Cofanetti Autunno-Inverno 5. Tutto Il Necessario Per Una Festa “Mostruosa”! Frank Zappa – Halloween 73

frank zappa halloween 73

Frank Zappa – Halloween 73 – Zappa Records/Universal 4CD Box Set

L’appuntamento con un live tratto dagli sterminati archivi del grande Frank Zappa è ormai diventata una piacevole abitudine, e così a pochi mesi dall’edizione del quarantennale di Zappa In New York mi trovo a parlare ancora del musicista di Baltimore e del nuovo box messo sul mercato dagli eredi https://discoclub.myblog.it/2019/04/23/era-matto-come-un-cavallo-ma-anche-un-grandissimo-musicista-frank-zappa-zappa-in-new-york-deluxe-edition/ : Halloween 73. Zappa amava molto Halloween, addirittura la elesse a sua festività preferita, e dal 1972 fino alla metà degli anni ottanta i suoi concerti del 31 Ottobre (ed in alcuni casi anche i giorni appena precedenti) divennero un must all’interno delle sue tournée. Nel 2017 è uscito il bellissimo Halloween 77, un triplo CD che ha avuto anche una configurazione in cofanetto con tanto di maschera orrorifica di Frank, ma con il contenuto musicale riversato unicamente su una chiavetta USB (i tre CD erano un “estratto” dei sei concerti completi presenti sulla pen drive). Ora la Zappa Records ha fatto lo stesso con i due concerti del 31 Ottobre 1973 (uno pomeridiano ed uno serale, come era d’uso allora), riproponendo il box con un’altra maschera + guanti di Frankenzappa (un mostro a metà quindi tra il nostro e Frankenstein) ma stavolta con le musiche incise su quattro CD, con i due show completi sui primi tre e le prove sul quarto: il tutto completamente inedito (c’è anche una versione singola, intitolata Halloween 73 Highlights).

Quindi come già è successo due anni fa se vi siete accaparrati per tempo questo cofanetto (uscito il 25 Ottobre), avrete la possibilità di mascherarvi per la vigilia di Ognissanti, ma stavolta non dovete ricorrere ad un computer per riuscire ad ascoltare la musica. I concerti di Halloween di Zappa erano praticamente un’esclusiva della città di New York, dove si svolsero dal 1974 al 1984, ma i primi due anni si tennero a Passaic, in New Jersey (1972) ed appunto nel 1973 all’Auditorium Theater di Chicago. Il contenuto musicale del box (che comprende oltre al costume anche il solito bel libretto) è come d’abitudine decisamente ad alto livello, in quanto il nostro era sì un cazzaro di prima categoria (e dal vivo questo risaltava particolarmente), ma era soprattutto un finissimo e colto uomo di musica, oltre che chitarrista straordinario. In Halloween 73 Frank è circondato dalla consueta super band, che nonostante in questa configurazione fosse con lui da appena un mese ha un suono forte e compatto come se suonasse con lui da anni: George Duke alle tastiere e voce, Napoleon Murphy Brock alla voce solista (quando non canta Frank), sax e flauto, Tom Fowler al basso, il grande Chester Thompson alla batteria, Ralph Humphrey pure ai tamburi, Bruce Fowler al trombone e Ruth Underwood a marimba, vibrafono e percussioni, importantissime nel sound della band.

I due concerti sono come al solito decisamente godibili pur non avendo Zappa in repertorio brani particolarmente facili, ed il suono è la consueta miscela di rock e jazz con qualche sconfinamento nel blues e nel pop (un pop sui generis, stiamo sempre parlando di Zappa), con molti pezzi suonati in medley ed una maggioranza di parti strumentali rispetto a quelle cantate: Frank poi era un intrattenitore nato, ed un maestro a suonare quello che voleva lui nel modo in cui voleva lui, ma riuscendo ugualmente a coinvolgere e divertire il pubblico (e poi in quel periodo la sua popolarità era in aumento, in quanto aveva appena dato alle stampe Overnite Sensation, uno dei suoi album più accessibili, e stava per bissare con la pubblicazione nel 1974 di Apostrophe, dal quale farà due canzoni in anteprima durante lo show serale). Il primo CD comprende nella quasi totalità il concerto pomeridiano che, dopo un’introduzione semiseria dei membri della band da parte di Frank inizia con una Pygmy Twylyte energica e molto godibile nonostante la melodia non proprio canonica, seguita da The Idiot Bastard Son e dalla vibrante Cheepnis, all’epoca ancora inedita. Lo spettacolo alterna brani molto brevi che sono poco più di un divertissement strumentale (The Eric Dolphy Memorial Barbecue, King Kong, T’Mershi Duween, The Dog Breath Variations) a classici del songbook zappiano come l’irriverente Penguin In Bondage, la diretta Uncle Meat che si fonde con RDNZL, due pezzi dallo sviluppo piuttosto “free” (ma il gruppo suona alla grande), la solida Don’t You Ever Wash That Thing?, tra rock e jazz e ricca di spunti strumentali interessanti, la divertente Montana, tra le più note del nostro.

I due pezzi finali del primo show sono posti all’inizio del secondo CD: una monumentale Dupree’s Paradise di 19 minuti, in cui tutti quanti danno prova di essere musicisti eccezionali (e c’è anche un accenno di scat vocale), e la sarcastica e bluesata Dickie’s Such An Asshole (altri 10 minuti), “dedicata” all’allora presidente Richard Nixon. Lo spettacolo serale è anche più lungo, ed occupa la restante parte del secondo dischetto e tutto il terzo, con una scaletta che ricalca solo in parte quella del primo show (Dickie’s Such An Asshole qui è strepitosa, con un Zappa formidabile alla chitarra). Innanzitutto ci sono i due brani in anteprima da Apostrophe dei quali accennavo prima, la cadenzata e potente Cosmik Debris, un pezzo con elementi blues pur avendo Zappa una concezione del blues tutta particolare, e soprattutto la fluviale Farther O’Blivion, che è un tipico esempio di come Frank modificava i brani on stage: infatti questa canzone su Apostrophe durerà poco più di due minuti, mentre qui è divisa in due parti per 19 minuti complessivi!

Altri pezzi non suonati nel primo show sono la fluida I’m The Slime, una lunga Big Swifty, altra palestra per le imprevedibili evoluzioni della band, la bizzarra Inca Roads, che inizia come un brano jazz confidenziale cantato però in maniera idiota da Duke e poi si sviluppa fluida e distesa, con una grandissima prestazione dello stesso Duke al piano elettrico, per finire con un medley che comprende Son Of Mr. Green Genes, King Kong e Chunga’s Revenge, altri 16 minuti di musica assolutamente creativa nobilitata da una notevole performance chitarristica del leader. Il quarto CD come già accennato contiene le prove effettuate dai nostri il 20 e 21 Ottobre, undici canzoni che verranno poi suonate il 31 (ottime Penguin In Bondage, il medley tra Uncle Meat e RDNZL, Farther O’Blivion e Big Swifty), tutte eseguite senza cazzeggiamenti e con estrema professionalità (tranne che per Inca Roads, nella quale ad un certo punto la band non riesce neanche più a suonare dal tanto ridere, e Cosmik Debris), ed anche un brano che non verrà ripreso, Magic Fingers, che è tra l’altro uno dei più diretti e fruibili.

Buon Halloween a tutti, dal sottoscritto e dalla “maschera” di Frank Zappa.

Marco Verdi

Novità Prossime Venture 28. Frank Zappa – The Hot Rats Sessions: In Attesa Di Halloween, Uscita A Sorpresa “Natalizia” Il 20 Dicembre Per Un Cofanetto Molto Interessante.

frank zappa hot rats sessions

Frank Zappa – The Hot Rats Sessions – 6 CD Box FZ Records/Universal – 20-12-2019

Ormai le grandi manovre per le uscite del periodo natalizio sembrano essersi completate, ma qualche annuncio a sorpresa di pubblicazioni sfiziose arriva ancora. Per esempio quello di questo interessantissimo cofanetto dedicato a quello che è considerato quasi all’unanimità il miglior disco di Frank Zappa Hot Rats, che stranamente fino ad ora non è stato oggetto di quelle “ristampe” potenziate che negli ultimi anni hanno riguardato la discografia del baffuto chitarrista. Domani, giorno di Halloween, troverete sul Blog la recensione di Marco dedicata al box del concerto del 1973, ma oggi ci occupiamo dell’anteprima relativa a quest’altro, al solito costosissimo manufatto (si parla in Europa di un prezzo, al solito molto indicativo, intorno ai 120-130 euro), dedicato a questo album epocale, previsto in uscita per il giorno 20 dicembre p.v. L’immagine del cofanetto non è ancora disponibile (o almeno io non l’ho ancora trovata), ma immagino che visto il prezzo sarà particolarmente sfiziosa, a livello dei contenuti musicali che sono fantastici: si parla di un gioco da tavolo nella confezione, oltre a un libro con immagini rare ed inedite e diversi saggi, uno di Ian Underwood.

In totale tutte le 65 tracce registrate di cui 59 inedite e sei, il disco originale, nel mix curato dallo stesso Zappa nel 1987, che erano fuori catalogo dal 2012. Per il resto c’è una vera cornucopia di brani appunto tratti dalle sessioni tenute nel corso del luglio 1969 ai TTG Studios di Hollywood, California.

Visto che i contenuti sono colossali fate prima a leggervi qui sotto la descrizione dettagliata dei contenuti del cofanetto, disco per disco.

Disc 1
Basic Track Recording Sessions TTG Studios, Hollywood, CA 7-18-69
Piano: Ian Underwood
Piano Music (Section 1) 2:13
This is Take 8, an alternate performance of what became known as “Piano Intro to Little House I Used To Live In” found on “Burnt Weeny Sandwich”. (c)1969
Piano Music (Section 3) 5:42
Contains the theme from “Peaches En Regalia” (c)1969, and the Master Take of “Aybe Sea” (c)1969 (Burnt Weeny Sandwich)
7-28-69
Guitar: FZ
Piano: Ian Underwood
Bass: John Balkin
Drums: Art Tripp III
Trumpet: Buzz Gardner
Sax: Bunk Gardner
Peaches En Regalia (Prototype) (c)1969 (p)2019 5:57
7-28-69
Piano: Ian Underwood
Bass: Shuggy Otis
Drums: Ron Selico
Peaches En Regalia (Section 1, In Session) (c)1969 (p)2019 10:49
Peaches En Regalia (Section 1, Master Take) (c)1969 (p)2019 2:05
Peaches Jam – Part 1 6:28
Peaches Jam – Part 2 10:30
Violin: Don “Sugarcane” Harris
Tack Piano: Johnny Otis
Peaches En Regalia (Section 3, In Session) (c)1969 (p)2019 6:57
Peaches En Regalia (Section 3, Master Take) (c)1969 (p)2019 2:07
Arabesque (In Session) 7:01
Arabesque (Master Take) 6:57
Released in edited form as “Toads Of The Short Forest” on “Weasels Ripped My Flesh” in 1970 (c)1970
Dame Margret’s Son To Be A Bride (In Session) 4:30
This song was re-recorded on 7-30-69 and eventually repurposed as “Lemme Take You To The Beach” first issued on “Studio Tan” in 1978 (c)(p)1978

Disc 2
7-29-69
Basic Track Sessions
Guitar: FZ
Violin: Don “Sugarcane” Harris
Piano, Tack Piano: Ian Underwood
Bass: Max Bennett
Drums: John Guerin
It Must Be A Camel (Part 1, In Session) (c)1969 (p)2019 8:22
It Must Be a Camel (Part 1, Master Take) 2:17
It Must Be a Camel (Intercut, In Session) 3:53
It Must Be a Camel (Intercut, Master Take) 4:02
Natasha (In Session) 4:04
Natasha (Master Take) 3:12
Released as “Little Umbrellas” on “Hot Rats” in 1969. (c)1969
Bognor Regis (Unedited Master) 10:59
Unreleased Track. Frank re-worked this track over the years, using it as the basics for an early version of “Conehead”. In the process, he erased original source material. This mix reflects what survived along with some crafty insertion from a vintage 2-track mix for completion.
Willie The Pimp (In Session) (c)1969 (p)2019 2:20
Willie The Pimp (Unedited Master Take) 15:14
10.Willie The Pimp (Guitar OD 1) 14:46
Labeled “Scrambler & Wah-Wah”
11.Willie The Pimp (Guitar OD 2) 6:18
Guitar: FZ
Violin: Don “Sugarcane” Harris

Disc 3
Basic Track Sessions
7-29-69
Piano: Ian Underwood
Bass: Max Bennett
Drums: John Guerin
Transition (Section 1 – In Session) 6:17
Transition (Section 1 – Master Take) 2:25
Transition (Section 2 – Intercut – In Session) 1:50
Transition (Section 2 – Intercut – Master Take) 2:43
Transition (Section 3 – Intercut – In Session) 2:29
Transition (Section 3 – Intercut – Master Take) 2:13
Released in edited form as “Twenty Small Cigars” on “Chunga’s Revenge” in 1970. (c)1970
Lil’ Clanton Shuffle (Unedited Master) 12:46
Re-mixed and released in edited form on “The Lost Episodes” in 1998 (c)1998
7-30-69
Basic Track Sessions
Guitar: FZ
Violin, Vocal: Don “Sugarcane” Harris
Piano, Organ: Don Preston
Bass: Roy Estrada
Drums: Jimmy Carl Black
Directly From My Heart To You (Unedited Master) 10:18
Released in edited form on “Weasels Ripped My Flesh” in 1970 (c)1970
Another Waltz (Unedited Master) 27:56
Portions released in edited form as “Little House I Used To Live In” on “Burnt Weeny Sandwich” in 1970. (c)1969

Disc 4
Basic Track Sessions
7-30-69
Guitar: FZ
Piano, Tack Piano, Organ, Sax: Ian Underwood
Bass: Max Bennett
Drums: Paul Humphrey
Dame Margret’s Son To Be A Bride (Remake) 3:54
Eventually utilized for “Lemme Take You To The Beach” on “Studio Tan” in 1978 (c)1978
Because of this song getting repurposed later, original tracks were wiped by FZ in favor of new ones. All that’s left is the original bass & drums.
Son Of Mr. Green Genes (Take 1) (c)1969 (p)2019 8:16
Son Of Mr. Green Genes (Master Take) 10:47
Big Legs (Unedited Master Take) 32:42
Released in edited form as “The Gumbo Variations” on “Hot Rats” in 1969 (c)1969
55:38
It Must Be a Camel (Percussion Tracks) 1:48
Percussion overdubs recorded at Sunset Sound Studios, August 1969
Arabesque (Guitar OD Mix) 6:57
Guitar Overdubs recorded at Sunset Sound Studios, August 1969
Released in edited form as “Toads Of The Short Forest” on “Weasels Ripped My Flesh” in 1970 (c)1970
Transition (Full Version) 6:22
Guitar Overdubs recorded at Sunset Sound Studios, August 1969
Released in edited form as “Twenty Small Cigars” on “Chunga’s Revenge” in 1970. (c)1970
Piano Music (Section 3 – OD Version) 5:41
Overdubs recorded at TTG Studios, 7-21-69
Contains the theme from “Peaches En Regalia” (c)1969, and the Master Take of “Aybe Sea” released on “Burnt Weeny Sandwich” in 1969. (c)1969

Disc 5
From The Vault – Part 1
Hot Rats
1987 Digital Re-Mix (c)(p)1987
Re-Mixed from the original multi-track masters with added material from the original sessions
Engineer: Bob Stone
Facility: Utillity Muffin Research Kitchen
Peaches En Regalia 3:39
Willie The Pimp 9:17
Son Of Mr. Green Genes 9:00
Little Umbrellas 3:04
The Gumbo Variations 16:57
It Must Be A Camel 5:15
The Origin Of Hot Rats :35
1987- FZ with Peter Occhiogrosso
Source: Cassette
Hot Rats Vintage Promotion Ad #1 1:02
Source: Vinyl
Peaches En Regalia (Mono Single Master) 3:32
1969 Mono Mix
Source: 1/4″ Analog Tape
Hot Rats Vintage Promotion Ad #2 1:01
Source: Vinyl
Little Umbrellas (1969 Mono Single Master) 3:05
Source: 1/4″ Analog Tape
55:52
Lil’ Clanton Shuffle (1972 Whitney Studios Mix) 12:42
Studio: Whitney Studios
Mixed by FZ with Barry Keene
Source: 1/4″ Analog Tape

Disc 6
From The Vault – Part 2
Little Umbrellas (Cucamonga Version) 2:00
Source: Acetate
Recorded at Studio Z; Cucamonga, CA circa 1961-1964
FZ: Guitar
Musicians: Undocumented
Little Umbrellas (1969 Mix Outtake) 3:10
Source: 1/4″ Analog Tape
It Must Be A Camel (1969 Mix Outtake) 5:23
Source: 1/4″ Analog Tape
Son Of Mr. Green Genes (1969 Mix Outtake) 10:39
Source: 1/4″ Analog Tape
More Of The Story Of Willie The Pimp 1:24
Voices: FZ, Annie Zannus & Cynthia Dobson
Source: 1/4″ Analog Tape
Willie The Pimp (Vocal Tracks) 2:07
Voice: Captain Beefheart
7-29-69 TTG Studios; Hollywood, CA
Willie The Pimp (1969 Quick Mix) 14:29
Studio: T.T.G. Studios, Hollywood, CA
Source: 1/4″ Analog Tape
Dame Margret’s Son To Be A Bride (1969 Quick Mix) 3:46
Studio: T.T.G. Studios, Hollywood, CA
Source: 1/4″ Analog Tape
Hot Rats Vintage Promotion Ad #3 :52
Source: Vinyl
Bognor Regis (1970 Record Plant Mix) 8:11
Studio: Record Plant, Los Angeles CA 1970
Engineers: FZ, Stan Agol
Source: 1/4″ Analog Tape
Peaches En Regalia (1969 Rhythm Track Mix) 4:24
Source: 1/4″ Analog Tape
Son Of Mr. Green Genes (1969 Rhythm Track Mix) 10:40
Source: 1/4″ Analog Tape
Little Umbrellas (1969 Rhythm Track Mix) 3:11
Source: 1/4″ Analog Tape
Arabesque (Guitar Tracks) 6:57
Recorded at Sunset Sound Studios, August 1969
Hot Rats Vintage Promotion Ad #4 :59
Source: Vinyl

frank zappa peaches en regalia picture disc

Niente male direi. Come vedete dall’immagine qui sopra, il 29 novembre per il Black Friday Record Store Day verrà pubblicato un EP picture 10″ a tiratura limitata del singolo dell’epoca Peaches En Regalia e il 20 dicembre, insieme al cofanetto, uscirà anche una versione in vinile colorato rosa dell’album completo.

Quindi ci sentiamo a Natale, più o meno, per la recensione del box, ma prima ci sarà nei prossimi giorni, un ulteriore Post per un’altra uscita a sorpresa, un megabox dedicato all’integrale dei Gentle Giant.

Bruno Conti

Cofanetti Autunno-Inverno 4. Uno Scrigno Di Tesori, Finalmente A Disposizione Di Tutti! Steve Miller Band – Welcome To The Vault

steve miller band welcome to the vault

Steve Miller Band – Welcome To The Vault – Capitol/Universal 3CD/DVD Box Set

Nel mese di Novembre Bruno vi intratterrà con una dettagliata retrospettiva dedicata a Steve Miller, musicista molto popolare negli anni settanta ed ottanta con la sua Steve Miller Band: io oggi mi occupo invece di Welcome To The Vault, nuovissimo cofanetto che per la prima volta vede pubblicate diverse canzoni provenienti dagli archivi del cantante-autore-chitarrista di Milwaukee. Siccome le note biografiche sul personaggio le potrete leggere già nel post del titolare di questo blog, io mi limiterò alla recensione “nuda e cruda” del contenuto del box, che in tre CD più un DVD (ma esiste anche una versione audio singola intitolata Selections From The Vault) ripercorre tutto il cammino di Steve ponendo però l’accento su parecchie tracce sconosciute, con versioni alternate di pezzi noti, riletture dal vivo, cover incise in studio e addirittura ben cinque canzoni originali mai sentite prima. Steve aveva già pubblicato in passato qualche brano inedito, ma mai con una tale generosità: infatti su 52 pezzi totali (parlo della parte audio) ben 38 compaiono qui per la prima volta, e la bellezza del manufatto (una splendida confezione formato libro con numerose foto, note del noto giornalista David Fricke e crediti canzone per canzone, con in omaggio anche un poster, diverse cartoline e dieci plettri multicolori, oltre ad una suggestiva copertina lenticolare) è la ciliegina sulla torta che fa sì che il box sia da considerarsi imperdibile.

Sì, perché al suo interno troviamo davvero tantissima grande musica, da parte di un artista spesso sottovalutato e bistrattato dalla critica per la sua scelta, specie dagli anni settanta in poi, di specializzarsi nella scrittura di brani pop-rock di stampo californiano di sicuro impatto e grande successo (come se la capacità di scrivere hits di qualità fosse un demerito), tralasciando in parte il blues e la psichedelia di inizio carriera. Ma il blues è sempre stata la sua vera passione, ed in questo cofanetto ce n’è a volontà, sia in studio che soprattutto dal vivo, spesso in versioni lunghe ed infuocate. Non dimentichiamo che la SMB ha sempre avuto ottimi musicisti al suo interno, ed è stata anche trampolino di lancio per nomi del calibro di Boz Scaggs, Ben Sidran e Ross Valory (che diventerà il bassista dei Journey fino ai giorni nostri), oltre ad ospitare nei seventies il noto armonicista Norton Buffalo. Il box comprende anche dei brani editi, un po’ come American Treasure di Tom Petty, ma mentre nel caso del compianto rocker della Florida la scelta cadeva su canzoni meno conosciute, qua le hits non mancano, e nelle versioni più note (The Joker, Fly Like An Eagle, Abracadabra): sinceramente non capisco questa scelta, in quanto un neofita difficilmente si comprerà questo box, mentre i fan di Steve conoscono già questi brani a menadito (anche se riascoltarli fa sempre piacere). Ma passiamo ad una disamina disco per disco, premettendo che mi limiterò soltanto alle tracce mai sentite prima.

CD1. Il cofanetto comincia subito con tre inediti dal vivo, il primo dei quali è una straordinaria Blues With A Feeling di Little Walter, dieci minuti registrati nel 1969 in trio con Lonnie Turner e Tim Davis, un torrido slow blues che ci fa subito capire che Steve nel compilare il box ha fatto le cose sul serio: grande performance chitarristica del leader, ed è solo l’inizio. Una tosta versione della vibrante Don’t Let Nobody Turn You Around precede altri nove imperdibili minuti della fantastica Super Shuffle (siamo nel 1967), uno strumentale chitarristico a tutto ritmo nel quale il nostro ed i suoi compagni andavano già come treni: tra le cose più belle del box. Ci sono diverse versioni alternate di brani noti di Steve, a partire dall’hendrixiana Industrial Miltary Complex Hex, per proseguire con un’intima rilettura acustica di Kow Kow Calculator (1973, quattro anni dopo la versione originale), un demo del 1966 di Going To Mexico in cui Miller suona tutti gli strumenti, il sognante pop psichedelico Quicksilver Girl (con Scaggs alla seconda chitarra), una strepitosa Jackson-Kent Blues di otto minuti e mezzo anche meglio dell’originale ed una Seasons ancora con solo Steve alla voce e chitarra. Dal vivo abbiamo anche una fenomenale rilettura del classico di Robert Johnson Crossroads che non ha tanta paura di quella dei Cream (ma come suona Steve?) ed una scintillante Never Kill Another Man, acustica e folkeggiante con quattro voci all’unisono, molto CSN&Y. Dulcis in fundo, questo primo dischetto offre anche le prime due canzoni totalmente inedite, e se Hesitation Blues è una tenue ballata acustica che dura meno di due minuti, Say Wow è un gradevole midtempo blues che avrebbe potuto benissimo trovare posto su qualsiasi album del nostro.

CD2. I primi brani unreleased che troviamo sono due versioni della nota Space Cowboy, la prima solo strumentale ed embrionale (dura poco più di un minuto), mentre la seconda è registrata dal vivo nel ’73, ed è trascinante sebbene non incisa benissimo. Le “alternate versions” continuano con una doppia Rock’n Me (uno dei più grandi successi della SMB), la prima full band con Buffalo all’armonica e la seconda a livello di demo, una True Fine Love non particolarmente rifinita ma sempre molto bella, la grintosa The Stake, un blues di gran lusso, e due riletture di classici come My Babe di Willie Dixon e All Your Love (I Miss Loving) di Otis Rush, non inferiori a quelle finite rispettivamente su Living In The 20th Century e Wide River. Le chicche di questo secondo CD sono però le cover inedite registrate in studio: una potente Killing Floor (Howlin’ Wolf), blues e ritmo che vanno a braccetto, un’intensa Tain’t The Truth di Allen Toussaint, che assume la veste di una ballata anni sessanta, la coinvolgente Freight Train Blues di Roy Acuff, decisamente più blues che country (ma perché non pubblicarla?), una vibrante Double Trouble ancora di Otis Rush, ed una squisita Love Is Strange (Mickey & Sylvia, ma anche i Wings di Wild Life) dall’arrangiamento quasi reggae. La ciliegina sono i due brani scritti da Steve e mai sentiti prima, cioè il godibile rock’n’roll strumentale Echoplex Blues e soprattutto That’s The Way It’s Got To Be, una canzone davvero ottima, una calda ballata melodicamente impeccabile ed impreziosita dalla slide di Les Dudek, altro pezzo che non mi spiego come possa essere rimasto nascosto fino ad oggi.

CD3. Si inizia con una bella e rilassata registrazione live (1990) del blues di Jimmy Reed I Wanna Be Loved, in cui il nostro duetta chitarristicamente con il leggendario Les Paul, solo due chitarre ed un basso ma godimento alle stelle. Gli inediti di questo terzo dischetto sono perlopiù versioni alternate, comunque decisamente interessanti, a partire da una Fly Like An Eagle dall’arrangiamento più funky rispetto all’originale e registrata due anni prima. Poi abbiamo un demo chitarra-basso-batteria di The Window (canzone splendida in ogni caso), due ottime e vitali prime versioni di Mercury Blues e Jet Airliner ed una fluida Swingtown. Finale in deciso crescendo con una sontuosa Take The Money And Run dal vivo nel 2016 al Lincoln Center di New York con Jimmie Vaughan come axeman aggiunto ed una sezione fiati, strepitosa rilettura ricca di swing, seguita dall’ultimo inedito assoluto del box, Bizzy’s Blue Tango, una scintillante rock song strumentale dal mood coivolgente che giustamente è stata tirata fuori dai cassetti (è del 2004). Il cofanetto si chiude in maniera particolare, e cioè con due versioni molto diverse del blues di T-Bone Walker Lollie Lou: la prima è una registrazione inedita del 1951 proprio dello stesso T-Bone (con un pianista ed un bassista non accreditati) e proprio a casa di Steve, di fronte al padre del nostro che era amico del grande bluesman, mentre la seconda è eseguita dalla SMB ancora nel 2016 a New York con Vaughan, adattamento jazzato e decisamente raffinato.

Il DVD (che non ho ancora visto) contiene diverse cose molto interessanti, a partire da un concerto del 1973 (Don Kirshner Rock Concert) di undici pezzi, seguito da due brani del 1990 con Les Paul e varie cose come la partecipazione della SMB al mitico Monterey Pop Festival del 1967, due canzoni al Fillmore West nel 1970, un pezzo del ’74 insieme a James Cotton, Abracadabra in Michigan nell’82 e due brani tratti dall’Austin City Limits del 2011.

Se quest’anno a Natale volete farvi fare un bel regalo, questo cofanetto potrebbe essere un’ottima idea.

Marco Verdi

Dopo Una Serie Di Ottimi Album Tra Jazz E Blues Van The Man Torna All’Amato Celtic Soul, E Colpisce Ancora! Van Morrison – Three Chords & The Truth

van morrison three chords & the truth

Van Morrison – Three Chords & The Truth – Exile/Caroline/Universal

Sono 55, dicasi cinquantacinque anni, che questo signore pubblica musica, e quasi mai, o molto raramente, non ha centrato l’obiettivo di regalarci appunto dell’ottima musica: ogni volta è difficile, ma non impossibile, esprimere l’ammirazione che suscita questo formidabile artista, uno dei più longevi e prolifici (il CD di cui stiamo per occuparci è il 41° album di studio della sua discografia, senza contare Live, antologie, cofanetti e ristampe varie), nonché, e diciamolo, tra i più costanti a livelli qualifativi che,se in alcune occasioni sfiora la creazione di capolavori assoluti (ognuno scelga i propri preferiti), spesso e volentieri, come per i quattro dischi che hanno preceduto Three Chords & The Truth, abitano nelle eccellenze della musica rock, e soul, e blues, e jazz, ogni tanto anche country e folk, per sfociare in quello stile che, in mancanza di migliori definizioni, chiameremo Van Morrison style, e che ingloba tutte le sfumature sonore che abbiamo appena ricordato per creare un canone personale. Ogni tanto però escono dei dischi, come questo nuovo ( e qualche anno fa lo splendido https://discoclub.myblog.it/2016/10/02/male-esordiente-irlandese-van-morrison-keep-me-singing/ ) che rinverdiscono il suo approccio più da balladeer, autore di canzoni tout court, da praticante del celtic soul, genere che in pratica ha inventato lui e che periodicamente rivisita con classe sopraffina, questo nuovo è anche superiore al disco del 2016, addirittura uno dei più belli di sempre del musicista di Belfast.

Senza comunque tralasciare di inserire gli altri elementi che lo stesso Van Morrison ama, in quanto a sua volta amante della musica di chi lo ha preceduto e che spesso “cita” nel proprio eloquio musicale, mutandoli a proprio piacimento grazie alla sua immensa cultura musicale e a quella voce incredibile che, nonostante lo scorrere inesorabile del tempo, non mostra il minimo segno di cedimento, rimanendo una delle più belle ed espressive in assoluto in circolazione. Con un titolo ispirato da un famoso detto di Harlan Howard che era riferito alla musica country, ma che il nostro amico amplia a tutta la buona musica, a cui spesso bastano appunto “tre accordi e la verità” per rendere le canzoni un bene inestimabile da fruire in profondità. Mi rendo conto che ancora una volta sto facendo il panegirico del rosso irlandese, ma quando ci vuole ci vuole, e anche per l’occasione mi “scappava” di dirlo, per cui passiamo ai particolari: copertina sobria, dopo quella con il pupazzo, a mio parere orribile, di The Prophet Speaks, che comunque non inficiava la qualità dei contenuti (nonostante fosse il quarto album in 18 mesi), accantonata la collaborazione con l’organista e trombettista Joey DeFrancesco, e per l’occasione spariscono anche i fiati, tra i protagonisti assoluti di quella serie di dischi,.Van impiega nel disco due chitarristi, all’acustica il rientrante Jay Berliner, utilizzato sia  nella versione originale di Astral Weeks come pure nella ripresa dal vivo alla Hollywood Bowl , di una decina di anni fa, e all’elettrica Dave Keary, anche al bouzouki, inoltre ci sono diversi bassisti che si alternano nelle diverse canzoni, Jeremy Brown, Pete Hurley e il grande David Hayes, sullo sgabello del batterista troviamo Bobby Ruggiero, presente nel disco dei duetti, e Colin Griffin, mentre alle tastiere, piano e organo, operano svariati musicisti, John Allair, Richard Dunn e Paul Moran all’organo, strumento che caratterizza molto il sound del disco, al piano Stuart McIlroy, oltre a Teena Lyle, impegnata anche saltuariamente a vibrafono e percussioni.

Una bella pattuglia di musicisti ai quali si aggiunge, come ospite, il leggendario Bill Medley (che i più giovani, si fa per dire, ricordano per I’ve Had The Time Of My Life, il duetto con Jennifer Warnes, presente nella colonna sonora di Dirty Dancing, ma prima era stato uno dei Righteous Brothers, quelli di You’ve Lost That Lovin’ Feelings e Unchained Melody) che duetta con Morrison in Fame Will Eat The Soul, una delle 14 canzoni che compongono Three Chords & The Truth, tutte scritte da Van, con l’aiuto di Don Black in If We Wait For Mountains, mentre la conclusiva Days Gone By re-immagina la melodia di Auld Lang Syne, inserita in una canzone composta dallo stesso Van The Man. In totale circa 70 minuti di ottima musica, con alcune punte di eccellenza, che ora andiamo a vedere: March Winds In February apre splendidamente, un brano degno delle cose migliori del Morrison anni ’70, organo scivolante, elettrica ed acustica che si rispondono fra loro, un ritmo ondeggiante della batteria e un giro di basso incisivo, sui quali Van improvvisa una delle sue classiche interpretazioni vocali, calde ed avvolgenti, come ai tempi d’oro https://www.youtube.com/watch?v=l-lQJ_8_JaE . Ottima anche la citata Fame Will Eat The Soul, un potente errebì, sempre con un marcato giro di basso a caratterizzarlo, Van e Medley si aizzano l’un altro in un call and response che ricorda quello di Summertime In England , con il vecchio Bill che con la sua voce baritonale ancora in grande spolvero non scherza un c. e quasi sovrasta Morrison, per la gioia dell’ascoltatore, altra grandissima canzone, con la band pimpante ed elegante a seguire le mosse dei due vecchi leoni; Dark Night Of The Soul (con l’anima ricorrente nel titolo) è una splendida ballata di quelle che solo l’irlandese sa realizzare, atmosfera serena e spirituale, quasi ipnotica, come quella delle canzoni più belle di Common OneHymns To The Silence, con piano e organo e le chitarre arrangiate splendidamente, con finale in crescendo, per creare ancora una volta una melodia senza tempo.

Dopo tre canzoni così è quasi fisiologico che la tensione si allenti leggermente, ma comunque la jazzata e brillante In Search Of Grace, condotta da un organo “borbottante” e dall’acustica arpeggiata di Berliner, è sempre estremamente godibile, mentre la spiritata Nobody In Charge ricorda per certi versi le atmosfere swinganti di Moondance (l’album), con tanto di doppio assolo di sax vecchio stile di Van Morrison. You Don’t Understand è una delle canzoni più lunghe, oltre i sei minuti; dall’impianto jazz-blues, notturna e complessa, con organo e contrabbasso a contraddistinguerla, come pure un lavoro di fino della batteria, e il nostro che la canta con grande pathos e precisione nell’emissione vocale impeccabile del cantante irlandese, che si conferma interprete di categoria superiore, e c’è pure quella che mi sembra una citazione ripetuta del giro armonico di Ballad Of A Thin Man di Bob Dylan. Read Between The Lines, con organo e il vibrafono della Lyle in bella evidenza, ha un tocco latino e disimpegnato, quasi allegro, comunque molto coinvolgente e piacevole, con Does Love Conquer All? che ci fa rituffare di nuovo nelle classiche atmosfere Celtic Soul tipiche del nostro, non un brano forse memorabile per i suoi standard ma cionondimeno sempre soave e squisito, anche nella incantevole parte strumentale.Altro discorso per Early Days, un vorticoso e travolgente tuffo nell’era del R&R tanto amata dall’irlandese, tra boogie e rockabilly come se gli anni ’50 non fossero mai passati; grazie a piano boogie woogie e sax che spalleggiano alla grande Morrison. If We Wait For Mountains, con il testo scritto dal celebre (in Inghilterra) librettista di musical e colonne sonore Don Black, con i suoi meno di tre minuti è una romantica e tenera ballatona a tempo di valzer, piacevole e di nuovo senza tempo.

Up On Broadway, di nuovo oltre i sei minuti, è un’altra ballata splendida estratta dal songbook migliore di Morrison, con un breve intervento delizioso dell’elettrica di Keary e poi dell’organo, mentre Van canta in tono quasi discorsivo e incanta l’ascoltatore per la facilità del suo cantato, che quasi ti avvolge in una nuvola di grande piacere e serenità. La title track Three Chords & The Truth è un altro brillante esempio di R&B “according to Van Morrison”, con chitarre, organo, piano e percussioni a dettare le linea melodica, mentre il nostro la canta in assoluta souplesse con la sua voce meravigliosa; in Bags Under My Eyes, una delicata canzone tra folk e country, con steel guitar e armonica, il nostro amico riflette sul passare del tempo e sulle fatiche del dover comunque continuare ad andare in giro in tournée per far tornare i conti “Well the road just lets me down/ Got to get off this merry-go-round … but I’m still out here on the go..when am I gonna get wise?”, visto che come ha detto in alcune sue considerazioni gli anni passano ma bisogna comunque guadagnarsi la pagnotta, anche se credo che comunque Morrison ami ancora molto esibirsi in pubblico ed è quasi compulsivo nel pubblicare un notevole quantitativo di materiale nuovo, che continua a sfornare senza sforzo apparente, con eccellenti risultati, come ribadisce anche la splendida Days Gone By che conclude in gloria questo album, un’altra tipica composizione del canone morrisoniano che partendo dalla melodia di Auld Lang Syne la reinventa completamente in un’altra lunga canzone, tra le più belle della sua produzione recente, con un pizzico di malinconia ma anche quella gioia tipica delle canzoni più ottimiste dell’irlandese: eccellente ancora una volta il lavoro della band, dal basso “danzante”, alla chitarra arpeggiata di Berliner, all’organo, insomma un’altra piccola meraviglia, cantata splendidamente una volta di più..

Lunga vita al grande Van.

Bruno Conti

Il “Ritorno” Di Una Delle Vecchie Leggende Della Chitarra. Jan Akkerman – Close Beauty

jan akkerman close beauty

Jan Akkerman – Close Beauty – Music Theories Recordings / Mascot Label Group                       

Ammetto che era da moltissimi anni che non seguivo più attentamente le vicende musicali di Jan Akkerman: mi capitava saltuariamente di leggere in modo distratto che era uscito un nuovo album del chitarrista olandese (e comunque dal 2011 non ne usciva uno, a parte live, antologie o cofanetti). Più che altro ho seguito le vicende della band che è legata alla vicenda musicale di Akkerman, ovvero i Focus, una delle migliori band prog rock dei primi anni ’70, soprattutto per i due ottimi album II (noto anche come Moving Waves) e Focus III, entrambi prodotti da Mike Vernon, e dominati dalle tastiere e dal flauto di Thijs van Leer, ma soprattutto dalla chitarra fenomenale di Jan Akkerman, che in virtù di ciò venne eletto nel referendum dei lettori del Melody Maker miglior chitarrista del mondo nel 1973, battendo Eric Clapton e Jimmy Page.

Comunque già  nel1976 Jan venne cacciato dai Focus, che poi hanno avuto varie reunion, sempre senza la presenza del chitarrista. Il nostro amico già dal 1972 aveva iniziato pure una carriera solista, il cui secondo album Tabernakel lo vedeva impegnato al liuto (!!), ma accompagnato da Bogert e Appice, uno strano connubio tra classica, rock, blues e jazz/fusion che è sempre stata la cifra stilistica della sua carriera,  e che viene ribadita dall’uscita di questo Close Beauty, che però uscendo per la olandese Mascot/Provogue, che sta facendo incetta di chitarristi in giro per il mondo da mettere sotto contratto, avrà comunque una rilevanza ben maggiore rispetto alle uscite delle decadi precedenti. Vi dico tutto ciò anche perché ho scritto questa recensione molto prima dell’uscita prevista per il 25 ottobre e non avendo molte informazioni mi sono arrabattato con quel poco che avevo: naturalmente si tratta di un album strumentale, come sempre per Akkerman, accompagnato da  Marijn van den Berg (batteria), David de Marez Oyens (basso) e Coen Molenaar (tastiere), che ha anche prodotto l’album.

Lo stile è la consueta miscela di rock sinfonico, progressive, molto jazz-rock e fusion, con la proverbiale abilità tecnica e virtuosistica del 72enne musicista olandese che di recente è stato anche nominato dalla regina Cavaliere dell’Ordine di Orange-Nassau. Chi ricorda il vecchio sound dei Focus non si può magari aspettare la violenza rock della celeberrima Hocus Pocus, ma i passaggi simil pastorali di Sylvia, Answers? Questions! Questions? Answers!e Eruption sono sempre presenti nel suono attuale di Akkerman, che attinge però maggiormente da stilemi jazz-rock e fusion rispetto al passato, e quindi potrebbe rimandare a musicisti come Steve Morse, Eric Johnson, Allan Holdsworth, Ollie Halsall dei Patto, il tutto, come detto, esclusivamente in modalità strumentale: dodici brani che spaziano da Spiritual Privacy, tra flamenco, new age raffinata, world music e jazz-rock, un po’ alla Al Di Meola, con Jan impegnato alla chitarra acustica, passando per Beyond The Horizon, classico rock progressivo dove la Gibson del musicista orange è ancora in grado di emozionare gli appassionati del genere, con il suo timbro elegante e la grande tecnica individuale rimasta inalterata negli anni, insomma il signore suona ancora alla grande.

Reunion è più scontata, elettroacustica ma poco significativa, mentre Close Beauty è una delle sue classiche melodie piacevoli e cantabili, con Retrospection che è il brano, anche grazie al vibrato inconfondibile, che più ricorda i vecchi brani dei Focus, con improvvise aperture sonore. Passagaglia (con la g, ma per favore!), per sola chitarra elettrica è un po’ narcotica, mentre la lunga Tommy’s Anniversary è un ottimo esempio di vibrante jazz-rock con la chitarra scintillante in bella evidenza, Meanwhile In St. Tropez, solare e vagamente latineggiante si potrebbe accostare agli strumentali più orecchiabili di Santana, French Pride è un funkettino anonimo e la conclusiva e sinuosa Good Body Every Evening ci permette di gustare ancora una volta la sua tecnica sopraffina.

Bruno Conti

Una Ristampa Apprezzata Nonché “Riparatrice”. Ry Cooder – The Border Soundtrack

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Ry Cooder – The Border Soundtrack – BGO/Universal CD

Quando nel 2014 la Rhino fece uscire Soundtracks, un box di 7 CD che comprendeva altrettante colonne sonore tra le più famose ed ormai fuori catalogo ad opera di Ry Cooder (uno specialista del genere, oltre ad essere il grande musicista e ricercatore che conosciamo), avevo avuto un moto di disappunto per l’assenza di The Border, album di musiche a commento di un film del 1982 del regista britannico Tony Richardson con Jack Nicholson e Harvey Keitel (Frontiera nel nostro paese). Nel box erano comprese alcune tra le soundtracks più belle ed amate dell’artista californiano come The Long Riders, Paris Texas, Alamo Bay e Crossroads, ma anche un paio di episodi di difficile digeribilità come Johnny Handsome e soprattutto Trespass, due album con musiche strettamente connesse alle immagini dei rispettivi film e di non facile ascolto: a maggior ragione l’assenza di The Border gridava vendetta, in quanto stiamo parlando forse della miglior colonna sonora di Cooder, e quella più vicina in assoluto ad un suo normale album di canzoni (qualche anno fa era uscita su CD per la Raven australiana in coppia con Alamo Bay, ma anche questa è irreperibile da tempo).

Oggi la BGO ristampa finalmente The Border con tutti i crismi del caso, rimasterizzando il suono a dovere ed accludendo un corposo libretto con note scritte ex novo: e l’album si conferma splendido, tra le cose migliori della discografia di Cooder (meglio anche del suo album “rock” dello stesso anno, The Slide Area), sicuramente la sua soundtrack più bella insieme a Paris Texas, Alamo Bay e Crossroads. Un album dove, tra brani strumentali e cantati, il nostro mescola musica rock, folk, country e tex-mex con l’aiuto della sua inimitabile slide guitar (ma anche dell’acustica) e di una super band che comprende John Hiatt alla voce e chitarra ritmica (John all’epoca non era ancora popolare come sarebbe diventato da Bring The Family in poi), Jim Dickinson al piano, Flaco Jimenez naturalmente alla fisarmonica, Domingo Samudio (proprio il Sam “The Sham” di Wooly Bully) all’organo, Tim Drummond al basso, Jim Keltner alla batteria e Ras Baboo alle percussioni, oltre alle voci in background dei soliti noti Bobby King e Willie Green Jr., nonché dell’ex moglie di Samudio Brenda Patterson.

The Border è famoso innanzitutto per la presenza della straordinaria Across The Borderline, stupenda e toccante ballata in bilico tra Texas e Messico affidata alla voce vellutata di Freddy Fender, brano scritto da Cooder con Hiatt e Dickinson che è per il sottoscritto tra le più belle canzoni degli anni ottanta, e che perfino uno come Bob Dylan riprenderà più volte dal vivo negli anni a seguire. Altri due sono i brani scritti insieme dai tre musicisti, affidati entrambi alla voce di Hiatt: Too Late, una rock ballad intensa e melodicamente impeccabile con Ry e Jim che lavorano sullo sfondo con slide e piano (una sorta di anticipo di Bring The Family con Dickinson al posto di Nick Lowe, dato che c’è anche Keltner), e la potente Skin Game, un pezzo elettrico dalla ritmica nervosa ed uno stile vagamente blues, ancora con Ry che fa scorrere con maestria le dita sul manico della sua chitarra https://www.youtube.com/watch?v=mTx860Viz_E . C’è spazio anche per sentire la voce di Dickinson nella trascinante Texas Bop, un boogie dal ritmo acceso con grande senso dello swing ed un arrangiamento elettrico dominato ancora da chitarra e piano; Samudio si prende il centro della scena con due brani di alto livello: la bellissima Palomita, gioioso tex-mex dal gran ritmo e con la splendida fisa di Flaco in evidenza, e No Quiero, un limpido e struggente bolero che ci porta idealmente a Veracruz.

Anche la Patterson ha un pezzo tutto per lei, cioè Building Fires una country ballad dal motivo diretto (scritta da Dickinson con Dan Penn) ed ancora Ry a ricamare con classe in sottofondo. Cooder non canta nel disco, ma i restanti pezzi (tutti strumentali quindi) hanno lui come protagonista assoluto: a parte l’inquietante Earthquake, che apre l’album con sonorità quasi ambient, abbiamo la struggente e folkie Maria, per chitarra acustica e fisa, l’elettrica Highway 23, con la slide che domina in mezzo ad un background di percussioni, la delicata Rio Grande, in cui Ry riprende il tema di Across The Borderline per sola chitarra acustica, il breve frammento rock di El Scorcho ed il finale con la tenue Nino, pura e cristallina e di nuovo con solo Cooder e Flaco. The Border si conferma anche a 37 anni di distanza un ottimo disco, adattissimo anche ad un ascolto “slegato” alle immagini del film corrispondente.

Marco Verdi

Tra R&B, Funky E Blues (Poco A Dire Il Vero), Comunque Gradevole. Arthur Adams – Here To Make You Feel Good

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Arthur Adams – Here To Make You Feel Good – Cleopatra Blues

Ecco di nuovo I miei “amici” della Cleopatra, che ora  hanno anche una etichetta che si occupa in modo specifico di blues, molto in senso lato:  in particolare già nel 2017 avevano pubblicato un doppio CD dedicato a Arthur Adams, Look What The Blues Has Done For Me, che conteneva un album nuovo e un dischetto di materiale d’archivio registrato negli anni ’70. Adams, nato a Medon, Tennessee il giorno di Natale del 1943, è una sorta di piccola legenda (anche se è un mezzo ossimoro passatemelo) del blues: come sideman incideva già dagli anni sessanta, con Lowell Fulson, Sam Cooke, Quincy Jones, i Crusaders, poi con James Brown, ma anche James Taylor, Nina Simone, Bonnie Raitt, persino Jerry Garcia, nonché B.B. King. Insomma un curriculum di tutto rispetto: negli anni ’70 inizia a pubblicare alcuni album solisti a nome proprio (prima erano solo singoli, tra gospel, R&B, blues e deep soul) più orientati verso funky e disco.

Adams è principalmente un chitarrista, ma è in possesso comunque di una voce duttile e piacevole in grado di adeguarsi ai vari stili che frequenta: diciamo che il suo blues è molto contaminato e “leggerino”, per quanto decisamente gradevole, grazie anche ai musicisti  eccellenti che lo accompagnano,  Reggie McBride (alternato a Freddie Washington) al basso, il grande James Gadson alla batteria, Hense Powell alle tastiere e Ronnie Laws al sax, più una sezione fiati guidata da Lee Thornberg in tre brani. Nonostante il pedigree importante e i musicisti citati non aspettatevi chissà che da questo Here To Make You Feel Good, se non il tentativo di realizzare quanto dichiarato nel titolo del disco; Tear The House Down, con basso slappato e batteria e percussioni in evidenza, è un super funky molto anni ’70, se amate il genere, con  le belle linee della chitarra e il sax a dividersi gli spazi, molto Isley Brothers o Funkadelic. Full Of Fire è un brano tra rock solare e derive errebì, sempre godibile anche per il ritmo e la melodia sixties, una sorta di Sam Cooke per gli anni 2000, anche se la classe è ben altra https://www.youtube.com/watch?v=ek7LMqQkvJ4 ; mentre Sweet Spot, cantata a tratti in leggero falsetto, è  ancora un soul leggerino tra Cooke e George Benson di nuovo “aggiornati” ai tempi moderni, apprezzabile soprattutto per il lavoro raffinato della chitarra https://www.youtube.com/watch?v=WuT62AA4Q_8 .

Stesso discorso per Pretty Lady, sempre molto radio-friendly, con la successiva Forgive Me, una ballatona con fiati, vagamente alla Marvin Gaye https://www.youtube.com/watch?v=1qw5ztzLSCs , e così si va avanti più o meno per tutto il disco. E il blues direte voi? Magari la prossima volta: no, per essere onesti, nel finale del CD, c’è prima  un bello slow Be Myself, un po’ alla Robert Cray, dove si apprezza l’ottima tecnica di Adams https://www.youtube.com/watch?v=-4SDgKpMeKQ , e poi un altro pezzo più mosso e carnale come la title track Here To To Make You Feel Good, che è un buon contemporary blues, e pure la conclusiva strumentale Little Dab’ll Do Ya profuma di 12 battute classiche, non so se basti per dire che siamo di fronte ad un disco blues, ma con la Cleopatra di mezzo dobbiamo aspettarci di tutto. File under 70’s funky blues.

Bruno Conti

Dopo Un Lungo Silenzio E’ Tornato, Ancora Ad Ottimi Livelli! Chris Knight – Almost Daylight

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Chris Knight – Almost Daylight – Drifter’s Church/Thirty Tigers CD

Negli ultimi anni si è parlato molto poco, per non dire per nulla, di Chris Knight, cantautore del Kentucky con ormai più di vent’anni di carriera sulle spalle. Nel corso di due decadi Chris non ha inciso moltissimo, appena sei album più due CD di demo registrati prima dell’esordio (i due volumi di Trailer), ma l’essersi potuto prendere le sue pause ed avere pubblicato album solo quando si sentiva pronto ha fatto sì che non ci sia un solo episodio sottotono nella sua discografia. Songwriter classico tra country e rock, Knight è sempre stato una sicurezza in ambito Americana, e lavori come The Jealous Kind, Enough Rope e Heart Of Stone (ma anche il suo debutto Chris Knight del 1998) sono sempre stati considerati tra i migliori nel loro genere nei vari anni di uscita. Con il bellissimo Little Victories del 2012 sembrava che Chris avesse prodotto l’album della maturità e che fosse pronto per il grande salto, ma poi il silenzio improvviso per sette lunghi anni lo aveva fatto un po’ sparire dai radar https://discoclub.myblog.it/2012/09/14/ecco-un-altro-che-non-sbaglia-un-colpo-chris-knight-little-v/ .

Ora però Chris è tornato con Almost Daylight, e se qualcuno poteva pensare ad un artista arrugginito basta sentire le prime due-tre canzoni per accorgersi che non è affatto così. Knight se possibile ci ha consegnato un lavoro anche superiore a Little Victories, un album pieno di brani intensi e profondi e con un suono decisamente rock: in sette anni il mondo è cambiato tantissimo e non certo in meglio, e questo si riflette sia nei testi dei nove brani nuovi inclusi nel CD (più due cover), non certo sprizzanti ottimismo, sia nelle performance taglienti ed inquiete che il nostro rilascia. L’album è prodotto da Ray Kennedy (partner per anni di Steve Earle, e già questo ci fa capire la statura raggiunta da Chris), e vede il leader accompagnato da una band molto compatta guidata dall’ex Georgia Satellites Dan Baird, che con la sua splendida chitarra orienta parecchio il suono verso lidi decisamente rock, e completata dalla nota violinista Tammy Rogers, dall’altro chitarrista nonché polistrumentista Chris Clark, dall’organo di Jim Hoke e dalla granitica sezione ritmica di Lex Price (basso) e Lynn Williams (batteria). I brani originali sono scritti tutti da Knight, da solo o con altri collaboratori (tra cui Baird stesso ed il noto songwriter di Nashville Gary Nicholson), ed il country degli inizi è quasi sparito a favore di un suono potente e vigoroso, come nel brano di apertura I’m William Callahan, pezzo chitarristico con il passo della ballata ma con una tensione elettrica da vero rocker, voce arrochita e sezione ritmica tostissima.

Anche Crooked Mile prosegue sulla stessa linea, una rock ballad solida e vibrante contraddistinta da un’atmosfera drammatica e dall’ottima prestazione di Baird (una costante del disco), che tra riff ed assoli accompagna alla perfezione la voce vissuta del nostro. In I Won’t Look Back il ritmo ed il mood chitarristico si fanno ancora più pressanti, Chris canta in maniera tesa ed il brano scorre via diretto, con il tutto appena stemperato dall’armonica: questo è puro rock, di quello coi controfiocchi. Go On è più acustica, compaiono anche mandolino e fisarmonica, ed il brano si rivela essere un country-rock cadenzato e dal piacevole ritornello, in cui comunque la chitarra di Baird non si tira di certo indietro; The Damn Truth è ancora rock al 100%, altro pezzo elettrico dal motivo fluido e scorrevole, sempre però con una tensione di fondo che contraddistingue tutto il lavoro (ma il refrain è di quelli che lasciano il segno), mentre Send It On Down, che vede la seconda voce di Lee Ann Womack, è uno slow profondamente evocativo con un organo hammond a dare più calore ed il solito splendido intervento di Dan.

La title track è una ballata bellissima e toccante, con una melodia di prima qualità e la voce di Chris finalmente più distesa: tra le più belle del CD; Trouble Up Ahead è un notevole rockin’ country, elettrico e trascinante, dal ritmo sostenuto e con un ottimo interplay tra banjo e chitarra, a differenza di Everybody’s Lonely Now che è un altro lento dalla scrittura ludica e con la consueta performance degna di nota dei musicisti coinvolti. Finale con le due cover alle quali accennavo prima, e se Flesh And Blood di Johnny Cash era già apparsa in Dressed In Black, tributo del 2002 della Dualtone all’Uomo in Nero (non è rifatta, è proprio la stessa take, e non capisco perché sia stata riproposta 17 anni dopo, anche se è un piacere risentirla), Mexican Home, brano del 1973 di John Prine, è nuova di zecca e vede il nostro duettare proprio con John, in una rilettura tosta, potente e decisamente più elettrica dell’originale, quasi bluesata per certi versi. Sono contento che Chris Knight abbia ancora voglia di fare musica e la capacità di farlo con questa qualità: speriamo solo in una pausa più breve prima del prossimo disco.

Marco Verdi

Sia Pure “In Ritardo”, Ma Non Poteva Mancare Un Suo Nuovo Album Nel 2019! Joe Bonamassa – Live At The Sydney Opera House

joe bonamassa live at sydney opera house

Joe Bonamassa – Live At The Sydney Opera HouseMascot/Provogue

Immagino che tutti, come me, foste in trepida attesa di notizie di Joe Bonamassa: scherzo, ma non troppo, stiamo arrivando alla fine del 2019 ed il chitarrista newyorchese al momento non aveva ancora annunciato nessuna pubblicazione discografica per l’anno in corso, dopo che nel 2018, il linea con la sua cospicua discografia, erano usciti ben tre album, l’ultimo Redemption, pubblicato a ottobre https://discoclub.myblog.it/2018/09/17/ormai-e-una-garanzia-prolifico-ma-sempre-valido-ha-fatto-tredici-joe-bonamassa-redemption/ . Persino la sua casa discografica, nell’annunciare il nuovo disco di Joe (perché sta per uscire, ebbene sì, il prossimo 25 ottobre), ci ha scherzato sopra: anche se si tratta di una uscita “strana”, un disco dal vivo, e fin lì niente di inusuale, però registrato ben tre anni fa, nel settembre del 2016, quindi nel tour di Blues Of Desperation, pochi mesi prima del concerto londinese per British Blues Explosion Live. E la cosa più strana è che non si tratta del concerto completo alla Sydney Opera House del 30 settembre del 2016, non ne esistono versioni Deluxe (se non consideriamo il vinile che ha un brano in più) e neppure edizioni in DVD, anche se cercando in rete risulta sia stato filmato.

Peccato perché la location è suggestiva, si tratta di una sala da concerto eletta dall’UNESCO tra i patrimoni dell’umanità, dove spesso si svolgono concerti epocali per la musica down under: ho investigato ulteriormente e ho visto che oltre a Livin’ Easy, che è la bonus del doppio vinile, Bonamassa nella parte finale del concerto, non documentata nel CD, ha eseguito una serie di cover rare e sfiziose, Little Girl di John Mayall, Angel Of Mercy di Albert King, If I’m in Luck I Might Get Picked Up, una cover di Betty Davis cantata da Mahalia Barnes, Boogie Woogie Woman di B.B. King, How Many More Times dei Led Zappelin e Hummingbrid di Leon Russell. Sarebbe stato un concerto sontuoso, così è “solo” un bel concerto, perché comunque dal vivo il nostro è sempre una vera forza della natura, ed è accompagnato dalla sue eccellente band, con Reese Wynans alle tastiere, Michael Rhodes  la basso, Anton Fig alla batteria, le sezione fiati con Paulie Cerra e Lee Thornburg, e i vocalist di supporto Juanita Tippins, Gary Pinto e la citata Barnes.

Nove brani con una durata media tra i sette e gli otto minuti, oltre a Love Ain’t A Love Song che supera i dieci, quindi ampio spazio per l’improvvisazione e per le scorribande chitarristiche di un Bonamassa in grande serata, che comunque difficilmente, se non mai, dal vivo delude: sono ben sette brani (più la bonus track) gli estratti da Blues Of Desperation, più il lungo brano ricordato, che viene da Different Shade Of Blue, ed una bellissima cover di Florida Mainiline da 461 Ocean Boulevard di Eric Clapton, fiatistica e gagliarda, dal periodo rock’n’soul di Manolenta, con grande assolo di Wynans all’organo e uno fantastico lunghissimo e fluido di un Joe straripante, degno epigono claptoniano. Per il resto l’iniziale This Train cita nel prologo strumentale Locomotive Breath dei Jethro Tull, poi la band inizia a macinare musica alla grande e il nostro rilascia un altro assolo formidabile, Mountain Of Climbing, anche se non ha la doppia batteria della versione in studio, è comunque rocciosa e riffata, molto alla Led Zeppelin, anche Drive ha questo afflato zeppeliniano, inizio lento e guardingo, poi un crescendo tipo Houses Of The Holy, ma con i fiati e le tastiere quasi jazzate e liquide, prima del solito solo tiratissimo.

La citata  Love Ain’t A Love Song è il tour de force del concerto, una esplosione di energia e forza dirompente, con le coriste impegnatissime come pure i fiati sincopati e il piano elettrico, fino ad un assolo che parte lento e poi prende energia nella parte finale, How Deep This River Runs, più lenta e scandita è un’altra piece de resistance con la chitarra che imperversa. Della cover di Clapton abbiamo detto, The Valley Runs Low con Joe al bottleneck è una bella soul ballad malinconica ed avvolgente, con Blues Of Desperation siamo di nuovo dalle parti degli Zeppelin, direi periodo Kashmir, anche se l’uso dei fiati lo diversifica da quel sound, benché l’assolo, ancora con uso slide, è molto Jimmy Page. A chiudere un altro ottimo disco dal vivo No Place For Lonely, una lirica hard blues ballad che rende omaggio allo stile di Gary Moore, con un assolo finale da urlo.

Bruno Conti

Tra Los Angeles Ed Il Messico Il Natale Arriva Prima! Los Lobos – Llegò Navidad

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Los Lobos – Llegò Navidad – Rhino/Warner CD

Quest’anno nei listini delle uscite discografiche da Ottobre a Dicembre ho constatato un’assenza di dischi a tema natalizio particolarmente interessanti, con l’unica eccezione di Llegò Navidad, prima escursione nella musica stagionale dei losangeleni Los Lobos. Tranne rare eccezioni, gli album di Natale occupano una posizione di secondo piano nelle discografie dei vari artisti, in quanto legati a doppio filo all’atmosfera della festività, ma nel caso dei Lupi di East L.A. (che erano fermi a Gates Of Gold del 2015 https://discoclub.myblog.it/2015/10/20/signori-fanno-disco-brutto-neanche-sbaglio-los-lobos-gates-of-gold/ ) abbiamo tra le mani un lavoro che può essere ascoltato benissimo anche nei mesi estivi. Sì, perché Llegò Navidad è un disco che di natalizio ha solo i testi delle canzoni, dato che il contenuto musicale è un vero tripudio di suoni e colori di matrice latina: infatti i nostri hanno fatto un disco che si avvicina molto a La Pistola Y El Corazon, il famoso album che pubblicarono nel 1988 e che ancora oggi è uno dei più amati dai fans. Dodici brani, di cui solo uno originale ed altri presi dalla tradizione messicana, ma anche diversi pezzi contemporanei con provenienza sudamericana. Un disco latino a tutti gli effetti, non solo messicano come era La Pistola Y El Corazon, e come ulteriore differenza abbiamo la presenza anche di due canzoni in inglese.

Ma soprattutto il fatto che Llegò Navidad è un album che si può definire folk-rock, in quanto a fianco a strumenti della tradizione come fisarmonica, guitarron, vihuela e bajo sexto troviamo anche chitarre elettriche, harmonium, organo e batteria: i Lupi sono da sempre nella stessa formazione (David Hidalgo, Louie Perez, Cesar Rosas, Conrad Lozano e Steve Berlin, quest’ultimo, ex Blasters, con loro dalla metà degli anni ottanta), ed in questo album troviamo anche qualche ospite come Jason Lozano (figlio di Conrad) alla batteria, Marco Reyes e Alfredo Ortiz alle percussioni e Josh Baca dei Los Texmaniacs alla fisarmonica. Llegò Navidad è dunque un album che si può ascoltare in tutte le stagioni dell’anno, ed è tra le sorprese più belle di questa parte del 2019, sia per la varietà di stili e suoni (mentre il pur splendido La Pistola Y El Corazon era, come ho già scritto, più monotematico), sia per l’allegria che infonde durante l’ascolto, ma soprattutto per la straordinaria abilità dei nostri nel suonare qualsiasi strumento passi loro davanti. L’avvio è subito notevole con La Rama, un son jarocho (musica originaria della regione di Veracruz, in Messico) suonato in maniera tradizionale al massimo, con il requinto jarocho (una chitarra tipica del luogo di cui sopra) di David a guidare la splendida melodia corale, che trasmette gioia sin dalle prime note, e con Rosas che si prende la scena come voce solista: grande inizio. Reluciente Sol è una salsa resa celebre da El Gran Combo De Puerto Rico, e porta ancora più suoni e colori della precedente, con Perez in una delle sue rare performance alle lead vocals, Berlin al sax mentre Hidalgo suona la “hidalguera”, una chitarra fatta su misura per lui: brano delizioso.

It’s Christmas Time In Texas è uno dei due pezzi in inglese (scritto da Freddy Fender) ed è un tex-mex strepitoso, con la fisa di Baca in primo piano e la sezione ritmica che non perde un colpo: se ci fosse stato anche Ry Cooder era una canzone da cinque stelle. La malinconica Amarga Navidad, un brano di José Alfredo Jimenez, vede Rosas al canto ben supportato dai compagni, che sembrano una congrega di messicani duri e puri; con Arbolito De Navidad ci spostiamo in Colombia, per una fantastica cumbia dal ritmo contagioso, in cui compare la chitarra elettrica di Rosas che doppia in maniera irresistibile la voce di Hidalgo: una meraviglia. Donde Està Santa Claus è una canzone resa popolare nel 1958 dal dodicenne Augie Rios, ed i nostri la arrangiano in puro stile latin-rock, in cui la chitarra elettrica stavolta è di Hidalgo anche se il vero mattatore è Berlin, che suona sax, vibrafono ed un inconfondibile organo Vox Continental, mentre con la title track sembra di andare a Cuba, con il ritmo cadenzato e “caliente” tipico dell’isola castrista, e la melodia fluida e distesa che fa il resto: bello l’intermezzo verso la fine del brano, quando la chitarra elettrica si affianca alla strumentazione tradizionale. Las Mananitas (un pezzo della tradizione messicana che solitamente si canta ai compleanni, ma sempre di “fiesta” si parla) è un godibilissimo lento a tempo di valzer, e quindi si sente anche un po’ di Texas.

La Murga, una salsa resa celebre nel 1971 dal duo Willie Colon & Hector Lavoe, ha un ritmo coinvolgente ed una melodia profondamente tradizionale, ennesimo brano pieno di colore che di natalizio ha poco (ma sentite come suonano i Lupi); è la volta dell’unica canzone nuova, Christmas And You (scritta da Hidalgo e Perez), che è anche la sola a non avere nulla di comparabile al resto del disco, essendo una ballatona romantica tipica in stile anni cinquanta, con strumentazione rock ed un motivo decisamente evocativo. Il CD si chiude con la squisita Regalo De Reyes, un bolero dalla melodia toccante, e con la popolarissima Feliz Navidad, un classico stagionale scritto da José Feliciano, uno dei brani natalizi più famosi che qui assume i toni di un’allegra “cancion mixteca” resa ancora più trascinante dal canto corale.I Los Lobos sono finalmente tornati, ed in grande forma: se prevedete di trascorrere le feste natalizie in qualche località esotica, meglio se centro-sud americana, non dimenticate di mettere la vostra copia di Llegò Navidad in valigia.

Marco Verdi