Anche Quest’Anno Ci Siamo: Il Meglio Del 2019 Secondo Disco Club, Appendice Finale

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E nell’ultimo giorno dell’anno ecco l’appendice al Meglio del 2019 che mi ero riservato in qualità di titolare del Blog, con ancora un po’ di titoli interessanti usciti nel corso di questa annata e qualche album inserito nella categoria delle sorprese creata ad hoc.

Sorprese del 2019

the highwomen

johnny sansone hopeland

Johnny Sansone – Hopeland

https://discoclub.myblog.it/2019/03/18/un-bellissimo-disco-di-uno-dei-segreti-meglio-custoditi-di-new-orleans-veramente-un-peccato-che-si-trovi-con-molta-difficolta-johnny-sansone-hopeland/

native harrow happier now

Native Harrow – Happier Now

https://discoclub.myblog.it/2019/07/18/un-duo-decisamente-interessante-lei-una-voce-affascinante-native-harrow-happier-now/

ian noe between the country

Ian Noe – Between The Country

hank shizzoe steady as we go

Hank Shizzoe – Steady As We Go

https://discoclub.myblog.it/2019/04/13/sempre-raffinato-e-ricercato-nuovo-album-per-il-ry-cooder-europeo-hank-shizzoe-steady-as-we-go/

tad robinson real street

Tad Robinson – Real Street

Di questo la recensione non l’avete ancora letta ( arrivanei prossimi giorni), ma nel frattempo sentite che meraviglia!

kelly hunt even the sparrow

Kelly Hunt – Even The Sparrow

 

La Pattuglia Dei Bluesmen

walter trout survivor blues

Walter Trout – Survivor Blues

https://discoclub.myblog.it/2019/01/26/non-solo-sopravvive-ma-prospera-ogni-disco-e-piu-bello-del-precedente-walter-trout-survivor-blues/

toronzo cannon the preacher

Toronzo Cannon – The Preacher, The Politician Or The Pimp

bb king blues band the soul of the king

The BB King Blues Band – The Soul Of The King

https://discoclub.myblog.it/2019/06/14/anche-senza-il-vecchio-titolare-un-gruppo-formidabile-the-bb-king-blues-band-the-soul-of-the-king/

texas horns get here quick

The Texas Horns – Get Here Quick

Altro bel dischetto, che come nel caso di JJ Cale, postato solo oggi, è uno di quelli che manca all’appello sul Blog: quindi già da domani farà parte dei “recuperi” di fine 2019 – inizio 2020, che poi si protrarranno ancora per qualche giorno, visto che per il momento non sono previste nuove uscite nella prima parte del mese. Nell’attesa un anticipo.

nick moss band luckey guy

Nick Moss Band – Lucky Guy!

https://discoclub.myblog.it/2019/08/20/un-trio-di-delizie-blues-alligator-per-lestate-3-nick-moss-band-lucky-guy/

christone kingfish ingram kingfish

 

Christone “Kingfish” Ingram – Kingfish

https://discoclub.myblog.it/2019/06/24/lultima-scoperta-della-alligator-un-grosso-chitarrista-e-cantante-in-tutti-i-sensi-christone-kingfish-ingram-kingfish/

dave specter blues from the inside out

Dave Specter – Blues From The Inside Out

 

Una Buona Annata Anche Per Il Folk

steeleye span est'd 1969

Steeleye Span – Est’d 1969

https://discoclub.myblog.it/2019/07/21/50-anni-non-li-dimostrano-affatto-il-disco-folk-dellanno-steeleye-span-estd-1969/

dervish great irish songbook

Dervish – Great Irish Songbook

red river dialect abundance welcoming ghosts

Red River Dialect – Abundance Welcoming Ghosts

https://discoclub.myblog.it/2019/12/19/tra-fairport-convention-e-waterboys-una-piccola-grande-band-folk-rock-dalla-cornovaglia-red-river-dialect-abundance-welcoming-ghosts/

ralph mctell hill of beans

Ralph McTell – Hill Of Beans

Il Resto Del Meglio

delines the imperial

The Delines – The Imperial

old crow medicine show live at the ryman

Old Crow Medicine Show – Live At The Ryman

hold steady thrashing thru the passion

The Hold Steady – Thrashing Thru The Passion

Due album accomunati dal fatto di essere di non facile reperibilità.

marc broussard home

Marc Broussard – Home (The Dockside Session)

the who - who cd

The Who – WHO

Per quest’anno è tutto (forse), da domani si riparte.

Buon Anno.

Bruno Conti

Un Doveroso Recupero Per Uno Dei Migliori Album Del 2019. J.J. Cale – Stay Around

jj cale stay around

J.J. Cale – Stay Around – Because Music/Universal CD

Quest’anno nella mia personale classifica dei dieci dischi migliori usciti nel corso degli ultimi dodici mesi ho inserito ben due album postumi, l’emozionante Thanks For The Dance di Leonard Cohen ed il lavoro di cui mi accingo a parlare: Stay Around di J.J. Cale (che all’epoca della sua uscita, fine Aprile, non è stato recensito sul blog come mi ha ricordato Bruno, probabilmente per un classico caso di “lo faccio io-lo fai tu-non lo fa nessuno”). A differenza però del disco finale di Cohen, che è stato creato dal figlio Adam partendo da tracce vocali del padre al quale sono state poi aggiunte musiche registrate per l’occasione, l’album di Cale si compone di brani incisi dal musicista dell’Oklahoma nel corso degli anni e da lui prodotti e mixati ma poi lasciati in un cassetto. Il periodo indicativo delle varie registrazioni di Stay Around va dalla fine degli anni ottanta all’inizio dell’attuale secolo, ed i 15 brani sono stati selezionati dalla moglie di Cale, Christine Lakeland (musicista a sua volta) e masterizzati dal grande Greg Calbi: la Lakeland non ha dovuto aggiungere nulla, le canzoni erano già belle che pronte, ma la selezione è stata fatta con tale cura ed amore che Stay Around non sembra per nulla una collezione di outtakes, ma un disco pensato per essere pubblicato così com’è.

Già avere un nuovo lavoro ascritto a Cale a dieci anni da Roll On è una bella notizia (dalla sua morte improvvisa nel 2013 per infarto non era ancora stato pubblicato nulla), ma che fosse possibile ascoltare un album di questa qualità era aldilà di ogni più ottimistica previsione, in quanto (almeno a mio parere) siamo di fronte ad un disco che si pone tranquillamente nella Top Five del barbuto songwriter e chitarrista (*NDB A questo link trovate la Top 8 che gli avevo dedicato poco prima dell’uscita dell’album sia sul Buscadero che sul Blog https://discoclub.myblog.it/2019/04/19/in-attesa-del-nuovo-album-stay-around-in-uscita-il-26-aprile-ecco-8-dischi-da-avere-se-amate-la-musica-di-jj-cale-parte-i/ e in una rarissima circostanza, nel banner pubblicitario della etichetta Because Music, a fianco di Mojo e Uncut, era stato citato appunto anche il Buscadero) . Stay Around vede infatti il nostro cimentarsi con una serie di canzoni di primissima scelta (tutte scritte da lui tranne My Baby Blues che è della Lakeland) nel suo tipico stile “laidback” tra rock, country e blues, un suono che Cale avrebbe potuto sostenere di avere praticamente inventato se non fosse stato una persona di una modestia rara.

In più, nel disco troviamo una serie di sessionmen formidabili, nomi di primissimo piano che chi legge queste pagine virtuali conosce alla perfezione: David Briggs, Kenny Buttrey, Bobby Emmons, Tim Drummond, Spooner Oldham, Jim Keltner e Reggie Young. Lights Down Low fa iniziare il CD in modo eccellente con un saltellante country-blues suonato in punta di dita, in cui il mix elettroacustico delle chitarre con il piano elettrico è goduria pura; Chasing You è una canzone mossa ed allegra, quasi rock’n’roll, con Cale che canta in modo diretto una melodia vincente (forse il nostro non aveva una voce straordinaria, ma era perfettamente adeguata al suo concetto di laidback music), ed è seguita da Winter Snow, blues elettroacustico di stampo rurale nel tipico stile di J.J. La title track è un mezzo capolavoro, una slow ballad che profuma di country, suonata in maniera fantastica e cantata in maniera quasi sussurrata (con la voce che doppia sé stessa): grandissima classe.

Tell You ‘Bout Her ha una ritmica insinuante ed uno sviluppo a metà tra rock e jazz (per non parlare della solita performance chitarristica di grande finezza, ma dovrei dirlo ad ogni brano), uno dei pezzi più immediati del CD; splendida la folkeggiante Oh My My, eseguita in totale solitudine da J.J., voce e chitarra acustica, ma con un feeling enorme ed una mastria unica nel far scorrere le dita sul manico, mentre My Baby Blues è un rock-blues elettrico e decisamente trascinante, anche se come al solito Cale non perde il suo aplomb. Girl Of Mine è un godurioso blues acustico che ci porta idealmente sulle rive del Mississippi, Go Downtown è una suggestiva ballatona d’atmosfera nella quale si capisce da dove ha preso spunto Mark Knopfler per dare un suono ai suoi Dire Straits, If We Try è ancora uno slow acustico che sa di country e blues, puro e cristallino. La jazzata e cadenzata Tell Daddy, in cui il pianoforte ha un ruolo importante, è un brano di classe sopraffina che precede la bucolica Wish You Were Here, dall’ennesimo magistrale lavoro chitarristico, e la ritmata e coinvolgente Long About Sundown, puro Cale (un pezzo che Eric Clapton potrebbe far suo senza problemi). Il CD si chiude con la melodia orecchiabile di Maria, dal sapore vagamente latineggiante, e con la rilassata e suadente Don’t Call Me Joe.

Stay Around è quindi il miglior testamento musicale possibile per l’esimio J.J. Cale, un lavoro ispiratissimo e di grande livello artistico: se ve lo siete perso non è mai troppo tardi per rimediare.

 Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 16. Ed Anche Space Oddity Compie 50 Anni, Ma Viene Celebrato “In Incognito”! David Bowie – Conversation Piece

david bowie conversation piece

David Bowie – Conversation Piece – Parlophone/Warner 5CD Box Set

Quest’anno gli estimatori di David Bowie non hanno avuto il solito volume dei box sets riepilogativi della carriera del musicista scomparso nel Gennaio del 2016 (una serie comunque più interessante per i neofiti che per i fans, dato la scarsità di materiale inedito), ma sono stati gratificati di un’operazione per loro ancora più stuzzicante. Facciamo un passo indietro di qualche mese, e cioè a quando la Parlophone ha pubblicato tre cofanetti esclusivamente in vinile intitolati rispettivamente Spying Through A Keyhole, Clareville Grove Demos e The “Mercury” Demos, in cui venivano pubblicate delle sessions in gran parte inedite del biennio 1968-1969 inerenti all’allora imminente “vero” debutto discografico del futuro Duca Bianco (l’album David Bowie, uscito per la Deram nel 1967 e pochissimo rappresentativo dello stile che il nostro avrà in seguito, è sempre stato trattato alla stregua di una falsa partenza). Anche il disco del 1969 si intitolerà David Bowie, quasi a voler rimarcare che quello sarà il vero debutto (negli Stati Uniti verrà invece ribattezzato in maniera secondo me un po’ idiota, Man Of Words, Man Of Music), ma oggi con quel nome il disco lo conoscono in tre, dato che dal 1972 ogni ristampa lo identificherà come Space Oddity, dal titolo della splendida ballata che apre il lavoro, uno dei brani più leggendari di Bowie che diede il via ad una lunga serie di canzoni a tema “spaziale” (e che venne pubblicata come singolo solo cinque giorni prima della missione Apollo 11 sulla Luna).

Oggi Space Oddity viene celebrato in maniera sontuosa ancorché un po’ strana, con un box che non mette in evidenza il nome dell’album ma lo nasconde preferendo recare il titolo Conversation Piece: cinque CD in cui troviamo i contenuti delle tre pubblicazioni in vinile citate in precedenza (che avevano un costo esageratamente alto) ulteriormente arricchite di altri 12 inediti, più due versioni corredate da bonus tracks dell’album originale del 1969, uno con il mix dell’epoca ed uno rifatto apposta per questo box (quest’ultimo disponibile anche separatamente), che occupano rispettivamente il quarto e quinto CD del box. Il cofanetto tra l’altro è splendido dal punto di vista “fisico”, uno dei più belli tra quelli usciti ultimamente: un librone dalla copertina dura pieno di foto rare, note brano per brano, crediti e vari scritti e testimoianze (tra cui quella di Tony Visconti, produttore dell’album e futuro partner artistico inseparabile per David), con i cinque CD infilati in  pratiche “tasche” poste all’inizio ed alla fine del libro. Risentiamo dunque con grande piacere Space Oddity (la versione remix del 2019 è incisa tra l’altro in maniera spettacolare), un lavoro che presentava diversi musicisti di gran nome, tra cui il futuro Yes Rick Wakeman alle tastiere, il batterista dei Pentangle Terry Cox, il chitarrista Tim Renwick, il bassista Herbie Flowers e l’arrangiatore Paul Buckmaster, mentre l’altro bassista John Lodge è solo omonimo di quello dei Moody Blues.

La title track rimane un capolavoro assoluto, ma anche i restanti brani mostrano il talento di un artista che di lì a poco diventerà uno dei più popolari al mondo: non manca qualche ingenuità (la pur bella Cygnet Committee è tirata un po’ troppo per le lunghe, Memory Of A Free Festival, con Marc Bolan ai cori, è pretenziosa), ma non mancano nemmeno ottime canzoni come l’energica e roccata Unwashed And Somewhat Slightly Dazed, l’orecchiabile Janine, il pop etereo della gentile An Occasional Dream, la folkeggiante God Knows I’m Good; troviamo anche per la prima volta all’interno della tracklist il bel brano che dà il titolo al box, originariamente omesso per problemi di durata e riciclato come lato B di un singolo. Come bonus nei due dischetti finali del cofanetto ci sono missaggi alternativi di tre brani dell’album, la versione rifatta di Wild Eyed Boy From Freecloud per un lato B, e la rilettura in italiano di Space Oddity intitolata Ragazzo Solo, Ragazza Sola, con parole di Mogol ma anche con il significato originale del testo completamente stravolto (e poi la pronuncia italiana di Bowie non è proprio impeccabile). Ma come ho già accennato prima le vere chicche del box sono contenute nei primi tre dischetti, dei quali vado a fare una veloce disamina.

CD 1. Le prime dodici tracce sono tutti home demos del 1968 in cui Bowie suona tutto da solo, in alcuni casi aggiungendo anche cori sempre con la propria voce: a parte un primo frammento di Space Oddity e la leggerina London Bye Ta-Ta sono tutti brani abbastanza oscuri, con titoli come April’s Tooth Of Gold, The Reverend Raymond Brown, When I’m Five, Angel Angel Grubby Face eccetera, pezzi che in alcuni casi avrebbero dovuto formare un ipotetico secondo album per la Deram. Tra pop, folk, reminiscenze beatlesiane ed un leggero tocco di psichedelia ci troviamo di fronte ad un documento di alto valore storico più che artistico, dato che le canzoni presenti non sono certo indimenticabili (anche se alcune di esse avrei voluto risentirle in una veste più consona, come In The Heat Of The Morning, Goodbye 3D (Threepenny) Joe e Love All Around). Gli otto pezzi che seguono risalgono all’inizio del 1969 e vedono David accompagnato alla chitarra e voce da John “Hutch” Hutchinson: tra i brani presenti troviamo altri tre tentativi di Space Oddity, che presenta già la struttura nota ma che lo stylophone suonato da Bowie riveste di sonorità sperimentali, una prima versione di An Occasional Dream, la vivace e bucolica Ching-A-Ling ed una cover di Life Is A Circus, oscura canzone dei misconosciuti Djinn. Il CD termina con due incisioni in solitaria di David (Conversation Piece e la dylaniana Jerusalem) ed alla prima versione pubbicata ufficialmente di Hole In The Ground (con George Underwood), uno tra gli inediti più mitizzati del nostro.

CD 2. Il sottotitolo di questo dischetto è The “Mercury” Demos, in quanto la fonte è un master tape in mono con la tracklist scritta a mano dall’A&R della Mercury Calvin Mark Lee. Dieci pezzi incisi nel ’69 ancora con Hutchinson, tra i quali spiccano finalmente titoli che poi finiranno su Space Oddity, come la title track, Janine (con il ritornello che scimmiotta scherzosamente quello di Hey Jude), An Occasional Dream, Conversation Piece, I’m Not Quite (che diventerà Letter To Hermione) e Lover To The Dawn, che si evolverà nel tour de force di Cygnet Committee. Ci sono però anche altre cose, come le già ascoltate in veste diversa Ching-A-Ling, Life Is A Circus e When I’m Five, oltre ad una cover molto intima di Love Song di Leslie Duncan, che l’anno seguente Elton John renderà popolare incidendola per l’album Tumbleweed Connection. Un bel CD, con Bowie rilassato ma perfettamente “dentro” alle canzoni ed autore di una serie di performance impeccabili. CD 3. Il terzo dischetto è una miscellanea che comprende versioni mono incise per la Decca di In The Heat Of The Morning e London Bye Ta-Ta, una take elettrica di Ching-A-Ling, molto interessante, una Space Oddity full band alternata ma sempre bellissima, un paio di missaggi in mono di pezzi noti e due diverse BBC Sessions, con solo due canzoni che finiranno su Space Oddity (Janine e Unwashed And Somewhat Slightly Dazed) ed altre che rimarranno rare o inedite, come Let Me Sleep Beside You, Karma Man e Silly Boy Blue.

Vedremo il prossimo anno se questo (ottimo) cofanetto sarà un episodio isolato, tendente a celebrare un album comunque importante in quanto diede il via ad una delle più luminose carriere della storia del rock, o se invece sarà solo la prima di versioni “super deluxe” di tutti gli album della discografia di David Bowie. In questo secondo caso, iniziate fin d’ora a risparmiare ed a fare spazio sui vostri scaffali.

 Marco Verdi

Per La Prima Volta In Versione Acustica. Bob Margolin – This Guitar And Tonight

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Bob Margolin – This Guitar And Tonight – VizzTone Label Group

Bob Margolin ha anche lui tagliato quest’anno il traguardo dei 70 anni (come molti altri nel 2019, uno per tutti Bruce Springsteen) ma non dà segnali di voler rallentare la sua attività discografica, in questo aiutato dal fatto di essere uno dei manager e soci fondatori della VizzTone, quindi una etichetta che gli pubblica gli album sicuramente non gli manca. Non è che comunque il nostro se ne approfitti più di tanto, visto che questo è solo il quinto album della decade in corso, inclusi uno in coppia con Ann Rabson e un Live accompagnato dagli italiani della Mike Sponza Band. Ma dopo quasi i cinquant’anni trascorsi dalla sua lunga militanza come sideman di Muddy Waters e i circa trenta dal suo primo disco, questo This Guitar And Tonight è il primo album acustico della sua discografia: solo voce, la sua fedele Gibson L-00 degli anni ’30, dal suono cristallino e un paio di “aiutini” di Jimmy Vivino e Bob Corritore (con cui collabora nei Bobs Of The Blues).

Astutamente, nelle note dell’album, Margolin ricorda che Muddy Waters, quando gli chiese se preferiva le chitarre acustiche o quelle elettriche, gli rispose “Cue-Stick! Electric Is An Unfriendly Sound!”.  Cue-Stick, stecca da biliardo, è il termine gergale con cui si indica una chitarra acustica, peccato che comunque Waters abbia praticamente sempre suonato in modalità elettrica nel corso della sua carriera. Ma è come disquisire sul sesso degli angeli, considerando che alla fine This Guitar And Tonight è un ottimo album: la voce, con l’età, ha acquisito una autorevolezza ed una intensità che forse prima non aveva, e anche la parte strumentale, per quanto scarna e asciutta è estremamente efficace, tanto che qualcuno lo ha addirittura paragonato ai dischi di Son House. La title track apre le operazioni, si tratta del duetto con Jimmy Vivino, che suona una chitarra dalla strana accordatura che sembra quasi un mandolino, l’atmosfera sonora è quella dei dischi Blues classici degli anni ’20, ma senza i fruscii, i crepitii delle vecchie registrazioni, arcano ma “moderno” al contempo.

Tutte le canzoni sono state scritte da Bob per l’occasione, ma ovviamente seguono gli stilemi e i contenuti testuali delle 12 battute classiche, prendiamo Evil Walks In Our World, i pericoli oltre che dalle solite fonti vengono anche dalle fake news, dal riscaldamento globale e dalle diavolerie dell’epoca moderna, con quelle che sembrano due chitarre in azione, una in modalità slide; bottleneck in azione anche nella minacciosa Over Time, mentre Dancers Boogie è un intricato brano quasi a tempo di ragtime, con Blues Lover, direi una dichiarazione di intenti, scritta con Mark Kazanoff, e con Bob Corritore che aggiunge la sua armonica, in un brano che profuma di vecchi vinili di Sonny Terry e Brownie MCGhee. Good Driving Song, dall’andatura ondeggiante è uno strumentale dove Margolin dimostra tutta la sua tecnica sopraffina, ma anche un feeling innato per il blues acustico, come ribadisce l’approccio minimale alla materia profuso nel talking blues di I Can’t Take Those Blues Away, che con il suo cantato laconico ed ironico ricorda certe cose del collega David Bromberg. In Together forse la parte cantata è un po’ sforzata e sopra le righe, ma è un peccato veniale, prima della conclusione affidata alla lunga e vivace, almeno  a livello musicale Predator, che ha un riff che secondo me farebbe un figurone in veste elettrica, mentre ripercorre in un altro talking blues le vicende dell’epoca di JF Kennedy e poi il suo incontro con il suo mentore il grande Muddy Waters e le loro vicende intrecciate, che vengono ricordate con affetto quasi reverenziale.

Bruno Conti

Un Bel “Debutto” Dal Vivo Per Un Texano Doc. Tracy Byrd – Live At Billy Bob’s Texas

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Tracy Byrd – Live At Billy Bob’s Texas – Smith Music Group CD – DVD

Tracy Byrd ha ormai superato i 25 anni di attività, ed è oggi uno degli acts di vero country più popolari in USA, avendo alle spalle diversi album e singoli che si sono piazzati nelle primissime posizioni delle classifiche di settore. Tracy da tempo appartiene al mondo di Nashville, ma non è uno dei tanti fantocci che girano nella capitale del Tennessee, bensì un musicista vero, autentico, autore di un country-rock robusto ed elettrico: non per niente è un texano, e si sa che in campo musicale spesso le origini contano, specialmente quando riguardano il Lone Star State. Byrd ha finora accumulato una decina di album in studio, ma stranamente non aveva ancora pubblicato un disco dal vivo: ora però il nostro ha riempito la casella con il cinquantunesimo episodio della fortunata serie Live At Billy Bob’s Texas, una serie di spettacoli che da anni si svolgono nel famoso locale del titolo che sorge a Fort Worth.

Il concerto (che esce separatamente anche in DVD) offre una panoramica esauriente sulla carriera di Byrd, uno che è abituato a rivestire le sue canzoni di sonorità ruspanti, elettriche e con le chitarre sempre in evidenza, grazie anche ad una band tostissima che comprende l’ottimo Zach Gonzalez alla solista, Marty Broussard alla steel (altra grande protagonista del suono), Vernon Emshoff alle tastiere, Dale Morris Jr. al violino e la vigorosa sezione ritmica formata dal bassista Kyle Hebert e Tyler Henderson, ai quali ovviamente sono da aggiungere la chitarra acustica del leader che conferma di avere anche una gran voce. Il Billy Bob’s Texas è quindi la location perfetta per Tracy e la sua band, grazie ad un pubblico sempre caldissimo ed alla tipica atmosfera da bar texano, ed i nostri ripagano l’audience con una performance intensa e coinvolgente. Diciannove i brani proposti, dall’iniziale It’s About The Pain, un rockin’ country trascinante e diretto, alla conclusiva ed irresistibile Watermelon Crawl, un percorso nel quale Byrd propone molti dei suoi successi più noti pescando anche qualche brano meno popolare scelto con cura all’interno della sua discografia.

Ovviamente i pezzi più apprezzati sono quelli più mossi, giusto a metà tra puro country e rock’n’roll, come la splendida Ten Rounds With Jose Cuervo, la travolgente I’m From The Country, ritmo e chitarre a tutto spiano, la vibrante Big Love, dal refrain che va subito a segno, la scatenata Holdin’ Heaven e la coinvolgente Drinkin’ Bone, con chitarre, steel e violino che creano un impasto sonoro difficile da ignorare. Il nostro non delude neppure nelle ballads, vero tallone d’Achille per molti countrymen di stanza a Nashville, dalla tersa Hot Night In The Country, che presenta una strumentazione comunque solida, alla pianistica I Want To Feel That Way Again, puro romanticismo da cowboy, passando per la bella Love Lessons, che sembra un classico lento alla George Jones, senza tralasciare Someone To Give My Love To, ballatona texana al 100% e Keeper Of The Stars, contraddistinta da una melodia struggente. Ci sono anche tre covers: un’ottima ripresa del classico di Waylon Jennings Lonesome, On’ry And Mean, bella robusta, una fluida e limpida Wildfire di Michael Martin Murphy e la scintillante Don’t Take Her She’s All I Got, brano scritto da Gary U.S. Bonds e già portato al successo da Johnny Paycheck.

Ora anche Tracy Byrd ha il suo bel disco dal vivo, e visti i risultati mi chiedo perché abbia aspettato tanto.

Marco Verdi

Come Promesso Ecco “Il Memoriale” Di Un Grande Artista. Archie Roach – Tell Me Why

archie roach tell me why + book archie roach tell me why

Archie Roach – Tell Me Way – Bloodlines Records – 2 CD Deluxe Edition + Memoir Book – CD

Come annunciato nella precedente recensione di Archie Roach https://discoclub.myblog.it/2019/06/22/forse-il-canto-del-cigno-di-un-grande-aborigeno-australiano-archie-roach-the-concert-collection-2012-2018/ , in questi giorni natalizi sono venuto in possesso di questo tanto atteso da me “memoriale” Tell Me Way, libro uscito in Australia il 1° Novembre con allegato l’album disponibile in formato digitale, oppure  in doppio CD Deluxe Edition in edizione limitata con libro, e doppio vinile, ma anche in CD singolo, tutte le edizioni  contenenti 14 brani classici di Roach, in cui ripercorre la sua straordinaria carriera trentennale (rispolverati per l’occasione con nuove registrazioni), più 2 brani inediti, e 2 brani che hanno influenzato Archie nei suoi primi anni di attività. Come di consuetudine Roach si avvale sempre di musicisti di qualità della scena australiana, e anche in questa occasione si porta in studio il celebre produttore e musicista Paul Grabowsky al piano, Stephen Magnusson alle chitarre, Dave Beck alla batteria, Sam Anning al basso, le brave Erkki Veltheim al violino e Rosanne Hunt al cello, per un lavoro che pur essendo una sorta di raccolta delle sue opere passate, potrebbe essere ricordato dagli appassionati come l’ultimo suo grande disco.

Le “memorie” musicali si aprono giustamente con il brano che ha dato la notorietà a Roach, quella Took The Children Away (un dolente atto d’accusa sul trattamento dei bambini indigeni), che viene riproposta in una versione pianistica https://www.youtube.com/watch?v=yxTTeRhj48o , seguita dalle calde atmosfere di A Child Was Born Here https://www.youtube.com/watch?v=jzODRjlbORM , e dalla sussurrata F Troop, due magnifiche ballate che toccano il cuore. Con la delicata e dolce Nopun Kurongk dall’album Ruby (05), Archie omaggia ancora una volta la defunta moglie Ruby Hunter, con il violino della Veltheim in evidenza, mentre una “jazzistica” Just A Closer Walk With Thee, è un brano di Mahalia Jackson cantato in coppia con la brava Emma Donovan https://www.youtube.com/watch?v=40VqawlboDw : viene poi recuperata dallo splendido Journey (07) un famoso canto aborigeno quale è ancora oggi Lighthouse (Song For Two Mothers). Con One For Each Person, And One For The Pot arriva la prima delle nuove canzoni dell’album, una accorata romanza che si sviluppa l’accompagnamento solitario del piano di Paul Grabowsky, che sottolinea la calda voce dell’autore, mentre la seguente Little By Little dall’album Into The Bloodstream (12), è in questa versione ancora più sincopata del solito, tra le riprese, dal “seminale” Charcoal Lane (90), ancora un altro canto aborigeno Down City Streets, dove si raccontano le esperienze di vita on the road.

La seconda parte del viaggio di memorie prosegue con la magnifica Rally Round The Drum, scritta con Paul Kelly nei primi anni ’90, e in questa occasione vede i due giganti della musica australiana riunirsi per registrarla insieme, seguita dalla delicata e pianistica Small Child dall’album Sensual Being (02), e dal secondo nuovo brano della raccolta, una The Jetty Song cantata al solito al meglio da Archie, accompagnato dalle note del violino e pianoforte. Con la delicata ballata Always Be Here cantata in duo con Sally Dastey, si riscopre pure il repertorio più recente di Roach (la trovate su Let Love Rule (16), e sempre con Sally una Tell My Way in versione country-gospel, estratta dai solchi del suo secondo album Jamu Dreaming (93), e ancora commuovere i fans con la favolosa Let Love Rule, rivisitata con le delicate note del piano di Paul e i tenui svolazzi del violino della brava Erkki. Il viaggio e le memorie musicali volgono al termine con la prima canzone che Archie Roach abbia mai scritto, alla fine degli anni ’70, durante un periodo di disintossicazione dalle droghe a Galiamble, ma che non era mai stata registrata fino ad ora, Open Up Your Eyes  brano solare dall’arrangiamento dinamico, con chitarra e piano in evidenza, non manca un omaggio a Hank Williams con una rilettura piano e voce di I’m So Lonesome I Could Cry, perfetta forse per essere suonata nei piano bar più raffinati di Sydney https://www.youtube.com/watch?v=jEZWZ4iwv_s , e andare infine a chiudere con il terzo brano inedito la tenue e delicata Place Of Fire, dove,  come del resto in tutto il lavoro emerge la bravura del compositore, arrangiatore e produttore Paul Grabowsky.

Come ho già detto in altre occasioni, a questo signore di quasi 64 anni negli ultimi dieci anni è successo di tutto, dalla perdita dell’amata moglie Ruby, alla guarigione da un ictus, e per non farsi mancare niente, anche un cancro ai polmoni che lo costringe a vivere con uno in meno, ma nonostante tutte queste disavventure Archie Roach rimane un poeta pieno di sentimento, che nelle sue canzoni esprime la gioia, il dolore e la speranza che ha trovato nel suo lungo viaggio attraverso la vita, per diventare il leggendario cantautore down under che, ancora oggi come ieri, è amato e rispettato dai fan di tutto il mondo.

Tino Montanari

La Più Grande Famiglia Musicale Di Sempre…Ulteriormente Allargata! The Carter Family – Across Generations

carter family across generations

The Carter Family – Across Generations – Reviver Legacy CD

Non sono mai stato un grande estimatore di John Carter Cash, unico figlio di Johnny Cash e June Carter, anche se devo dire che negli ultimi anni ha intrapreso una solida carriera di produttore (tra i suoi migliori lavori in tal senso ci sono gli ultimi album di Loretta Lynn): d’altronde quando sei un discendente di due delle più grandi famiglie musicali, i Cash e soprattutto la Carter Family, prima o poi i tuoi cromosomi vengono fuori. Il nuovo progetto a cui ha lavorato John riguarda proprio la Carter Family, mitica dinastia di musicisti che ha influenzato centinaia di artisti di matrice country, folk, gospel e bluegrass, una leggenda nata in Virginia alla fine degli anni venti su iniziativa di A.P. Carter, della moglie Sara Carter e della sorella di lei Maybelle Carter, e che ci ha lasciato canzoni indimenticabili del calibro di Will The Circle Be Unbroken, Wildwood Flower, Keep On The Sunny Side, Wabash Cannonball, Worried Man Blues e molte altre, arrivando fino ai giorni nostri con la quarta generazione.

Sto parlando nello specifico di Across Generations, un disco molto particolare in cui John ha messo insieme in maniera mirabile diverse generazioni di Carter (arrivando perfino ad aggiungerne una quinta), partendo da alcune incisioni inedite dei primi anni sessanta da parte della madre June insieme alle sorelle Anita ed Helen Carter (tutte figlie di Maybelle), alle quali ha aggiunto parti vocali e strumentali sia edite che inedite (alcune incise ex novo con l’aiuto della sorellastra Carlene Carter e di Dale Jett, figlio di Janette Carter che era a sua volta figlia di A.P. e Sara). Io di solito non impazzisco per i dischi costruiti “in laboratorio”, anche se ci sono valide eccezioni come quando è l’artista stesso a chiederlo ai suoi discendenti (penso all’ultimo album postumo di Leonard Cohen o all’analoga operazione del 2015 con protagonista Pops Staples), ma qui è stato fatto un lavoro stupendo, pieno di amore e rispetto per i capostipiti della famiglia Carter ma con uno sguardo verso presente e futuro. Across Generations presenta dodici tracce che si dividono tra country, folk e gospel, e John ha deciso giustamente di privilegiare le voci e di rivestirle con arrangiamenti sobri e strumentazioni essenziali (chitarre acustiche, autoharp e qualche volta il contrabbasso, ma niente batteria), con incisioni antiche e moderne che vedono suonare insieme tra gli altri Norman Blake, Dave Roe, Carlene Carter, Johnny Cash e lo stesso John Carter.

E poi ovviamente ci sono le voci, le vere protagoniste del CD, una miscellanea splendida che parte da Sara e Maybelle per finire con nipoti e pronipoti, allargando il tributo anche ai Cash: troviamo infatti anche discendenti meno noti (o proprio sconosciuti) delle due famiglie come Tiffany Anastasia Lowe (figlia di Carlene), David Carter Jones, Jack Ezra Cash, Danny Carter Jones, Lorrie Carter Bennet e moltissimi altri. L’album è bellissimo, si ascolta tutto d’un fiato e giunti alla fine viene voglia di rimetterlo subito da capo: dopo l’iniziale Farther On, un brano tradizionale in cui la voce della fondatrice Sara Carter si fonde con quella del già citato Dale Jett (il più presente nel disco insieme a Carlene) e della pronipote Adrianna Cross, abbiamo undici canzoni scritte da A.P. Carter o comunque a lui attribuite (tranne due eccezioni), titoli come My Clinch Mountain Home, in cui Carlene duetta virtualmente con le zie Anita ed Helen, Gold Watch And Chain, dove risentiamo Johnny Cash dividere il microfono con June con dietro una sfilza di Carter e Cash di “ultima generazione”, o la famosissima Worried Man Blues, dove i vocalist sono più di venti https://www.youtube.com/watch?v=IMYuQuZYEJU .

Il bello è che i vari brani suonano come incisi oggi (John ha fatto un lavoro egregio), ed in un caso è effettivamente così: Maybelle, scritta da Danny e David Carter Jones in onore della capostipite della famiglia e da loro cantata insieme a Carlene e John Carter. Helen e Anita sono protagoniste in diversi pezzi, talvolta con Carlene (Winding Stream, la splendida Diamonds In The Rough https://www.youtube.com/watch?v=N3Kwiul8NJs , la famosa Foggy Mountain Top) oppure con Jett (Amber Trees), mentre Carlene si riunisce idealmente alla madre June nella pura e cristallina Don’t Forget This Song. Finale con la strepitosa Will The Circle Be Unbroken (un brano talmente popolare da essere praticamente diventato di dominio pubblico), in cui a cantare sono la metà di mille, e con uno strumentale inedito del 1970 che vede Maybelle esibirsi in solitaria all’autoharp elettrica, brano intitolato opportunamente Maybelle’s New Tune.

Un omaggio sincero e riuscito quindi, con una serie di canzoni splendide che riescono ad emozionare e coinvolgere ancora una volta nonostante facciano parte del songbook americano da quasi un secolo.

Marco Verdi

Uno Dei Migliori Chitarristi In Circolazione Si Scopre Anche Cantante. Dave Specter – Blues From The Inside Out

dave specter blues from the inside out

Dave Specter – Blues From The Inside Out – Delmark Records

Dave Specter da Chicago, è giustamente considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione nell’ambito del blues e dintorni, in quanto comunque nella sua musica, oltre alle 12 battute classiche, sono sempre confluiti elementi jazz, rock, soul, funky, qualche tocco di gospel, in dischi in passato quasi sempre rigorosamente strumentali: o meglio il nostro amico, nei nove album di studio e un paio di live che avevano preceduto questo Blues From The Inside Out, non aveva mai spiccicato una parola, “limitandosi” a suonare la sua Gibson (e ogni tanto la Fender), con uno stile, una tecnica ed un feeling inimitabili, ma, soprattutto negli ultimi anni, in particolare nel penultimo eccellente Message In Blue, utilizzando vocalist esterni per alcuni brani cantati, nel disco in questione tre con Brother John Kattke e tre con il compianto Otis Clay https://discoclub.myblog.it/2014/07/07/messaggio-pervenuto-forte-chiaro-dave-specter-message-blue/ .

Ma nel frattempo, dopo 35 anni di onorata carriera, e a sei anni dall’album precedente ha deciso che era il momento di fare il suo esordio anche come cantante: e i fatti gli danno ragione, visto che il nuovo CD è probabilmente il suo migliore di sempre, in una sequenza di uscite che ha  peraltro mantenuto sempre elevati livelli qualitativi. Ovviamente, un po’ come nel caso della coperta di Linus, non sentendosi completamente sicuro, Specter comunque lascia spazio in alcuni brani all’amico Brother John Kattke, impiegato anche ad organo e piano, e a Sarah Marie Young in una canzone, non trascurando i suoi proverbiali pezzi strumentali . In alcune tracce appare la sezione fiati dei Liquid Horns, il percussionista Ruben Alvarez, i vocalist aggiunti Devin Thompson e Tad Robinson (già utilizzato in passato in diversi album), e come ospite in due brani Jorma Kaukonen, che ne firma anche uno con Specter. Per questo suo esordio come autore di testi il nostro amico ha toccato anche temi sociali e politici, in questi tempi travagliati per la società americana (a parte l’economia dell’elite Trumpiana, che galoppa a ritmi folli macinando record): una nota di merito alla bella copertina che cromaticamente ricordail classico Time Out di Dave Brubeck, e ci tuffiamo subito nel primo brano, la title track Blues From The Inside Out, un classico shuffle dove Specter fa il suo esordio canterino, con una voce diciamo non memorabile, ma adeguata alla bisogna, mentre con l’aiuto di Kattke al piano Dave comincia a scaldare il suo strumento.

Ponchantoula Way è un brano più mosso, con l’uso di fiati e percussioni, Kattke sempre molto presente al piano, con retrogusti funky soul made in Louisiana, un ritmo ondeggiante e un assolo di chitarra di grande tocco e finezza da parte di Specter; March Through The Darkness, cantata da Kattke, è un omaggio alla illustre concittadina di Chicago Mavis Staples, una splendida deep soul ballad dal messaggio sociale che vive anche sul lavoro di cesello di tutta la band, e soprattutto di Dave che ci regala un assolo caldo e delizioso, di una fluidità disarmante, seguito da quello di Brother John https://www.youtube.com/watch?v=utC3qX5pLG4 . Sanctifunkious, come altri pezzi strumentali con nomi simili dal passato di Specter, prende l’ispirazione dal funky-jazz di Meters e Neville Brothers, grande groove e assoli ricchi di feeling, incluso uno incredibile al waw-wah https://www.youtube.com/watch?v=1cJTWrK0MeA , altro brano con messaggio (contro Trump) è How Low Can One Man Go, con un titolo simile a quello di un pezzo di Robert Cray Just How Low, un bluesaccio sporco e torrido alla John Lee Hooker, di nuovo con wah-wah a manetta e Jorma Kaukonen che risponde colpo su colpo. Asking For A Friend è cantata da Specter, un altro blues scandito in puro stile Chicago, con le consuete folate della solista di Dave, mentre Minor Shout è un altro dei suoi raffinati strumentali, un brano lungo e sinuoso basato sull’interplay con l’organo di Kattke, e atmosfera tinta di latin-jazz à la Santana, anche grazie alle percussioni dell’ottimo Alvarez.

The Blues Ain’t Nuthin’ è il brano con il testo firmato da Kaukonen, cantato nuovamente dall’ottimo Kattke, che come è noto agli aficionados delle 12 battute è un eccellente vocalist, un electric blues con uso fiati che sembra uscire da qualche vecchio vinile di Mike Bloomfield, grazie alla limpidissima solista di Specter ben spalleggiata da quella di Jorma https://www.youtube.com/watch?v=KixdZ9ZieFM , Brother John che si ripete anche nella divertente ed ondeggiante Opposites Attract, lasciando poi spazio alla solista del nostro nello strumentale groove oriented con fiati Soul Drop che all’inizio ha un riff alla On Broadaway , che è poi un tema sonoro ricorrente nel corso del brano. Wave’s Gonna Come è una deliziosa ballata introdotta dall’acustica dell’autore Bill Bricta e cantata in modo imperioso da Sarah Marie Young, con la pungente solista di Specter a mettere il marchio su questa eccellente canzone https://www.youtube.com/watch?v=4EIBkB7PEtA . A chiudere un altro strumentale, la morbida String Chillin’, tra blues e jazz, con Kattke al piano a spalleggiare le splendide evoluzioni della solista del nostro amico, che si conferma uno dei “maghi” della chitarra, se non lo conoscete già, assolutamente da scoprire. Come si suole dire, gran bel disco!

Bruno Conti

Cofanetti Autunno-Inverno 15. Un’Opera Lussuosa, Costosa Ed Esauriente, Anche Se Leggermente Incompleta! Pink Floyd – The Later Years 1987-2019. Parte II

pink floyd the later years

Pink Floyd – The Later Years 1987-2019 – Parlophone/Warner 5CD/6BluRay/5DVD/2x45rpm Box Set

Ecco la seconda parte.

BD 1. Questo è l’unico BluRay del box a non avere il “doppione” in DVD, ed anche l’unico solo audio. Contiene la già esaminata ristampa aggiornata di A Momentary Lapse Of Reason ed i sette inediti del 1993, sia in alta risoluzione che in 5.1 surround sound, ed in più The Division Bell nella versione remixata uscita nel 2014. Album di livello decisamente superiore a quello del 1987 sia dal punto di vista compositivo che del suono, The Division Bell ha i crismi del lavoro di una vera band e non di un disco solista di Gilmour, con Mason unico batterista e Wright più coinvolto sia nella stesura dei brani che dal punto di vista del canto (Wearing The Inside Out vede lui alla voce solista). Nell’album troviamo energiche rock songs come What Do You Want From Me, Take It Back e Keep Talking, ottime ballate come A Great Day For Freedom e Coming Back To Life, uno strumentale di buon livello (Marooned) ed un gran finale con lo splendido e solare folk-rock di Lost For Words e la strepitosa High Hopes, uno dei brani più belli mai scritti da David con un assolo di slide davvero spaziale.

BD 2/DVD 1. Questo dischetto video ripropone il film-concerto Delicate Sound Of Thunder, all’epoca uscito solo in VHS, completamente ristrutturato e con immagini dalla qualità fantastica. La scaletta è un misto tra la versione audio dell’epoca e quella completa di questo box, con quindi qualche bonus ma anche alcune assenze (tra le quali, stranamente (?), Another Brick In The Wall, Part II). BD 3/DVD 2. Il film-concerto Pulse del 1995 (per la prima volta in BluRay), registrato nel 1994 alla Earl’s Court di Londra e con una setlist diversa da quella del doppio CD. Altro bel live che nella prima parte offre diversi brani da The Division Bell (High Hopes è monumentale anche dal vivo), un paio di “ripescaggi” da A Momentary Lapse Of Reason (Learning To Fly e Sorrow) e qualche classico (Shine On You Crazy Diamond, Another Brick In The Wall, Part II e One Of These Days), mentre il secondo set presenta la performance completa dello storico album The Dark Side Of The Moon. Bis forse prevedibili ma sempre emozionanti: Wish You Were Here, Comfortably Numb e Run Like Hell.

Blu-Ray 4/DVD 3. Una delle cose più attese del cofanetto è la prima pubblicazione ufficiale del famoso concerto che i nostri tennero il 15 Luglio 1989 a Venezia, una serata che lasciò un lungo strascico di polemiche per come fu ridotta Piazza San Marco dal numeroso pubblico che accorse (i Floyd si esibirono su una piattaforma al centro della laguna fronteggiante la piazza). Immagini decisamente suggestive e bel concerto, anche se di durata ridotta in quanto all’epoca fu trasmesso in broadcast mondiale. Un Gilmour dal capello lungo e leggermente appesantito guida il gruppo in uno show di soli 14 pezzi, con Shine On You Crazy Diamond che si limita all’introduzione, Sorrow che manca dell’assolo finale e On The Turning Away dal tempo leggermente accelerato (questa particolare situazione qualche scherzetto ai Floyd lo gioca, come Gilmour che sbaglia l’attacco vocale in Wish You Were Here). Ascoltiamo comunque la migliore Money del cofanetto ed uno spettacolare finale con Run Like Hell in mezzo ai fuochi d’artificio che illuminano a giorno la laguna. Il resto del dischetto presenta la performance di Knebworth di cui vi ho già detto: le immagini ci consentono però di constatare il clima da tempesta in cui si è svolto lo show, con vento fortissimo e pioggia battente, di ammirare la Dulfer in tutto il suo splendore (ma è anche brava, se no non avrebbe suonato anche con Van Morrison) e di godere meglio della prestazione della Torry, che in The Great Gig In The Sky si prende letteralmente il centro della scena.

BluRay 5/DVD 4. Il grosso di questo supporto sono gli screen films del 1987 e del 1994, ovvero i filmati che venivano proiettati sull’iconico schermo circolare durante l’esecuzione di determinate canzoni: forse non indispensabili, ma ci danno la possibilità di ascoltare qualche performance inedita, come una Brain Damage/Eclipse dell’87. Poi ci sono sei videoclip di altrettanti singoli, dalle suggestive immagini (alcuni con la regia di Storm Thorgenson, il geniale artista responsabile di molte copertine dei Floyd), cinque bonus tracks inedite in versione video di Delicate Sound Of Thunder, tre rehersals dal tour del 1994 (tra cui una sempre bellissima Lost For Words), e l’esibizione dei nostri nel 1996 (senza Waters naturalmente) alla Rock And Roll Hall Of Fame con Wish You Were Here, accompagnati da un emozionatissimo Billy Corgan degli Smashing Pumpkins alla seconda chitarra.

BluRay 6/DVD 5. L’ultimo dischetto video inizia in maniera scoppiettante con l’ultima performance di Gilmour, Mason e Wright come Pink Floyd, nel 2007 al Barbican Theatre di Londra per il concerto tributo a Syd Barrett: una splendida e molto fedele all’originale Arnold Layne, con Wright (che ci lascerà l’anno seguente) alla voce solista. Il resto del BluRay/DVD, oltre a spot televisivi, interviste a Gilmour, Thorgenson ed ai membri della crew del tour 1994 ed immagini della creazione delle copertine di A Momentary Lapse Of Reason e The Division Bell (pazzesca la prima, con 700 letti trasportati su una spiaggia del sud dell’Inghilterra, tra l’altro per due volte dato che nel primo tentativo ci mise lo zampino il maltempo), è occupato dall’intero album The Endless River (vi rimando qui alla mia recensione originale del 2014 https://discoclub.myblog.it/2014/11/18/addio-stile-pink-floyd-the-endless-river/ ), con le musiche accoppiate ad un film di Ian Emes ricco di immagini surreali nel tipico stile dei nostri.

45 giri. I due singoli in vinile, incisi entrambi su un solo lato, che riportano due pezzi già presenti nel quinto e sesto BluRay, e cioè la Arnold Layne dal vivo nel 2007 ed il rehersal di Lost For Words (quest’ultima, se la volete anche su CD, la trovate solo sul bignami singolo del cofanetto, per la serie SPQPF, Sono Pazzi Questi Pink Floyd).

Questo tutto ciò che è presente nel box, ma come dicevo prima le critiche su quello che manca sono stare anche aspre: personalmente qui sotto ho voluto fare un piccolo elenco delle assenze più importanti, almeno a mio giudizio.

Outtakes di A Momentary Lapse Of Reason (esistono).

Il concerto di Venezia su CD.

Le musiche del documentario a tema automobilistico La Carrera Panamericana, uscito nel 1992 su VHS e presto sparito dalla circolazione.

Qualche rarità live del periodo (come Echoes, suonata nelle prime date del 1987, e Hey You, riproposta talvolta nel 1994-95).

Bike dal vivo nel 2007, dallo stesso concerto-tributo a Barrett (esclusione abbastanza incomprensibile dato che c’è Arnold Layne).

La performance al Live 8 del 2006 (ma qui il problema potrebbe essere il coinvolgimento di Waters).

Quindi, se dimenticate per un attimo il costo elevato (non è facile, lo riconosco), The Later Years 1987-2019 è un cofanetto con più luci che ombre nonostante documenti la fase forse meno interessante dei nostri: personalmente sono stato intrattenuto a dovere dalla musica per una settimana intera, quindi direi che lo scopo, almeno con il sottoscritto, è stato raggiunto.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 15. Un’Opera Lussuosa, Costosa Ed Esauriente, Anche Se Leggermente Incompleta! Pink Floyd – The Later Years 1987-2019. Parte I

pink floyd later years front

Pink Floyd – The Later Years 1987-2019 – Parlophone/Warner 5CD/6BluRay/5DVD/2x45rpm Box Set

Prima Parte.

Tra i numerosi cofanetti usciti in questa parte finale del 2019 (altri verranno recensiti su queste pagine virtuali anche durante il prossimo Gennaio 2020) uno dei più importanti è sicuramente The Later Years 1987-2019, che si occupa di documentare la parte finale della carriera dei Pink Floyd, ovvero la fase post-Waters con David Gilmour al timone di comando, box che arriva a due anni di distanza dallo splendido The Early Years 1965-1972, lasciando dunque in sospeso il periodo “di mezzo” della band britannica, che poi è quello in cui sono usciti i loro album più famosi (non credo che sorvoleranno con la scusa che erano già stati pubblicati gli “Immersion Box Sets” nel 2011, anche perché Animals e The Final Cut, non venivano presi in considerazione: secondo me stanno preparando qualcosa per il 2021 o giù di lì). Ancora prima di uscire però The Later Years si è attirato una marea di critiche (devo dire non del tutto ingiustificate), prima di tutto per il prezzo esageratamente alto, ben oltre i 300 euro, ed in secondo luogo per le ripetizioni presenti nei vari dischetti audio e video che allungano il brodo fino a 16 supporti complessivi (più due 45 giri), quando dopotutto nel periodo preso in esame i nostri hanno prodotto solo tre album di studio e due dal vivo. Il manufatto è splendido, un cofanettone pesante in formato LP (ma leggermente più largo) ricco di materiale scritto e fotografico: un librone con copertina dura, cartoline, poster, adesivi, tre tour programs ed un libro con tutti i testi del periodo…oltre ovviamente alla parte che più ci interessa, cioè i contenuti musicali.

E qui il fan che è in me deve lasciare spazio al critico, e devo ammettere che i giudizi negativi sul rapporto fra costo e contenuti non sono del tutto campati in aria, dato che volendo ci si sarebbe potuti limitare al materiale presente nei sei Blu-Ray: se però trovo giustificata la presenza dei cinque CD (molti ancora oggi privilegiano il supporto audio rispetto al video, ed io sono tra quelli), si è voluta bissare l’antipatica iniziativa già presente in The Early Years di ripetere i contenuti dei Blu-Ray all’interno di altrettanti DVD, cosa che serve solo a far salire il prezzo del prodotto finale. Un’altra magagna non da poco visto appunto il costo (a proposito, esiste anche un estratto del box su singolo CD, ma secondo me doveva essere almeno doppio) è l’assenza di parecchio materiale del quale si conosce l’esistenza negli archivi, la cui inclusione avrebbe se non altro reso l’opera più completa, visto che molti si sono lamentati anche del valore artistico della musica presente (ma non bisognava arrivare nel 2019 per scoprire che Waters sta, almeno dal punto di vista compositivo, su un altro pianeta rispetto a Gilmour). Cercherò di elencare in breve queste mancanze alla fine della recensione, mentre ora vado ad occuparmi di quello che all’interno del box c’è.

CD 1. Il primo dischetto presenta una versione remixata ed aggiornata di A Momentary Lapse Of Reason, album del 1987 dei nostri che all’epoca venne criticato in quanto sembrava più un disco solista di Gilmour che un lavoro di una vera band, oltre che per un suono qua e là troppo anni ottanta. Infatti allora Richard Wright non faceva neanche ufficialmente parte del gruppo, ma era trattato come un sessionman (venne “reintegrato nella tournée seguente) e Nick Mason non era neppure l’unico batterista presente, dato che si divise i compiti con due luminari del calibro di Jim Keltner e Carmine Appice. In questo box l’album viene invece riproposto con un nuovo mix che elimina in parte le sonorità eighties e soprattutto dà molto più spazio a Wright, del quale sono state aggiunte parti inedite di tastiera prese anche da concerti del tour 1987-88 (con il risultato di avere un suono molto più arioso), e addirittura Mason ha risuonato ex novo tutte le parti di batteria, anche quelle non sue (e si sente, il sound è molto più diretto), giustificando quindi il “2019” nel titolo del box dato che la carriera dei nostri come band si è interrotta nel 2014 con The Endless River. Anche con questi accorgimenti A Momentary Lapse Of Reason si conferma un album imperfetto, con una sola grande canzone (On The Turning Away), un paio di pezzi più che buoni (l’orecchiabile singolo Learning To Fly, la potente Sorrow), il discreto strumentale d’apertura Signs Of Life ma anche diversi riempitivi di lusso che ai tempi di Waters non sarebbero mai stati presi in considerazione (One Slip, The Dogs Of War, Yet Another Movie, Terminal Frost).

CD 2-3. Delicate Sound Of Thunder, album live registrato nel 1988 al Nassau Coliseum di Uniondale, NY, e pubblicato lo stesso anno in doppio LP e doppio CD, viene qui riproposto totalmente remixato e rimasterizzato, con un suono davvero ottimo (l’originale era un po’ “fangoso”) e soprattutto con ben otto bonus tracks (sette rispetto al doppio CD dell’epoca, che rispetto all’LP aveva in più Us And Them), che quindi ci consentono di ascoltare per la prima volta lo show completo. Ed il concerto è decisamente potente e suonato alla grande, con i tre Floyd coadiuvati da una band di cinque musicisti e tre coriste: il primo dei due CD, dopo l’avvio con la straordinaria Shine On You Crazy Diamond, è interamente basato sui brani di A Momentary Lapse Of Reason, con ottime versioni di Learning To Fly e Sorrow, una The Dogs Of War molto più grintosa (in studio era un po’ spenta) ed una fantastica On The Turning Away con un formidabile assolo finale di Gilmour (che il remix ha ulteriormente allungato). Nella seconda parte i nostri ci presentano diversi classici, gran parte dei quali non venivano suonati in pubblico da più di dieci anni: spiccano una trascinante One Of These Days, la sempre toccante Wish You Were Here, un’ottima Welcome To The Machine (che fa parte degli otto inediti), la maestosa Us And Them ed il gran finale con una tiratissima Run Like Hell.

CD 4: forse il dischetto più interessante, dato che è l’unico che presenta degli inediti di studio. Si comincia comunque con altri cinque brani dal vivo che in passato erano apparsi solo come lato B di singoli: due ottime One Of These Days e Astronomy Domine del 1994 e tre registrate ad Atlanta nel 1987 (The Dogs Of War, la sempre splendida On The Turning Away e Run Like Hell). I sette inediti di studio sono presi dalle sessions del 1993 per The Division Bell (anche se viene erroneamente indicato 1994, che è l’anno in cui è uscito l’album), sei strumentali ed uno solo cantato. Si inizia con Blues 1, un godibilissimo e ritmato rock-blues dominato dalla chitarra e dall’organo, con i nostri che suonano in scioltezza (sono solo in quattro, al basso c’è il produttore Bob Ezrin); Slippery Guitar è una languida ballata d’atmosfera, pulita, rilassata ed eseguita in maniera superba, un pezzo che avrebbe meritato di essere completato con un testo, mentre Rick’s Theme è un altro slow di ottima fattura in cui lo strumento guida è il piano di Wright, con una linea melodica notevole. David’s Blues è un brano fluido e raffinato che purtroppo non è stato sviluppato (bella performance chitarristica di Gilmour), ed è seguito da Marooned Jam, che come suggerisce il titolo è un’improvvisazione basata sullo strumentale che finirà su The Division Bell, e dalla roccata e coinvolgente Nervana, che verrà poi riesumata e rielaborata per The Endless River. Chiude il CD una prima versione di High Hopes, non ancora maestosa come quella poi pubblicata ma già decisamente bella.

CD 5. Sette canzoni dal vivo che documentano la partecipazione completa dei Floyd al concerto benefico del 1990 a Knebworth, una serata che vide alternarsi sul palco acts del calibro di Eric Clapton, Dire Straits, Genesis, Robert Plant, Elton John e Paul McCartney e che fu chiusa proprio da Gilmour e soci, con ospiti come la bella Candy Dulfer al sax ed il produttore/arrangiatore Michael Kamen alle tastiere. Quasi un’ora di musica per uno spettacolo che vide i nostri ricompattarsi giusto per quella sera, dato che nel 1990 non erano in tour: scaletta forse prevedibile (Shine On You Crazy Diamond, The Great Gig In The Sky, con la vocalist Clare Torry, già presente nella versione originale, a gorgheggiare da par suo, Wish You Were Here, Sorrow, Money, Comfortably Numb e Run Like Hell), ma performance solida e potente. Solo gli ultimi due brani erano usciti all’epoca sulla compilation dedicata al concerto, il resto è inedito.

Fine Prima Parte.

Marco Verdi