Il Texano Stavolta Ha Fatto Fiasco! Granger Smith – Country Things

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Granger Smith – Country Things – Wheelhouse/BMG CD

E’ già da qualche anno che seguo il cammino di Granger Smith, countryman texano di Dallas autore dall’inizio del nuovo millennio di una manciata di discreti album: niente di particolarmente innovativo, ma una musica di buona qualità caratterizzata da una valida scrittura e da un approccio sufficientemente elettrico, con in più una giusta dose di umorismo che lo ha portato a crearsi un alter ego, tale Earl Dibbles Jr., che è un po’ la parodia del cowboy “redneck” reazionario. Da qualche anno Smith ha iniziato anche ad assaporare un certo successo (i suoi ultimi due lavori sono entrati nella Top Three country), e questo lo ha portato a prendere la via di Nashville, non solo fisicamente ma anche come suono https://discoclub.myblog.it/2018/02/06/country-texano-buona-musica-non-sempre-granger-smith-when-the-good-guys-win/ .

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Country Things è il suo nuovo album, un lavoro lungo e, almeno sulla carta, ambizioso, ben diciotto canzoni per quasi un’ora di durata, con uno stuolo interminabile di sessionmen al suo servizio e ben sette produttori diversi. Un’operazione in grande stile quindi, peccato che però il risultato finale si allontani abbastanza dal vero country che piace a noi, e si posizioni in quella fascia di mercato rivolta all’americano medio che si accontenta di un pop annacquato che di country ha molto poco. Il suono è moderno e fin troppo ricercato quando non eccessivamente prodotto, ed anche i testi sono piuttosto stereotipati (famiglia, buoni sentimenti, Dio, il baseball, allegre bevute di birra ed un Messico da cartolina in Mexico): non siamo ai livelli delle schifezze di uno come Keith Urban solo perché qualche canzone piacevole c’è, ma siamo comunque di fronte al classico disco che, una volta ultimato l’ascolto, non ti lascia nulla.

photo jeremy cowart

photo jeremy cowart

La title track è una country song pura ed abbastanza riuscita, bella voce e ritmo spedito https://www.youtube.com/watch?v=PamhiCVQeJE , Where I Get It From e Buy The Boy A Baseball sono orecchiabili e ben strutturate, ma brani come Hate You Like A Love You, I Kill Spiders, That’s What Love Looks Like e 6 String Stories https://www.youtube.com/watch?v=q2bSu04fszQ  sono decisamente pop, ed anche il finto southern Chevys, Hemis, Yotas & Fords non è il massimo https://www.youtube.com/watch?v=4X1EqzwZqqo . Perfino i cinque brani a nome Earl Dibbles Jr., che solitamente sono i più diretti e “texani”, qui sono altalenanti: se la robusta Country & Ya Know It ha dalla sua un refrain contagioso https://www.youtube.com/watch?v=qafB86EEfj0 , Workaholic è proprio brutta https://www.youtube.com/watch?v=9124xd6Rw1o  e la dura Diesel è tagliata con l’accetta. Peccato: fino ad oggi il nome di Granger Smith era sinonimo di musica country equilibrata e piacevole, ma in Country Things c’è davvero poco da salvare.

Marco Verdi

Vincitore Del Premio “Ciofeca Del Mese”! Russell Dickerson – Southern Symphony

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Russell Dickerson – Southern Symphony – Triple Tigers CD

Russell Dickerson è un musicista del Tennessee che ha esordito nel 2017 con l’album Yours, un successo immediato dal momento che è volato di botto nella Top Five country, e lo stesso destino è toccato ai tre singoli da esso estratti. C’era quindi attesa per il secondo lavoro del nostro, ma dopo aver ascoltato Southern Symphony devo purtroppo ammettere che ci troviamo di fronte al tipico prodotto made in Nashville che di country ha molto poco, ma è bensì un disco di pop neanche di prima qualità, con un suono gonfio ed un livello compositivo abbastanza deficitario, ma che evidentemente va bene per la massa dei fruitori di questo genere di musica. Prodotto come il lavoro precedente da Casey Brown al quale si è aggiunto il famigerato Dann Huff (uno che passa con disinvoltura da Faith Hill ai Megadeth), Southern Symphony è dunque un album di scarso interesse per chi segue la vera musica country, infarcito com’è di sonorità sintetiche e radiofoniche e con dieci canzoni che una volta ultimato l’ascolto non te ne ricordi mezza.

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Recentemente ho ascoltato il nuovo album di Granger Smith che soffre più o meno degli stessi problemi, ma qui il livello è decisamente ancora più basso. L’iniziale Never Get Old è un pezzo dal sound “piacione”, con le chitarre elettriche in evidenza ma un ritornello un filo troppo easy: peccato che alla fine si rivelerà il brano migliore https://www.youtube.com/watch?v=X_taBQkA-7E . Home Sweet ha un suono bombastico che di country non ha nulla ma per il pubblico americano medio probabilmente va benissimo https://www.youtube.com/watch?v=oPZ1iL5LjAE , All Yours All Night è finta come le tette di Dolly Parton, Love You Like I Used To e Forever For A Little While sono due ballate pop, e neppure di buon livello, It’s About Time è brutta e basta https://www.youtube.com/watch?v=8-rzyrdQ80c . Inutile proseguire oltre: l’unico pregio di questo disco è che dura appena 32 minuti, anche se alla fine vi sembrerà che ne siano passati il doppio. Se volete un album recente di vero country rivolgetevi a Colter Wall, Tennessee Jet o Josh Turner, ma state alla larga da Russell Dickerson.

Marco Verdi

Dal Sud Degli Stati Uniti Ancora Ottima Musica Da Un Artista Di Culto. Randall Bramblett – Pine Needle Fire

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Randall Bramblett – Pine Needle Fire – New West

Ogni tanto leggendo Wikipedia si apprendono notizie “interessanti”: per esempio che il nostro amico Randall Bramblett ha una carriera che ha attraversato tre decadi, ma considerando che è in attività dai primi anni 70, direi che sono sette decadi, in più si apprende che il suo genere musicale sta tra folk (?!?), pop/rock, acoustic, adult alternative, mentre leggendo sul suo sito, in quanto si presume che almeno lui sappia che tipo di musica faccia, leggiamo di Americana, Blues, Funk, R&B/Soul e Rock (magari southern, visto che è stato in passato un componente dei Sea Level). Dato a Cesare quel che è di Cesare, e a Randall quel che è di Bramblett, ancora una volta il musicista di Jesup, Georgia, ci regala un altro bel disco, dopo Juke Joint At The End Of The World del 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/09/05/un-sudista-anomalo-randall-bramblett-juke-joint-at-the-edge-of-the-world/, ecco l’ottavo CD per la New West negli anni 2000.

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Tastierista e cantante, oltre che sassofonista, Bramblett ha una bella voce, rauca e vissuta e si scrive le proprie canzoni, 12 in questo caso, facendosi aiutare dagli stessi musicisti del precedente CD: Nick Johnson alla chitarra elettrica, Michael C. Steele al basso, Seth Hendershot alla batteria e Gerry Hansen alle percussioni, in più come ospite alla chitarra David Causey, con lui sin dai tempi dei Sea Level, Tommy Talton dei Cowboy, che suona la vecchia Gibson SG di Duane Allman in modalità slide nel brano I’ve Got Faith In You, una piccola sezioni fiati e nella title track gli archi, oltre a Betsy Franck alle armonie vocali. Some Poor Soul, chitarra trattata, basso “grasso”, piano elettrico e fiati in evidenza, percussioni e batteria in spolvero, nonché le armonie vocali corpose dei componenti la band e della Franck, ricorda il suono del suo vecchio amico Stevie Winwood https://www.youtube.com/watch?v=WYwbosqIfH0 , con il quale ha collaborato in passato; Rocket To Nowhere, loop di batteria e synth non fastidiosi in apertura, poi diventa un altro funky-jazz-southern rock che ricorda i vecchi Sea Level, con sax e tromba, oltre alle tastiere di Randall, a menare le danze https://www.youtube.com/watch?v=Ops3SUa7fh0 .

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La lunga e soave title track ha delle sonorità sognanti e futuribili, con il Fender Rhodes di Bramblett e chitarre backwards e synth atmosferici a punteggiare la melodia di questa ballata, che nel corso del brano si anima e vede nel finale anche l’ingresso degli archi https://www.youtube.com/watch?v=6OinUsBKNQY . In Lazy (And I Know It), sempre su queste coordinate sonore, ritmi più serrati, Randall va anche di falsetto, sostenuto dalla brava Betsy Franck, Even The Sunlight con un bel drive della batteria, è più mossa e con doppia chitarra, e qualche rimando al suono degli Steely Dan, contemporanei dei Sea Level, grazie agli arrangiamenti intricati e a un acido assolo della chitarra solista https://www.youtube.com/watch?v=NvYtLk0UMKM , I’ve Got Faith In You è il brano nel quale Talton suona la chitarra di Duane, un sincero esempio del vecchio southern rock dei 70’s, con un testo presentato come una risposta a Forever Young di Dylan, molto suggestiva grazie all’insinuante lavoro della slide di Talton e alla seconda voce della Franck https://www.youtube.com/watch?v=huPU4TTrWMw .

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Another Shining Moment, con Causey aggiunto che va di slide, quasi alla George Harrison. è un pezzo dai retrogusti sudisti, di nuovo con falsetti gospel sullo sfondo e una calda interpretazione vocale di Bramblett e e Co https://www.youtube.com/watch?v=u_gwhzem9x4 ., molto piacevole anche la funky Manningtown che spinge sul groove, con chitarrine insinuanti anche wah-wah e piano elettrico e organo a dettare i tempi https://www.youtube.com/watch?v=DLzzyPqZUyU , insieme ai fiati, Built To Last decisamente più sul versante rock corale dimostra una volta di più la versatilità e la classe di questo musicista, ancora con Causey in aiuto con la sua solista insinuante, prima di tornare al funky/R&B con la mossa e fiatistica Don’t Get Me Started sempre vicina agli stilemi di Donald Fagen. In chiusura prima Never Be Another Day che coniuga rootsy rock e deep soul in modo brillante, grazie ancora alla Franck https://www.youtube.com/watch?v=nbMsbyuiwF0 , e l’ultimo brano con la presenza di Causey My Lucky Day insiste con questa riuscita miscela di generi che è la carta vincente di questo ennesimo ottimo album di Randall Bramblett. In attesa di nuovi dischi di Winwood e Fagen “accontentiamoci”.

Bruno Conti

Come Si Diceva A Scuola: Il Ragazzo E’ Bravo Ma Può Fare Di Più! Ward Davis – Black Cats And Crows

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Ward Davis – Black Cats And Crows – Ward Davis CD

Ward Davis, singer-songwriter originario dell’Arkansas, è un nome poco conosciuto nonostante sia sulle scene da più di vent’anni. Dopo un ormai intorvabile album d’esordio datato 1998, Davis si è spostato a Nashville dove ha intrapreso il mestiere di scrittore per conto terzi, ed è riuscito a farsi un nome componendo canzoni per Trace Adkins, Wade Hayes, addirittura Willie Nelson e Merle Haggard (Unfair Weather Friend, dal loro splendido duet album del 2015 Django And Jimmie) e più di recente per Cody Jinks, che lo ha incoraggiato a riprendere in mano con convinzione la carriera di musicista. Black Cats And Crows è quindi il terzo album di Ward (a cinque anni dal secondo, 15 Years In A 10 Year Town), un disco di country duro e puro da parte di un artista che non ha mai nascosto di ispirarsi al movimento Outlaw Country degli anni 70, e che oggi potrebbe essere collocato nella stessa categoria di gente come Jamey Johnson, Whitey Morgan e lo stesso Jinks.

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Prodotto dall’esperto Jim “Moose” Brown, Black Cat And Crows è un lavoro di un musicista maturo, che ha fatto la sua gavetta senza però farsi attirare troppo dalle sirene di Nashville, e lo dimostra consegnandoci 14 canzoni di vero country, con chitarre e pianoforte sempre in evidenza ed un piglio energico anche nelle ballate: se vogliamo trovare il pelo nell’uovo, devo ammettere che forse l’album è un filo troppo sbilanciato proprio verso i pezzi lenti, che a lungo andare potrebbero abbassare la tensione, ma fortunatamente non c’è spazio per momenti sdolcinati e mielosi. In poche parole un buon disco, che con una maggiore dose di rock’n’roll mezza stelletta in più se la sarebbe guadagnata con merito. L’iniziale Ain’t Gonna Be Today fa capire subito da che parte stiamo, una rock ballad chitarristica e cadenzata in cui il country è solo sfiorato (l’uso della steel), voce forte e refrain vincente https://www.youtube.com/watch?v=Slo2EpzSNek . La title track inizia lenta e pianistica, una ballatona dai toni drammatici suonata in maniera classica e con un crescendo notevole che culmina con un assolo di chitarra decisamente rock https://www.youtube.com/watch?v=T4kHtBQEfoI , e sullo stesso stile è Threads, ancora uno slow ma più morbido e gentile.

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Sounds Of Chains è invece elettrica e dal sapore sudista, con una tensione palpitante ed un ottimo contributo del classico ospite che non ti aspetti, ovvero il chitarrista Scott Ian della band trash metal Anthrax, che però qui si cala perfettamente nei panni richiesti https://www.youtube.com/watch?v=E_w6KNviYsg ; Get To Work Whiskey è un robusto rockin’ country figlio di Waylon Jennings, Colorado una deliziosa ballata impreziosita da un malinconico violino e con una melodia tra le migliori del CD https://www.youtube.com/watch?v=6tFBWjz6Tm8  , mentre Book Of Matches è ancora un lento caratterizzato come il precedente da un motivo vibrante e suonato con piglio da rocker. Tra i brani restanti (l’album dura cinquanta minuti) segnalo ancora la gustosa Papa And Mama, tra country, southern e swamp music, la toccante Lay Down On Love, di nuovo guidata dal piano, ed il bel valzerone lento Nobody. Black Cats And Crows è quindi un buon disco, anche se per il futuro auspico che Ward Davis lasci maggior spazio al suo lato rock.

Marco Verdi

Classico Blues Elettrico, Ottimo Ed Abbondante! Sugar Ray And The Bluetones – Too Far From The Bar

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Sugar Ray And The Bluetones Featuring Little Charlie – Too Far From The Bar – Severn Records

In un 2020 nel quale se ne sono andati molti musicisti a causa del Covid, sono morti anche altri “amici” per malattie diverse. Little Charlie Baty ci ha lasciato per un infarto a marzo dello scorso anno, proprio nelle fasi finali di preparazione di questo Too Far The Bar, disco di Sugar Ray And The Bluetones, nel quale lui era uno degli interpreti. Il “vecchio” Charlie Baty (67 anni ancora da compiere) era stato, insieme a Rick Estrin, uno dei fondatori di Little Charlie & The Nightcats, tra le migliori formazioni del classico blues elettrico, ma aveva problemi di salute da molto tempo, ed in virtù di questa situazione aveva lasciato la band nel 2008 (che poi ha comunque continuato in modo gagliardo come Rick Estrin & The Nightcats), per rallentare la sua attività nel mondo della musica, e in seguito aveva ripreso, sia pure in misura ridotta, a deliziare gli amanti delle 12 battute di classe, con collaborazioni saltuarie con JW-Jones, Junior Watson e Sugar Ray Norcia..

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Per l’occasione Norcia ha anche riunito la prima formazione classica dei Bluetones, già in attività da metà anni ‘90, ovvero Anthony Geraci al piano, Michael Mudcat Ward al basso e Neil Gouvin alla batteria, senza dimenticare che alla produzione è stato chiamato il grande Duke Robillard, che già che c’era ha suonato la chitarra in quattro brani. Il risultato è uno dei migliori dischi di blues dell’annata appena trascorsa, in un giusto equilibrio di brani originali e “piccoli” classici del blues: Baty, non prevedendo la sua dipartita, ha firmato anche le note del CD, insieme a Robillard, ricordando vari aneddoti della sua lunga carriera. Comunque è la musica quella che meglio lo ricorda: Don’t Give No More Than You Can Take, scritta da Lowman Pauling, è uno dei tanti gioiellini dei “5” Royales, maestri del R&B, qui trasformata in un delizioso shuffle swingato, dove si apprezzano la voce vibrante di Norcia, anche all’armonica e la chitarra pungente di Little Charlie e il pianino di Geraci https://www.youtube.com/watch?v=hwhUWKKYx08 , a seguire Bluebird Blues di Sonny Boy Williamson, il classico lentone dove Sugar Ray può mettere in mostra tutta la sua maestria alla mouth harp https://www.youtube.com/watch?v=zHf-LdBE3oc ; eccellente anche la divertente title track, dove si va di scatenato jump blues, come se non ci fosse un futuro, e le mani di Geraci volano sul piano, con Baty che risponde colpo su colpo https://www.youtube.com/watch?v=HICirHvhi3c .

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.Non manca una ballata romantica come Too Little To Late, dove Norcia si presenta anche come crooner di lusso, per poi scatenare la sua prodigiosa tecnica all’armonica nello strumentale vorticoso Reel Burner https://www.youtube.com/watch?v=At2GbHj__Sk , poi ribadita nella cover di Can’t Hold Out No Much Longer di Little Walter, un Chicago Blues marca Chess, di quelli duri e puri, Numb And Dumb uno dei tanti originali di Sugar Ray è un altro esempio della sua padronanza delle 12 battute, poi sublimata nella frenetica ripresa di My Next Door Neighbor di Jerry McCain, dove si va di boogie con Little Charlie https://www.youtube.com/watch?v=6t3oNyzJZBo . What I Put You Through è il contributo del bassista Michael Ward, un brano notturno che è il veicolo perfetto per il raffinato tocco di Duke Robillard, con la band che poi affronta un brano di Otis Spann come What Will Become Of Me, di nuovo con il piano di Geraci in evidenza in questo lungo slow, seguito dalla classica I Gotta Right To Sing The Blues, con Robillard che rilascia un altro assolo di rara finezza https://www.youtube.com/watch?v=JefmxcVL8ck , e anche Norcia lo segue con assoluta nonchalance sfoderando di nuovo il suo mood da crooner. Poi è il turno di Geraci come autore nella vivace From The Horses Mouth e di nuovo Ward nella divertente The Night I Got Pulled Over, dove Norcia racconta di un incontro con le forze dell’ordine in un fumoso locale evocato anche dal mood del brano e dalla chitarra di Robillard. Chiude Walk Me Home un altro shuffle che è l’occasione per ascoltare ancora una volta tutti i brillanti solisti presenti in questo album https://www.youtube.com/watch?v=K8xX4bLaXEE , che riporta pure in chiusura una alternate take di Reel Burner. Come si suol dire, ottimo ed abbondante.

Bruno Conti

Melodie Conturbanti Per Una Cantautrice Di Vaglia. Emily Barker – A Dark Murmuration Of Words

Emily Barker A Dark Murmuration Of Words

Emily Barker – A Dark Murmuration Of Words – Thirty Tigers CD

Emily Barker, singer-songwriter australiana, pur non essendo molto nota ha già un bel curriculum alle spalle, avendo esordito nel 2003 con la indie band The-Low-Country ed avendo in seguito pubblicato tre album da solista, altrettanti a capo dei Red Clay Halo, uno come membro dei Vena Portae, un altro come esponente del trio femminile Applewood Road e, nel 2019, il folk album A Window To Other Ways in duo con Marry Waterson (della mitica famiglia Waterson-Carthy, essendo figlia di Lal e nipote di Norma). Oggi la Barker torna tra noi con il quarto album a suo nome intitolato A Dark Murmuration Of Words, un lavoro che la vede una manciata di ottime canzoni in puro stile modern folk: Emily è infatti una cantautrice di stampo classico, influenzata sicuramente da Joni Mitchell, che ha la bravura di rendere piacevolmente fruibili le sue composizioni utilizzando in maniera intelligente la strumentazione, e rivestendo la sua voce di pochi orpelli ma al posto giusto.

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Parte del merito va certamente al produttore Greg Freeman, che ha saputo dosare in maniera perfetta i pochi accompagnatori (oltre alla stessa Barker, Lukas Drinkwater, chitarre e basso, Pete Roe, tastiere e chitarre, Rob Pemberton, batteria), usando anche qua e là synth e programming ma in modo assolutamente non invasivo e quasi impercettibile. Ovviamente però il centro del progetto sono le canzoni di Emily, veri e propri esempi di cantautorato adulto e di livello, eseguite con feeling e cantate in maniera cristallina. L’iniziale Return Me è un brano lento e gentile, suonato in punta di dita e caratterizzato dalla bella voce della leader: c’è tutto ciò che serve, chitarre elettriche ed acustiche, banjo e sezione ritmica, ma il tutto è dosato con estrema misura https://www.youtube.com/watch?v=KHpubziPrAs . Geography, pur mantenendo sonorità quasi eteree è più diretta e presenta una melodia di pura bellezza, intensa ed orecchiabile al tempo stesso; decisamente riuscita anche The Woman Who Planted Trees, pezzo di stampo elettroacustico con un bell’uso di pianoforte e percussioni ed un motivo di chiaro sapore folk https://www.youtube.com/watch?v=oUC4Mld8-UM , mentre Where Have The Sparrows Gone?, nonostante un arrangiamento leggermente più moderno, è ancora gradevole e ben fatta, con la voce circondata dal minimo indispensabile https://www.youtube.com/watch?v=sZYGsWpSnk8 .

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Strange Weather è un acquarello acustico delizioso e quasi beatlesiano (lato McCartneyhttps://www.youtube.com/watch?v=pakWFBmEcbQ , Machine vede Emily cantare con più decisione sopra un tappeto di percussioni e l’ausilio di un coro gospel ed una chitarra leggermente distorta (cocktail insolito ma riuscito), When Stars Cannot Be Found torna a suoni più tradizionali con voce, banjo, organo ed un ritmo più mosso del solito, quasi un brano di stampo pop ma di fattura squisita https://www.youtube.com/watch?v=xjjPapl-u40 . Finale con la suggestiva Ordinary, con interventi di viola e violino in una sorta di folk cameristico, la limpida ballata folk-rock Any More Goodbyes e la pianistica e toccante Sonogram. Dopo una carriera ormai quasi ventennale sarebbe d’uopo che in molti si accorgessero di Emily Barker, cantautrice di valore e con un’innata capacità di coniugare songwriting di qualità e melodie accessibili.

Marco Verdi

Forse L’Ultimo “Piccolo” Grande Live Registrato Prima Della Pandemia. US Rails – Last Call At The Red River Saloon

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US Rails – Last Call At The Red River Saloon Live – 2 CD Blue Rose

Lo scorso anno hanno festeggiato il 10° anno di attività, con un concerto tenuto al Red River Saloon di Heilbronn in Germania, il 15 marzo del 2020, quindi già abbondantemente in piena pandemia: poi, come tutti, hanno dovuto interrompere la loro attività dal vivo, che con questo doppio CD, porta a tre i resoconti dei loro tour, divisi a metà tra quelli negli States e quelli in Europa, in Germania in particolare, dove si trova la loro etichetta, l’ottima Blue Rose, da sempre tra gli alfieri del rock, roots e classico, quello che più ci piace. Gli Us Rails hanno iniziato la loro parabola nel 2010, con il disco omonimo che li presentava come una sorta di supergruppo (all’inizio di 5 elementi, quando in formazione c’era ancora Joseph Parsons): al sottoscritto erano parsi, fatto le debite proporzioni, una sorta di C S N & Y, visto che tutti componevano, avevano una carriera solista, erano ottimi cantanti, tanto che le armonie vocali sono da sempre state uno dei loro punti di forza, certo, a livello di fama e anche di importanza siamo su altri livelli, forse il parallelo si può fare con i Moby Grape, altra band dove tutti i componenti si alternavano alla guida, ma anche in quel caso direi che si parla di altra categoria.

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Attualmente a proporre la eccellente miscela di rock, country, elementi soul e sudisti (anche se l’origine è Philadelphia), che ha prodotto sei/sette album di studio, più uno di cover, sono Ben Arnold, il tastierista, quello che più oscilla tra rock e soul, Tom Gillam, chitarrista e mandolinista, il più noto dei quattro, Scott Bricklin, anche lui a chitarre, mandolino, e occasionalmente a tastiere e basso (spesso riprodotto con i pedali dell’organo) e infine Matt Muir, il batterista, che comunque canta in tre brani nel doppio Live. Il risultato è eccellente, come sempre peraltro, con in più la grinta che sanno proporre nelle esibizioni dal vivo: 22 brani in tutto, solo una cover, con Arnold che apre le operazioni con Eagle And Crow, una canzone estratta da Heartbreak Superstar, secondo molti il migliore dei loro dischi, ma secondo me sono belli tutti, incluso l’ultimo https://discoclub.myblog.it/2020/05/15/un-ottimo-modo-per-festeggiare-dieci-anni-on-the-road-us-rails-mile-by-mile/  , una rock song gagliarda e chitarristica, con la voce vissuta e roca di Ben, il più soul del gruppo, a guidare le operazioni, Take You Home è di Bricklin, dall’ultimo album, sempre riffata e ricca di di armonie, in bilico tra Petty e gli Eagles, con la chitarra di Gillam in tiro https://www.youtube.com/watch?v=JyOCUyjL7yE .

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Tom che poi canta He’s Still In Love With You da Ivy, altro fulgido esempio del roots rock espansivo della band, che poi propone la bellissima Hearbreak Superstar di Arnold, una sorta di brano da rock&soul revue, con chitarre e piano che si intrecciano, ed anche Muir offre il suo contributo con Water In The Well, dall’ultimo album, una ballata swamp sospesa , sempre con chitarre molto presenti. A questo punto riprende il giro con Rainwater di Arrnold, tra country e West Coast, tratta dall’esordio, Drag Me Down di Bricklin, per l’occasione al basso, dopo una introduzione attendista, si sviluppa in un vibrante pezzo rock degno dei migliori di Don Henley, con Arnold eccellente al piano, e molto bella anche Colorado di Gillam, puro Americana sound con una melodia sopraffina. Senza elencarle tutte, anche se meritano, vorrei ricordare la potente Declaration di nuovo di Gillam https://www.youtube.com/watch?v=nZiMTmiL5zE , la deliziosa ballata Slow Dance di Arnold, che chiude il primo CD.

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Il vibrante R&R californiano di Follow The Lights dell’accoppiata Muir/Arnold, la festosa Hard Headed Woman, che non è quella di Cat Stevens, tra Byrds, Petty e Springsteen, Don’t Take Me Now di Muir, che sembra un pezzo degli U2 americani, quando facevano ancora buona musica, gli oltre sei minuti di Old Song On The Radio, una di quelle ballate superbe di Gillam che ogni tanto la band sciorina, tratta da Southern Canon, e che potrebbe passare per una canzone della Band, con la B maiuscola, con singalong finale, anche se ci sono quattro gatti al concerto https://www.youtube.com/watch?v=16zCGR602jU . E ancora Fooling Around, ottimo rock, la corale Everywhere I Go, con qualche rimando a Young o ai Blue Rodeo più chitarristici, la galoppante Mile By Mile tagliata in due da una slide tangenziale, l’unica cover è l’elettroacustica Barbed Wire di Artie Traum, che forse solo alcunii lettori più attenti del Blog potrebbero conoscere, molto CSN https://www.youtube.com/watch?v=Mah8UAVBSy4 , e la chiusura di un ottimo Live con la speranzosa Do What You Love https://discoclub.myblog.it/2020/05/15/un-ottimo-modo-per-festeggiare-dieci-anni-on-the-road-us-rails-mile-by-mile/ .

Bruno Conti

Parte “Rockumentario” E Parte Fiction, Ma Nell’Insieme Una Vera Goduria! Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story

rolling thunder revue scorsese dylan

Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story – The Criterion Collection Blu-Ray – DVD

E’ finalmente disponibile da pochi giorni su Blu-Ray o DVD la versione fisica di Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story (peccato che costi un botto), splendido lungometraggio diretto da Martin Scorsese uscito nel 2019 per la piattaforma Netflix, che documenta appunto la prima parte del leggendario tour di Bob Dylan con la Rolling Thunder Revue, un gigantesco carrozzone di musicisti, poeti ed artisti di vario genere che girò l’America nel biennio 1975-1976: in particolare il film si concentra sul ’75, quando la tournée girava perlopiù nei piccoli teatri con concerti che spesso venivano organizzati senza molto preavviso, prendendo spunto un po’ dai “Medicine Show” di fine ottocento ed un po’ dalla Commedia Dell’Arte italiana (mentre nel ’76 Dylan, anche per rientrare dalle perdite dell’anno prima – la troupe la doveva comunque pagare – si esibì in arene più convenzionali per un concerto rock degli anni 70) https://www.youtube.com/watch?v=RulpXOLn6BI .

last waltz

Non è la prima volta che Scorsese si cimenta con film a sfondo musicale: a parte il mitico The Last Waltz vorrei ricordare il film-concerto Shine A Light dei Rolling Stones o la splendida biografia di George Harrison Living In The Material World, e, con Dylan stesso come protagonista, il capolavoro No Direction Home, probabilmente uno dei migliori “rockumentari” di sempre se non il migliore. Rolling Thunder Revue non raggiunge quei livelli ma non ci va neanche troppo lontano, ed in due ore e venti minuti che scorrono in un baleno ci delizia con uno strepitoso mix di scene inedite girate all’epoca, altre prese dal famoso film Renaldo And Clara ed alcune interviste recenti ai protagonisti, oltre ovviamente a diverse performance musicali https://www.youtube.com/watch?v=uDikcwqQDr8 . Tra gli intervistati la parte principale è ovviamente quella dello stesso Dylan (non era scontata la sua presenza visto il personaggio), che come spesso capita tende a commentare con ironia le varie fasi del tour cercando di togliergli quella patina di leggenda, affermando tra il serio ed il faceto di non ricordare quasi nulla di ciò che avvenne, e sentenziando alla fine che a distanza di 40 anni della Rolling Thunder Revue non è rimasto niente, “solo cenere”.

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Altre interviste, a parte alcune “particolari” che vedremo tra poco, riguardano Joan Baez, che si ricongiungeva in tour con Bob a distanza di dieci anni, il giornalista Larry “Ratso” Sloman, incaricato da Rolling Stone di seguire il carrozzone, il poeta Allen Ginsberg (in immagini di repertorio essendo morto nel 1997), anch’egli tra i protagonisti della tournée, alcuni musicisti ed ospiti dei vari concerti (Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliot, Ronee Blakely, David Mansfield, uno spettacolare Ronnie Hawkins uguale a Babbo Natale), l’attore, scrittore e drammaturgo Sam Shepard, ingaggiato da Dylan per lo script di Renaldo And Clara, ed l’ex pugile Rubin “Hurricane” Carter, protagonista all’epoca di un celebre caso di malagiustizia cantato da Bob nella nota Hurricane. Il film inizia con le immagini dei rehearsals per il tour, in cui un Dylan rilassato e sorridente improvvisa varie canzoni in studio tra le quali Rita May, Love Minus Zero/No Limit ed il classico di Merle Travis Dark As A Dungeon. Poi ci si sposta al Gerde’s Folk City di New York, famoso locale del Village in cui un giovane Dylan mosse i primi passi e nel quale all’inizio del 1975 ci fu una rimpatriata sotto gli occhi estasiati del proprietario Mike Porco: le immagini mostrano Bob che si esibisce con la Baez ed altri musicisti che entreranno a far parte della RTR (si intravedono Bob Neuwirth e David Blue), e poi lo inquadrano tra il pubblico (seduto vicino a Bette Midler) assistere ad una performance di Archer Song da parte di Patti Smith accompagnata alla chitarra da Eric Andersen.

patti smith rtrIl film si dipana poi in veri momenti di vita on the road (con Dylan che spesso è alla guida del tour bus): non vi racconto le varie scene per filo e per segno, ma vorrei segnalare un paio di momenti divertenti che riguardano Ginsberg, che prima legge il suo Kaddish ad una platea di arzille pensionate in una sala bingo e poi, visto che man mano che il tour proseguiva il suo spazio on stage era sempre più ridotto, per rendersi utile dà una mano alla troupe con i bagagli (questa scena era presente sulla versione di Netflix ma sul Blu-Ray viene solo accennata) https://www.youtube.com/watch?v=iUD5snx-XOo . Ci sono anche due momenti notevoli dal punto di vista musicale, il primo toccante con Dylan che suona The Ballad Of Ira Hayes di Peter LaFarge di fronte ad una platea di Indiani d’America, ed il secondo straordinario con una versione superba di Coyote di Joni Mitchell cantata dalla stessa cantautrice canadese accompagnata da Dylan e McGuinn alle chitarre, il tutto a casa di Gordon Lightfoot che, in canottiera, osserva i tre sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=zeaO5UZ5OcI .

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Ma il film ha fatto parlare di sé anche per quattro interviste a personaggi inventati o che narrano storie non vere, una cosa molto “da Dylan” alla quale lo stesso Bob si è prestato volentieri. La prima riguarda il fantomatico Stefan Van Dorp, che in teoria dovrebbe essere il regista originale delle immagini del 1975 ma in realtà non è mai esistito e nelle interviste viene interpretato dall’attore Martin Von Haselberg, marito tra l’altro della Midler. Poi ci sono le testimonianze di Jim Gianopulos, che è un vero discografico (ed attuale presidente della Paramount) e qui viene presentato come il promoter del tour ma in realtà non ebbe mai nulla a che vedere con esso, e del senatore Jack Tanner che non esiste, essendo l’attore Michael Murphy che riprende un suo personaggio di una serie TV degli anni 80 diretta da Robert Altman. E poi, dulcis in fundo, abbiamo il “fake” più succoso di tutti, in cui una stupenda Sharon Stone (è incredibile come stia invecchiando splendidamente senza l’aiuto apparente della chirurgia estetica) racconta di quando appena diciannovenne andò ad un concerto del tour con sua madre indossando una maglietta dei Kiss e fu notata nel backstage da Dylan che scambiò con lei qualche battuta, ed incontrandola di nuovo qualche settimana dopo la convinse ad unirsi al tour come aiuto-costumista, lasciando intendere che tra i due ci sia stato anche un breve flirt.

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La cosa pare essere totalmente inventata, anche perché la Stone all’epoca di anni ne aveva 17 e quindi una relazione con Dylan avrebbe potuto creare qualche imbarazzo, però è raccontata dai due in maniera decisamente credibile: inoltre qui si apre un altro mini-fake, e cioè che Bob aveva avuto l’idea di dipingersi la faccia prima dei concerti con la RTR dopo aver assistito ad uno show proprio dei Kiss, al quale era stata portato dalla violinista Scarlet Rivera che all’epoca usciva con Gene Simmons (è falso che il trucco facciale dei membri della band sia stato influenzato dalla hard rock band di New York, ma stranamente il fatto che Simmons e la Rivera si vedessero sembra vero). Last but not least, i vari momenti musicali presenti sono davvero di altissimo profilo in quanto Dylan all’epoca era all’apice come performer ed anche disponibile verso i fans (divertente il siparietto quando qualcuno dal pubblico urla “Bob Dylan for President!” ed il nostro risponde ridendo “President of what?”) https://www.youtube.com/watch?v=9wKi3_W6sQo .

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Le canzoni presenti, in parte o complete (e che comunque si trovano tutte sul cofanetto The 1975 Live Recordings del 2019) https://www.youtube.com/watch?v=HCAiAf21K20 sono Mr. Tambourine Man, When I Paint My Masterpiece, una strepitosa A Hard Rain’s A-Gonna Fall in versione rock-blues, I Shall Be Released e Blowin’ In The Wind in duetto con la Baez, Hurricane, The Lonesome Death Of Hattie Carroll (splendida anche questa), Isis, Oh Sister, Simple Twist Of Fate, One More Cup Of Coffee https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8  ed una Knockin’ On Heaven’s Door in cui Bob divide il microfono con McGuinn https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8 . Il dischetto, oltre a contenere un bellissimo libretto con foto inedite e scritti di Shepard e Ginsberg, è masterizzato digitalmente con la tecnologia 4K e tra gli extra contiene una esauriente intervista a Scorsese e tre performance aggiuntive (e complete)  https://www.youtube.com/watch?v=SqmTfkf7GRg di Tonight I’ll Be Staying Here With You, Romance In Durango e Tangled Up In Blue; l’unica pecca per chi non fosse troppo padrone della lingua straniera è il fatto che i sottotitoli siano solo in inglese per i non udenti (ma non escludo come già successo per il film su Harrison una versione italiana fra qualche mese. Un film quindi che non esito a definire impedibile: siamo solo a febbraio ma potremmo già avere per le mani il DVD/Blu-Ray dell’anno.

Marco Verdi

Bella Voce Country Old School! Mandy Barnett – A Nashville Songbook

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Mandy Barnett – A Nashville Songbook – Melody Place/BMG Rights Management

La nostra amica non è una novellina: infatti il primo disco di Mandy Barnett risale al 1994, poi ne ha pubblicati altri, spesso entrati nelle classifiche country, ma senza mai avere grande successo a livello nazionale. Tanto che ha diversificato la sua carriera, entrando anche nell’ambito dei musical e degli show dal vivo alla Grand Ole Opry, nonché puree una carriera come attrice, pur continuando a pubblicare album, l’ultimo nel 2018, a livello indipendente, mentre nei primi anni di carriera uscivano per le grandi majors. Questo nuovo A Nashville Songbook, e il titolo già dice tutto, è una via di mezzo, in quanto il disco esce a livello autogestito per la Melody Place, con distribuzione BMG del gruppo Warner: quindi una pubblicazione che, prendendo spunto dallo spettacolo con lo stesso nome, è incentrata su una serie di brani scelti nel repertorio del country classico, non quello bieco e commerciale, stretto parente del pop dozzinale, che ammorba molte delle attuali produzioni, ma che attinge da autori celebri, in qualche caso anche celeberrimi, della country music, e non solo.

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Quindi troviamo canzoni di Roy Orbison, Kris Kristofferson, Boudleaux Bryant, Chips Moman, Harlan Howard, Hank Williams, Eddie Rabbitt, c’è perfino una versione di It’s Now Or Never, la nostra classica O’ Sole Mio, che tutti conosciamo nella interpretazione di Elvis Presley. A tenere le fila del progetto c’è Fred Mollin, uno dei grandi produttori di Nashville sin dalla fine anni ‘60, primi ‘70, di recente dietro la console per il recente album di Rumer Nashville Tears https://discoclub.myblog.it/2020/08/24/cambia-il-genere-ma-non-la-voce-sempre-calda-e-vellutata-rumer-nashville-tears/ , e anche se la Barnett non ha una voce vellutata e deliziosa come la cantante anglo-pakistana, si difende comunque bene, con il suo timbro squillante. Il sound è classico, senza scadere nello scontato, e tra i molti musicisti impiegati si distinguono Bryan Sutton, alle chitarre acustiche e mandolino, Eddie Bayers alla batteria, Larry Paxton al basso, Scotty Sanders alla pedal steel, l’ottimo Stuart Duncan al violino, e lo stesso Mollin a synth e chitarre, mentre una sezione archi e fiati cerca di non appesantire più di tanto gli arrangiamenti, con un risultato che profuma di country old style di buona qualità.

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I Love A Rainy Night, la traccia di apertura a firma Eddie Rabbitt è uno dei brani recenti, un pezzo pimpante a cavallo tra country e gospel pop , tipo la prima Shania Twain quando non si era ancora lanciata nella “dance”  , mentre It’s Over è uno dei super classici di Roy Orbison, e qui bisogna ammettere che, per quanto gli arrangiamenti cerchino di aiutare, la Barnett non ha una voce, sia pure dalla buona estensione, che comunque possa competere con quella del “Big O”, anzi la canzone è sin troppo carica, molto meglio Help Me Make It Through The Night di Kristofferson, con un arrangiamento che, senza rinunciare agli archi, risulta più intimo e contenuto https://www.youtube.com/watch?v=RtncXk8sg9c . A Fool Such As I faceva parte delle classiche ballate country di Elvis, e tra pedal steel e violini sfarfallanti è molto godibile https://www.youtube.com/watch?v=frQTg2gATMg , come pure la celebre End Of The World di Skeeter Davis, dove la voce cristallina ed espressiva di Mandy è decisamente più a suo agio https://www.youtube.com/watch?v=zdNc4eyaFpo , mentre It’s Now Or Never mi lascia sempre quel retrogusto pacchiano e anche The Crying Game mi sembra più adatta al repertorio di Celine Dion. Nell’ambito delle canzoni più riuscite, inserirei una intensa Love Hurts, la briosa e scintillante Heartaches By The Number di Harlan Howard, uno degli standard assoluti del country, che hanno cantato decine di artisti, e la versione della Barnett, di nuovo con violino e pedal steel sugli scudi, è molto godibile  , come pure la rilettura solo voce e piano di I Cant’Help It (If I’m Still In Love With You di Hank Williams https://www.youtube.com/watch?v=y3tF_HTVjeI , a chiudere un album onesto e di buona fattura, per amanti del country vecchia scuola.

Bruno Conti

Un Altro Bel Disco Targato “Auerbach Productions”, Forse Fin Troppo Falsetto. Aaron Frazer – Introducing…

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Aaron Frazer – Introducing… – Dead Oceans/Easy Eye Sound CD

Negli ultimi tempi Dan Auerbach è molto più impegnato come produttore che in qualità di leader dei Black Keys, anche se l’ultimo Let’s Rock del 2019 è uno dei lavori migliori del duo di Akron. Personaggio con un fiuto sopraffino per il talento, Auerbach negli ultimi anni ha patrocinato ottimi album di giovani artisti all’esordio (Dee White, Yola), riesumato oscuri musicisti del passato (Robert Finley, Leo “Bud” Welch, Jimmy “Duck” Holmes) e, lo scorso anno, ha prima assistito Marcus King nel bel debutto da solista El Dorado e poi ha rilanciato la carriera del noto countryman John Anderson con il bellissimo Years. Il 2021 è appena iniziato e già uno degli album più piacevoli tra i pochi usciti vede il nome di Auerbach nella casella del produttore: si tratta di Introducing…, primo disco di Aaron Frazer, musicista originario di Brooklyn ma cresciuto a Baltimore che Dan ha conosciuto come membro di Durand Jones & The Indications, di cui Aaron è il batterista ed una delle voci nonché uno dei principali compositori.

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In particolare Auerbach è rimasto colpito dal timbro particolare di Frazer, un falsetto decisamente melodico e soulful, una voce che Dan ha dichiarato di non aver mai sentito prima in un batterista: i due, dopo essersi conosciuti, hanno cominciato a scrivere insieme una serie di brani che poi sono andati ad incidere negli Easy Eye Sound Studios di Nashville (di proprietà di Auerbach), con la solita serie di musicisti dal nobile pedigree come Bobby Wood, Mike Rojas, Russ Pahl, Pat McLaughlin, il percussionista di Nashville Sam Bacco, mentre Frazer si è occupato della batteria e, soprattutto, della voce solista. Introducing…è quindi un bel disco di puro blue-eyed soul con elementi errebi e funky, dal suono moderno ma con gli arrangiamenti vintage che tanto piacciono ad Auerbach, e che possiamo trovare anche nei dischi di Yola, Marcus King nonché nel secondo solo album dello stesso Dan, Waiting On A Song. Ma se il leader dei Black Keys ha i suoi meriti, il vero protagonista è proprio Frazer, con la sua voce melliflua e vellutata ma anche con la sua abilità come compositore: la stampa internazionale lo ha paragonato a Curtis Mayfield, ma Aaron ha una personalità sua ed uno stile d’altri tempi che lo colloca idealmente nel passato della nostra musica (anche fisicamente, dato che sembra uscito dagli anni cinquanta).

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Si parte con la raffinatissima You Don’t Wanna Be My Baby, elegante pop song in cui la voce quasi femminile del leader funge da strumento aggiunto: il suono è forte e centrale con un arrangiamento deliziosamente anni 70, grazie anche all’uso particolare degli archi https://www.youtube.com/watch?v=SIvJ1xv9Mx8 . La cadenzata If I Got It (Your Love Brought It) è puro errebi, con il pianoforte in evidenza ed una melodia diretta completata da un refrain vincente, più una sezione fiati a colorare il tutto https://www.youtube.com/watch?v=6MdYYOtgwM8 ; Can’t Leave It Alone è un bel funkettone dal suono decisamente potente ammorbidito dalla voce gentile di Frazer, con un breve ma incisivo assolo chitarristico di Auerbach, mentre Bad News è ancora al 100% una funky song che sembra presa da un LP uscito 50 anni fa in piena “Blaxploitation Era” https://www.youtube.com/watch?v=G8OCGoDmnAI . Have Mercy è una ballatona estremamente raffinata al limite della zuccherosità, ma comunque al di sopra del livello di guardia (anche perché Auerbach è un dosatore di suoni formidabile), con il falsetto di Aaron doppiato da un coro in sottofondo https://www.youtube.com/watch?v=E1sJfi8ltek .

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Done Lyin’ è un blue-eyed soul fiatistico dall’arrangiamento piuttosto “rotondo” perfetto per una serata romantica, Lover Girl è pop-errebi di gran classe che ricorda un po’ i Simply Red ma con sonorità più classiche https://www.youtube.com/watch?v=Wo5G-CAs918 . Con la ritmata Ride With Me il CD prende una direzione quasi “disco” con il basso che pompa come se non ci fosse un domani, ma il sapore vintage la rende comunque piacevole, a differenza di Girl On The Phone che è una gustosissima ballad ancora col piano in prima fila ed un notevole muro del suono alle spalle. Love Is è soffusa, intrigante e possiede una delle migliori linee melodiche dell’album, ed è seguita dalle conclusive Over You, frenetica, danzereccia e dal ritornello coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=YBi4P0aZnsg , e Leanin’ On Everlasting Love, bellissimo lentone anni sessanta che paga un chiaro tributo al grande Sam Cooke, a parte il timbro vocale. Siccome non si vive di solo rock, Introducing…Aaron Frazer può essere il disco adatto da ascoltare quando vi viene voglia di musica ricercata ed elegante.

Marco Verdi