brano che Romani aveva già inserito nell’album Storie Della Via Emilia (01), e che in questa occasione viene riproposto anche in chiusura di questo lavoro in versione più breve, poi a seguire arrivano le famose Tutto A Posto, rifatta in una versione rock-blues che mette in rilievo la bravura della band di Graziano, e l’accattivante melodia di Un Giorno Insieme, per poi riproporre due cover d’autore come L’Auto Corre Lontano (Ma Io Corro Da Te), nella versione originale Wichita Lineman di un musicista superbo come Jimmy Webb (che Romani ama moltissimo), con in sottofondo il sax di Marmiroli, e meritoriamente recuperare una Ala Bianca, vecchio singolo dei Nomadi, ovvero Sixty Years On di Elton John, riletta in una versione semi-psichedelica 

Si riparte per Casalgrande (paese d’origine di Romano), pescando sempre dal repertorio di Francesco Guccini con la mitica Canzone Per Un Amica, riproposta in modalità rock stradaiolo, con un impronta del sax che sembra uscire dalle labbra del compianto Clarence Clemons, per poi ritornare all’anima blues di Non Credevi e Ritornerai ( Sulla Strada), grazie al sapiente uso di armonica e chitarre.

Ecco anche la poco conosciuta Mercante E Servi con un“groove” marcato e l’ottimo lavoro alla chitarra di Follon Brown, e la ripresa di una sempre iconica Per Fare Un Uomo, dove ancora un volta Max Marmiroli dà il meglio di sé. Ci si avvia quindi alla fine del viaggio con una “fumettistica” Gordon, canzone simbolo dell’album, almeno per chi scrive, più innovativo dei Nomadi, seguita da una accelerata versione di Ti Voglio un classico di Bob Dylan, la celeberrima I Want You, con un’armonica a bocca martellante, e riproporre infine una ballata poco conosciuta come Mille E Una Sera, e terminare in gloria in vista di Novellara (paese d’origine di Augusto Daolio) con la ripresa di Augusto Cantaci Di Noi, in una versione più rock, ma anche più breve. Penso che per la riuscita di questo lavoro non sia trascurabile il fatto che da ragazzino Graziano Romani era spesso sotto il palco dei Nomadi, ad ascoltare Augusto che cantava quelle canzoni che parlavano di forza e amore, e che a distanza di tempo oggi come ieri siano ancora attuali.

Penso anche che a differenza dei due tributi dedicati a Bruce Springsteen, Soul Crusaders e Soul Crusaders Again, in questo caso forse Romani lo abbia sentito ancora più nelle sue corde, con la sua bellissima voce sempre più riconoscibile, regalandoci un omaggio alla voce dei Nomadi, pieno di belle canzoni, interpretate con amore e tanta passione, accompagnato da un nucleo di grandi musicisti italiani (una menzione particolare per il più volte ricordato Max Marmiroli), che ha contribuito in modo determinante alla riuscita del disco. Fine del viaggio. *NDT: Mi permetto di fare un inciso: negli anni ’60 e ’70 i discografici italiani hanno “banchettato” come Corvi (c’era pure il gruppo), traducendo in italiano i vari successi inglesi e americani dell’epoca, facendo la fortuna di molti gruppi “senza arte ne parte”, ma non è il caso dei Nomadi, che su questo ci hanno costruito spesso intere carriere.

Tino Montanari

Il Suono Degli Esordi Non C’è Più Ma La Signora Si Fa Ancora Apprezzare! – Joan Osborne – Trouble And Strife

joan osborne trouble and strife

Joan Osborne – Trouble And Strife – Womanly Hip Records/Thirty Tigers

Sono passati ormai venticinque anni dal successo planetario di Relish e del singolo scala classifiche One Of Us, ma per fortuna Joan Osborne non ha perso entusiasmo e voglia di pubblicare nuove canzoni, nonostante l’anno travagliatissimo che stiamo vivendo. Dico per fortuna perché sarebbe un vero peccato non poter più ascoltare una voce come la sua, che, per timbrica, espressività e duttilità, ritengo tra le migliori in circolazione. Può permettersi di cantare qualunque cosa Joan, e anche se purtroppo sembra aver un po’ accantonato le sue origini di interprete rock blues, nel pop & soul che domina le sue ultime produzioni il livello non è mai sceso sotto il limite del buon gusto e del prodotto di classe. Dopo la buona parentesi del tributo al menestrello di Duluth, Songs Of Bob Dylan, pubblicato tre anni fa https://discoclub.myblog.it/2017/09/02/ci-mancava-giusto-un-altro-bel-tributo-joan-osborne-songs-of-bob-dylan/ , la Osborne è tornata a comporre ed incidere materiale originale nel suo studio di Brooklyn, riunendo per l’occasione un gruppo di musicisti affidabili e suoi collaboratori da parecchio tempo, i chitarristi Jack Petruzzelli, Nels Cline (Wilco) ed Andrew Carillo, il tastierista Keith Cotton, il bassista Richard Hammond e il batterista Aaron Comess (Spin Doctors).

Ne è scaturito un album dalle atmosfere piuttosto variegate, come il cursore che passa sulle frequenze di varie stazioni radio degli anni settanta, spaziando tra rock, country, blues, funk e persino un tocco di glam e disco. Il brano di apertura, Take It Any Way I Can Get It, potrebbe uscire da un qualunque lavoro della Tedeschi Trucks Band, caratterizzato com’è dal suono di chitarre smaccatamente southern e Joan lo interpreta da par suo supportata dalle quattro brillanti coriste, Catherine Russell, Ada Dyer, Martha Redbone e Audrey Martells. Le cadenze funky della successiva What’s That You Say, non tra le mie preferite a dire il vero, accompagnano la drammatica vicenda di Ana Maria Rea, messicana emigrata in Texas da bambina con la famiglia. E’ sua la voce che racconta in spagnolo sullo sfondo parte delle traversie che ha subito, concludendo con un significativo “no tengo miedo!” (non ho paura). Di abuso di potere si parla in Hands Off, un robusto blues rock che ricorda il Tom Petty di Mojo, in cui la voce della protagonista graffia come ai bei tempi degli esordi.

L’uso del sintetizzatore Prophet 6 da parte del tastierista Keith Cotton conferisce un gusto retro’ alla ritmica ballad Never Get Tired (Of Loving You), una accorata invocazione di stabilità in tempi così incerti, mentre per la title-track Trouble And Strife le chitarre tornano in primo piano con ottimi fraseggi all’interno di un robusto country-rock di matrice texana. Con la lenta e romantica Whole Wide World torniamo ai già citati seventies e in particolare allo stile dei gruppi di r&b che mietevano successi in quegli anni, come i Chi-Lites. In Meat & Potatoes invece, la Osborne sembra voler fare il verso a Prince, sua sicura fonte di ispirazione, ma il pezzo risulta piuttosto monotono e inconcludente. Molto meglio le sonorità luminose e piacevolmente psichedeliche di Boy Dontcha Know, che per strumentazione e struttura melodica rimanda a certe perle dei Big Star di Alex Chilton. Troviamo ancora del pop rock di pregevole fattura in That Was A Lie, che a dispetto della sua atmosfera solare nasconde un testo di aperta denuncia nei confronti della corruzione che Joan vede diffondersi nelle istituzioni americane. Il finale è affidato al gospel rock di Panama, il cui testo, ha dichiarato la sua autrice, è ancora una volta fortemente influenzato da Bob Dylan e dalla sua straordinaria capacità di proporre liriche al vetriolo all’interno di strutture musicali scarne e dirette come quelle del blues e del folk.

Con molti pregi e poche cadute di tono, questo Trouble And Strife può costituire una piacevolissima colonna sonora per questo difficile autunno e conferma Joan Osborne come una delle cantautrici più vitali ed interessanti del panorama americano oltreché interprete di gran classe.

Marco Frosi

 

Il Migliore Finora Tra I Cofanetti Di Halloween: Garantisce Il Conte Frankula! Frank Zappa – Halloween ‘81

frank zappa halloween 81

Frank Zappa – Halloween ’81 – Zappa/Universal 6CD Box Set

Terzo cofanetto in quattro anni che si occupa dei concerti che Frank Zappa era solito tenere il 31 ottobre ed il primo novembre di ogni anno (dopo quello del 1977 uscito nel 2017, con però la parte musicale disponibile solo su chiavetta USB, e quello dello scorso anno dedicato al 1973 https://discoclub.myblog.it/2019/10/31/cofanetti-autunno-inverno-5-tutto-il-necessario-per-una-festa-mostruosa-frank-zappa-halloween-73/ ), un’abitudine nata nei primi anni settanta e terminata a metà anni ottanta che aveva come costante la presenza del nostro e della sua band al Palladium Theatre di New York, con l’eccezione delle prime due edizioni al Capitol Theatre di Passaic e l’ultima del 1984 al Felt Forum, sempre a NY. Dopo le maschere di Zappa “normale” e di Frankenzappa, quest’anno tocca al Conte Frankula fare capolino dalla confezione di Halloween ‘81, che dal lato musicale presenta ben tre concerti (quasi) completi, i due show serali del 31/10 e quello dell’1/11, divisi in due CD ciascuno, per un totale di 86 pezzi (ma alcune tracce sono dialoghi) di cui ben 70 inediti: esiste anche una versione singola con gli highlights, con dentro per la “gioia” dei fans la Strictly Genteel suonata il primo novembre e non inclusa nel cofanetto.

Ma veniamo al contenuto del box, tre concerti superlativi che vedono Frank ed il suo gruppo in forma smagliante, e che rendono Halloween ’81 la più riuscita tra le tre ristampe deluxe uscite finora: ciò è dovuto un po’ alla scelta del repertorio, che rende i tre show più godibili di altri pur belli pubblicati di recente (compreso Zappa In New York e The Mothers 1970), con una maggiore presenza di brani cantati e di breve durata, ma gran merito va anche alla splendida band che accompagna il nostro, un mix tra elementi vecchi e nuovi e che vede alle chitarre Ray White e soprattutto un ancora sconosciuto Steve Vai, alle tastiere (e purtroppo anche ai synth, anche se non ne abusano) Tommy Mars e Robert Martin, la sezione ritmica di Scott Thunes al basso e Chad Wackerman alla batteria e Ed Mann alle percussioni. Possiamo quindi ascoltare con grande piacere la consueta miscela tra serietà (poca) e follia, genio e sregolatezza, grande musica e momenti demenziali, con la solita miscela tra rock, jazz, blues, pop, doo-wop ed improvvisazione come solo Zappa sapeva fare.

I primi due CD documentano il primo concerto del 31, alle 8 p.m., che inizia con una potente versione dello strumentale Chunga’s Revenge, in cui Frank dà subito un saggio della sua tecnica chitarristica, e poi mette in fila una serie di brani di alto livello musicale nonostante qualche titolo non proprio convenzionale come Alien Orifice e Broken Hearts Are For Assholes. Gli episodi salienti sono l’orecchiabile e corale The Meek Shall Inherit Nothing, il rap-rock Dumb All Over, il coinvolgente jump blues Suicide Chump, il binomio tra pop music e pazzia di Jumbo Go Away, gli strepitosi nove minuti tra rock ed improvvisazione di Drowning Witch ed i quasi dieci del funkettone City Of Tiny Lites. Non mancano alcuni classici zappiani, come la complessa Envelopes, quasi dissonante, l’irresistibile Flakes (con tanto di parodia di Bob Dylan), il rock’n’roll (almeno all’inizio, poi Frank si mette a cazzeggiare) di Tinsel Town Rebellion, la deliziosa Bobby Brown Goes Down, una canzone regolare e canonica (testo a parte), la relativamente famosa Dancin’ Fool ed un finale che vede l’inatteso omaggio alla Allman Brothers Band con una lucida e solida rilettura di Whipping Post.

I dischetti numero tre e quattro sono relativi al concerto della mezzanotte del 31 (quindi poco dopo la fine dell’altro), che all’epoca venne mandato in diretta televisiva dall’allora neonata MTV. Lo show, che in comune con quello prima ha soltanto Strictly Genteel, inizia con la melliflua Black Napkins e presenta un numero maggiore di classici come ad esempio la divertente Montana, una frenetica Easy Meat (forse qui troppi synth, ma un grande guitar solo), le brevi e dirette Doreen e Joe’s Garage e tre autentici tour de force con The Torture Never Stops, The Illinois Enema Bandit e King Kong che sommano solo loro mezz’ora complessiva. Altri highlights sono la rockeggiante Society Pages, la pimpante ed orecchiabile Charlie’s Enormous Mouth, il country dell’irresistibile Harder Than Your Husband, il quasi hard rock di Bamboozled By Love e Stevie’s Spanking (sentite la chitarra), la godibile Cocaine Decisions, dalla linea melodica quasi rigorosa, lo strepitoso blues di Nig Biz ed un’altra notevole rock jam con The Black Page # 2; finale “strano” con il noto traditional Auld Lang Syne, che normalmente si suona a Capodanno e non certo a Halloween.

Gli ultimi due CD sono infine dedicati allo show del primo novembre (che all’epoca non si sapeva, ma sarà l’ultimo in assoluto per Zappa al Palladium), una sorta di “best of” dei due concerti tenuti la sera prima con una setlist che comprende appunto diversi brani già ascoltati il 31. Le uniche novità sono messe all’inizio, e tra di esse ci sono almeno tre classici zappiani come l’iniziale Zoot Allures e le note I’m The Slime e Cosmik Debris. Non sto ad elencarvi di nuovo i pezzi restanti, ma è doveroso dire che forse ci troviamo di fronte allo spettacolo migliore dei tre, con versioni ancora più convincenti di Easy Meat, Stevie’s Spanking, Cocaine Decisions, The Torture Never Stops ed un’altra Whipping Post di alto livello.

Quest’anno forse a causa del Covid le feste di Halloween saranno bandite e quindi non potrete indossare maschera e mantello da Conte Frankula, ma nessuno vi impedirà di godere della parte musicale di questo Halloween ’81, sia che scegliate l’impegnativo box sestuplo che il più pratico (anche per le vostre tasche) singolo CD.

Marco Verdi

Torna Lo Springsteen Della Domenica: Una “Calda” Serata Autunnale Londinese! Bruce Springsteen – Wembley Arena, November 11, 2006

bruce springsteen london 2006

Bruce Springsteen – Wembley Arena, November 11, 2006 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

Quando si pensa ai concerti dal vivo di Bruce Springsteen il pensiero va ovviamente alle ben note scorribande con la E Street Band, molte delle quali leggendarie, ma indubbiamente uno dei tour in assoluto più coinvolgenti e divertenti del Boss è stato quello del 2006 con la cosiddetta Sessions Band, un combo numerosissimo nato per accompagnare il nostro nello splendido We Shall Overcome: The Seeger Sessions, album composto da brani della tradizione che avevano il comune denominatore di far parte dell’immenso repertorio del grande folksinger Pete Seeger: io stesso avevo visto due show da quel tour, a Milano e Torino, e mi ero divertito come poche altre volte. La serie di uscite mensili degli archivi live di Bruce fino ad oggi non ha dato molto spazio a questa tournée, pubblicando solo il concerto inaugurale a New Orleans (ma nel 2007 era uscito il bellissimo ufficiale Live In Dublin), ora fortunatamente ci regala un’altra performance anche migliore di quella tenutasi nella metropoli della Louisiana, grazie soprattutto all’intesa migliorata nel corso del tour.

Sto parlando dello show svoltosi l’11 novembre alla Wembley Arena di Londra, un doppio CD che ci presenta il Boss ed il suo esteso gruppo (compreso il leader sul palco sono in 17, e manca Patti Scialfa che era a casa a badare ai figli) intrattenere alla grande il pubblico inglese per due ore e mezza. Le canzoni di We Shall Overcome erano già irresistibili in studio, figuriamoci in queste riletture live gioiose, colorate e trascinanti più che mai, in cui la folta band di musicisti e coristi fornisce una perfetta miscela di folk, country, gospel, old time music, bluegrass e dixieland, con chitarre, banjo, mandolino, violino, fisarmonica e fiati che si rincorrono in ogni brano con assoli a ripetizione ed il pubblico che canta come se fossero classici di Bruce e non canzoni con anche più di cento anni sulle spalle. In questo concerto ascoltiamo quindi versioni entusiasmanti di Old Dan Tucker, Jesse James, Jacob’s Ladder, O Mary Don’t You Weep, Erie Canal, My Oklahoma Home e Pay Me My Money Down, ed altre assolutamente toccanti di Mrs. McGrath, Eyes On The Prize e How Can A Poor Man Stand Such Times And Live?

Ovviamente non possono mancare i brani a firma di Springsteen, ed una particolarità di questo tour era che canzoni più o meno note venivano volutamente rese quasi irriconoscibili da arrangiamenti completamente diversi dagli originali, al limite della riscrittura: così l’iniziale Blinded By The Light diventa un travolgente pezzo di ispirazione klezmer, Atlantic City un folk-grass elettrificato dal ritmo nettamente accelerato, Growin’ Up si trasforma in un sorprendente crossover tra country music e Bob Dylan e Open All Night, uno degli highlights della serata, in un torrido boogie-woogie in stile big band che sembra uscire da una revue di Chicago dei primi anni cinquanta, con Bruce che si lavora il pubblico come solo lui sa fare. Ci sono tre brani dall’allora recente Devils And Dust (la title track, Long Time Comin’ e Jesus Was An Only Son), abbastanza simili agli originali ma suonate con una veste più roots, una swingatissima You Can Look (But You Better Not Touch) che prelude ai bis ed un’anteprima mondiale di Long Walk Home (che uscirà l’anno dopo in Magic), eseguita acustica e rallentata, quasi una sorta di work in progress (con Bruce che la introduce riferendosi ad un concerto di Lucinda Williams al quale aveva assistito la sera prima, nel quale la rockeuse aveva suonato diversi pezzi inediti).

Il finale della serata è introdotto da una versione lenta e decisamente toccante del traditional When The Saints Go Marching In, seguita da una spiritata rilettura del gospel This Little Light Of Mine, dalla contagiosa giga rock American Land (che all’epoca era ancora inedita), per concludere con la filastrocca folk Froggie Went A-Courtin’, uno dei pezzi delle Seeger Sessions suonati più raramente. Concerto quindi divertentissimo, caldo e coinvolgente, e sono sicuro che il livello si manterrà tale anche nella prossima uscita, che documenterà lo Springsteen bombastico del tour di Born In The U.S.A.

Marco Verdi

Già Le Canzoni Sono “Belline”, Ma Lei E’ Bravissima! Emma Swift – Blonde On The Tracks

emma swift blonde on the tracks

Emma Swift – Blonde On The Tracks – Tiny Ghost CD

Se non avete mai sentito nominare Emma Swift non dovete preoccuparvi, in quanto stiamo parlando di una singer-songwriter australiana (ma che da anni vive a Nashville) che è discograficamente ferma all’EP d’esordio omonimo del 2014, al quale hanno fatto seguito solo un paio di singoli incisi con la collaborazione del noto musicista britannico Robyn Hitchcock, che tra parentesi è legato ad Emma anche dal lato sentimentale, visto che vivono insieme a Nashville (e bravo Robyn: oltre al fatto che è molto più giovane, la Swift è pure carina). Dopo ben sei anni Emma si fa dunque viva con il suo primo vero album, e come il titolo Blonde On The Tracks può far intuire si tratta di un disco composto interamente da canzoni di Bob Dylan, grande passione sia di Emma che di Robyn (il quale aveva dedicato al Vate un intero live uscito nel 2002, Robyn Sings), un lavoro al quale la bionda cantautrice aveva iniziato a pensare nel 2017 ma che si è decisa a mettere a punto solo qualche mese fa “approfittando” del lockdown.

Io sono uno che appena sento odore di Dylan rizzo le antenne, ma una volta ultimato l’ascolto di questo album non posso che esprimere la mia positiva sorpresa: Blonde On The Tracks è infatti un disco davvero molto bello, con otto canzoni una più bella dell’altra (e fin qui niente di nuovo), ma quello che più mi stupisce è la bravura di Emma (che, ripeto, non conoscevo) nell’interpretarle, grazie ad una bella voce limpida, espressiva ma anche seducente e ad un background strumentale molto classico basato sulle chitarre (lo stesso Hitchcock e Pat Sansone, membro dei Wilco e produttore dell’album), steel guitar (Thayer Serrano), piano ed organo (ancora Sansone) e la sezione ritmica di Jon Estes al basso e Jon Radford alla batteria. La bravura di Emma è stata anche quella di non aver stravolto le canzoni proposte, ma nello stesso tempo aver dato un tocco personale pur rispettando le melodie originali, con il risultato finale di aver realizzato un disco che mi sento di consigliare senza remore ad ogni fan del grande Bob (copertina a parte, che sembra realizzata da un bambino dell’asilo alle prese con un programma di Photoshop taroccato).

L’inizio del CD con Queen Jane Approximately (molti dei brani scelti sono rivolti al sesso femminile, ma Emma non si fa molti problemi e le ripropone con il testo identico) è splendido, ed anche in maniera decisa: l’arrangiamento è byrdsiano al 100%, con quel suono di chitarra 12 corde che sembra appartenere proprio a Roger McGuinn, e la Swift mostra di avere una voce davvero bellissima. La canzone è già grande di suo, ma questa interpretazione è pressoché perfetta. Emma con questo album vince anche un immaginario premio per essere stata la prima a proporre un pezzo tratto dall’ultimo capolavoro dylaniano Rough And Rowdy Ways: I Contain Multitudes è il brano che apre quel disco straordinario, ed Emma ne rispetta l’atmosfera intima performandolo per sola voce e chitarra acustica, con gli altri strumenti che entrano con discrezione solo nei due bridge. Eppure la canzone emerge alla grande, e buona parte del merito va alla prestazione vocale da brividi.

Si torna nei sixties con One Of Us Must Know (da Blonde On Blonde, del quale, molti non lo sanno, era il primo singolo), che inizia ancora con la voce circondata dal minimo indispensabile, con una steel che miagola sullo sfondo ed un pianoforte che segue con sicurezza la melodia, fino allo splendido ritornello full band. Visto il titolo del CD non poteva mancare almeno un brano da Blood On The Tracks (in realtà ce ne sono due), e Simple Twist Of Fate è uno dei tanti capolavori di quel disco: Emma la rilegge in maniera classica, voce, due chitarre e poco altro, con la bellezza della canzone che fa il resto. Dicevo dei brani rivolti alle donne: Sad Eyed Lady Of The Lowlands è uno dei casi più leggendari in tal senso in quanto Dylan l’aveva dedicata alla moglie Sara, e la versione della Swift rispetta la durata fiume di quasi dodici minuti dell’originale ma non annoia, grazie al suo arrangiamento da sontuosa ballata folk-rock cantata al solito in maniera sopraffina.

Un’altra canzone “al maschile” è The Man In Me, un pezzo quasi pop per gli standard di Dylan (era su New Morning), e la rilettura è decisamente piacevole ed orecchiabile, merito anche di una veste sonora molto anni settanta con chitarre, piano ed organo sugli scudi. Chiudono l’album Going Going Gone, altra versione splendida e toccante di un pezzo non molto noto di Bob, ma che in questa rilettura fluida brilla particolarmente rivelandosi come una delle più riuscite, e lo stesso vale per You’re A Big Girl Now, per la verità abbastanza simile all’originale nell’arrangiamento (e quindi molto valida anche questa). Blonde On The Tracks non è quindi “solo” un album di cover dylaniane, ma un disco bellissimo in cui finalmente scopriamo il talento di Emma Swift come cantante ed interprete, nella speranza di poter finalmente apprezzare al più presto anche il suo lato cantautorale.

Marco Verdi

Un Folksinger Di Stampo Classico…Dopo Un Viaggio Al Sud! John Craigie – Asterisk The Universe

john craigie asterisk the universe

John Craigie – Asterisk The Universe – ZPR/Thirty Tigers CD

Non fatevi sviare dalla foto di copertina di questo disco, in cui una donna dalle forme generose vi osserva con sguardo languido: John Craigie è un musicista originario di Los Angeles, definito da molti una sorta di moderno troubadour dal momento che le sue influenze primarie vanno cercate tra i padri della folk music contemporanea, vale a dire Woody Guthrie, Ramblin’ Jack Elliott e Pete Seeger. Devo confessare che il nome di Craigie mi giungeva del tutto nuovo, al punto che quando ho avuto per le mani il suo nuovo CD Asterisk The Universe ho pensato che fosse il suo album d’esordio. Indagando un po’ ho però scoperto che John è uno dei tanti segreti nascosti della musica americana, dato che ha alle spalle già sei album pubblicati tra il 2009 ed il 2018, oltre a due live e due dischi di cover (uno di canzoni rock alternative ed uno di brani dei Led Zeppelin). La seconda sorpresa l’ho avuta al momento dell’ascolto, in quanto pensavo di trovarmi di fronte al classico folksinger voce, chitarra e poco altro, ma invece mi sono ritrovato in mezzo a sonorità degne di un qualsiasi studio di registrazione del profondo sud, una miscela stimolante di rock, soul e gospel che si fonde mirabilmente con le canzoni (e la voce) di stampo folk del nostro.

Come se Bob Dylan, facendo le debite proporzioni, invece di andare a muovere i primi passi nel Village a New York fosse andato ad incidere ai Fame Studios in Alabama. Un disco full band molto ricco dal punto di vista strumentale, ma con un suono diretto che mantiene intatta l’essenza folk delle canzoni; prodotto dallo stesso John, Asterisk The Universe vede la presenza di musicisti abbastanza sconosciuti ma in grado di donare un sound decisamente caldo ai vari pezzi: tra i vari membri della band segnalerei i chitarristi Nilo Daussis e Erin Chapin (quest’ultima impegnata alla slide), il tastierista Jamie Coffis (proprio quello dei Coffis Brothers, quindi il più “famoso” tra tutti https://discoclub.myblog.it/2020/06/09/tom-petty-avrebbe-approvato-coffis-brothers-in-the-cuts/ ), che si destreggia benissimo sia all’organo che al pianoforte, e la sezione ritmica formata da Ben Berry al basso e Matt Goff alla batteria.

Prendete l’iniziale Hustlin’: la partenza è tipicamente folk, con solo la voce protagonista ed un mandolino, ma poi entrano chitarre, basso, batteria ed un piano elettrico, il tutto in maniera decisamente leggera, quasi in punta di piedi. Don’t Ask è più movimentata, una ballata folk-rock classica dalla melodia orecchiabile ed un coro femminile a conferire un sapore southern soul, grazie anche al suono caldo dell’organo. Bella anche Son Of A Man, un pezzo nel quale l’anima folk del nostro si fonde a meraviglia con il suono sudista molto anni settanta della band, il tutto impreziosito da un altro motivo diretto e piacevole; il ritmo si fa più sostenuto anche se sempre con discrezione nella vibrante Part Wolf, nuovamente col piano in evidenza ed un refrain vincente: tra le più riuscite del CD.

Con Crazy Mama si rimane ben piantati al sud, per una scintillante ballata tra country e blues con una bella slide ed un leggero tocco swamp, un pezzo che sembra provenire da un’oscura session dei seventies prodotta da Jim Dickinson, mentre la cadenzata Climb Up ha addirittura elementi funky nel suono ed un background che rimanda a dischi come Dusty In Memphis. La breve e suggestiva Used It All Up per sola slide e voci femminili funge da incipit per la limpida Don’t Deny, brano folk-rock cristallino con elementi dylaniani e sonorità coinvolgenti ed in parte californiane, un’altra canzone che entra di diritto tra le più belle del lavoro; il disco si conclude con l’elettroacustica ed intensa Vallecito, dalle atmosfere vagamente western, e con la splendida Nomads, folk song di grande spessore con le chitarre acustiche e il pianoforte a fornire un alveo perfetto per la deliziosa melodia.

Non credo sia il caso di andare a recuperare tutta la discografia di John Craigie (ammesso che si trovi da qualche parte *NDB Si trovano sul suo sito https://john-craigie.myshopify.com/ , ma al solito quello che ti frega sono i costi di spedizione dagli Stati Uniti), ma Asterisk The Universe può essere un ottimo punto di partenza per conoscerlo.

Marco Verdi