La Quintessenza Del Country Texano! Dale Watson & Ray Benson – Dale & Ray

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Dale Watson & Ray Benson – Dale & Ray – Ameripolitan/Home CD

Dale Watson, texano doc, anche se è nato in Alabama, ormai viaggia al ritmo di due dischi all’anno. Lo avevamo lasciato nel 2016 prima a cantare dal vivo in mezzo alle galline (ed ai loro escrementi) nel bizzarro Chicken Shit Bingo e poi ad affrontare l’immancabile cover album che prima o poi tutti fanno (Under The Influence) http://discoclub.myblog.it/2016/11/25/ecco-altro-che-dischi-ne-fa-pochini-dale-watson-under-the-influence/ , che è già ora di rivederlo tra le nuove uscite. Ma questa volta Dale ha fatto le cose in grande, unendo le forze con Ray Benson, che in Texas è una vera e propria leggenda vivente, grazie alla sua leadership degli Asleep At The Wheel, grande gruppo country e western swing, veri eredi di Bob Wills & His Texas Playboys (ai quali hanno dedicato più di un tributo). I due in passato si erano sfiorati varie volte, ma un disco insieme non erano mai riusciti a farlo, almeno fino all’anno scorso, quando si sono presi il tempo necessario e si sono trovati in uno studio di Austin insieme ad un manipolo di musicisti con la “m” maiuscola, tra cui ben tre membri della band di Watson, i Lone Stars (Chris Crepps al basso, Mike Bernal alla batteria e l’ottimo Don Pawlak alla steel), più il figlio di Ray, Sam Seifert, alla chitarra elettrica (Seifert è il vero cognome di Benson), la nostra vecchia conoscenza Lloyd Maines sempre alla steel ed il bravissimo Dennis Ludiker al violino: Dale & Ray è il risultato di queste sessions, un ottimo disco di puro Texas country, ad opera di due musicisti in grande forma, un album che è anche la cosa migliore che hanno fatto da anni a questa parte.

E non è che i nostri si siano rivolti a songwriters esterni, in quanto, delle dieci canzoni totali, ben otto sono state scritte a quattro mani appositamente per questo progetto dai due texani (Benson è di Philadelphia, ma ormai è più texano di uno nato a Dallas) e solo due sono covers. Solo mezz’ora di musica, ma mezz’ora davvero intensa, all’insegna della miglior Texas music: gran ritmo, chitarre in tiro (Watson è un bravo chitarrista), honky-tonk scintillanti e grande uso di steel e violino. Niente di rivoluzionario, ma quello che c’è è fatto benissimo, con la ciliegina delle splendide voci baritonali dei due leader, entrambe profonde e carismatiche. Il classico disco just for fun, ma allo stesso tempo decisamente professionale e godibile dalla prima all’ultima nota. The Ballad Of Dale & Ray è perfetta per aprire il disco, uno scintillante honky-tonk elettrico con le due voci che si alternano con consumato mestiere, un brano divertente che è anche una dichiarazione d’intenti, con i due che elencano tutta una serie di cose che amano (dalla Lone Star Beer, al fumare erba, fino a Merle Haggard e Johnny Cash). Feelin’ Haggard è proprio un commosso omaggio al grande Hag, un brano che parla delle loro reazioni sconvolte alla notizia della morte del leggendario countryman avvenuta lo scorso anno, una languida ballata nel cui testo i due leader giocano ad inserire titoli di canzoni di Merle (e che voci); I Wish You Knew è un’energica cover di un antico brano dei Louvin Brothers, ritmo acceso con i due texani che si trovano nel loro ambiente naturale (e gran lavoro di steel e violino), mentre Bus’ Breakdown è un gioioso pezzo dal ritmo forsennato, con i nostri che mostrano di divertirsi non poco.

Write Your Own Songs, preceduta da un’introduzione parlata, è una strepitosa cover di un classico dell’amico Willie Nelson, una versione formidabile che rimanda più ai brani lenti degli anni settanta di Waylon che a quelli di Willie; Cryin’ To Cryin’ Time Again è invece un omaggio a Buck Owens (il brano è originale, ma Cryin’ Time era un classico di Buck), con i due che portano un pezzo di Texas a Bakersfield, un altro honky-tonk limpido e suonato con classe sopraffina, mentre Forget About Tomorrow Today è puro Lone Star country, ancora gran ritmo, voci perfette e notevoli assoli, ancora di steel e fiddle. A Hungover Ago è l’ennesimo brillante honky-tonk della carriera di Watson, un vero specialista in materia, con Benson che si adegua più che volentieri, e nella fattispecie uno dei pezzi più riusciti del CD; finale a tutto ritmo con la spedita e swingata Nobody’s Ever Down In Texas, nella quale la classe del duo fuoriesce alla grande (e questo è il brano più vicino allo stile degli Asleep At The Wheel), e con la deliziosa Sittin’ And Thinkin’ About You, una vera country song d’altri tempi. Dale Watson è una forza della natura (ma la qualità nei suoi dischi non manca mai), ed ora che ha coinvolto anche Ray Benson ci auguriamo che Dale & Ray non resti un episodio isolato.

Marco Verdi

Tra Country E Letteratura, Alla Maniera Texana! Zane Williams

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Zane Williams – Bringin’ Country Back – Texas Like That CD

Nel mondo della musica country, texana e non, solitamente i testi non hanno un’importanza determinante: il più delle volte le canzoni girano intorno agli stessi argomenti, che siano cowboys, donne, macchine, bevute in compagnia o da soli, cuori infranti e, nei casi più estremi, bad boys. Per questo un artista come Zane Williams, texano di Abilene, è visto come un’anomalia, in quanto coniuga ad una musica molto diretta ed elettrica, al 100% riconducibile al Lone Star State, una serie di testi poetici, letterari, spesso introspettivi e proprio per questo decisamente contrastanti con il tipo di suono proposto. Zane non incide per una major, è nato e probabilmente morirà indipendente, troppo vera e ruspante la sua musica e troppo poco omologati i suoi testi per poter interessare il dorato, ma anche vuoto, mondo di Nashville: ma al nostro va bene così, ha sempre inciso con regolarità dal 2006 in poi ed è sempre riuscito a pubblicare i suoi lavori, oltre ad ottenere ingaggi per poter suonare dal vivo.

Bringin’ Country Back è il suo sesto album, un anno dopo Texas Like That (in mezzo anche un’antologia, intitolata Snapshot, con un brano nuovo) e, se possibile, preme ancor di più l’acceleratore su un tipo di musica molto texana, un country rock intenso, ritmato, maschio e vibrante, con un ristretto gruppo di musicisti non famosi ma che badano al sodo, e la produzione asciutta di Erik Hearst (Josh Abbott Band, Eli Young Band). Piccola curiosità: il titolo del CD, Bringin’ Country Back, gli è venuto in mente dopo aver assistito ad un concerto di Cody Jinks, altro countryman con le palle ed autore di un disco tra i più belli dell’anno nel suo genere, I’m Not The Devil. Il disco si apre proprio con la title track, una country song decisamente texana, figlia di Waylon e con un accompagnamento robusto ed elettrico (anche violino e steel suonano guizzanti e per nulla languidi), e Zane ha la voce giusta. La saltellante Honkytonk Situation ha nel titolo quello che potete aspettarvi, con la memoria del miglior George Jones (che, non dimentichiamo, era texano pure lui), mentre Slow Roller è limpida e distesa, con il canto più rilassato del nostro ed un buon refrain.

Hello World, ancora mossa, è puro country rock, sapido e godibile, la ritmatissima Church Of Country Music è un gustoso swing elettrico, una modernizzazione con un pizzico di rock della lezione di Bob Wills; That’s Just Me ha un leggero retrogusto southern, sia per l’uso del piano elettrico che per il sapore errebi, I Don’t Have The Heart è invece una ballata dai toni comunque non smorzati, anzi nel ritornello il ritmo è sempre alto, mentre la bella You Beat All I’ve Ever Seen è uno slow di stampo western e condito dalla solita melodia diretta. Keep On Keepin’ On, caratterizzata da un bel uso del violino, è grintosa quanto basta, Goodbye Love è il pezzo più lento del CD, non è male ma io preferisco quando Zane fa il texano dal pelo duro, come nella conclusiva Willie’s Road, uno dei pezzi più riusciti, vibrante, cadenzata e coinvolgente come è giusto che sia un brano dedicato al grande Willie Nelson. Gli americani, in quanto di madre lingua, avranno magari anche la possibilità di godere delle capacità letterarie di Zane Williams, a noi comunque basta la sua musica.

Marco Verdi

Ancora Il 2016 Maledetto! Questa Volta Se Ne E’ Andato Leon Russell!

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Ancora non si è spenta l’eco della scomparsa del grande Leonard Cohen, che purtroppo dobbiamo registrare un’altra grave perdita nel mondo del rock: si è infatti spento ieri, all’età di 74 anni, Claude Russell Bridges, meglio conosciuto come Leon Russell, musicista di lungo corso e giustamente considerato uno dei più grandi pianisti bianchi della musica rock, vero e proprio idolo per esempio di “colleghi” dello strumento quali Randy Newman ed Elton John, ma anche vera e propria figura di riferimento nell’ambito di un certo rock di matrice sudista e ricco di contaminazioni con soul e gospel.

Nativo dell’Oklahoma, Russell iniziò a muovere i primi passi come membro degli Starlighters (in cui militava anche un giovanissimo J.J. Cale) e poi come sessionman per conto terzi negli anni cinquanta, fino ad arrivare a Los Angeles nei sessanta e ad entrare a far parte di quell’enorme ensemble di musicisti di studio conosciuto come The Wrecking Crew, arrivando ad incidere anche con Phil Spector, i Byrds (suonava su Mr. Tambourine Man), i Beach Boys, perfino Frank Sinatra e molti altri. Il suo esordio discografico si ebbe nel 1968 con Inside The Asylum Choir, inciso insieme al musicista texano Marc Benno, ma in quegli stessi anni iniziò a frequentare il giro di Eric Clapton (suonando anche sul debutto solista omonimo di Manolenta e scrivendo con lui la classica Blues Power) e di Delaney & Bonnie, partecipando ai loro primi album ed accompagnandoli anche in tour. Fu poi il direttore musicale di quell’allegro e splendido carrozzone che fu Mad Dogs & Englishmen, forse la prova più convincente della carriera di Joe Cocker, e nel 1971 fu chiamato da George Harrison, suo grande estimatore, per suonare il piano nella house band del famoso Concert For Bangladesh (durante il quale ebbe anche un eccellente momento come solista, con un medley fra Young Blood dei Coasters e Jumpin’ Jack Flash degli Stones).

Nel 1969 aveva anche contribuito a fondare la Shelter Records, etichetta in seguito fallita, ma che negli anni pubblicò, oltre ai suoi lavori, anche album di J.J. Cale, Don Nix, Phoebe Snow, Freddie King, oltre a far esordire Tom Petty & The Heartbreakers. Ovviamente Leon in quegli anni (ed anche in seguito), portava avanti anche la sua carriera solistica, che però era piuttosto avara di soddisfazioni (le sue canzoni più note, Delta Lady e A Song For You, ebbero più successo in versioni di altri, la prima con Joe Cocker e la seconda con una moltitudine di artisti, dei quali il maggior successo lo ebbero i Carpenters, ma la incise anche una leggenda come Ray Charles), ed anche i suoi album, inappuntabili dal punto di vista musicale, non vendettero mai molto (con l’eccezione del bellissimo Carney del 1972, che salì fino al secondo posto, ed il seguente Leon Live, al nono), facendo di lui uno degli artisti di culto per antonomasia della storia del rock, ma sempre richiestissimo come musicista per conto terzi; nel 1979 il suo ultimo successo per decenni, con l’album One More For The Road condiviso con Willie Nelson.

Per tutti gli anni ottanta, novanta e la prima decade dei duemila Leon ha continuato ad incidere, pur diradando la sua produzione, finché nel 2010 il suo grande fan Elton John decise di tirarlo letteralmente fuori dalla naftalina incidendo con lui il bellissimo The Union (prodotto da T-Bone Burnett), album che ebbe un ottimo successo e contribuì a far conoscere la figura di Russell anche alle generazioni più giovani, e facendogli assaporare finalmente un meritatissimo istante di popolarità. Ancora un disco molto bello nel 2014, Life Journey, poi più nulla fino alla morte avvenuta ieri in seguito a complicazioni sopraggiunte dopo un intervento al cuore.

Leon Russell era il classico musicista che non ebbe mai neanche un decimo della fama che avrebbe meritato, ma credo che lui sia stato felice così, di aver suonato la musica che gli piaceva di più insieme ai migliori al mondo; io vorrei ricordarlo con un toccante brano contenuto in The Union, nel quale oltre a Leon ed Elton partecipa anche il “Bisonte” Neil Young.

Addio, Leon.

Piccola considerazione conclusiva: come nei thriller il cui finale “aperto” lascia presagire un seguito, l’inquietante domanda da porsi è “A chi toccherà adesso?”.

Marco Verdi

Forse L’Ultima Occasione Per Un “Cantante Vero”! Frankie Miller’s Double Take

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Frankie Miller – Frankie Miller’s Double Take – Universal CD – CD+DVD

Per chi non lo sapesse, e purtroppo temo siano in molti, soprattutto tra i più giovani, Frankie Miller è stato uno dei più grandi cantanti inglesi della storia del rock (e pure del soul, non solo quello blue eyed, ma in generale), un interprete ed autore assolutamente alla pari, anche superiore per certi versi, a gente come Rod Stewart o Paul Rodgers, ma anche andando a ritroso, Eric Burdon, Joe Cocker, Chris Farlowe, Steve Marriott, uno in grado di interpretare brani di Otis Redding e Marvin Gaye, infondendo nelle canzoni il fuoco dell’interprete sublime o del rocker selvaggio, ma anche autore di splendide canzoni, che se non hanno infiammato le classifiche nel suo periodo aureo, sono state apprezzate da tutti gli amanti della musica più genuina, grazie a una potenza vocale inaudita, un phrasing perfetto ed una grinta incredibile, soprattutto nei concerti dal vivo (andatevi a recuperare il triplo CD o doppio DVD del Rockpalast, è fenomenale), ma anche i dischi in studio, soprattutto i sette incisi tra il 1973e il 1980, e raccolti nello splendido cofanetto That’s Who: Complete Chrysalis Recordings 1973-1980, sono tra le migliori cose di sempre prodotte dal rock britannico (anzi scozzese, perché il nostro viene da Glasgow).

Tra le sue collaborazioni sono famose quelle con Phil Lynott dei Thin Lizzy per Still In Love With You e quelle dal vivo con Rory Gallagher, un altro genuino e istintivo come lui  https://www.youtube.com/watch?v=OUAM66Oc-ck. Un paio di brani nei top 10 inglesi, alcune canzoni in film e serie televisive, i suoi pezzi sono stati incisi anche da Ray Charles, Rod Stewart, Etta James, Johnny Cash, Roy Orbison e i Traveling Wilburys, qualche apprezzata esperienza come attore, poi i suoi brani hanno cominciato ad avere successo in ambito country, ma dal 1985 non riusciva più ad incidere un album nuovo. Nel 1994 si era trasferito a New York per formare un nuovo gruppo, con Joe Walsh alla chitarra, Nicky Hopkins al piano e Ian Wallace alla batteria, quando improvvisamente una notte, il 25 agosto del 1994, la luce si è spenta, Miller ha avuto una emorragia cerebrale per cui ha rischiato di morire, è rimasto molti mesi in coma, ma caparbiamente, anche se dicevano che non avrebbe più camminato e recuperato l’uso delle sue funzioni vitali, ha ripreso la vita per i capelli, e anche se non ha più potuto cantare e scrivere canzoni, come racconta l’ottimo documentario della BBC Stubborn Kinda Fella https://www.youtube.com/watch?v=DI24jV1AxwE , comunque si è impegnato per riavere quello che era possibile.

E ora, dopo molti anni e molti tributi, tramite l’interessamento di Rod Stewart, suo grande ammiratore, che lo ha definito l’unico cantante bianco “in grado di portare una lacrima al mio occhio”, e che ha contattato il produttore australiano David Mackay chiedendogli se era a conoscenza di materiale inedito di Frankie Miller, il quale a sua volta lo ha chiesto alla moglie di Miller Annette, sempre rimasta al suo fianco in questi anni difficili, che gli ha spedito due sacchettoni pieni di demos, dal quale sono emersi i diciannove pezzi che compongono questo Frankie Miller’s Double Take. Come direbbe Fantozzi, paventavo “una cagata pazzesca” e invece l’album, che ho sentito ripetutamente in streaming prima dell’uscita e di nuovo in questi giorni, è decisamente buono, non un capolavoro, ma assolutamente degno delle glorie passate di Frankie. Canzoni interpretate nell’album sotto forma di duetto con ospiti illustri: dal rock iniziale di Blackmail, con l’amico Joe Walsh alle chitarre, anche slide, passando per Where Do The Guilty Go, che sembra una canzone perduta del Elton John anni ’70, con Steve Cropper alla chitarra. Way Past Midnight, un poderoso rock’n’soul faitistico con Huey Lewis, True Love, una bella ballata con Bonnie Tyler, seconda voce meno “pomposa! del solito, perché comunque la protagonista assoluta del disco è la voce di Miller, forte e potente come sempre, e il contorno musicale creato è assolutamente all’altezza. In Kiss Her For Me, il duetto con Rod Stewart, è difficile distinguere le voci dei due, stesso timbro, stesso phrasing, ottima canzone, Gold Shoes, il pezzo con Francis Rossi, sembra uno di quelli belli degli Status Quo, deliziosa anche la canzone con Kiki Dee e Jose Antonio Rodriguez (?), e persino Kid Rock fa un figurone in Jezebel Jones, un pezzo che ricorda moltissimo Bob Seger (che ha ammesso le influenze di Miller nella sua musica).

Grande tiro in When It’s Rockin’, il duetto con Steve Dickson, che rievoca le vecchie glorie dei Full House, la sua band dell’epoca, tra fiati e slide a manetta. Frankie Miller e Delbert McClinton sono due gemelli separati alla nascita nella tirata Beginner At The Blues, e Kim Carnes ha lampi del vecchio splendore nella ballata To Be With You Again; Willie Nelson aggiunge la sua classe e un assolo di Trigger nello splendido country-soul che risponde al nome di I Want To Spend My Life With You. Se il disco si fosse limitato a queste dodici canzoni sarebbe stato un album da tre stellette e mezzo, delle altre sette aggiunte, con vecchie glorie perlopiù bollite, si salvano ancora i duetti con Paul Carrack e quello con Lenny Zakatek, della band inglese funky anni ’70 Gonzalez, oltre alla conclusiva I Do, in solitaria e un’altra ballata The Ghost, con Tomoyasu Hotel (?!?), che a tratti sembra Purple Rain di Prince. A dispetto delle premesse, un vero disco per un cantante “vero”.

Bruno Conti

“Vecchissimi Cowboy Sudisti”, Non Ancora Stanchi! Charlie Daniels – Night Hawk

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Charlie Daniels – Night Hawk – CDC Records CD

Alla bella età di ottanta anni, Charlie Daniels, vera e propria icona della musica americana, non ha ancora perso la voglia di fare musica. A due anni dall’ottimo album di covers dylaniane Off The Grid (probabilmente il miglior disco del barbuto countryman da trant’anni a questa parte) http://discoclub.myblog.it/2014/04/04/cover-cover-charlie-daniels-band-off-the-grid-doin-it-dylan/ , e dopo l’ottimo album Live pubblicato lo scorso anno http://discoclub.myblog.it/2015/11/23/piu-che-gagliardo-dal-vivo-charlie-daniels-band-live-at-billy-bobs-texas/  il nostro sfrutta l’eccellente momento di forma e pubblica questo Night Hawk, una sorta di excursus nel mondo delle cowboy songs, con riproposizioni di veri e propri classici del genere e rivisitazioni di suoi brani del passato. Daniels, nonostante la veneranda età, ha ancora una voce strepitosa, e la sua voglia di intrattenere è rimasta intatta: Night Hawk lo vede poi nel suo ambiente naturale, le cowboy songs, che il nostro riprende con grande classe e naturalezza, scegliendo arrangiamenti semplici ed acustici, quasi da old-time bluegrass band.

Infatti il musicista originario del North Carolina, che si accompagna con l’inseparabile violino, non si esibisce con l’usuale band elettrica, ma con un piccolo combo che cuce intorno alla sua voce un tappeto sonoro semplice ma di grande purezza: Chris Wormer alla chitarra acustica, Charlie Hayward al basso, Casey Wood alle percussioni, e soprattutto Bruce Brown, che suona un po’ di tutto, dalla chitarra al banjo all’armonica al dobro al mandolino, rivelandosi il vero band leader del disco. E Night Hawk, pur nella sua esigua durata (32 minuti) si rivela un album piacevole e riuscito, forse non allo stesso livello di Off The Grid, ma decisamente superiore a certi lavori altalenanti del passato di Daniels. Big Balls In Cowtown è una gioiosa interpretazione di un classico tratto dal repertorio, tra gli altri, di Bob Wills, Asleep At The Wheels e George Strait: nonostante gli anni Charlie ha ancora una gran voce, ed il tappeto musicale dietro di lui è perfetto, con strepitosi assoli di chitarra acustica, dobro e naturalmente violino. Billy The Kid è la rivisitazione di un vecchio pezzo del nostro (del 1976), atmosfera western, melodia tipica e gran sottofondo di strumenti a corda, una versione stripped-down ma non certo inferiore all’originale, mentre Night Hawk è un toccante slow dominato dal vocione di Charlie, e con un accompagnamento scarno ma robuste dosi di feeling.

Stay All Night (Stay A Little Longer) è nota soprattutto per la versione di Willie Nelson (ma l’hanno fatta anche Merle Haggard e di nuovo Bob Wills), una rilettura ricca di ritmo e swing, anche se Willie è due spanne più in alto; Goodnight Loving Trail, di Bruce “Utah” Phillips, è una cowboy ballad pura e cristallina, mentre (Ghost) Riders In The Sky, il grande classico portato al successo da Johnny Cash, è strepitosa in tutte le salse, e Charlie la rifà come se fosse sua, senza la drammaticità dell’Uomo in Nero ma con grinta e passione. Running With The Crowd, ancora Charlie Daniels Band d’annata, è un pezzo che anche spogliato degli strumenti elettrici mantiene la sua anima southern (ed il dobro la fa da padrone), mentre il celebre traditional Old Chisholm Trail è un divertente pretesto per far sentire il violino del leader, con l’armonica di Brown che lo doppia da par suo; l’album si chiude con la lenta ed intensa Can’t Beat The Damned Ole Machine, un inedito scritto dallo scomparso Joel “Taz” Di Gregorio, storico tastierista della CDB, e con la bella Yippie Ki Yea, una vibrante ballata western di stampo classico, anch’essa già presentata da Charlie in passato ma in veste differente.

Charlie Daniels non ha ancora appeso il cappello (ed il violino) al chiodo, anzi, direi che è più in forma adesso di vent’anni fa.

Marco Verdi

Sarà Solo Blues Ma Ci Piace! Kenny Neal – Bloodline

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Kenny Neal – Bloodline – Cleopatra Records

Kenny Neal è uno dei migliori musicisti delle ultime generazioni del Blues (per quanto veleggi verso i 60, da compiersi il prossimo anno, i bluesmen per definizione, sono sempre “giovani” comunque, sino circa agli 80 anni): nativo di New Orleans, facente parte di una famiglia che fa capo a Raful Neal, altro ottimo praticante delle 12 battute, con otto dei nove fratelli impegnati anche loro nella musica, la migliore dei quali era Jackie Neal, tragicamente scomparsa nel 2005, assassinata dall’ex compagno. Kenny è probabilmente il più bravo della dinastia, chitarrista sopraffino, armonicista ed in possesso di una voce ora calda, felpata e suadente, ora potente ed imperiosa, ha al suo attivo una quindicina di album, incisi per Alligator, Telarc e Blind Pig, l’ultimo, dopo una pausa di qualche anno, un disco natalizio I’ll Be Home For Christmas, pubblicato dai “miei amici” della Cleopatra, che francamente mi ero perso. Ed ora questo Bloodline, ancora una volta molto buono, con la solita miscela di blues, soul classico dal profondo Sud, con fiati e pure screziature di New Orleans sound, aiutato da un gruppetto di eccellenti musicisti dove spiccano Tom Hambridge alla batteria (che è anche il produttore, sempre sinonimo di qualità) Tommy MacDonald al basso, Kevin McKendree e Lucky Peterson a piano e organo, oltre alle McCrary Sisters alle armonie vocali, e pure i restanti sette, dicasi sette, fratelli e sorelle di Neal, per la serie i nomi non saranno importanti, ma quando sono bravi la differenza si sente, e in questo caso la regola viene confermata.

Apertura alla grande con Ain’t Goin’ Let The Blues Die, uno di quei classici brani in cui in tre minuti o poco più si citano alcuni dei grandi del genere in una sorta di celebrazione profana, con fiati sincopati, organo e voci di supporto in grande spolvero che danno un tocco gospel, con Kenny Neal maestro di cerimonie con la sua voce rauca e potente, oltre ad una slide sinuosa che caratterizza la canzone. Non tutto il resto del disco è di questo livello, ma ci si difende alla grande, Bloodline potremmo definirlo uno swamp blues d’amosfera, direttamente dalle paludi della Louisiana, con Neal che si sdoppia all’armonica, mentre Plain Old Common Sense, un ciondolante shuffle, è solo del buon vecchio classico blues, sempre con uso di fiati, svisate di organo e piano saltellante, su cui il buon Kenny innesta la sua solista dalle linee fluide, nitide e ricche di inventiva. Molto bella anche la cover del super classico di Willie Nelson Funny How Time Slips Away, cantata alla grande da Neal e che diventa una sorta di ballata R&B/counrty di grande fascino, grazie al lavoro di cesello di McKendree al piano e con lo stesso Kenny che accarezza la sua chitarra, mentre archi, organo e le coriste accrescono questa aria à la Ray Charles Modern Sounds In Country & Western Music, un gioiellino. Keep On Moving, più mossa, tra funky e R&B, gode sempre dell’ottimo lavoro della sezione fiati di Ware, Huber, Summers e Robbins, citiamoli tutti perché sono veramente bravi, l’organo di Lucky Peterson e la chitarra di Neal sono le ciliegine sulla torta.

I Go By Feel è uno slow blues in area B.B. King The Thrill Is Gone, linee classiche della solista, fiati sincopati e la voce struggente del nostro amico per celebrare il “rito” delle dodici battute per una ennesima volta; più leggerina, ma molto gradevole, I’m So Happy, come quelle vecchie canzoni Stax che andavano alla radio nei tempi che furono. In Blues Mobile, uno shuffle molto mosso, Kenny sfodera di nuovo l’armonica, che se non incide come la sua chitarra, poco ci manca, mentre tutta la band, piano, fiati, voci di supporto e sezione ritmica lo segue come un tutt’uno, ottimo; I Can’t Wait è un momento più intimo e raccolto, Steve Dawson alla Weissenborn, Bob Britt (marito di Etta) all achitarra acustica, John Lancaster al piano e Hambridge alle percussioni, tutti in “missione” acustica per sostenere l’armonica e la voce di Neal. Poi ci si rituffa nel deep soul modello Stax/Atlantic, Sam & Dave, Wilson Pickett, c’avete presente, quella “robetta” lì che ci porta in quel di Memphis, grazie a ottimi soli di tromba e sax, oltre all’immancabile chitarra del nostro, la canzone si chiama Real Friend. Prima di lasciarci Kenny Neal ci regala un altro omaggio, ancora più esplicito del precedente, con la sontuosa Thank You BB King si celebra uno dei più grandi del Blues, sia con le parole che con la musica e se non c’è Lucille in azione poco ci manca. Per parafrasare i Glimmer Twins, “sarà solo blues ma ci piace”!

Bruno Conti

Il Miglior Modo Per Festeggiare Gli 80 Anni Di Un Grande! Kris Kristofferson – The Complete Monument & Columbia Album Collection – The Cedar Creek Sessions. Parte II

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Kris Kristofferson – The Complete Monument & Columbia Album Collection – Sony Legacy 16CD Box Set

Kris Kristofferson – The Cedar Creek Sessions – KK Records 2CD

Parte seconda…

E poi abbiamo i cinque dischetti di rarità, dei quali i primi tre dal vivo: Live At The Big Sur Folk Festival 1970 e Live At RCA Studios 1972 sono inediti, mentre Live At The Philarmonic, sempre inciso nel 1972, è uscito nel 1992 ma è introvabile da anni; inutile dire che, nonostante le canzoni si ripetano spesso e volentieri, siamo di fronte a tre live uno più bello dell’altro, con Kris padrone del campo ed in gran forma, accompagnato a seconda dei concerti dai soliti fedelissimi (Fritts, Blake, Bruton, Swan, Terry Paul e, nel terzo CD, da Sammy Creason alla batteria): ed è proprio al Philarmonic, il più lungo dei tre, che si trovano le chicche più ghiotte, come una splendida The Late John Garfield Blues di John Prine, il classico Okie From Muskogee di Merle Haggard (alla quale Kris cambia il testo a suo piacimento), oltre a quattro pezzi eseguiti da Willie Nelson in qualità di ospite speciale (Funny How Time Slips Away, Night Life, Me And Paul e Morning Dew), e Willie era già un grande. Poi c’è il CD intitolato Extras, che prende in esame le rarità ed i brani usciti su altri dischi, ed è uno dei più interessanti: inizia con due brani di un raro singolo del 1966 (Golden Idol e Killing Time), che già facevano intravedere che il nostro aveva dei numeri, per poi passare ad uno splendido duetto dal vivo con Joan Baez su Hello In There ancora di John Prine, tratto da una compilation di artisti vari.

A seguire ancora abbiamo le quattro bonus tracks della ristampa del 2001 di Kristofferson, tra cui l’ottima The Junkie And The Juicehead Minus Me, che negli anni settanta darà il titolo ad un LP di Johnny Cash; nove canzoni vengono da The Winning Hand, uno strano disco del 1982 che vedeva Kris dividere il campo con Willie Nelson, Brenda Lee e Dolly Parton: qui ci sono chiaramente solo i pezzi dove compariva Kristofferson, tra cui una trascinante The Bandits Of Beverly Hills https://www.youtube.com/watch?v=VBGrqZaJXi0 , una ripresa da pelle d’oca di The Bigger The Fool (The Harder The Fall) con la Lee (e che voce lei), la sempre magnifica Casey’s Last Ride (con Willie) https://www.youtube.com/watch?v=6ZgPRqBf2zs , ed anche una imbarazzante Ping Pong con la Parton. Chiudono il CD sei brani tratti da Songwriter, colonna sonora di un film del 1984 con Kris e Nelson come interpreti principali, e la versione un po’ etilica di I’ll Be Your Baby Tonight di Bob Dylan suonata nel 1992 alla BobFest del Madison Square Garden.

L’ultimo CD del box è forse il più interessante: intitolato Demos, prende in esame sedici incisioni mai sentite di canzoni rare di Kris (in molti casi con canzoni mai più riprese in seguito), non acustiche ma con la band, anche se non sono indicati né i musicisti né, fatto più grave, le date (anche se sembrerebbe un Kris di fine anni sessanta/primi settanta), un dischetto comunque che da solo quasi vale l’acquisto del box, con brani che non sembrano demos ma canzoni fatte e finite, molto country, e con alcune chicche assolute, come la strepitosa A Stich In The Hand, l’emozionante Fallen Woman o la splendida Nobody Owns My Soul, country song purissima sullo stile di Hank Williams.

E veniamo ai giorni nostri, con il bellissimo doppio The Cedar Creek Sessions, nel quale Kris rilegge per l’ennesima volta i suoi classici (lo aveva già fatto nel 1999 con The Austin Sessions), aggiungendo però qualche brano minore, ma sempre bellissimo, del suo repertorio: lo aiuta in questa missione un ristretto combo di musicisti, guidato dal chitarrista Shawn Camp (collaboratore fisso di Guy Clark), con Kevin Smith al basso, Michael Ramos al piano, Fred Remmert e Mike Meadows alla batteria e Lloyd Maines alla steel. E’ comunque sempre un piacere ascoltare queste canzoni, e qui Kris le propone con la sua voce odierna, un po’ impastata ma di grande fascino e se possibile ancora più calda ed emozionante. Mancano purtroppo The Pilgrim, Chapter 33 e Why Me, ma tutte le altre ci sono, e questa rilettura elettroacustica è perfetta. Tra le chicche, una Me And Bobby McGee con un arrangiamento alla Johnny Cash, una To Beat The Devil forse ancora più profonda dell’originale, e soprattutto una riproposizione della splendida The Loving Gift, un brano portato al successo proprio da Cash, con la brava Sheryl Crow nella parte di June Carter, un sentito omaggio all’Uomo In Nero che ebbe il merito per primo di credere in lui ed aprirgli le porte di Nashville.

E’ ora dunque di porgere il giusto tributo a Kris Kristofferson, e queste due pubblicazioni sono il modo migliore per farlo: imperdibili.

Marco Verdi

Uscite Prossime Venture: Esattamente Tra Un Mese, Il 20 Maggio. Bob Dylan, Eric Clapton, Mudcrutch 2 (Tom Petty), Day Of The Dead Tribute, Highwaymen Box Live + Allen Ginsberg Cofanetto (con Dylan)

bob dylan fallen angels

Tutti i nomi riportati nel titolo del Post sono previsti in uscita per il 20 maggio (e sono solo i più importanti, ho visto annunciati per quella data anche i No Sinner di Colleen Rennison, Posies, Brett Dennen, Marissa Nadler e altri meno conosciuti o che non interessano per i contenuti del Blog). Del nuovo Bob Dylan Fallen Angels abbiamo già parlato nei giorni scorsi con la  recensione dell’EP giapponese http://discoclub.myblog.it/2016/04/08/gustoso-antipasto-attesa-maggio-della-portata-principale-bob-sinatra-scusate-dylan-melancholy-mood/, quindi veniamo alle altre uscite.

eric clapton still i do 

Il 20 maggio si ricostituirà anche la coppia Eric Clapton – Glyn Johns, con “Manolenta” che tornerà a farsi produrre da colui con il quale realizzò nel 1977 appunto il celebre Slowhand (e Johns fu quello che produsse il primo Led Zeppelin, Get Yer Ya-Ya’s Out degli Stones, alcuni dei primi album degli Humble Pie e della Steve Miller Band, dei Family, Who’s Next, i primi Eagles, in anni recenti l’ultimo bello di Ryan Adams, Ashes & Fire, il cui album migliore, Heartbreaker, di prossima ristampa il 6 maggio, in versione tripla, era stato prodotto dal figlio di Glyn, Ethan Johns, insomma uno “bravino”). Clapton aveva annunciato il suo “ritiro”, ma evidentemente solo dai tour lunghi e stressanti (infatti il 13 aprile di quest’anno era in concerto a Tokyo, https://www.youtube.com/watch?v=CfjgDNMzGTA, mi sembra tanto che si ripeta la storia di Tina Turner che è si ritirata a ripetizione) comunque ad un anno dai concerti alla Royal Albert Hall eccolo in pista con un album nuovo.

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Vi pareva che non dovessero uscire edizioni Deluxe dell’album nuovo? Certo che no, ed infatti I Still Do, uscirà nelle due versioni che vedete effigiate qui sopra, una definita (da me) del “tubo”, che è quella in formato chiavetta USB, e l’altra Deluxe Denim Box, del colore dei giubbetti che usava Eric, in teoria saranno in vendita solo sul sito di Clapton, a prezzi esorbitanti, ma quella più lussuosa andrà anche nei canali normali, distribuita dalla Universal, la major che pubblica i prodotti della Bushbranch/Surfdog, ossia l’etichetta del nostro. E che mirabolanti bonus conterrà, per un prezzo che è previsto circa del quadruplo rispetto alla versione singola? Ben 2 bonus tracks, Lonesome Freight Train, più un video di 45 minuti con il Making Of, e qualche filmato in studio e dal vivo, nonché la versione in WAV dell’album e due videoclip. Però, direi che questa è la sublimazione della “fregatura” della Deluxe Edition, per due canzoni inedite questa volta si sono superati.

Comunque questa è la tracklist della versione normale:

1. Alabama Woman Blues
2. Can’t Let You Do It
3. I Will Be There
4. Spiral
5. Catch The Blues
6. Cypress Grove
7. Little Man, You’ve Had A Busy Day
8. Stones In My Passway
9. I Dreamed I Saw St. Augustine
10. I’ll Be Alright
11. Somebody’s Knockin’
12. I’ll Be Seeing You

Tra i musicisti annunciati nell’album, Henry Spinetti, Dave Bronze, Andy Fairweather-Low, Paul Carrack, Chris Stainton, Simon Climie, Dirk Powell, Walt Richmond, Ethan Johns (toh!) e Michelle John Sharon White, le due vocalist di colore, viene riportato anche l’Angelo Mysterioso, chitarra acustica e voce, che era lo pseudonimo che usò George Harrison in Badge dei Cream, chi sarà questa volta?

Comunque devo dire che però dell’album si parla bene, e a giudicare dalla prima canzone rilasciata potrebbe essere vero, quindi può “ritirarsi” tutte le volte che vuole se poi fa dei dischi belli.

mudcrutch 2

Per il recente Record Store Day sono usciti due prodotti legati al nome di Tom Petty, uno è il vinile di Kiss My Amps 2, con materiale dal vivo raro e di cui più avanti parleremo nel Blog, e un un 7″ con due canzoni dei Mudcrutch (che non sono inedite, ma verranno pubblicate nel prossimo album della band).

Mudcrutch 2 uscirà per la Reprise/Warner con questo contenuto:

1. Trailer
2. Dreams Of Flying
3. Beautiful Blue
4. Beautiful World
5. I Forgive It All
6. The Other Side Of The Mountain
7. Hope
8. Welcome To Hell
9. Save Your Water
10. Victim of Circumstance
11. Hungry No More

Il bassista del gruppo, quel Tom Petty, mi sembra bravo!

day of the dead

In passato erano usciti parecchi tributi dedicati ai Grateful Dead (penso a Deadicated del 1991 come al migliore https://www.youtube.com/watch?v=1CDuQmhTyD4), ma dopo il cinquantennio della band hanno deciso di fare le cose in grande e la 4AD pubblicherà questo mastodontico Day Of The Dead, un box di 5 CD curato da Aaron and Bryce Dessner dei National, con un cast di partecipanti veramente strepitoso, molti nomi noti ma anche “promesse”, emergenti e nomi che mi sono del tutto ignoti.

Ecco la lista completa, quando sarà il momento ne parleremo diffusamente (come per tutti gli album del post odierno):

1. Touch of Grey – The War on Drugs
2. Sugaree – Phosphorescent, Jenny Lewis & Friends
3. Candyman – Jim James & Friends
4. Cassidy – Moses Sumney, Jenny Lewis & Friends
5. Black Muddy River – Bruce Hornsby and DeYarmond Edison
6. Loser – Ed Droste, Binki Shapiro & Friends
7. Peggy-O – The National
8. Box of Rain – Kurt Vile and the Violators (featuring J Mascis)
9. Rubin and Cherise – Bonnie ‘Prince’ Billy & Friends
10. To Lay Me Down – Perfume Genius, Sharon Van Etten & Friends
11. New Speedway Boogie – Courtney Barnett
12. Friend of the Devil – Mumford & Sons
13. Uncle John’s Band – Lucius
14. Me and My Uncle – The Lone Bellow & Friends
15. Mountains of the Moon – Lee Ranaldo, Lisa Hannigan & Friends
16. Black Peter – Anohni and yMusic
17. Garcia Counterpoint – Bryce Dessner
18. Terrapin Station (Suite) – Daniel Rossen, Christopher Bear and The National (featuring Josh Kaufman, Conrad Doucette, So Percussion and Brooklyn Youth Chorus)


19. Attics of My Life – Angel Olsen
20. St. Stephen (live) – Wilco with Bob Weir
21. If I Had the World to Give – Bonnie ‘Prince’ Billy
22. Standing on the Moon – Phosphorescent & Friends
23. Cumberland Blues – Charles Bradley and Menahan Street Band
24. Ship of Fools – The Tallest Man On Earth & Friends
25. Bird Song – Bonnie ‘Prince’ Billy & Friends
26. Morning Dew – The National
27. Truckin’ – Marijuana Deathsquads
28. Dark Star – Cass McCombs, Joe Russo & Friends
29. Nightfall of Diamonds – Nightfall of Diamonds
30. Transitive Refraction Axis for John Oswald – Tim Hecker
31. Going Down The Road Feelin’ Bad – Lucinda Williams & Friends
32. Playing in the Band – Tunde Adebimpe, Lee Ranaldo & Friends
33. Stella Blue – Local Natives
34. Eyes of the World – Tal National
35. Help on the Way – Bela Fleck
36. Franklin’s Tower – Orchestra Baobab
37. Till the Morning Comes – Luluc with Xylouris White
38. Ripple – The Walkmen
39. Brokedown Palace – Richard Reed Parry with Caroline Shaw and Little Scream (featuring Garth Hudson)
40. Here Comes Sunshine – Real Estate
41. Shakedown Street – Unknown Mortal Orchestra
42. Brown-Eyed Women – Hiss Golden Messenger
43. Jack-A-Roe – This Is the Kit
44. High Time – Daniel Rossen and Christopher Bear
45. Dire Wolf – The Lone Bellow & Friends
46. Althea – Winston Marshall, Kodiak Blue and Shura
47. Clementine Jam – Orchestra Baobab
48. China Cat Sunflower -> I Know You Rider – Stephen Malkmus and the Jicks
49. Easy Wind – Bill Callahan
50. Wharf Rat – Ira Kaplan & Friends
51. Estimated Prophet – The Rileys
52. Drums -> Space – Man Forever, So Percussion and Oneida
53. Cream Puff War – Fucked Up
54. Dark Star – The Flaming Lips
55. What’s Become of the Baby – s t a r g a z e
56. King Solomon’s Marbles- Vijay Iyer
57. Rosemary – Mina Tindle & Friends
58. And We Bid You Goodnight – Sam Amidon
59. I Know You Rider (live) – The National with Bob Weir

higjwaymen live american outlaws

Nel 1991 uscì una VHS intitolata Highwaymen Live, registrata l’anno prima al Nassau Coliseum. Poi negli anni di quel concerto si sono perse le tracce, ora la Sony/Bmg pubblicherà un box quadruplo, tre CD + DVD o tre CD + Blu-Ray, con il concerto completo del 14 marzo 1990 al Nassau Coliseum, Uniondale, New York, 35 brani in tutto, sia nei due CD come nel video, con in più 11 brani nel terzo CD, 10 registrati dal vivo ai Farm Aid del 1992 e 1993 e una versione inedita di One Too Many Mornings, un pezzo di Dylan che Johnny Cash Waylon Jennings incisero nell’album Heroes del 1986, al quale Willie Nelson Kris Kristofferson, gli altri due Highwaymen, hanno aggiunto nuova parti vocali nel 2014.

Ecco la lista dei brani contenuti nelle varie edizioni:

[CD1]
1. Mystery Train
2. Highwayman
3. Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys
4. Good Hearted Woman
5. Trouble Man
6. Amanda
7. There Ain’t No Good Chain Gang
8. Ring Of Fire
9. Folsom Prison Blues
10. Blue Eyes Crying In The Rain
11. Sunday Morning Coming Down
12. Help Me Make It Through The Night
13. The Best Of All Possible Worlds
14. Loving Her Was Easier (Than Anything I’ll Ever Do Again)
15. City Of New Orleans
16. Always On My Mind
17. Me And Bobby McGee

[CD2]
1. Silver Stallion
2. The Last Cowboy Song
3. Two Stories Wide
4. Living Legend
5. The Pilgrim: Chapter 33
6. They Killed Him
7. I Still Miss Someone
8. Ragged Old Flag
9. (Ghost) Riders In The Sky
10. Are You Sure Hank Done It This Way
11. Night Life
12. The King Is Gone (So Are You)
13. Desperados Waiting For A Train
14. Big River
15. A Boy Named Sue
16. Why Me
17. Luckenbach, Texas
18. On The Road Again

[CD3]
1. Mystery Train
2. Highwayman
3. The King Is Gone (So Are You)
4. I ve Always Been Crazy
5. The Best Of All Possible Worlds
6. City Of New Orleans
7. Folsom Prison Blues
8. Intro/Highwayman
9. Shipwrecked In The Eighties
10. Desperados Waiting For A Train
11. One Too Many Mornings (Previously Unreleased)

[DVD or Blu-ray]
1. Concert Film

Come detto il DVD o il Blu-Ray ripetono (con la parte video, e non è secondario) la tracklist dei due CD.

allen ginsberg the last words

Perché parlare di un triplo cofanetto di Allen Ginsberg? Perché come risulta chiaro nel titolo del Post, alle sessions che diedero vita al materiale contenuto in questo triplo CD The Last Word On First Blues, che verrà pubblicato dalla Omnivore Recordings, partecipò in modo massiccio un certo Bob Dylan, chiamato proprio da Ginsberg, insieme a David Amran, Happy Traum e al giovane (allora, siamo nel 1971) cellista Arthur Russell. Autore dei testi (ovviamente) e voce solista fu Allen Ginsberg. Le registrazioni rimasero inedite fino al 1983 quando furono pubblicate in un doppio vinile chiamato First Blues, insieme ad altre sessions, una del 1976 prodotta da John Hammond e una del 1981, a cui parteciparono anche Peter Orlovsky David Mansfield. Nella nuova versione tripla della Omnivore ci sono altri 11 brani inediti, anche live con Dylan, e un brano dove Don Cherry si esibisce al kazoo.

Quindi chi sarà interessato a questo cofanetto? Fans della Beat Generation o di Bob Dylan? Voi che dite? Io pensi entrambi. Comunque questa è la lista completa dei brani:

Tracklist
[CD1]
1. Going Down To San Diego
2. Vomit Express
3. Jimmy Bergman (Gay Lib Rag)
4. Ny Youth Call Annunciation
5. Cia Dope Calypso
6. Put Down Yr Cigarette Rag
7. Sickness Blues
8. Broken Bone Blues
9. Stay Away From The White House
10. Hardon Blues
11. Guru Blues

[CD2]
1. Everybody Sing
2. Gospel Nobel Truths
3. Bus Ride To Suva
4. Prayer Blues
5. Love Forgiven
6. Father Death Blues
7. Dope Fiend Blues
8. Tyger
8. You Are My Dildo
10. Old Pond
11. No Reason
12. My Pretty Rose Tree
13. Capitol Air

[CD3: Bonus Disc – More Rags, Ballands, and Blues 1971-1985]
1. Nurses Song
2. Spring (Merrily Welcome)
3. September On Jessore Road
4. Lay Down Yr Mountain
5. Slack Key Guitar
6. Reef Mantra
7. Ny Blues
8. Come Along Vietnam (Rehearsal)
9. Airplane Blues (Live at Folk City)
10. Feeding Them Raspberries To Grow (Live at Folk City)
11. Do The Meditation Rock

Direi che anche per oggi è tutto.

Bruno Conti

Continuano I Lutti In Questo 2016 Maledetto: Ora E’ La Volta Di Merle Haggard, Aveva 79 Anni!

merle haggard death 1

Sinceramente comincio ad essere un po’ stufo di scrivere necrologi,  non perché non voglia occuparmene, ma insomma i musicisti continuo a preferirli nettamente da vivi. *NDB Anche se è una occasione per parlare diffusamente di musicisti che meritano comunque di essere ricordati!

Oggi devo purtroppo ricordare Merle Ronald Haggard, scomparso ieri per complicazioni dovute ad una brutta polmonite (tra l’altro proprio nello stesso giorno in cui era nato, esattamente 79 anni fa):  uno per il quale il termine “leggenda” non è assolutamente esagerato, dato che nei suoi cinquant’anni di carriera ha collezionato una serie impressionante di successi, ha scritto diverse canzoni diventate poi degli standard della musica country e ha anche contribuito alla creazione di un suono. Oltre ad essersi fumato e “pippato” una quantità impressionante di sostanze non perfettamente legali (nonostante quello che diceva nelle sue canzoni)..

Nato a Bakersfield, California, Haggard ha avuto una gioventù parecchio problematica, un periodo nel quale entra ed esce con regolarità da riformatori e patrie galere (tra cui San Quintino), prima per piccoli furtarelli e poi per vere e proprie rapine a mano armata: nel suo caso si può quindi affermare a ragion veduta che la musica gli ha salvato la vita. Dopo qualche timido tentativo all’inizio degli anni sessanta, è dal 1965 che Merle inizia ad incidere singoli ed album con una certa regolarità, e non ci mette molto a diventare una delle figure di riferimento in ambito country, grazie ad un’abilità innata nel songwriting, un’ottima voce (anche se non eccelsa) ed al fatto che, insieme al compaesano Buck Owens, è uno dei creatori del cosiddetto “Bakersfield Sound”, che ai classici strumenti come steel e violino affiancava il suono delle chitarre elettriche suonate in modalità twang (cioè utilizzando le corde alte), con arrangiamenti diretti e che poco avevano da spartire con le sonorità di Nashville. Gli anni sessanta ed i primi anni settanta sono quelli ricchi di maggior successo per il nostro, con una lunga serie di canzoni andate al primo posto in classifica (a fine carriera i singoli al numero uno saranno addirittura una quarantina), brani epocali come Mama Tried (riproposta più volte dal vivo anche dai Grateful Dead), la splendida Sing Me Back Home, Hungry Eyes, The Legend Of Bonnie And Clyde, I Wonder If They Ever Think Of Me, If We Make It Through December, solo per citare le più note (ma anche gli album del periodo sono notevoli, specie Swinging Doors, Sing Me Back Home, Hag, It’s Not Love (But It’s Not Bad)).

Un caso a parte è rappresentato da Okie From Muskogee, un brano del 1969 (anch’esso un numero uno), in cui Merle, ormai identificato come la voce della working class e dell’americano medio, se la prende con gli hippies ed il loro modo di vivere e di concepire l’amore; un pezzo che gli attira addosso una lunga serie di critiche dall’intellighenzia di sinistra per le sue posizioni largamente conservatrici: non è mai stato molto chiaro se Merle ce l’avesse davvero con gli hippies o se la sua fosse una parodia del classico redneck reazionario (ma io propendo per la prima ipotesi), certo che il suo singolo successivo The Fightin’ Side Of Me, brano farcito di patriottismo e che deride le posizioni anti-guerra in Vietnam, non contribuisce a placare gli animi.

Dalla seconda metà degli anni settanta (durante i quali viene associato al movimento degli Outlaws, anche se non ne farà mai veramente parte) e per tutti gli anni ottanta, complici anche le mode che cambiano, i successi si diradano, anche se in maniera minore rispetto ad altri colleghi (come Johnny Cash): le belle canzoni non mancano di certo, come I Think I’ll Just Stay Here And Drink, Big City, e duetti fortunati come Yesterday’s Wine con George Jones e Pancho And Lefty con Willie Nelson (bello il video, al quale partecipa anche l’autore del brano, Townes Van Zandt), e proprio con Nelson incide negli eighties anche due album, Pancho And Lefty appunto (che vende moltissimo), e Seashores Of Old Mexico (che vende molto poco).

Gli anni novanta sono ancora più avari, solo tre album, che seppur buoni (specie 1994 e 1996, della serie la fantasia al potere…) vengono praticamente ignorati; fortunatamente nel nuovo secolo Merle ricomincia ad incidere dischi con più regolarità e con una qualità mediamente alta, con punte come If I Could Only Fly (2000), Roots, Volume 1 (2001), Haggard Like Never Before (2003) e I Am What I Am (2010), anche se i due successi più grandi li ha ancora con Wille Nelson, prima con l’album in trio assieme anche a Ray Price, Last Of The Breed (2007) e soprattutto con lo splendido Django And Jimmie dello scorso anno, che ci presenta due artisti in forma smagliante e con un’intesa incredibile, un disco che al momento dell’uscita mai avrei immaginato che sarebbe diventato il canto del cigno di Haggard (ed è stato anche il suo primo numero uno dopo una vita) http://discoclub.myblog.it/2015/07/07/due-vispi-giovanotti-willie-nelson-merle-haggard-django-and-jimmie/ .

Se ne va quindi una delle figure centrali della country music, che ha influenzato legioni di musicisti venuti dopo di lui, come Dwight Yoakam, George Strait, Alan Jackson, Brad Paisley e Jamey Johnson, e che ci lascia un songbook che pochi tra i suoi colleghi possono vantare. Ora me lo immagino già formare una superband con Cash, George Jones e Waylon Jennings, quasi una sorta di Highwaymen In Heaven.

E sono sicuro che il più rompiscatole dei quattro sarà proprio lui.

Marco Verdi

P.S: magari sarò smentito, ma sono praticamente certo che la morte di Haggard verrà praticamente ignorata dai media italiani, specie quelli televisivi, dato che la sua figura (ma tutto il country in generale) non è mai stata popolarissima nel nostro paese. Ma forse è meglio così, già tremo al pensiero di ciò che potrebbe dire di lui il mitico Mollicone (uno che ha riassunto la figura di Elvis Presley con “un simpatico mascalzone”).

Una Nuova” Promettente” Artista Di Talento! Loretta Lynn – Full Circle

loretta lynn full circle

Loretta Lynn – Full Circle – Sony Legacy CD

Il titolo del post è volutamente ironico, in quanto ci troviamo di fronte ad una vera e propria leggenda vivente della country music (e non solo): Loretta Lynn (nata Webb), 84 anni il mese prossimo, è sulla breccia da più di cinquant’anni, e la sua serie di successi e di premi meriterebbe un post a parte (basti sapere che è, dati alla mano, l’artista donna più di successo in ambito country di tutti i tempi). Sono già passati dodici anni da quel Van Lear Rose, che ci aveva mostrato un po’ a sorpresa un’artista ancora in grandissima forma, perfettamente a suo agio anche con una produzione non proprio tradizionale, come quella dell’eclettico Jack White: ma la strana coppia aveva funzionato, e l’album era stato uno dei migliori del 2004 in ambito country. Ora Loretta ci riprova, e con Full Circle centra nuovamente il bersaglio: ben bilanciato tra brani originali (alcuni rivisitati), cover e pezzi tratti dalla tradizione, il disco ci mostra una cantante che non ha la minima intenzione di appendere il microfono al chiodo, ed anzi è ancora in possesso di una voce formidabile, pura, limpida e cristallina, di certo non tipica di un’ottuagenaria.

La produzione è più canonica rispetto a Van Lear Rose, ed è nelle mani comunque esperte di John Carter Cash (figlio di Johnny e June), che ha cucito attorno all’ugola di Loretta un suono molto classico, con piano, steel, violini e chitarre acustiche sempre in primo piano: la lunga lista di musicisti presenti comprende alcuni veri e propri luminari come Sam Bush (mandolino), Shawn Camp (chitarra, di recente stretto collaboratore di Guy Clark), Paul Franklin (steel), Ronny McCoury (figlio di Del, al mandolino), Randy Scruggs (chitarra), oltre allo splendido pianoforte di Tony Harrell (già con Don Henley, Johnny Cash, Vince Gill, Sheryl Crow e nel bellissimo Django And Jimmie di Willie Nelson e Merle Haggard). Tredici canzoni, non una nota da buttare, con alcune vere e proprie perle ed un paio di sorprese finali che vedremo.

Con i primi due brani, due lentoni intitolati rispettivamente Whispering Sea e Secret Love, Loretta sembra quasi scaldare la sua ugola ed il gruppo i muscoli, ma già con la seconda delle due la nostra dimostra di essere nel suo elemento naturale, e la voce sembra di una con trent’anni di meno. Who’s Gonna Miss Me? ha una melodia diretta ed il gruppo offre una performance cristallina, grande classe e grande canzone, ma le cose vanno ancora meglio con la splendida Blackjack David, un famoso traditional attribuito alla Carter Family, rilasciato con un arrangiamento da pura mountain music, una versione imperdibile; e che dire di Everybody Wants To Go To Heaven, ritmo spedito, grande assolo di piano, chitarrina elettrica, melodia dalla struttura gospel e Loretta che canta con la grinta di una ventenne.

Always On My Mind è una delle grandi canzoni del songbook americano (ricordo le versioni più famose, ad opera di Elvis Presley e Willie Nelson) e l’arrangiamento pianistico è più vicino a quello di Willie che a quello un po’ pomposo del King: comunque sempre un grande brano, con la Lynn che canta con un’intensità da pelle d’oca. Anche Wine Into Water è una gradevolissima country ballad, suonata alla grande (ma tutto il disco è a questi livelli: è forse brutta la rilettura del traditional In The Pines?); Band Of Gold è un honky-tonk perfetto, che sembra provenire direttamente dalla golden age di questo tipo di musica, così come la mossa Fist City (un vecchio successo rifatto), fulgido esempio di come si possa fare del vero country tradizionale nel 2016.

I Never Will Marry (ancora Carter Family, qui John Carter deve aver detto la sua) precede Everything It Takes, uno scintillante honky-tonk che Loretta ha scritto con Todd Snider, suonato e cantato con la consueta classe, con la partecipazione straordinaria (e riconoscibilissima) di Elvis Costello alle armonie vocali. Chiude il CD la tenue Lay Me Down, un vero e proprio duetto vocale con Willie Nelson (poteva mancare?), due voci superbe, una chitarra, un mandolino, un violino e feeling a palate.

Full Circle è il titolo più appropriato per questo album, in quanto ci riporta una Loretta Lynn in forma Champions (per dirla in termini calcistici), e su territori che conosce a menadito e che ormai le appartengono di diritto.

Ed è ancora la numero uno.

Marco Verdi