L’Album E’ Un Capolavoro: Ma Vale La Pena Il Costoso Box Per Gli Stessi 14 Brani Ripetuti 7 Volte. Più Qualche Jam? John Lennon Plastic Ono Band

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John Lennon Plastic Ono Band The Ultimate Collection Super Deluxe Box – 6 CD/2 Blu-Ray Audio Apple/Universal – 2 CD – 2 LP

Come per i colleghi George, Paul & Ringo, il primo album da solista di John Lennon fu assolutamente consono alle aspettative dei fans dei Fab Four: un disco “non facile”, ma che negli anni ha acquistato la statura di un capolavoro, forse non a livello di vendite, che non furono straordinarie, quanto a livello critico, dove i giudizi furono quasi unanimemente molto positivi (con i soliti distinguo, per esempio ricordo Dave Marsh, uno bravo, che disse che l’album era meno avventuroso dell’opera di Yoko Ono, ci aggiungerei un per fortuna, senza voler essere troppo scontato). Un disco dal suono volutamente scarno e particolare, con John accompagnato solo da Ringo Starr e Klaus Voorman, bassista dallo stile decisamente diverso da quello di McCartney. La produzione era nelle mani dello stesso Lennnon, di Yoko (?!?) e di Phil Spector, qui molto più sobrio negli arrangiamenti dopo il pasticcio di Let It Be dei Beatles: quindi in pratica un disco in trio, con Lennon che suona chitarre e tastiere, con le sole eccezioni del piano in Love, suonato dallo stesso Spector e da Billy Preston in God.

Come più o meno tutti sanno l’album fu fortemente influenzato, a livello di testi, dalla esperienza che John aveva intrapreso seguendo la “primal therapy” di Arthur Janov, famoso psicologo e psicoterapeuta californiano, che però non venne completata in quanto nel frattempo scadde il permesso di soggiorno di Lennon per rimanere negli USA. Ma i temi salienti del disco, principalmente “l’abbandono” dei genitori, della mamma Julia in particolare, vennero fortemente esplorati nei testi di molte canzoni, ma anche Dio, l’amore, Gesù, Hitler, Buddha, Kennedy, Elvis. Zimmerman e i Beatles, tutta gente in cui non credeva più, citata nel testo della bellissima God. Poi, dopo il ritorno in Inghilterra, l’album venne registrato ad Abbey Road tra il 26 settembre e il 23 ottobre del 1970 e pubblicato l’11 dicembre, per cui è un altro caso di Anniversario 50+1, come l’imminente Déjà Vu.

L’antefatto furono i tre singoli, inseriti come bonus nel box e anche nelle versioni doppie: Give Peace A Chance, l’inno corale pacifista registrato nella camera di Hotel dell’albergo di Montreal il 1° giugno 1969, Cold Turkey, registrata agli Emi Studios di Londra il 30 settembre 1969, con Eric Clapton aggiunto alla chitarra solista, e Instant Karma (We All Shine On), registrata a fine gennaio del 1970, con Alan White alla batteria, al posto di Ringo, George Harrison e Billy Preston, il primo singolo di un ex componente dei Beatles a vendere un milione di copie negli Stati Uniti, senza peraltro raggiungere il primo posto nelle classifiche. Tre ottimi brani, anche loro riproposti in sette differenti versioni.

Facendo un riepilogo dei contenuti del cofanetto: abbiamo un bel libro rilegato di 132 pagine, il poster di War Is Over, 6 CD audio e 2 Blu-Ray, che contengono un totale di 159 nuovi mix delle 11 canzoni del disco originale, inclusi i singoli, oltre ad una ventina di brani tra classici del R&R, due pezzi dei Beatles, qualche pezzo di Yoko, che non citerò (mi dispiace, ma ridateci Cynthia). Mentre i 6 CD audio contengono “solo” i 14 brani in diverse takes, suddivise in The Ultimate Mixes, The Out-Takes, The Element Mixes, The Raw Studio Mixes, The Evolution Documentary Soundtrack, The Jams And The Demos. Confesso che, pur essendo un grande fans dei Beatles e di Lennon, ho fatto parecchia fatica a sentire questa caterva di ripetizioni, sia pure spalmata in ascolti effettuati in diversi giorni. Comunque il suono è eccellente, specie nelle versioni in Dolby Atmos o Hi-Res presenti nei Blu-ray, ma anche i CD suonano bene, con una definizione eccellente.

Si diceva del capolavoro che è l’album originale, aperto con la catartica Mother, l’unico brano ad essere estratto come singolo: quattro tocchi di una campana funeraria aprono la canzone, poi entra il canto appassionato di John in grande forma vocale, anche in leggero falsetto a tratti e con un leggero eco applicato, sostenuto dalla ritmica marcata e scandita, quasi metronomica, con il piano rarefatto ed il ritmo che verso metà del brano inizia ad accelerare mentre la voce si incattivisce, fino alle urla quasi disperate della parte finale, uno dei 3-4 capolavori presenti nell’album, una canzone come raramente si era ascoltata, come impostazione sonora, fino ad allora. Hold On è uno dei rari brani positivi dell’album, su una ritmica agile, Lennon innesta la sua tremolo guitar, per un pezzo breve ma molto godibile. I Found Out torna al pessimismo di fondo delle canzoni di Plastic Ono Band, con i suoi richiami alle false religioni e idoli, John questa volta impiega una chitarra con il fuzz inserito che garantisce un suono più grintoso, quasi cattivo, tipico di molte sue canzoni con i Beatles, incalzante e con il basso di Voorman che trova un groove quasi colossale e fantastico.

Per molti il capolavoro assoluto del disco è Working Class Hero, canzone dal testo indimenticabile, intriso di idee “rivoluzionarie”, come disse lo stesso Lennon, forse lo stesso Dylan non fu mai così esplicitamente politico in una canzone, solo una voce, quella splendida di John e una chitarra acustica, e la parola “fucking” gettata ripetutamente e con noncuranza in faccia all’ascoltatore, per la prima volta in un disco mainstream. Isolation è una bellissima ballata pianistica sulle insicurezze portate dalla fama e dalla fortuna, brano che si infervora durante il suo svolgimento, con un Organo Hammond, sempre suonato da John, che arriva a metà brano e aggiunge profondità al suono. Remember apriva la seconda facciata del vecchio LP (e volendo anche del nuovo), un brano il cui riff di piano era già stato provato con i Beatles ai tempi in cui stavano incidendo Something di George Harrison, ma con un testo sempre fortemente influenzato dal lavoro di e con Janov, altro pezzo incentrato sul trio piano, basso e batteria sempre con un tempo pressante che man mano accelera, con il drumming inconfondibile di Ringo, ma ogni tanto si apre anche in brevi momenti più melodici tipici dell’arte sopraffina di Lennon come autore di canzoni, sempre con quel quid che solo i grandi avevano, anche il colpo di pistola finale (l’avrà chiesto a Spector?); Love, non c’è bisogno di dirlo, è una canzone su tutte le sfaccettature dell’amore, un tema che il nostro ha saputo maneggiare sempre con grande maestria, in questo caso bastano una chitarra acustica e il piano di Phil che va e torna, per ricreare le vecchia magia.

Well Well Well è uno dei pezzi più tirati, quasi da power trio, con lo spirito del vecchio rocker che torna a farsi sentire, riff granitico, Voorman di nuovo solidissimo al basso e chitarra lavorata il giusto, con John che si “incazza” come lui sapeva fare all’occorrenza, come nella parte centrale urlata e primeva, per spazzare tutte le sue problematiche, e finale caotico che riprende le tematiche del pezzo. Look At Me è un pezzo che risale all’epoca del periodo indiano dei Beatles, di nuovo voce e una chitarra in fingerpicking, non dissimile da molti dei brani usati poi nel White Album, sempre un piacere, da ascoltare ripetutamente. L’ultimo capolavoro dell’album è la sublime God, con un colossale (visto l’argomento trattato) Billy Preston al pianoforte a coda e quella sequela memorabile di versi che non si può non pubblicare, perché vale più di quanto io o chiunque altro potrebbe dire sui contenuti della canzone.

God is a concept
By which we measure our pain
I’ll say it again
God is a concept
By which we measure our pain
Yeah, pain, yeah

I don’t believe in magic
I don’t believe in I Ching
I don’t believe in the Bible
I don’t believe in tarot
I don’t believe in Hitler
I don’t believe in Jesus
I don’t believe in Kennedy
I don’t believe in Buddha
I don’t believe in mantra
I don’t believe in Gita
I don’t believe in yoga
I don’t believe in kings
I don’t believe in Elvis
I don’t believe in Zimmerman
I don’t believe in Beatles

I just believe in me
Yoko and me
And that’s reality

The dream is over
What can I say?
The dream is over
Yesterday

I was the dreamweaver
But now I’m reborn
I was the walrus
But now I’m John
And so, dear friends
You’ll just have to carry on
The dream is over

Il disco avrebbe potuto chiudersi qui ma per comletare la vicenda, come in una sorta di ripensamento, in coda viene aggiunta My Mummy’s Dead, il terzo brano dedicato alla mamma, dopo Julia e Mother, un breve brano di meno di un minuto, ripescato dai demo registrati a Bel Air in preparazione dell’album, cantato volutamente in modo monocorde sul tema musicale di una vecchia filastrocca per bambini.

E adesso un bel track by track di tutte le versioni alternative contenute nel cofanetto: scherzo ovviamente, se volete vi comprate il box che non costa poco e ve le ascoltate, anche perché francamente con alternate takes varie delle diverse tracce che vanno dall’1 al 91 non è che ci siano variazioni memorabili o imperdibili, se non per maniaci beatlesiani, però è l’occasione per risentire l’album ripetutamente, magari alla ricerca di quel guizzo di genio che comunque non manca: cito a caso, forse la take 2 di Hold On sul CD 2 è addirittura superiore a quella pubblicata, peccato che non sia completa, spesso discorso per la take 1 di I Found Out, una Love acustica senza piano, o le versioni del CD Elements che mettono in evidenza particolari delle registrazioni, qui solo la voce, là il piano, altrove la chitarra elettrica e così via, e qui troviamo una versione straordinaria di God, che già è splendida di suo e forse merita tutte le sette versioni. O le versioni del CD Raw Studio Mixes che mi sembrano simili a quelle già conosciute, ma sentite a rotazione con le altre hanno un loro fascino, mentre quelle del CD 5 estratte dal documentario Evolution, sono un delizioso dietro le quinte su come nasceva una canzone di John Lennon, narrate dal suo stesso autore mentre dialoga amichevolmente con i suoi collaboratori e amici.

E troviamo anche i demo registrati in studio e a casa: ripeto, da ascoltare, un po’ alla volta, magari nel corso di diversi giorni. Infine le jam che dovrebbero essere uno dei punti di forza dei contenuti musicali inediti del box non sono particolarmente memorabili: alcune, tipo le due parodie di You’ll Never Walk Alone, una via di mezzo tra il brano da musical e la versione di Gerry & The Pakemakers praticamente non partono perché John e soci iniziano immediatamente a ridere come dei pirla e pure nella Elvis Parody di Don’t Be Cruel e Hound Dog si salva giusto la parte strumentale perché il R&R regna sovrano (e il fuck my tit che gli scappa in una delle takes è proprio da John). I due accenni di pezzi dei Beatles, un minuto strumentale di Get Back e 20” di I Got A Feeling sono degli intramuscolo, meglio, ma sempre molto brevi Johnny B. Goode con incorporata Carol, Ain’t That A Shame di Fats Domino, forse la migliore, e Glad All Over di Carl Perkins, niente male neppure Honey Don’t che nei Beatles cantava Ringo e una spiritata Matchbox. Interessanti le due versioni di I Don’t Want To Be A Soldier, che poi sarebbe uscita su Imagine, Goodnight Irene di Lead Belly, due strumentali molto piacevoli di Hold On, ma spesso sono solo dei frammenti con i musicisti che cazzeggiano e si divertono tra loro in studio, insomma non proprio il Santo Graal dei ritrovamenti.

Quindi concludendo, se non avete l’album è assolutamente indispensabile da avere, magari la versione doppia, il cofanetto solo se avete disponibilità economiche, siete dei fan sfegatati di John e degli “archeologi” della musica.

Bruno Conti

Definirlo Controverso E’ Un Eufemismo, Ma Di Certo Era “IL” Produttore Rock Per Antonomasia: A 81 Anni E’ Morto Phil Spector.

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Ho già scritto diversi necrologi per questo blog, ma questa forse è la prima volta in cui non so da che parte cominciare, per la grandezza del personaggio ma anche per il suo essere decisamente controverso e scomodo: il fatto che la morte, per complicazioni dovute al Covid, lo abbia colto lo scorso sabato 16 gennaio nel carcere di Corcoran in California dove era rinchiuso dal 2009 per omicidio della modella ed attrice Lana Clarkson è sintomatico del tipo di soggetto.

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Sto parlando di Harvey Philip Spector, che tutto il mondo però conosceva come Phil Spector, produttore rock con la P maiuscola ed il primo a mettere la figura di chi stava dietro la consolle sullo stesso piano dell’artista in sala di incisione in fatto di importanza, ed in alcuni casi perfino ad un livello superiore. Spector era senza mezzi termini un genio, un personaggio visionario ed eccezionalmente avanti coi tempi (anche nel vestire), inventore del celeberrimo “Wall Of Sound”, un vero e proprio muro del suono creato usando strumenti rock come chitarre, basso, tastiere e batteria ma duplicandoli ed anche triplicandoli usando una vera e propria folla di musicisti in studio così da creare una sorta di “orchestra rock” (e molto spesso aggiungendo anche sezioni di archi e fiati), facendo anche un ampio uso del riverbero, una tecnica che secondo lui aveva più efficacia con le registrazioni in mono rispetto a quelle in stereo, che non amerà mai.

phil spector Backtomono 1958-1969

Ma Spector non inventò solo un suono (dal quale in seguito presero spunto una miriade di musicisti: Brian Wilson, per esempio, credo che gli dedicherebbe volentieri un monumento, ed anche Bruce Springsteen dichiarò più volte che per Born To Run si era ispirato al Wall Of Sound), ma fu anche uno dei primi produttori a co-scrivere spesso i brani in cui era coinvolto e, specie nei primi tempi, ad orientare le scelte commerciali dei gruppi da lui seguiti e spesso da lui scoperti, così da diventare una sorta di producer-talent scout-manager. Maniaco della perfezione, Spector era capace di far suonare una canzone anche cinquanta volte di fila per trovare la take giusta, esasperando non poco i musicisti in studio con lui, che però si guardavano bene dal dirgli qualcosa, intimoriti dal suo approccio “vagamente” dittatoriale e dal fatto che spesso si presentava in studio armato (pare per sicurezza personale dopo un episodio di bullismo di cui fu vittima nel 1958). Nato nel 1939 nel Bronx da una famiglia ebrea di origine russa non troppo benestante, Phil all’età di dieci anni subisce il trauma del suicidio del padre, ed in seguito si trasferisce con la madre e la sorella a Los Angeles, dove impara a strimpellare la chitarra e comincia ad interessarsi attivamente alla musica rock’n’roll e pop, formando con tre amici di scuola il suo primo gruppo, i Teddy Bears, i quali grazie all’amicizia del nostro con il produttore Stan Ross riescono a registrare e pubblicare qualche singolo: uno di questi, To Know Him Is To Love Him (epitaffio scritto sulla tomba del padre), raggiunge addirittura il primo posto in classifica vendendo ben un milione di copie https://www.youtube.com/watch?v=tIUf6dOGc1c .

phil & ronnie spector

Il successivo singolo ed album non sono però un successo e Phil, sempre più interessato alle tecniche di produzione piuttosto che a stare sotto la luce dei riflettori, scioglie la band, va a New York ed inizia a lavorare sotto le dipendenze dei leggendari songwriters Leiber & Stoller, scrivendo con Jerry Leiber Spanish Harlem che diventerà una hit per Ben E. King https://www.youtube.com/watch?v=OGd6CdtOqEE ; dopo qualche contributo in session come chitarrista unito ad alcune produzioni minori incoraggiato proprio dai due autori, il successo di How Love How You Love Me delle Paris Sisters convince Spector ad intraprendere la carriera di produttore a tempo pieno.

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Tornato a Hollywood, fonda la Philles Records insieme al discografico ed amico Lester Sill, e si specializza nella produzione di singoli pop in cui si trovano le prime tracce del Wall Of Sound, contribuendo al successo di “girl groups” come The Crystals (Uptown, Da Doo Ron Ron, Then He Kissed Me e He’s A Rebel i pezzi volati più in alto in classifica) https://www.youtube.com/watch?v=v-qqi7-Q19k  e The Ronettes (la classica Be My Baby, Walking In The Rain, Baby I Love You), delle quali sposerà la leader Veronica Bennett che ancora oggi a molti anni dal divorzio si fa chiamare Ronnie Spector https://www.youtube.com/watch?v=jSPpbOGnFgk . Altri nomi che conosceranno la popolarità grazie alle produzioni di Phil sono Darlene Love, Connie Francis, Bob B. Soxx & The Blue Jeans e soprattutto il duo vocale maschile dei Righteous Brothers (che non erano affatto fratelli), specie con le famosissime You’ve Lost That Lovely Feelin’ https://www.youtube.com/watch?v=xbg1gkWb0Wo  e Unchained Melody (che conoscerà un eccezionale rigurgito di popolarità nel 1990 grazie al film Ghost), e con la nota River Deep, Mountain High di Ike & Tina Turner, dei quali produce anche l’album dallo stesso titolo https://www.youtube.com/watch?v=e9Lehkou2Do .

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Non è l’unico LP ad avere il nome di Phil alla consolle in questi anni anche se il nostro è sempre stato considerato uno da 45 giri: per esempio il suo A Christmas Gift For You From Philles Records del 1963, con dentro incisioni ad hoc da parte di Ronettes, Darlene Love, Crystals e Bob B. Soxx, è giustamente considerato un ultra-classico della canzone stagionale https://www.youtube.com/watch?v=si_dOztgx9c .

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Se volete una esauriente panoramica del periodo, a parte le varie antologie, se proprio non riuscite a trovare lo splendido box Back To Mono 1958-1969  effigiato sopra (fuori catalogo da una vita, ma usato si trova ancora), dovreste almeno procurarvi il cofanetto del 2011 The Philles Album Collection.

beatles let it be

Nel 1969 arriva una svolta nella carriera di Spector (non necessariamente con risvolti solo positivi) quando John Lennon e George Harrison lo scelgono per produrre quello che diventerà l’ultimo album dei Beatles, cioè Let It Be (Paul McCartney è abbastanza freddino, mentre a Ringo Starr come al solito va bene tutto). E qui cominciano ad arrivare le prime critiche anche feroci nei confronti del lavoro di Spector, a causa delle orchestrazioni che appesantiscono notevolmente soprattutto The Long And Winding Road (Paul, che l’ha scritta, quando la sente per la prima volta inorridisce) e Across The Universe, critiche che arriveranno anche ai giorni nostri al punto che nel 2003 è stata pubblicata una versione remixata e “de-spectorizzata” del disco, intitolata Let It Be…Naked.

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Esiti migliori anche a livello di commenti Spector li avrà con i primi due album solisti di Lennon: in John Lennon/Plastic Ono Band il suono è talmente essenziale che il contributo di Phil è quasi impalpabile, mentre con Imagine del 1971 la produzione è equilibrata in maniera quasi perfetta (anche se per il sottoscritto l’apice della collaborazione Lennon-Spector si ha con il singolo Instant Karma!). Anche George sceglie Phil Per il suo debutto, lo strepitoso triplo All Things Must Pass, e qui arrivano ancora diverse critiche negative riguardo a certi arrangiamenti: io non sono d’accordo, in quanto il disco, già grandissimo di suo, è secondo me prodotto in modo magnifico, anche se obiettivamente a brani come Wah-Wah, What Is Life e Awaiting You All avrebbe giovato una mano più leggera.

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Di Harrison Phil produce anche il singolo Bangla Desh https://www.youtube.com/watch?v=eqaDRYDPU5s  e sovrintende alla versione audio del mitico The Concert For Bangladesh  , mentre il ritorno in studio con John per Some Time In New York City patirà l’insuccesso di pubblico e critica dell’album. Il resto della decade vede Spector poco attivo, un po’ per il mutare delle mode musicali ma soprattutto per il suo comportamento imprevedibile ed eccentrico. Nel 1974 entra in studio con Dion per il quale produce Born To Be With You, che esce l’anno successivo al termine di session caotiche ed interminabili, un disco che viene disconosciuto dallo stesso cantante newyorkese che lo definisce “musica da funerale” https://www.youtube.com/watch?v=IyErVrHE0eM .

john lennon rock'n'roll

Nello stesso periodo Lennon chiama ancora Phil perché lo vuole alla consolle per il suo nuovo progetto, un album con canzoni dell’epoca d’oro del rock’n’roll con un sound vintage: qui le cose vanno anche peggio in quanto Spector si conferma del tutto inaffidabile, presentandosi in studio a volte ubriaco, altre vestito da chirurgo, mentre una volta arriva perfino a sparare un colpo di pistola al soffitto proprio vicino alle orecchie di Lennon, che non la prende benissimo. Dulcis in fundo, ad un certo punto John scopre che tutte le sere il produttore trafuga i nastri delle sessions e se li porta a casa per manipolarli a suo piacimento nella notte, per poi riconsegnarli il mattino dopo come se niente fosse: questa, unita all’esasperazione dei vari musicisti per il fatto che Phil faccia loro risuonare all’infinito le canzoni, costringe Lennon a licenziare Spector ed a finire il disco da solo (ed infatti su Rock’n’Roll, 1975, solo quattro pezzi su tredici appartengono alle sessions originali).

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Le controversie continuano quando nel 1977 Leonard Cohen decide di affidare al nostro l’incarico di produrrre il suo quinto album Death Of A Ladies’ Man e anche di mettere in musica i testi di tutti i brani, ma il risultato finale è piuttosto confuso e magniloquente, oltre che inadatto allo stile intimista del poeta canadese (ma Memories mi è sempre piaciuta assai) https://www.youtube.com/watch?v=imHpLMRYknc . Nel 1980 a sorpresa troviamo il nome di Spector come produttore di End Of The Century dei Ramones, un connubio stranissimo visto il tipo di sonorità punk-rock molto diretta del gruppo di New York, ma che, a dispetto delle critiche, secondo me funziona perché dona una luce diversa alle loro canzoni fino a quel momento molto “basiche” https://www.youtube.com/watch?v=Gi9a7IdRiBI . Le nuove tendenze musicali degli anni ottanta escludono completamente il nostro dagli studi di registrazione mandandolo virtualmente in pensione (fatta eccezione per l’album Season Of Glass di Yoko Ono), e per trovare il suo nome su un disco dobbiamo arrivare fino al 2003 quando il non famosissimo gruppo indie inglese Starsailor lo chiama per produrre due brani del loro secondo album Silence Is Easy e lui, inaspettatamente, accetta (anche se il suo contributo non è così evidente) https://www.youtube.com/watch?v=fglU5Ngd-Pk .

Helen Mirren and Al Pacino star in the new HBO film Phil Spector, which was written and directed by David Mamet.

Helen Mirren and Al Pacino star in the new HBO film Phil Spector, which was written and directed by David Mamet.

Nello stesso anno, come ho accennato all’inizio, avviene il fattaccio dell’omicidio della Clarkson, trovata morta a casa di Spector pare a seguito di un gioco pericoloso finito male. Il processo diventa mediatico a causa della fama di Phil, che cade in parecchie contraddizioni e non riesce ad evitare la condanna ad una pena che va dai 19 anni all’ergastolo (ma che lo avrebbe probabilmente portato alla libertà vigilata nel 2024 anche a causa delle precarie condizioni di salute), e di certo non lo aiutano un comportamento sempre più eccentrico ed una serie di improbabili parrucche che Phil sfoggia in aula: la vicenda è stata rappresentata da Phil Spector, un interessante film per la HBO (ma passato anche in Italia) con un Al Pacino formidabile come sempre nella parte del protagnonista. Una vita molto “rock” dunque per colui che, aldilà delle sue malefatte, è stato un vero genio ed innovatore della nostra musica, un’esistenza le cui ultime fasi si potrebbero riassumere con un titolo altrettanto rock: From Jail To Hell.

Marco Verdi

It Was 50 Years Ago, Per L’Ultima Volta? Beatles – L’8 Maggio Del 1970 Usciva Let It Be

beatles let it be

Il 1970, anche se quello che sta succedendo nel mondo potrebbe suggerire diversamente, sarà un anno importante a livello di 50esimi Anniversari di importanti dischi che uscivano in quell’anno. Oggi parliamo di Let It Be dei Beatles, il 12° album dei Fab Four veniva pubblicato l’8 maggio appunto del 1970, ma era stato registrato nel corso del 1969, prima delle sessions di Abbey Road, anche se gli ultimi ritocchi vennero apportati nel gennaio ’70, vedi I Me Mine, mentre pochi giorni dopo, tra il 13 e il 20 maggio, sarebbe uscito anche il film.

Si parla insistentemente da tempo di varie edizioni commemorative del film in DVD e Blu-Ray, che si chiamerà The Beatles:Get Back, diretto da Peter Jackson, il regista neozelandese, sceglendo tra oltre 55 ore di materiale video e 100 ore di materiale audio, quindi probabilmente ci saranno anche cofanetti a iosa in vari formati, e quindi ne parleremo quando sarà il momento, probabilmente verso la fine anno nel periodo natalizio, il motivo del punto interrogativo nel titolo del Post, naturalmente coronavirus permettendo. Ma oggi postiamo almeno alcuni dei video di un album che sicuramente, per usare un eufemismo, non è tra i migliori in assoluto di Lennon, McCartney, Harrison Starr, anche a causa della produzione “intrusiva” applicata da Phil Spector al disco, ma che comunque contiene alcune perle assolute del songbook dei Beatles.

Le vedete in sequenza e senza commenti, qui sopra e sotto.

Oggi anche Bob Dylan presenta una nuova canzone e annuncia per il 19 giugno l’album Rough And Rowdy Ways.

Una buona giornata a tutti.

Bruno Conti

Ancora Sul Natale: La Festa E’ Qui! The Mavericks – Hey! Merry Christmas!

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The Mavericks – Hey! Merry Christmas! – Mono Mundo/Thirty Tigers CD

Ho sempre trovato strano che un gruppo “festaiolo” come i Mavericks non avesse mai pubblicato un album a carattere natalizio (solo un singolo in occasione del Record Store Day del Novembre dello scorso anno), una mancanza alla quale la band capitanata da Raul Malo ha deciso di riparare oggi con questo nuovissimo Hey! Merry Christmas!, che si pone da subito come una delle uscite a tema stagionale più interessanti di questo 2018. Tanto per cominciare Malo e compagni (Eddie Perez alle chitarre, Jerry Dale McFadden alle tastiere e Paul Deakin alla batteria e percussioni) non hanno fatto come il 90% degli artisti, anche i più blasonati, che scrivono uno o due pezzi nuovi e poi si affidano quasi totalmente a classici brani della tradizione natalizia, ma hanno deciso di mettere a punto un vero e proprio disco nuovo, con ben otto pezzi su dieci composti ex novo e solo due cover. Una scelta del tutto insolita, non esclusiva (per esempio anche Rodney Crowell ha appena pubblicato un Christmas record di soli brani originali https://discoclub.myblog.it/2018/11/11/per-un-natale-texano-diverso-rodney-crowell-christmas-everywhere/ ), ma che rende il risultato finale decisamente personale e tipico dello stile dei nostri, che stanno vivendo un momento di ottima forma dato che Brand New Day, il loro lavoro del 2017, è senza dubbio il disco migliore che hanno prodotto in questi anni duemila https://discoclub.myblog.it/2017/04/20/sono-tornati-ai-livelli-di-un-tempo-mavericks-brand-new-day/ .

Hey! Merry Christmas! è quindi un album vario, divertente, pieno di suoni, ritmo e idee, suonato alla grande e cantato al solito in maniera strepitosa da Malo, una delle grandi voci del nostro tempo; la produzione è nelle mani di Raul stesso e di Niko Bolas, collaboratore storico di Neil Young e già da anni a fianco dei Mavericks, e la parte strumentale è potenziata da un altro gruppo chiamato The Fantastic Five, che comprende la bellissima fisarmonica di Michael Guerra, Ed Friedland al basso ed una sezione fiati di tre elementi (Julio Diaz e Lorenzo Ruiz alle trombe e Max Abrams al sax), con in più la ciliegina dei cori femminili a cura delle McCrary Sisters, che donano un tocco gospel al solito mix vincente di rock, pop, country, ballate e Messico. Il CD inizia proprio con la canzone del singolo del 2017, Christmas Time Is (Coming ‘Round Again), un brano gioioso e ricco di swing, dal ritmo sostenuto e con un arrangiamento che rispetta la tradizione dei classici pop natalizi ed un aggancio alle produzioni di Phil Spector. Ancora un Wall Of Sound decisamente allegro con la squisita Santa Does, introdotta da un sax sbarazzino, un pezzo dall’aria molto sixties ed un ritornello da canticchiare al primo ascolto; la cadenzata I Have Wanted You (For Christmas) ha un’atmosfera nostalgica ed un suono che è una via di mezzo tra pop e country (e con un tocco mexican), mentre Christmas For Me (Is You) è una ballatona d’altri tempi, lenta e jazzata, con una notevole prestazione vocale di Malo ed un accompagnamento di gran classe.

Santa Wants To Take You For A Ride ha una ritmica sinuosa ed un mood che ha più di un debito con Elvis, una sorta di rockabilly con fiati davvero piacevole; It’s Christmas Without You ha ancora un mood decisamente vintage, sembra uscita da un disco natalizio di fine anni cinquanta, ed è tra le più gradevoli (e poi Raul canta meravigliosamente). Ho parlato poco fa di Phil Spector, ed ecco proprio Christmas (Baby Please Come Home), uno dei brani più popolari del famoso album natalizio del grande produttore newyorkese (la cantava Darlene Love): Malo e soci rispettano l’arrangiamento originale e tirano fuori una performance di grande forza, le sorelle McCrary forniscono adeguato supporto vocale e la canzone ne esce alla grande. Hey! Merry Christmas! è puro rock’n’roll, sempre con un occhio al passato, ed i nostri dimostrano di divertirsi un mondo, One More Christmas è nuovamente pop di classe, con suoni dosati alla perfezione ed atmosfera che resta inchiodata ai suoni di più di cinquanta anni fa. Chiusura con una rilettura al solito raffinatissima di Happy Holiday, canzone scritta da Irving Berlin e portata al successo da Bing Crosby nel lontano 1942. Mavericks e il Natale sono fatti gli uni per l’altro, e questo dischetto lo dimostra in maniera inequivocabile.

Marco Verdi

Recensioni Cofanetti Autunno-Inverno 1. Un Album Storico Esplorato In Maniera Sontuosa! John Lennon – Imagine: The Ultimate Collection

john lennon imagine box

John Lennon – Imagine: The Ultimate Collection – Universal CD – 2CD – 2LP – Super Deluxe 4CD/2Blu-ray Audio

In un anno in cui si celebra una lunga serie di cinquantenari di album (più o meno) importanti, una delle uscite principali riguarda un disco che in realtà “festeggia” i 47 anni: sto parlando di Imagine, quasi all’unanimità considerato il capolavoro da solista di John Lennon (anche se molti indicano il suo primo, John Lennon/Plastic Ono Band). Definire l’operazione Imagine grandiosa è perfino riduttivo, e la parte audio è solo una delle tante sfaccettature (la più interessante) del progetto: un lussuoso libro in tre diverse versioni, Imagine John Yoko, il famoso documentario del 1971 restaurato e proiettato nei cinema l’8, 9 e 10 Ottobre, lo stesso film accoppiato all’altro rockumentary Gimme Some Truth e pubblicato in DVD o Blu-ray, e naturalmente la rivisitazione del notissimo album in varie configurazioni, la più succosa delle quali è il cofanetto che comprende quattro CD e due Blu-ray audio. Imagine è stato l’ultimo disco registrato da Lennon in Inghilterra prima del suo trasferimento a New York, città da lui considerata più vicina ai suoi ideali di libertà e di modernità di vedute: inciso in gran parte nella sua splendida residenza di Tittenhurst Park (che poi venderà all’ex compagno Ringo Starr), Imagine è un disco che riflette alla perfezione il microcosmo di John, con canzoni d’amore, di pace e fratellanza, a sfondo politico (Lennon all’epoca occupava posizioni vicine all’estrema sinistra), ed anche un velenoso attacco all’ex amico Paul McCartney, che si era a sua volta preso gioco di lui, anche se in maniera più lieve, nell’album Ram.

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Gran parte della fortuna di Imagine è ovviamente legata alla celeberrima title track, una ballata pianistica talmente famosa che è conosciuta a memoria anche da chi non ha mai comprato neppure un disco in vita sua, un brano con un testo invero piuttosto banale, pieno di sogni hippy degni dei Baci Perugina, ma nobilitato da una melodia indimenticabile. Ma sarebbe sbagliato pensare che il merito della riuscita dell’album sia solo di questa canzone, in quanto ci sono altri brani di altissimo livello, come la divertita Crippled Inside, country-blues in stile anni trenta che maschera un feroce testo contro le persone false ed ipocrite dietro un motivo gioioso, il gustoso blues elettrico It’s So Hard, impreziosito dal sassofono del grande King Curtis, la roccata How Do You Sleep?, perfida invettiva contro Paul e con un ottimo George Harrison alla slide, la potente Gimme Some Truth, una delle migliori rock song di sempre del nostro, e la splendida e saltellante Oh, Yoko!, con uno splendido Nicky Hopkins al pianoforte. E poi ci sono le ballate, la stupenda Jealous Guy, emozionante ancora oggi come allora, la tenue Oh My Love, che sembra provenire dalle sessions del White Album, e la vibrante How? L’unico pezzo che non mi è mai piaciuto è I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die, un lungo e noioso brano dal testo superficiale e basato su un giro di blues piuttosto risaputo.

La produzione dell’album è nelle mani di Lennon con Yoko Ono e Phil Spector, che ha usato una mano abbastanza leggera e non si è affidato più di tanto alle sue leggendarie orchestrazioni, ed in session troviamo nomi di primissima fascia: oltre ai tre citati poc’anzi, ci sono infatti Alan White, che da lì a poco diventerà batterista degli Yes, gli altri grandi drummer Jim Keltner e Jim Gordon, il bassista Klaus Voormann, grande amico dei Beatles, Joey Molland e Tom Evans dei Badfinger e Mike Pinder, all’epoca componente dei Moody Blues. Il disco originale, remixato ad arte (ma non rimasterizzato) da Paul Hicks, è inserito nel primo CD di questo splendido cofanetto, che presenta anche un bel libro con testi, note, saggi e testimonianze varie, una confezione che può ricordare i deluxe box di McCartney, anche se la vedova Lennon, Yoko Ono, è stata molto più generosa di Paul per quanto riguarda i contenuti musicali, e per una volta il prezzo richiesto, indicativamente circa 70/80 euro, è pienamente giustificato. Sul primo CD, oltre al disco originale, troviamo alcuni brani usciti nello stesso periodo su singolo: la nota Power To The People e la splendida canzone stagionale Happy Xmas (War Is Over) le conosciamo a menadito, ma poi c’è anche il rock-blues di Well (Baby Please Don’t Go) ed i brani del singolo registrato a nome Elastic Oz Band, God Save Us e God Save Oz (che è in pratica lo stesso brano cantato rispettivamente da Bill Elliot e da Lennon) e Do The Oz (che rientra nella categoria “stranezze”, a causa anche degli insopportabili strilli di Yoko), canzoni registrate per tentare di evitare la chiusura della scomoda ed irriverente rivista australiana Oz.

I restanti tre CD ci conducono attraverso le sessions del disco, non nella loro completezza ma raccogliendo le performance più significative. Il secondo dischetto inizia con quattro “Elements Mixes”, cioè parti strumentali isolate e poi aggiunte sopra le basic tracks (come per esempio gli archi di Imagine e How? o la sezione ritmica e pianoforte di Jealous Guy), e poi ci fa ascoltare varie versioni alternate di tutti i brani dell’album ed anche dei singoli, partendo dal demo originale della title track, solo John voce e piano (registrato appena quattro giorni prima di quella finita sul disco), ed una take full band con in più Hopkins al piano elettrico (e senza archi) ed il cantato di Lennon meno etereo dell’originale. Tra le gemme abbiamo la take 3 di Crippled Inside, meno prodotta ma più diretta e forse anche migliore, con Harrison strepitoso al dobro ed il solito grande Hopkins, una superba Jealous Guy con l’aggiunta delle chitarre acustiche dei due Badfinger (più evidenti nel mix rispetto al piano), una It’s So Hard nuda e cruda, chitarra-basso-batteria (ed un raro assolo dello stesso John), ed una prima versione, sempre in trio, di Gimme Some Truth, più essenziale ma già bellissima. Ed ancora: due takes unite insieme di How Do You Sleep? tra rock e funky, che personalmente preferisco a quella ufficiale (con George ottimo alla slide), un’interessante Oh, Yoko! acustica incisa da Lennon e signora alle Bahamas nel 1969 ed un missaggio alternato di Happy Xmas, senza gli orpelli “spectoriani” del singolo. Il terzo CD propone le stesse takes dell’album originale ma in versione “raw mix”, quindi senza gli overdubs aggiunti in seguito (in alcuni casi le versioni sono estese, senza il fading alla fine), ed i brani assumono un sapore simile a quelli del primo album di Lennon.

Le canzoni quindi non perdono la loro bellezza, anzi in alcuni casi mi piacciono anche di più, come Imagine, Crippled Inside, Jealous Guy, How?, Gimme Some Truth e Oh, Yoko!: diciamo che sarebbero andate benissimo anche così. Completano il CD altre cinque outtakes dal vivo in studio, tra cui una Jealous Guy bella almeno quanto quella edita. Il quarto dischetto è davvero interessante, in quanto ci fa ascoltare gli “Evolution Mixes”, cioè un esperimento per certi versi inedito: le dieci canzoni dell’album presentate nel loro evolversi, dai demo iniziali alle versioni più o meno finite, il tutto mixato insieme in modo da farle sembrare provenienti da un’unica session, usando anche frammenti di takes inedite, non utilizzate nei CD precedenti. Ci sono anche parti parlate, con Lennon che spiega ai musicisti quello che vuole da loro (con tanto di incazzatura durante All My Love perché non c’è abbastanza silenzio), ed anche brevi spezzoni di interviste in cui illustra l’ispirazione dietro le canzoni in questione. Un dischetto affascinante che ci mostra come nascono i vari pezzi, e che ci fa idealmente fare un salto indietro nel tempo ed entrare in studio con John, Yoko e gli altri. I due Blu-ray audio includono tutte le 61 canzoni dei quattro CD in versione per audiofili, alle quali se ne aggiungono altre 27, tra cui il quadrasonic mix dell’intero album, assente da ben 45 anni, gli elements mixes anche dei sei brani mancanti, outtakes in più ed altri Evolution Mixes, tra cui una traccia denominata Tittenhurst Park, che è un collage di dialoghi (anche a tavola ed in altre stanze della casa) e spezzoni strumentali e cantati, montati insieme senza una logica apparente.

Un cofanetto quindi a cui è difficile resistere, anche se non ci sono vere e proprie canzoni inedite, ma che ci fa apprezzare ancora di più un album epocale: di sicuro entrerà in lizza per il titolo di ristampa dell’anno, anche se con Dylan, Petty, Hendrix e gli stessi Beatles sarà una bella lotta.

Marco Verdi

John Lennon – Imagine The Ultimate Collection. Il 5 Ottobre Esce Un Formidabile Cofanetto Per Celebrare Il Più Famoso Album Dell’Ex Beatle (E Anche Un DVD) .

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John Lennon – The Ultimate Collection – 4 CD+2 Blu-ray – 2 CD – 2 LP – 1 CD – Universal Music – 05-10-2018

Forse Imagine non è stato il disco più bello della carriera solista di John Lennon dopo lo scioglimento dei Beatles (molti reputano che sia stato John Lennon/Plastic Ono Band del 1970: ma è comunque una bella lotta con Imagine), benché sia stato sicuramente il più significativo e anche il più popolare e venduto dei suoi dischi. Ora, a 47 anni circa dall’uscita del disco originale (che fu pubblicato il 9 settembre del 1971 negli Stati Uniti e l’8 ottobre dello stesso anno in Inghilterra) e a 78 anni dalla data di nascita di Lennon, quindi senza nessun anniversario particolare da festeggiare, esce questa Ultimate Collection di uno degli album più amati di John, e la versione che è stata preparata per questa occasione è veramente pregevole, forse la migliore e più dettagliata in assoluto finora dedicata a un disco dei quattro Beatles. Anzi, le varie versioni in uscita sono comunque tutte interessanti per diverse ragioni; non solo il disco originale che viene arricchito da moltissimo materiale aggiuntivo, ma anche un libro e un DVD (o Blu-ray) collegati.

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Vediamo prima velocemente i contenuti di DVD e libro, poi passiamo più estesamente alla edizione discografica. Partiamo dal DVD (o Blu-ray) che esce per la Eagle Vision, sempre il 5 ottobre: contiene 2 diversi film, entrambi restaurati in HD per la parte video e dolby surround 5.1 per la parte audio, la stessa utilizzata per l’album. Il primo dei due Imagine, uscirà brevemente il 18 settembre anche nelle sale cinematografiche: si tratta proprio del vecchio film, destinato alla televisione, girato nel 1971 a Tittenhurst Park, la magione di John e Yoko ad Ascot e poi pubblicato in Vhs nel 1985 e in seguito in DVD, con i vari promo delle canzoni del disco, il più famoso ovviamente quello del brano Imagine.

Mentre Gimme Some Truth, la cui colonna sonora è sempre stata rimixata in 5.1 dolby surround, è un documentario del 1997 sempre incentrato sul Making Of del disco del 1971. Nella nuova edizione che raccoglie entrambi i film in unico supporto è stato anche aggiunto del materiale esclusivo, mai visto prima che aumenta l’interesse dei fans.

Anche il libro Imagine John Yoko sarà disponibile in diverse edizioni: quella standard, da 320 pagine, che verrà anche tradotta in diverse lingue, italiano compreso, un’altra Collector’s Edition con 176 pagine in più, che costerà intorno ai 200 euro ed infine la edizione per collezionisti autografata, che costerà intorno e oltre i 400 euro. Questo non è il libro contenuto nel cofanetto sestuplo, che comunque, come si rileva dalla immagine ad inizio Post, sarà in ogni caso ricco di informazioni sui contenuti del box, che ora andiamo a vedere.

Prima di tutto un riepilogo a grandi linee dei contenuti, poi alla fine trovate la tracklist con tutti brani presenti nei vari formati, a seconda delle fonti si parla di 140 o 135 pezzi in tutto. Il primo CD contiene l’album regolare con un nuovo mix stereo più i 6 brani tratti dai singoli e alcune tracce extra. Il secondo CD, che è lo stesso della versione doppia che vedete qui sotto, contiene 4 pezzi definiti Elements Mixes, ovvero, solo archi, solo, piano, basso e batteria, e solo voce; poi ci sono 12 outtakes nella forma di demo e versioni alternative varie, oltre a 4 outtakes dai singoli.

john lennon imagine 2 cd

Il terzo CD, presente solo nel box, riporta anche altre versioni inedite recuperate dai nastri originali. Mentre il quarto CD Evolution, sottotitolo From Demo To Mix, contiene l’evoluzione dei brani dalla prima bozza alla versione completa. Infine, per gli audiofili, ma non solo, ci sono una valanga di tracce audio presenti nei due Blu-ray audio, che riportano la bellezza di 89 tracce con moltissime altre chicche in hi-res, dolby surround, versioni quadrafoniche ed altro non presente nei primi 4 dischetti, che sono comunque riportati anche nei due Blu-ray. Quindi, tra le varie opportunità del box, in molti casi sarà possibile anche riascoltare i brani nella loro versione basica (definiti Raw Studio Mix), senza le aggiunte degli archi e altri complementi sonori in post-produzione effettuati da Phil Spector, che era accreditato all’epoca come co-produttore del disco originale del 1971. Come promesso ecco la lista completa dei contenuti del box.

[CD1]
1. Imagine
2. Crippled Inside
3. Jealous Guy
4. It’s So Hard
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die
6. Gimme Some Truth
7. Oh My Love
8. How Do You Sleep?
9. How?
10. Oh Yoko!
11. Power To The People
12. Well… (Baby Please Don’t Go)
13. God Save Us
14. Do The Oz
15. God Save Oz
16. Happy Xmas (War Is Over)

[CD2]
1. Imagine (Elements Mix)
2. Jealous Guy (Elements Mix)
3. Oh My Love (Elements Mix)
4. How? (Elements Mix)
5. Imagine (demo)
6. Imagine (take 1)
7. Crippled Inside (take 3)
8. Crippled Inside (take 6 alt guitar solo)
9. Jealous Guy (take 9)
10. It’s So Hard (take 6)
11. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 11)
12. Gimme Some Truth (take 4)
13. Oh My Love (take 6)
14. How Do You Sleep? (takes 1 & 2)
15. How? (take 31)
16. Oh Yoko! (Bahamas 1969)
17. Power To The People (take 7)
18. God Save Us (demo)
19. Do The Oz (take 3)
20. Happy Xmas (War Is Over) (alt mix)

[CD3]
1. Imagine (take 10) (Raw Studio Mix)
2. Crippled Inside (take 6) (Raw Studio Mix)
3. Jealous Guy (take 29) (Raw Studio Mix)
4. It’s So Hard (take 11) (Raw Studio Mix)
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 4 – extended) (Raw Studio Mix)
6. Gimme Some Truth (take 4 – extended) (Raw Studio Mix)
7. Oh My Love (take 20) (Raw Studio Mix)
8. How Do You Sleep? (take 11 – extended) (Raw Studio Mix)
9. How? (take 40) (Raw Studio Mix)
10. Oh Yoko! (take 1 – extended) (Raw Studio Mix)
11. Imagine (take 1) (Raw Studio Mix)
12. Jealous Guy (take 11) (Raw Studio Mix)
13. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 21) (Raw Studio Mix)
14. How Do You Sleep? (take 1) (Raw Studio Mix)
15. How Do You Sleep? (takes 5 & 6) (Raw Studio Mix)

[CD4]
1. Imagine (Evolution)
2. Crippled Inside (Evolution)
3. Jealous Guy (Evolution)
4. It’s So Hard (Evolution)
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Evolution)
6. Gimme Some Truth (Evolution)
7. Oh My Love (Evolution)
8. How Do You Sleep? (Evolution)
9. How? (Evolution)
10. Oh Yoko! (Evolution)

[BD5]
1. Imagine
2. Crippled Inside
3. Jealous Guy
4. It’s So Hard
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die
6. Gimme Some Truth
7. Oh My Love
8. How Do You Sleep?
9. How?
10. Oh Yoko!
11. Power To The People
12. Well… (Baby Please Don’t Go)
13. God Save Us
14. Do The Oz
15. God Save Oz
16. Happy Xmas (War Is Over)
17. Imagine (Quadrasonic Mix)
18. Crippled Inside (Quadrasonic Mix)
19. Jealous Guy (Quadrasonic Mix)
20. It’s So Hard (Quadrasonic Mix)
21. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Quadrasonic Mix)
22. Gimme Some Truth (Quadrasonic Mix)
23. Oh My Love (Quadrasonic Mix)
24. How Do You Sleep? (Quadrasonic Mix)
25. How? (Quadrasonic Mix)
26. Oh Yoko! (Quadrasonic Mix)
27. Imagine (demo)
28. Imagine (take 1)
29. Crippled Inside (take 3)
30. Crippled Inside (take 6 alt guitar solo)
31. Jealous Guy (take 9)
32. It’s So Hard (take 6)
33. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 11)
34. Gimme Some Truth (take 4)
35. Oh My Love (take 6)
36. How Do You Sleep? (takes 1 & 2)
37. How? (take 31)
38. Oh Yoko! (Bahamas 1969)
39. Power To The People (take 7)
40. God Save Us (demo)
41. Do The Oz (take 3)
42. Happy Xmas (War Is Over) (alt mix)

[BD2]
1. Imagine (take 10) (Raw Studio Mix)
2. Crippled Inside (take 6) (Raw Studio Mix)
3. Jealous Guy (take 29) (Raw Studio Mix)
4. It’s So Hard (take 11) (Raw Studio Mix)
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 4 extended) (Raw Studio Mix)
6. Gimme Some Truth (take 4 extended) (Raw Studio Mix)
7. Oh My Love (take 20) (Raw Studio Mix)
8. How Do You Sleep? (take 11 extended) (Raw Studio Mix)
9. How? (take 40) (Raw Studio Mix)
10. Oh Yoko! (take 1 extended) (Raw Studio Mix)
11. Imagine (take 1) (Raw Studio Mix)
12. Crippled Inside (take 2) (Raw Studio Mix)
13. Crippled Inside (take 6 alt guitar solo) (Raw Studio Mix)
14. Jealous Guy (take 11) (Raw Studio Mix)
15. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 21) (Raw Studio Mix)
16. How Do You Sleep? (take 1) (Raw Studio Mix)
17. How Do You Sleep? (takes 5 & 6) (Raw Studio Mix)
18. How? (takes 7 – 10) (Raw Studio Mix)
19. How? (take 40 alt vocal) (Raw Studio Mix)
20. Oh Yoko! (take 1 tracking vocal) (Raw Studio Mix)
21. Imagine (Elements Mix)
22. Crippled Inside (Elements Mix)
23. Jealous Guy (Elements Mix)
24. It’s So Hard (Elements Mix)
25. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Elements Mix)
26. Gimme Some Truth (Elements Mix)
27. Oh My Love (Elements Mix)
28. How Do You Sleep? (Elements Mix)
29. How? (Elements Mix)
30. Oh Yoko! (Elements Mix)
31. Imagine (Evolution)
32. Crippled Inside (Evolution)
33. Jealous Guy (Evolution)
34. It’s So Hard (Evolution)
35. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Evolution)
36. Gimme Some Truth (Evolution)
37. Oh My Love (Evolution)
38. How Do You Sleep? (Evolution)
39. How? (Evolution)
40. Oh Yoko! (Evolution)
41. Power To The People (Evolution)
42. Well… (Baby Please Don’t Go) (Evolution)
43. God Save Us/God Save Oz (Evolution)
44. Do The Oz (Evolution)
45. Happy Xmas (War Is Over) (Evolution)
46. Tittenhurst Park (Evolution)
47. Imagine John & Yoko – The Elliot Mintz interviews

Il costo indicativo del cofanetto, se verrà confermato, dovrebbe essere sotto i 100 euro, intorno ai 90 si pensa, ma vedremo.

Direi che è tutto.

Bruno Conti

Diamo Il Bentornato Ad Uno Degli Ultimi Grandi Cantautori! John Prine – The Tree Of Forgiveness

john prine the tree of forgiveness

John Prine – The Tree Of Forgiveness – Oh Boy/Thirty Tigers CD

John Prine è sempre stato uno dei miei cantautori preferiti, anzi arrivo a sostenere che negli anni settanta sopra di lui c’erano forse solo Bob Dylan e Paul Simon, ed è uno che in carriera ha avuto solo un centesimo dei riconoscimenti che avrebbe meritato. Dagli anni novanta in poi Prine ha diradato di molto la sua produzione, ed è addirittura dallo splendido Fair & Square del 2005 che non avevamo sue canzoni nuove: dischi sì, ma o erano di covers, come il CD con Mac Wiseman Standard Songs For Average People o quello di duetti con interpreti femminili For Better, Or Worse https://discoclub.myblog.it/2016/11/15/recuperi-fine-stagione-altro-album-duetti-molto-meglio-del-primo-john-prine-for-better-or-worse/ , o erano dal vivo, come In Person & On Stage ed il recente live d’archivio September 78 https://discoclub.myblog.it/2017/10/02/un-buon-live-anche-se-monco-john-prine-september-78/ , o collezioni di demo di inizio carriera (The Singing Mailman Delivers). In questi anni ha avuto anche problemi di salute che lo hanno minato nell’aspetto, rendendolo quasi irriconoscibile e comunque fatto invecchiare molto male, e quindi era lecito pensare che avesse appeso la penna al chiodo in maniera definitiva. Una parte di merito per il suo ritorno sulle scene credo ce l’abbia Dan Auerbach, che lo ha coinvolto nella scrittura di alcune canzoni per il suo splendido album solista dello scorso anno: insieme i due hanno composto addirittura una ventina di brani, anche se poi Dan ne ha usata una sola (Waiting On A Song, la title track del disco) ed un’altra l’ha data a Robert Finley, del quale ha anche prodotto il bel disco Goin’ Platinum.

John dal canto suo si è rimesso a scrivere, da solo o con altri, tirando anche fuori dai cassetti qualche vecchia canzone mai incisa (ed altre due di quelle con Auerbach), ed è riuscito finalmente a dare un seguito a Fair & Square: The Tree Of Forgiveness è un album altrettanto riuscito, con dieci canzoni di qualità eccelsa che ci fanno ritrovare il Prine classico, quello che sa essere divertente ed ironico ma anche profondo e toccante, con una voce che a differenza del fisico non ha risentito più di tanto del tempo trascorso, al punto che non sembra che siano passati tredici anni tra un disco e l’altro. Buona parte del merito va anche al produttore, cioè il ben noto Dave Cobb (ormai un maestro nel dosare i suoni in dischi di questo tipo), il quale ha circondato John di strumentazioni misurate, mai eccessive, in modo da far risaltare sempre e solo la canzone in sé stessa: i musicisti coinvolti sono un mix tra i “regulars” di Prine, come Jason Wilber e Pat McLaughlin e quelli di Cobb, come Mike Webb e Ken Blevins, oltre ad ospitare interventi sempre all’insegna della misura da parte di Brandi Carlile, di Jason Isbell e della consorte Amanda Shires. Poche note di Knocking On Your Screen Door e già ritroviamo il John Prine che più amiamo, una cristallina e cadenzata ballata di ispirazione country, con una melodia tipica del nostro ed un accompagnamento scintillante: miglior inizio non poteva esserci https://www.youtube.com/watch?v=vqb6qKRN8j4 . I Have Met My Love Today è un delizioso brano elettroacustico impreziosito dalla seconda voce della Carlile (che adora John Prine), dal motivo semplice e diretto ed il gruppo che accompagna con discrezione https://www.youtube.com/watch?v=FzKZXEIW4YQ , mentre Egg & Daughter Nite, Lincoln Nebraska 1967 (Crazy Bone), titolo mica male, è una di quelle canzoni per cui il nostro è famoso, una folk ballad con voce, chitarra e poco altro, humor a profusione ed un gusto melodico squisito.

Summer’s End è una tenue slow song nella tradizione di pezzi come Hello In There, dal ritornello splendido e toccante, Caravan Of Fools è più spoglia, due chitarre acustiche, basso e mellotron, ed un mood più drammatico e quasi western di grande intensità, mentre l’ironica Lonesome Friends Of Science è puro Prine, motivo folk, organo alle spalle e brano che si ascolta tutto d’un fiato. No Ordinary Blue è una di quelle filastrocche countryeggianti che John ha sempre scritto con grande facilità (con ben quattro chitarre, tra cui l’elettrica di Isbell), Boundless Love è splendida pur nella sua voluta semplicità, ma il nostro riesce sempre ad emozionare anche solo con la voce e poco altro, e qui è servito da una scrittura di prim’ordine e dalla bravura di Cobb nel calibrare i suoni. God Only Knows non è una cover del classico dei Beach Boys, bensì un pezzo che John aveva scritto negli anni settanta addirittura con Phil Spector e poi dimenticato, e direi che ha fatto molto bene a ripescarla in quanto si tratta di una grande canzone, che beneficia anche di una strumentazione più vigorosa del solito, con la ciliegina della presenza dei coniugi Isbell, Jason alla solista ed Amanda al violino e seconda voce: se non è la più bella del disco poco ci manca https://www.youtube.com/watch?v=4E39NOnCS1U . La scherzosa When I Get To Heaven, che alterna talkin’ ad un cantato pimpante, chiude in maniera positiva un lavoro davvero bellissimo https://www.youtube.com/watch?v=OaDGYFNmtyY , grazie al quale mi rendo conto di quanto mi mancasse uno come John Prine.

Marco Verdi

Una Voce Meravigliosa Interpreta “Cover” D’Autore. Susan Marshall – 639 Madison

susan marshall 639 madison

Susan Marshall – 639 Madison – Madjack Records

Come già detto in occasione dell’uscita del precedente Decorations Of Red, (uscito sul finire del 2015), il debutto dei Mother Station con Brand New Bag, disco del 1994, fu per certi versi un’opera quasi unica (purtroppo) ed eccezionale, un disco di torrenziale rock-blues al femminile dove primeggiava la voce di Susan Marshall, importante non solo per timbriche e modulazioni, ma anche per una straordinaria duttilità interpretativa, tutti pregi che si riscontrano di nuovo in questo ennesimo album di “cover” 639 Madison, che conclude una “triade” iniziata con Little Red (09).

Il titolo dell’album prende il nome dall’indirizzo dove si trovavano i celeberrimi Sam Phillips Recording Studios di Memphis, nei quali anche questo lavoro è stato registrato, sotto la produzione, come per i precedenti dischi, di Jeff Powell, e che vede la Marshall, piano e tastiere, avvalersi di “turnisti” del luogo, i fidati David Cousar alle chitarre, Mark Edgar Stuart al basso, e Clifford “Peewee” Jackson alla batteria, per dieci brani, di cui nove sono canzoni d’autore (Phil Spector, Steve Wonder, John Fogerty, Kris Kristofferson, Elvis Presley, Marvin Gaye e altri), mentre un brano inedito è stato scritto appositamente dal figlio di Sam Phillips, Jerry: il tutto è distribuito, come al solito, dalla casa discografica Madjack Records, sempre di Memphis, città dove risiede anche la brava Susan.

Data la bellezza del lavoro (ovviamente a parere di chi scrive), mi sembrava giusto sviluppare una disamina dei brani “track by track”:

Baby, I Love You – Si inizia con un brano di Phil Spector portato al successo dalle The Ronettes con un famoso singolo del lontano 1963,  pezzo che qui viene riproposto da Susan in una versione “funky-rock.

Overjoyed – Meritoriamente viene ripescato questo brano del grande Steve Wonder (lo trovate su Square Circle, un album non trai suoi migliori del 1986), che a dispetto di una versione più classica incisa dalla brava Mary J.Blige, viene riletto per l’occasione in una intrigante chiave “bossa nova”.

Have You Ever Seen The Rain – Questo famosissimo brano di John Fogerty e dei suoi Creedence Clearwater Revival, viene rivoltato come un calzino da Susan Marshall, una canzone dove oltre la bravura dell’interprete si deve rimarcare pure la pulizia del suono di un arrangiamento meraviglioso da parte dei musicisti che suonano nel CD.

Inner City Blues (Make Me Wanna Holler) –  Marvin Gaye viene giustamente omaggiato con questo classico (tratto dal pluridecorato What’s Going On), in una sussurrata versione “soul-blues”.

When She’s Around – Questo è l’unico brano originale del lavoro, scritto da Jerry Phillips, una dolce ballata che rimanda al periodo Stax Records (buon sangue non mente), interpretata in modo commovente dalla Marshall.

Hound Dog – Dimenticatevi le versioni di Elvis o di Little Richard, qui sentite suoni caraibici che trasformano profondamente  uno dei classici immortali del re del “rock’n’roll”.

Stay – Questa confesso che me la sono persa, una bella canzone di tale Mikky Ekko portata al successo da Rihanna (?!?), e in questa occasione arrangiata con maggior garbo e interpretata con la classe tipica della nostra amica.

Help Me Make It Through The Night – Questa canzone di Kris Kristofferson (ha vinto il premio come canzone dell’anno nel 1970), può vantare illustri interpreti a partire da Willie Nelson, Brenda Lee, Dolly Parton, Elvis Presley e tantissimi altri, e anche in questa commovente rilettura le viene garantito il giusto merito.

Blue Skies – Questo brano proviene del lontano 1926, è stato scritto da Irving Berlin per il Musical teatrale Betsy, e nel tempo è stato reinterpretato da moltissimi artisti tra i quali Frank Sinatra e Doris Day, e la Marshall ne fa una splendida versione un po’ in stile “Cabaret”, diventando un pezzo da cantare in qualsiasi buon Bistrot.

Use Somebody – A dimostrazione che volendo anche le band di “rock alternativo” sanno scrivere grandi canzoni, da Only By The Night dei Kings Of Leon, viene ripescata una Use Somebody di straordinario fascino musicale, dove ancora una volta Susan si dimostra una delle migliori vocalist ” sconosciute” in circolazione.

Come certamente avrete capito sono molto di parte, però è pur sempre un progetto coraggioso e rischioso fare un album di “cover” (di qualsiasi genere), ma devo dire che ancora una volta la sfida mi pare vinta, come è successo in altre occasioni, in quanto ascoltando queste canzoni d’autore l’emozione che trasmette la voce di questa bravissima cantante di Memphis è dirompente, e Susan Marshall conferma ancora una volta che le buone canzoni sono sempre delle buone canzoni, soprattutto se ben interpretate, e in questo 639 Madison ce ne sono in abbondanza.

Tino Montanari

*NDB I video inseriti nel Post ovviamente non corrispondono ai contenuti del disco, ma servono per dare comunque una idea della splendida voce di questa bravissima cantante.

Ogni Tanto Si Rifà Viva Anche Lei! Ronnie Spector – English Heart

ronnie spector english heart

Ronnie Spector – English Heart – 429 CD

E’ di pochi mesi fa il mio post sul Best Of dedicato a Veronica Yvette Bennett, meglio conosciuta come Ronnie Spector, un’ottima antologia con qualche rarità che però non conteneva nulla di nuovo http://discoclub.myblog.it/2015/11/26/darlene-love-ecco-la-piu-famosa-delle-spector-girls-ronnie-spector-the-very-best-of-ronnie-spector/ : l’ultima fatica dell’ex leader delle Ronettes (ed ex moglie del leggendario produttore Phil Spector) risaliva a ben dieci anni fa, il discreto ma non eccelso Last Of The Rock Stars. Ma Ronnie nel corso della sua carriera ha pubblicato davvero poco come solista, e quindi ogni suo disco deve essere considerato come un piccolo evento, essendo lei una delle artiste di punta dei vocal groups tanto in voga nella musica pop degli anni sessanta. English Heart, il suo nuovissimo album, è però un disco particolare: se la quasi totalità dei gruppi e solisti inglesi dei sixties si rifacevano dichiaratamente ad un suono di origine americana (chi blues, chi rock’n’roll, chi soul), con questo lavoro Ronnie ha voluto fare il percorso inverso, omaggiando tutta una serie di artisti e di brani a lei particolarmente cari, dichiarando anche nelle note di copertina il suo smisurato amore per la musica britannica dell’epoca. Quindi un disco di cover, scelte per lo più in maniera personale dalla cantante di origini afro-irlandesi, con pochi pezzi veramente famosi anche se presi dai songbook di band popolarissime: l’album è prodotto da Scott Jacoby, uno con un curriculum non proprio aderente ai gusti abituali di chi scrive su questo blog (Coldplay, Sia, John Legend), ma che qua ha fatto un lavoro impeccabile a livello di suono (tranne un caso), rivestendo i brani di suoni moderni ma nello stesso tempo mantenendo un certo sapore d’altri tempi, utilizzando una lunga serie di sessionmen proprio come faceva l’ex marito di Ronnie (ed i cui nomi, devo confessare, mi sono sconosciuti).

Poi c’è la voce della Spector, sempre bellissima e resa ancora più affascinante da un misto di età, sigarette e chissà cos’altro, che le ha conferito un timbro giusto a metà tra la limpidezza dei brani con le Ronettes ed il tono roco e vissuto di Marianne Faithfull (un’altra che non si è mai fatta mancare niente): il tutto per un dischetto (meno di 35 minuti) che, anche se non imprescindibile, posso tranquillamente definire riuscito, in quanto non annoia e si lascia ascoltare con piacere (e la cosa secondo me non era scontata, in certi casi il pericolo ciofeca è sempre dietro l’angolo). L’album inizia con Oh Me Oh My (I’m A Fool For You Baby), ripresa molto sofisticata e quasi afterhours di un successo minore di Lulu, con un marcato retrogusto soul (una costante nel disco), non malaccio anche se un po’ più di brio non avrebbe guastato. Because è un vecchio pezzo dei Dave Clark Five, B-side in Inghilterra ma lato A in America, proposta con un arrangiamento più vintage (anche se si sente benissimo che è incisa oggi), un botta e risposta tra leader e coro femminile che fa molto Ronettes e melodia squisitamente sixties, e che voce che ha ancora Ronnie.

I’d Much Rather Be With The Girls è una canzone poco nota dei Rolling Stones (scritta dall’inedita coppia Keith Richards – Andrew Loog Oldham e pubblicata nella compilation di rarità Metamorphosis), un brano che già in origine era un omaggio a Spector (il marito), e quindi Ronnie non deve cambiare molto per portare a casa il risultato pieno (a parte il titolo, dove Boys viene sostituito da Girls); Don’t Let The Sun Catch You Crying (Gerry & The Pacemakers) è invece ripresa in maniera quasi cameristica, con solo due chitarre acustiche ed un violoncello (ed anche una leggera percussione) ad accompagnare la voce carismatica di Ronnie, una rilettura di classe, parola non abitualmente associata ad una che ha il soprannome di “bad girl of rock’n’roll”. Tired Of Waiting è una (bella) canzone dei Kinks, anche se non tra le più note, e la nostra Veronica la rifà con un approccio rock asciutto e diretto ed un leggero sapore errebi che non guasta; Tell Her No (Zombies) è la più mossa finora, con ancora un arrangiamento in perfetto stile anni sessanta, un blue-eyed soul di presa immediata, mentre con I’ll Follow The Sun (Beatles, of course) non si sforza più di tanto, lasciando intatta la struttura folk dei Fab Four ed eseguendola con due chitarre e poco altro. You’ve Got Your Troubles è un oscuro brano di un’altrettanto oscura band (The Fortunes) ed è il primo e per fortuna unico caso di suono un po’ finto, con drum programming e synth ben in vista, ed anche la canzone non è niente di che, meglio Girl Don’t Come (di Sandie Shaw, la “cantante scalza” molto popolare anche in Italia), che mantiene il gusto pop dell’originale ed è suonata in maniera classica, e pur non essendo un grande brano si lascia ascoltare.

Don’t Let Me Be Misunderstood è invece un capolavoro della nostra musica (ed è anche la più famosa tra le canzoni scelte dalla Spector), ed anch’essa viene rivestita di sonorità tra rock e rhythm’n’blues, dando un sapore nuovo ad un pezzo che ha avuto più di una versione superlativa (Animals e Nina Simone su tutte… e che nessuno si azzardi a dire Santa Esmeralda, a parte Carlo Conti!): gran ritmo e melodia trattata con il dovuto riguardo. Il CD si chiude con l’unico “sconfinamento” negli anni settanta, con la nota How Can You Mend A Broken Heart dei Bee Gees, un pezzo che non ho mai amato particolarmente (ma è un mio problema, Ronnie la rifà bene): quindi, ripeto, un dischetto forse non indispensabile, ma in definitiva ben fatto ed ottimamente interpretato, e vista la (poca) regolarità con la quale incide Ronnie Spector, l’acquisto ci può anche stare.

Marco Verdi

Vecchie Glorie Alla Riscossa! Dion – New York Is My Home/Jack Scott – Way To Survive

dion new york is my home

Dion – New York Is My Home – Instant CD

Jack Scott – Way To Survive – Bluelight CD

Questo post fa parte della serie “due al prezzo di uno”, in quanto questi due arzilli vecchietti appartenenti alla “golden age of rock’n’roll” (per dirla con Ian Hunter, che anche lui ha i suoi annetti) hanno pubblicato quasi in contemporanea i loro due nuovi lavori e, se il primo è sempre stato molto attivo durante tutta la sua carriera, il secondo ritorna a sorpresa dopo una lunghissima assenza dalle scene.

https://www.youtube.com/watch?v=xuqI7yid3ew

Dion Di Mucci, 77 anni a Luglio, non ha mai smesso di fare dischi, dagli esordi newyorkesi (è del Bronx) con i Belmonts, gruppo con il quale mosse i primi passi ed ebbe i primi successi di classifica, fondendo elementi di rock and roll, doo-wop e rhythm’n’blues, passando per i primi anni sessanta (il momento di maggior fama), con singoli di grande popolarità quali Runaround Sue, Ruby Baby e The Wanderer, per poi attraversare lunghe fasi con poche soddisfazioni commerciali, nelle quali si reinventò folksinger, si fece produrre da Phil Spector (Born To Be With You, 1975) e, in seguito ad un’importante crisi mistica, incise anche diversi album a sfondo religioso. Nel 1989 il clamoroso comeback con lo splendido Yo Frankie!, un disco che ci faceva ritrovare un rocker tirato a lucido e ancora capace di fare grandi cose (e con ospiti come Lou Reed e Paul Simon, altri newyorkesi doc e suoi grandi fans); da allora, Dion non ha mai smesso di pubblicare album, tutti di livello dal discreto al buono, con un progressivo avvicinamento negli ultimi anni a sonorità più blues (e ben tre CD dedicati alla musica del diavolo).

New York Is My Home è il suo album nuovo di zecca, un disco che, come suggerisce il titolo, è un sentito e sincero omaggio alla sua città, da lui sempre amata e mai abbandonata: otto nuove canzoni e due cover, il tutto cantato con la solita voce giovanile (davvero, non sembra un quasi ottantenne) e suonato in maniera diretta da una manciata di musicisti tra i quali spicca Jimmy Vivino, grande chitarrista (e pianista), già collaboratore di vere e proprie icone quali Al Kooper, Phoebe Snow, Levon Helm, Laura Nyro, Johnnie Johnson e Hubert Sumlin, e coadiuvato da Mike Merritt al basso, James Wormworth alla batteria e Fred Walcott alle percussioni. Un buon disco, che ci conferma il fatto che Dion ha ancora voglia di fare musica e non ci pensa minimamente a tirare i remi in barca, anche se qualche calo durante i 38 minuti di durata c’è (pur non scendendo mai sotto il livello di guardia) e, cosa strana dato che è nelle mani dell’esperto Vivino, la produzione è un po’ troppo statica e rigida, laddove alcuni brani avrebbero beneficiato di una maggiore profondità del suono.

Aces Up Your Sleeve apre il disco con un rock urbano diretto e potente, una chitarrina knopfleriana e la solita voce chiara e limpida del leader, un bell’inizio; Can’t Go Back To Memphis è un rock-blues solido e chitarristico, con un gran lavoro di Vivino alla slide e Dion (che non è mai stato un bluesman) che risulta convinto e convincente. Ed ecco la tanto strombazzata title track, brano in cui il nostro duetta con Paul Simon, e sinceramente date le attese pensavo a qualcosa di meglio: la canzone è sinuosa, fluida e ben suonata, ma è priva di una melodia che rimanga in testa e, nonostante la voce inconfondibile di Paul, fa fatica ad emergere. The Apollo King è puro rock’n’roll, e anche se non è un brano epocale ha ritmo e groove a sufficienza; Katie Mae è un blues di Lightnin’ Hopkins, uno shuffle di buona fattura, forse un tantino scolastico (anche se uno come Vivino è nel suo ambiente naturale), mentre I’m Your Gangster Of Love torna su territori rock, un brano gradevole e con un’ottima chitarra, anche se è in pezzi come questo che sarebbe servito un maggior lavoro di produzione.

La grintosa e rocciosa Ride With You, un altro rock’n’roll tutto ritmo e slide, precede I’m All Rocked Up, altro saltellante rock tinto di blues, non male; chiudono il CD la bella Visionary Heart, una ballata elettrica molto ben costruita ed evocativa, un pezzo che ci fa ritrovare per un attimo il Dion di Yo Frankie!, e I Ain’t For It (un classico di Hudson Whittaker alias Tampa Red), jumpin’ blues divertente e spigliato, tra i più riusciti del lavoro. Non il miglior disco di Dion quindi, ma un album più che discreto che ci fa comunque apprezzare nuovamente un artista che dovremmo ringraziare solo per il fatto che continui a fare dischi e non sia andato in pensione come altri suoi coetanei ancora in vita.

jack scott way to survive

In pensione era invece dato Jack Scott, rock’n’roller canadese che con Dion condivide le origini italiane (si chiama infatti Giovanni Domenico Scafone), il quale ebbe il suo momento d’oro tra il 1959 ed il 1964, periodo in cui pubblicò sei album ed una serie di singoli che ebbero un buon successo (My True Love, What In The World’s Come Over You, Burning Bridges, oltre alla bellissima The Way I Walk, della quale ricordo una cover strepitosa di Robert Gordon con Link Wray https://www.youtube.com/watch?v=WBa1JPXuWAE ) e che gli fecero guadagnare il soprannome di “miglior cantante rock’n’roll canadese di tutti i tempi” (anche perché Ronnie Hawkins era americano di origine). Oggi, a 80 anni suonati, ed a più di cinquanta dall’ultimo LP (solo pochi singoli negli anni 60/70), Scott torna a sorpresa con un nuovo lavoro, un disco intitolato Way To Survive, che ci riporta un artista dimenticato ma ancora in grado di dire la sua, con una voce calda ed estremamente giovane (altro punto in comune con Dion), ed una serie di canzoni (perlopiù covers) gradevoli e suonate con classe da un manipolo di musicisti sconosciuti ma validi (l’album è inciso in Finlandia, dove a quanto pare Jack è ancora popolare, con sessionmen locali di cui non dico i nomi anche perché sono più degli scioglilingua che altro). Un disco raffinato e volutamente old fashioned, nel quale spiccano maggiormente le ballate, vero punto di forza per Scott anche in gioventù, ma dove non mancano di certo i pezzi più mossi e rock, anche se in molti momenti si respira una piacevole atmosfera country.

Anzi, diciamo pure che Way To Survive è quasi un country album, a cominciare dalla fluida I Just Came Home To Count The Memories (scritta da Glenn Ray ed incisa, tra gli altri, da Bobby Wright e in anni recenti da John Anderson), per proseguire con la splendida Ribbon Of Darkness (Gordon Lightfoot), arrangiata alla maniera di Johnny Cash, il classico di Hank Williams Honky Tonk Blues, il rockabilly Hillbilly Blues (Little Jimmy Dickens) e l’oscura ma bella You Don’t Know What You’ve Got (unico successo di Ral Donner, un misconosciuto rocker dei primi anni sessanta). Sul versante rock abbiamo l’iniziale Tennessee Saturday Night, un vivace pezzo suonato alla Jerry Lee Lewis (che pure l’ha incisa in passato), il remake di Wiggle On Out, un boogie che Jack aveva già pubblicato in passato, ed una versione di Trouble molto vicina a quella più famosa ad opera di Elvis Presley, anche se più rallentata. Per chiudere con il brano più bello del CD, la sontuosa Woman (Sensuous Woman), di Don Gibson, una fantastica country ballad suonata e cantata alla grande, con un evocativo coro alle spalle di Jack ed una melodia toccante.

In definitiva, due dischi gradevoli, anche se siamo lontanissimi dal capolavoro: meglio Jack Scott di Dion (che però ha scritto quasi tutte le canzoni di suo pugno), e ci mancherebbe dato che ha avuto 50 anni di tempo!

Marco Verdi