Correva L’Anno 1968 6. La Ristampa (Speriamo) Definitiva Di Un Piccolo Capolavoro. Small Faces – Ogdens’ Nut Gone Flake 50th Anniversary

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Small Faces – Ogdens’ Nut Gone Flake 50th Anniversary – Sanctuary/Bmg 3CD/DVD – 3LP Box Set

Gli Small Faces sono sempre stati considerati un gruppo “di nicchia” o per intenditori, e quando si citano i gruppi inglesi fondamentali degli anni sessanta raramente viene fatto il loro nome, ma nella loro breve vita (quattro album) hanno prodotto sicuramente parecchia grande musica, sia per quanto riguarda gli esordi beat-pop-errebi bianco con la Decca, sia con i due album per la Immediate, più vicini al rock con derive psichedeliche in voga nella seconda metà della decade. E poi, solo per il fatto che dalle loro ceneri siano nate altre due grandi band (il leader Steve Marriott formerà infatti gli Humble Pie insieme al futuro million seller Peter Frampton, mentre gli altri tre, Ronnie Lane, Ian McLagan e Kenney Jones, si uniranno con Rod Stewart e Ronnie Wood, perderanno lo “Small” nel moniker e daranno vita ad una delle band rock più influenti dei seventies, chiedere per informazioni ai Black Crowes), è giusto trattarli con il dovuto rispetto. Il quartetto ha avuto in anni recenti una sorta di ritorno di attenzione da parte del mondo discografico, con ben due box (The Decca Years, riferito al primo periodo, ed il bellissimo Here Come The Nice, che prendeva in esame il triennio con la Immediate), ed oggi mi trovo ad esaminare un altro cofanetto dedicato al gruppo, cioè l’edizione super deluxe di Ogdens’ Nut Gone Flake, il loro ultimo album (a parte la doppia reunion senza Lane degli anni settanta), ed anche il più bello e famoso, merito anche della iconica copertina che parodiava una nota marca di tabacco.

Questo album, va detto, è uno dei dischi più ristampati degli ultimi anni, e se già possedete la riedizione del 2012 potete anche soprassedere, dato che il nuovo box non offre nulla di nuovo dal punto di vista della parte audio (anche le bonus tracks sono le stesse), mentre aggiunge un interessantissimo DVD (assente però nella versione in vinile). Se però, come il sottoscritto, possedete solo l’album originale ed attendevate la ristampa “definitiva” (che è quindi puntualmente arrivata), direi che l’acquisto di questo manufatto è quasi d’obbligo, considerata la splendida confezione a libro (nel quale sono riportate esaurienti note sui brani, la storia del disco e diverse foto rare) e la spettacolare rimasterizzazione approntata ex novo (ormai è tardi, ma le prime copie del cofanetto erano autografate dal batterista Kenney Jones, unico membro ancora in vita del gruppo pur non essendo più in attività da tempo). Copertina dell’album a parte, Ogdens’ Nut Gone Flake era e rimane un grande album, un fulgido esempio di rock dei tardi anni sessanta, con copiose iniezioni di psichedelia: una musica molto diversa da quella dei primi anni del quartetto, ma non certo meno incisiva, e che risulta bella e stimolante ancora oggi, a partire dallo strumentale che dà il titolo al disco, una canzone tra rock e psichedelia decisamente potente e creativa, quasi una sorta di jam in studio.

Il suono potente continua anche con la maestosa Afterglow, un grande pezzo rock dove tutto gira al massimo, dalla voce tonante di Marriott, all’impasto di chitarre ed organo, fino alla sezione ritmica formato macigno (Jones era un batterista formidabile), un brano degno degli Who. La scorrevole Long Ago’s And Worlds Apart, con organo a tappeto e voce sospesa, è scritta e cantata da McLagan, la saltellante Rene è una deliziosa pop song con una melodia corale quasi da musical, ed è contraddistinta da un limpido pianoforte e da una coda strumentale decisamente psichedelica, mentre Song Of A Baker, spettacolare rock song elettrica e vigorosa, è la prima di due canzoni con Lane alla voce solista, ed è caratterizzata da una grande chitarra (e la rimasterizzazione ha fatto miracoli). Lazy Sunday era il singolo portante dell’album, ed è un orecchiabile pezzo dal sapore pop, un’altra delizia, suonata sempre alla grande, Happiness Stan (che dava il via originariamente al lato B dell’LP, una sorta di concept che raccontava la storia un po’ magica del personaggio il cui nome dava il titolo al brano) è un’accattivante canzone che parte come un pezzo folk, poi si elettrifica e, dopo un intermezzo narrato, confluisce nella potente e grintosa Rollin’ Over. The Hungry Intruder è sognante e melodica, e sta giusto a metà tra folk e psichedelia, mentre The Journey (il secondo brano cantato da Lane) è un’altra complessa rock song, piena di idee.

L’album termina con la suggestiva Mad John, una rock ballad elettroacustica dall’ottimo pathos, e con la corale ed immediata HappyDaysToyTown, ancora puro pop smaccatamente “british”. Il box ci presenta sui primi due CD le versioni rispettivamente mono e stereo del disco originale (preferisco la seconda, ma io non faccio testo in quanto non sono mai stato un estimatore delle sonorità mono), mentre il terzo dischetto offre diciotto bonus tracks, nessuna delle quali inedita (e penso che qualcosina in più si poteva fare, non è stato inserito neppure il 45 giri dell’epoca che comprendeva The Universal e Donkey Rides, A Penny A Glass). A parte alcuni mix alternativi (molti dei quali per il mercato americano), single versions e backing tracks strumentali (interessante quella di Happiness Stan), le cose maggiormente degne di nota sono takes alternate della title track (due diverse), Rene, Mad John, una prima versione di Rollin’ Over intitolata Bun In The Oven, lo strumentale The Fly (che in realtà è la base di The Hungry Intruder), l’ottima cover di Every Little Bit Hurts di Brenda Holloway, usata all’epoca come B-side, e la backing track di (If You Think You’re) Groovy, che i nostri incisero con la cantante P.P. Arnold alla voce. Il DVD come dicevo è interessante in quanto propone uno show televisivo della BBC (Colour Me Pop) in cui Marriott e compagni proposero per l’unica volta i brani di Ogdens’ Nut Gone Flake dal vivo (solo sette pezzi, più il video promozionale di Lazy Sunday), dato che da lì a pochissimo le loro strade si sarebbero separate.

Gli Small Faces erano una grande band, ed Ogdens’ Nut Gone Flake il loro momento più alto: ristampa quindi indispensabile (oppure inutile, se possedete già quella del 2012).

Marco Verdi

Buona La Seconda Per Un Ottimo Album Dal Vivo! Savoy Brown Featuring Kim Simmonds – You Should Have Been There!

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Savoy Brown Featuring Kim Simmonds  – You Should Have Been There! – Panache Records

“Non E’ Mai Troppo Tardi”, così recitava il famoso motto del maestro Manzi,  e non vale solo per artisti che (ri)appaiono dopo lunghe assenze dalle scene, ma in qualche caso si può applicare anche ad alcuni album che, come nel caso di questo You Should Have Been There, ha circolato solo brevemente e limitatamente a livello distributivo nel 2005, e contiene un concerto registrato dal vivo allo Yale di Vancouver il 23 febbraio del 2003. In quegli anni, pur essendo sempre stati uno dei  gruppi storici del British Blues i Savoy Brown di Kim Simmonds non avevano ancora iniziato quella sorta di rinascita artistica e discografica, coincisa poi con una bella serie di dischi per la tedesca Ruf dal 2011 ai giorni nostri https://discoclub.myblog.it/2017/10/19/tra-streghe-e-blues-non-si-invecchia-mai-savoy-brown-witchy-feelin/ . Allora la band sembrava già in fase di decisa ripresa ma i loro CD, a parte Strange Dreams, pubblicato dalla Blind Pig, circolavano a livello decisamente indipendente e quindi la Panache Records oggi distribuisce nuovamente questo concerto, tra l’altro con le note originali di Simmonds del 2004.

Sono “solo” sei brani, destinati anche ad un broadcast per la radio canadese, ma il quartetto che vede a fianco di Kim, chitarra solista e voce, anche David Malachowksi alla seconda chitarra, Gerry Sorrentino al basso e Dennis Cotton alla batteria, ci dà dentro veramente di gusto con queste sei tracce, che a parte l’iniziale When It Rains, che dura tre minuti scarsi, hanno un minutaggio intorno ed oltre i dieci minuti  ciascuna, con Simmonds e compagni che ci regalano un tuffo nel repertorio classico dei Savoy Brown, con lunghe improvvisazioni chitarristiche che rinverdiscono i fasti del passato in modo veramente brillante e gagliardo. La voce del veterano inglese, al solito, diciamo che è solo adeguata alla bisogna (non è mai stato un grande cantante), ma l’accoppiata Gibson/ampli Marshall è sempre letale nella sua efficacia: il brano di apertura, appena citato, era nel disco di studio del 2003, un solido pezzo rock-blues dove la solista inizia a viaggiare con le sue linee fluide e grintose, ben sostenute da Malachowki, poi con Where Has Your Heart Gone, un brano all’epoca inedito, uno slow blues di quelli torridi ed intensi, le cose si fanno subito serie, Simmonds forse non è tra i chitarristi più celebrati della storia del blues(rock), ma il suo tocco è comunque ricco di feeling e con un timbro sonoro veramente magico.

Poor Girl è un brano firmato da Tony Stevens, il bassista storico della band negli anni ’60 che poi entrò nei Foghat insieme al compianto Lonesome Dave Peverett, uno dei grandi cantanti del rock britannico, classico pezzo cadenzato e con il suono tipico dei Savoy Brown degli anni d’oro, con tutta la band che tira alla grande per quasi dodici minuti https://www.youtube.com/watch?v=baYXJM4LHqI , mentre Blues Like Midnight è la rilettura in chiave elettrica di un brano inciso per il disco acustico solista di Simmonds dallo stesso titolo, una sorta di blues ballad di grande intensità e raffinatezza, che fa da apripista per una delle loro canzoni più note, quella Street Corner Talking title track del disco del 1971, uno dei brani più hendrixiani ed incendiari del loro repertorio, una vera botta di adrenalina tra continui florilegi della solista con wah-wah innestato, veramente torrenziale nel suo approccio https://www.youtube.com/watch?v=njPCby1EjiA . Dopo gli assoli degli altri musicisti, a chiudere il concerto arriva Hellbound Train, altro cavallo di battaglia dei Savoy Brown, che nonostante il titolo che ne potrebbe ricordare le tematiche non è un pezzo di Robert Johnson, ma un originale firmato da Simmonds, grande appassionato di fantasy e fantascienza occulta, ispirato da HP Lovecraft, altra sventagliata di rock-blues di grande impeto e vigore, con le due chitarre che si fronteggiano in ripetute esplosioni e vampate di rock-blues in continuo crescendo, degne della fama del vecchio gruppo. Se ve lo siete perso al primo giro, assolutamente consigliato!

Bruno Conti

Correva L’Anno 1968 5. Una Splendida Appendice Ad Una Fortunata Serie Di Cofanetti. VV.AA. – Stax ’68: A Memphis Story

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VV.AA. – Stax ’68: A Memphis Story – Craft/Concord 5CD Box Set

A pochi mesi di distanza dal bellissimo Rarities: The Best Of The Rest, quarto e probabilmente ultimo episodio della serie di cofanetti Stax Singles https://discoclub.myblog.it/2018/02/04/torna-a-sorpresa-una-delle-piu-belle-serie-dedicate-alla-black-music-stax-singles-rarities-and-the-best-of-the-rest/ , la Concord (proprietaria del marchio della storica etichetta discografica) pubblica quasi a sorpresa un volume “spin-off”: Stax ’68: A Memphis Story, che raccoglie in cinque CD tutti i singoli, lati A e B, usciti nell’anno solare del titolo, quindi mezzo secolo fa. Il 1968 fu un anno importantissimo per la Stax, label nata a Memphis nel 1957 ed in pochi anni diventata leader nella diffusione della musica soul ed errebi ad opera di artisti perlopiù di colore (in concorrenza con la Motown di Detroit): infatti in quel periodo l’America era percorsa dai tumulti e dalle manifestazioni per l’affermazione dei diritti civili e dell’uguaglianza tra neri e bianchi (il cui culmine si ebbe proprio nel 1968 con l’assassinio di Martin Luther King), e Memphis era una delle città nelle quali la lotta era più sentita.

In tutto questo la Stax era vista un po’ come una sorta di “rifugio sicuro”, ed altre volte come una specie di zona franca che non veniva toccata dagli episodi di violenza che a quell’epoca non mancavano: questo perché gli studi dell’etichetta erano già da anni un esempio di integrazione razziale, dato che bianchi e neri vi lavoravano fianco a fianco in perfetta armonia, sia che facessero parte dello staff che del roster di artisti che vi andavano ad incidere. Infatti già da qualche tempo la musica che veniva pubblicata sotto il marchio Stax non era più solo soul, rhythm’n’blues e funky, ma si cominciava ad intravedere anche qualche “intrusione” del rock e perfino di country e psichedelia, e diversi artisti sotto contratto avevano la pelle bianca. Tutto ciò è testimoniato dunque in questo splendido cofanetto quintuplo (pubblicato in un formato simile alla dimensione di un 45 giri, con un bel libro rilegato ricco di informazioni e note ed i CD inseriti separatamente sul fondo), che raggruppa tutti i singoli pubblicati da Gennaio a Dicembre del 1968 all’interno dei quali, oltre alla maggioranza di canzoni a tema amoroso, si cominciavano a far largo brani che parlavano di libertà ed uguaglianza, come nel caso degli Staple Singers: non ci sono inediti, ma parecchie rarità questo sì.

Ma andiamo con ordine, esaminando gli episodi salienti dei cinque dischetti, dato che una recensione brano per brano delle 134 canzoni totali richiederebbe una rubrica settimanale. Il box parte con il botto, ovvero con la mitica (Sittin’ On) The Dock Of The Bay di Otis Redding, canzone uscita postuma a causa della tragica scomparsa a fine 1967 di quello che era l’artista di punta del catalogo Stax (la B-side è la vivace Sweet Lorene): Otis è presente anche più avanti nel primo CD, in duetto con Carla Thomas, con Lovey Dovey e New Year’s Resolution. Altri highlights del dischetto sono Sam & Dave con le energiche I Thank You e Wrap It Up, il blue-eyed soul dei misconosciuti Memphis Nomads (le gradevolissime Don’t Pass Your Judgement e I Wanna Be Your Lover & Your Honey), la deliziosa I Got A Sure Thing di Ollie & The Nightingales, la grande voce di Johnnie Taylor che giganteggia in Next Time e nel blues afterhours Sundown. Eddie Floyd era un grandissimo, e lo dimostra con le strepitose Big Bird e Holding On With Both Hands, potenti e ricche di feeling, ma non sono da meno né William Bell con le toccanti Every Man Oughta Have A Woman e Tribute To A King (nonostante qualche sviolinata di troppo) né Rufus Thomas con il luccicante errebi di The Memphis Train. Il secondo CD inizia con la vibrante Soul Power, un titolo che è tutto un programma, ad opera di Derek Martin, e prosegue con lo splendido white soul di Bring Your Love Back To Me e Here I Am di Linda Lyndell (che voce) e con la sempre impeccabile Carla Thomas (le coinvolgenti A Dime A Dozen e I Want You Back, cantate entrambe splendidamente).

Il CD alterna nomi noti come Isaac Hayes (con le peraltro non eccelse Precious Precious e Going To Chicago Blues, in cui sembra essersi appena svegliato dopo una serata di bagordi) ed il grande bluesman Albert King (alle prese con (I Love) Lucy e You’re Gonna Need Me) ad altri meno conosciuti come i Kangaroo’s (belle sia la corale Groovy Day che il quasi rock’n’roll di Every Man Needs A Woman), i Mad Lads con la romantica Whatever Hurts You e la mossa No Time Is Better Than Now, per concludere con la classe dell’Eddie Henderson Quintet (Georgy Girl e A Million Or More Times, due raffinati strumentali jazz) e con la stupenda ed emozionante Send Peace And Harmony Home di Shirley Walton, una delle più belle canzoni del box. Il terzo dischetto parte con i grandi Booker T. & The MG’s (la deliziosa e solare Soul-Limbo, dal sapore caraibico) ed ancora Eddie Floyd con le calde soul ballads I’ve Never Found A Girl e I’m Just The Kind Of Fool. Qui troviamo anche l’unico singolo targato Stax da parte di Delaney & Bonnie, contenente le ottime It’s Been A Long Time Coming e We’ve Just Been Feeling Bad, due pezzi tra rock ed errebi cantati e suonati in maniera perfetta, e c’è anche il loro amico Bobby Whitlock con la saltellante pop song Raspberry Rug ed il ficcante soul con fiati di And I Love You.

Per il resto abbiamo tanta gente meno famosa, tra cui si distinguono ancora la brava Linda Lyndell con le strepitose What A Man e I Don’t Know (Linda si conferma una vocalist eccezionale), due splendidi duetti tra Judy Clay ed il più noto William Bell (Private Number e Love-Eye-Tis), l’energica Broadway Freeze di Harvey Scales & The Seven Sounds, un brano funkeggiante alla James Brown, Lindell Hill con l’intensa Remone, il garage rock psichedelico degli Aardvarks (Subconcious Train Of Thought), ancora Judy Clay e la sua straordinaria voce in Bed Of Roses e Remove These Clouds, per finire in crescendo con i grandi Staple Singers alle prese con la trascinante Long Walk To D.C., un gospel elettrico dal ritmo decisamente sostenuto. Nel quarto CD troviamo la fulgida Who’s Making Love di Johnnie Taylor, uno dei più grandi successi della label, il solito Eddie Floyd con una scintillante cover, molto più ritmata dell’originale, di Bring It On Home To Me di Sam Cooke, Jeanne & The Darlings con la squisita It’s Unbelievable, i poco noti Southwest F.O.B. con la vibrante Smell Of Incense, una rock song con organo alla Doors (e con la beatlesiana ed orecchiabile Green Skies), ancora Booker T. & The MG’s con una splendida rivisitazione del tema western Hang’em High, ed il divertente country-pop Sally’s Got A Good Thing dei Village Sound.

Il quinto ed ultimo dischetto si apre con la bella Mighty Cold Winter di Dino & Doc, e poi ci fa incontrare di nuovo sia William Bell (da solo con la soulful e romantica I Forgot To Be Your Lover ed in duo ancora con Judy Clay per la sontuosa My Baby Specializes), sia Albert King e la sua inimitabile chitarra che arrota da par suo in Night Stomp, sia ancora gli Staple Singers, sempre impeccabili in The Ghetto e Got To Be Some Changes Made. Da citare infine The Goodies con il pop-rock West Coast di Didn’t Love Was So Good (lato B di Condition Red ma nettamente migliore), la bravissima Mable John, una voce degna di Aretha Franklin, con Running Out e Shouldn’t I Love Him, il rocker Billy Lee Riley con l vigorose Family Portrait e Going Back To Memphis, e le deliziose country ballads Who’s Making Love (la stessa di Johnnie Taylor, ma in un arrangiamento molto diverso) e Long Black Train, cantate da Daaron Lee.

Stax ’68 è quindi l’ennesimo cofanetto di quest’annata al quale è difficile dire di no, e questo vale anche se avete già le precedenti raccolte di singoli della leggendaria etichetta di Memphis.

Marco Verdi

Siamo Arrivati A Quel Periodo Dell’Anno! Il Meglio Del 2018 In Musica Secondo Disco Club, Appendice E Riepilogo Finale

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Oltre alla formula alla lavagna (si scherza ovviamente), eccomi alla appendice conclusiva relativa ai miei dischi preferiti usciti nel corso del 2018. volevo fare una cosa il più esaustiva possibile, estrapolando le cose migliori di cui si è parlato nel Blog,  soprattutto quelle che già non erano entrate nelle liste di fine anno degli altri collaboratori. Scegliendo i titoli con una ricerca quasi certosina mi sono accorto che la lista era diventata di dimensioni epiche, con oltre 70 titoli, e quindi ho pensato di ampliarla in una sorta di riepilogo di quello che è successo nelle puntate precedenti, e dividerla, raggruppando i titoli in alcune categorie, e inserendo anche tutti i link dei vari Post che sono apparsi sul Blog, così se li vi siete persi potete leggerli, oppure andare a rinfrescarvi le idee, sempre secondo il principio già esposto varie volte, per il quale queste classifiche di fine anno vogliono essere soprattutto una occasione per segnalare alla vostra attenzione le proposte più discografiche più interessanti o sfiziose pubblicate nell’anno in corso, naturalmente secondo i nostri gusti.

Voci Femminili

rosanne cash she remembers everythingmarianne faithfull negative capabilitymary gauthier rifles & rosary beads

Rosanne Cash – She Remembers Everyhing Di questo album ci sarà una recensione prossimamente nell’ambito dei recuperi di fine/inizio anno

https://discoclub.myblog.it/2018/11/09/di-nuovo-questa-splendida-settantenne-che-non-ha-ancora-finito-di-stupire-marianne-faithfull-negative-capability/

Mary Gauthier – Rifles & Rosary Beads Anche questo disco, pure in virtù della recente nomination ai Grammy Awards come Miglior Album Folk, sarà oggetto di una recensione ad hoc.

Due voci classiche.

mary coughlan live_and_kickingbettye lavette things have changed

https://discoclub.myblog.it/2018/04/02/dopo-mary-black-unaltra-voce-irlandese-strepitosa-mary-coughlan-live-kicking/

https://discoclub.myblog.it/2018/04/07/la-regina-nera-rilegge-il-canzoniere-di-bob-dylan-bettye-lavette-things-have-changed/

Tre “sorprese”.

sarah shook yearsruby boots don't talk about ithaley heynderickx

https://discoclub.myblog.it/2018/05/20/una-delle-migliori-nuove-voci-in-circolazione-sarah-shook-the-disarmers-years/

https://discoclub.myblog.it/2018/03/14/una-nuova-country-rocker-di-pregio-dalla-voce-interessante-parliamone-invece-ruby-boots-dont-talk-about-it/

https://discoclub.myblog.it/2018/06/07/sempre-a-proposito-di-voci-femminili-intriganti-haley-heynderickx-i-need-to-start-a-garden/

Tre “conferme” assodate.

brandi carlile by the waydana fuchs loves live onshemekia copeland america's child

Brandi Carlile – By The Way, I Forgive You Altro disco da “recuperare” assolutamente.

https://discoclub.myblog.it/2018/07/09/strepitosa-trasferta-soul-a-memphis-per-una-delle-piu-belle-voci-del-rock-americano-dana-fuchs-love-lives-on/ Questo disco potrebbe rientrare anche nella categoria “tra soul, blues e gospel” che trovate tra poco (stesso discorso per la Copeland e la Lavette).

https://discoclub.myblog.it/2018/09/04/alle-radici-della-musica-americana-con-classe-e-forza-interpretativa-shemekia-copeland-americas-child/

amanda shires to the sunset

https://discoclub.myblog.it/2018/08/27/non-sara-brava-come-il-marito-ma-anche-lei-fa-comunque-della-buona-musica-amanda-shires-to-the-sunset/

“Chitarristi”

Uno e Trino, da solo, in coppia con Beth Hart e dal vivo.

joe bonamassa redemption 21-9beth hart & joe bonamassa black coffeejoe bonamassa british blues explosion live

https://discoclub.myblog.it/2018/09/17/ormai-e-una-garanzia-prolifico-ma-sempre-valido-ha-fatto-tredici-joe-bonamassa-redemption/

https://discoclub.myblog.it/2018/01/21/supplemento-della-domenica-di-nuovo-insieme-alla-grande-anteprima-nuovo-album-beth-hart-joe-bonamassa-black-coffee/

https://discoclub.myblog.it/2018/05/13/uno-strepitoso-omaggio-ai-tre-re-inglesi-della-chitarra-joe-bonamassa-british-blues-explosion-live/

Vecchie leggende.

billy gibbons the big bad blues 21-9roy buchanan live at town hall

https://discoclub.myblog.it/2018/10/10/bluesmen-a-tempo-determinato-parte-1-billy-f-gibbons-the-big-bad-blues/

https://discoclub.myblog.it/2018/10/10/bluesmen-a-tempo-determinato-parte-1-billy-f-gibbons-the-big-bad-blues/

“Nuovi virgulti”.

eric steckel polyphonic prayersean chambers trouble & whiskey

https://discoclub.myblog.it/2018/03/09/forever-young-un-chitarrista-per-tutte-le-stagioni-basta-trovare-i-suoi-dischi-eric-steckel-polyphonic-prayer/

https://discoclub.myblog.it/2018/12/04/uno-dei-migliori-nuovi-chitarristi-in-circolazione-sean-chambers-welcome-to-my-blues/

colin james miles to gomike zito first class life

https://discoclub.myblog.it/2018/10/20/ancora-gagliardo-rock-blues-dal-canada-colin-james-miles-to-go/

https://discoclub.myblog.it/2018/06/02/blues-rock-veramente-di-prima-classe-mike-zito-first-class-life/

Gli “aiutanti” di Ry Cooder.

delta moon babylon is fallingdamon fowler the whiskey bayou session

https://discoclub.myblog.it/2018/11/06/tornano-i-maghi-della-slide-delta-moon-babylon-is-falling/

https://discoclub.myblog.it/2018/11/13/uno-dei-dischi-rock-blues-piu-belli-dellanno-damon-fowler-the-whiskey-bayou-session/

Rock

Non sbagliano un colpo.

mark knopfler tracker deluxegraham parker cloud symbols 21-9

https://discoclub.myblog.it/2018/11/26/ennesimo-album-raffinato-e-di-gran-classe-da-parte-di-un-vero-gentiluomo-inglese-mark-knopfler-down-the-road-wherever/

Graham Parker – Cloud Symbols Un altro di quelli che mancano nelle recensioni.

Amanti degli anni ’70. 1.

sheepdogs changing coloursjonathan wilson rare birds

https://discoclub.myblog.it/2018/03/04/canadesi-dal-cuore-e-dal-suono-sudista-the-sheepdogs-changing-colours/

https://discoclub.myblog.it/2018/04/26/il-gabbiano-jonathan-vola-sempre-alto-jonathan-wilson-rare-birds/

Amanti degli anni ’70. 2

levi parham it's all goodmarcus king band carolina confessions

https://discoclub.myblog.it/2018/07/09/non-posso-che-confermare-gran-bel-disco-levi-parham-its-all-good/

Marcus King Band – Carolina Confessions Sempre inserito settore recuperi.

Tra Soul, Blues E Gospel

mike farris silver & stoneVictor Wainwright & The Train

https://discoclub.myblog.it/2018/12/23/sempre-raffinatissimo-gospel-soul-rock-tra-sacro-e-profano-mike-farris-silver-stone/

https://discoclub.myblog.it/2018/04/14/un-grosso-artista-in-azione-in-tutti-i-sensi-victor-wainwright-the-train-victor-wainwright-and-the-train/

teskey brothers half mile harvestsherman holmes project richmond project

https://discoclub.myblog.it/2018/12/05/vero-rock-blues-soul-di-squisita-fattura-in-arrivo-dallaltro-emisfero-teskey-brothers-half-mile-harvest/

https://discoclub.myblog.it/2018/05/06/sherman-holmes-una-vita-per-il-gospel-e-il-soul-the-sherman-holmes-project-the-richmond-project/

Il “nuovo” e il vecchio.

sue foley the ice queentony joe white bad mouthin' 28-9

https://discoclub.myblog.it/2018/04/27/ancora-una-reginetta-del-blues-sue-foley-the-ice-queen/

https://discoclub.myblog.it/2018/10/11/bluesmen-a-tempo-determinato-parte-2-tony-joe-white-bad-mouthin/

Bianchi per caso.

love light orchestra livebilly price reckoning

https://discoclub.myblog.it/2018/02/15/che-band-che-musica-e-che-cantante-divertimento-assicurato-the-love-light-orchestra-featuring-john-nemeth-live-from-bar-dkdc-in-memphis-tn/ Sarebbe uscito nel 2017, ma facciamo uno strappo alla regola, recensito comunque nel 2018.

https://discoclub.myblog.it/2018/07/24/cantanti-cosi-non-ne-fanno-piu-billy-price-reckoning/

Ancora bianchi per caso.

paul thorn don't let the devil rideboz scaggs out of the blues

https://discoclub.myblog.it/2018/05/08/in-pellegrinaggio-alle-radici-del-soul-e-del-rock-risultato-prodigioso-paul-thorn-dont-let-the-devil-ride/

https://discoclub.myblog.it/2018/08/22/piu-che-fuori-dentro-al-blues-e-anche-al-blue-eyed-soul-piu-raffinato-boz-scaggs-out-of-the-blues/

“Neri” per nascita.

tower of power soul side of townwalter wolfman washington my future is my past

https://discoclub.myblog.it/2018/07/02/per-festeggiare-il-loro-50-anniversario-torna-alla-grande-uno-dei-gruppi-funky-soul-piu-gagliardi-di-sempre-tower-of-power-soul-side-of-town/

https://discoclub.myblog.it/2018/05/29/passato-e-futuro-mirabilmente-fusi-in-uno-splendido-album-da-new-orleans-walter-wolfman-washington-my-future-is-my-past/

Country, country-rock e bluegrass.

old crow medicine show volunteertrampled by turtles life is good on the open road

https://discoclub.myblog.it/2018/05/14/straordinaricome-sempre-old-crow-medicine-show-volunteer/

https://discoclub.myblog.it/2018/05/17/sempre-piu-bravi-ed-innovativi-trampled-by-turtles-life-is-good-on-the-open-road/

A volte ritornano.

asleep at the wheel new routes 14-9michael martin murphey austinology

https://discoclub.myblog.it/2018/10/12/western-swing-country-e-divertimento-assicurato-asleep-at-the-wheel-new-routes/

https://discoclub.myblog.it/2018/12/09/non-e-mai-troppo-tardi-per-fare-il-miglior-disco-della-propria-carriera-michael-martin-murphey-austinology-alleys-of-austin/

Un terzetto di nomi nuovi.

red shahan culberson countycody jinks liferscarter sampson lucky

https://discoclub.myblog.it/2018/05/10/strade-alternative-per-il-country-assolutamente-da-conoscere-red-shahan-culberson-county/

https://discoclub.myblog.it/2018/07/31/almeno-per-ora-il-disco-country-rock-dellanno-cody-jinks-lifers/

https://discoclub.myblog.it/2018/06/05/non-e-solo-fortunata-e-proprio-brava-carter-sampson-lucky/

Country-rock.

jayhawks back roads and abandoned motelswild frontiers greetings from the neon frontiers

https://discoclub.myblog.it/2018/07/30/la-cura-ray-davies-ha-fatto-loro-molto-bene-the-jayhawks-back-roads-and-abandoned-motels/

https://discoclub.myblog.it/2018/08/14/al-quarto-album-di-buon-country-rock-made-in-nashville-si-puo-proprio-dire-che-sono-una-certezza-wild-feathers-greetings-from-the-neon-frontier/

“Altro”!

Vecchie glorie.

john prine the tree of forgivenessdavid crosby here if you listen

https://discoclub.myblog.it/2018/04/23/diamo-il-bentornato-ad-uno-degli-ultimi-grandi-cantautori-john-prine-the-tree-of-forgiveness/

https://discoclub.myblog.it/2018/11/19/da-ascoltare-molto-attentamente-soprattutto-le-celestiali-armonie-vocali-david-crosby-here-if-you-listen/

Anche loro.

john hiatt the eclipse sessionsradiators welcome to the monkey house

https://discoclub.myblog.it/2018/11/05/per-contratto-dischi-brutti-non-ne-fa-anzi-e-vero-il-contrario-john-hiatt-the-eclipse-sessions/

https://discoclub.myblog.it/2018/05/15/ma-non-si-erano-sciolti-tornano-in-studio-per-il-40-anniversario-radiators-welcome-to-the-monkey-house/

In ordine sparso.

michael mcdermott out from underjonathon long jonathon longjimmy lafave peace town

https://discoclub.myblog.it/2018/05/05/11-canzoni-che-riscaldano-il-cuore-veramente-un-gran-bel-disco-michael-mcdermott-out-from-under/

https://discoclub.myblog.it/2018/12/11/e-questo-nuovo-giovanotto-da-dove-e-sbucato-molto-bravo-pero-lo-manda-samantha-fish-jonathon-long-jonathon-long/

https://discoclub.myblog.it/2018/08/30/una-commovente-e-bellissima-testimonianza-postuma-di-un-grande-outsider-jimmy-lafave-peace-town/

 

Ristampe

Cofanetti che passione!

 

stax singles vol.4 rarities fronttom petty an american treasure frontmott the hoople mental train box front

https://discoclub.myblog.it/2018/02/04/torna-a-sorpresa-una-delle-piu-belle-serie-dedicate-alla-black-music-stax-singles-rarities-and-the-best-of-the-rest/

https://discoclub.myblog.it/2018/10/14/recensioni-cofanetti-autunno-inverno-2-un-box-strepitoso-che-dona-gioia-e-tristezza-nello-stesso-tempo-tom-petty-an-american-treasure/

https://discoclub.myblog.it/2018/11/30/recensioni-cofanetti-autunno-inverno-8-la-prima-delle-due-carriere-di-una-grande-rocknroll-band-mott-the-hoople-mental-train-the-island-years-1969-1971/

Flash dal passato.

joni mitchell live at the isle of wight 1970jimi hendrix both sides of the sky

https://discoclub.myblog.it/2018/09/13/joni-mitchell-both-sides-now-live-at-the-isle-of-wight-festival-1970-questa-e-veramente-unaltra-bella-sorpresa-la-recensione/

https://discoclub.myblog.it/2018/03/19/se-fosse-uscito-nel-1970-sarebbe-stato-un-gran-disco-ma-pure-oggi-jimi-hendrix-both-sides-of-the-sky/ Oltre ad Electric Ladyland è uscito anche  questo.

Big Brother And The Holding Company Sex Dope And Cheap Thrills

Quasi, anzi più bello del disco originale, in attesa di prossima  recensione ed articolo retrospettivo su Janis Joplin, già pronti.

https://discoclub.myblog.it/2018/09/20/big-brother-and-the-holding-co-sex-dope-and-cheap-thrills-anche-questo-album-compie-50-anni-e-recupera-il-suo-titolo-originale-oltre-a-25-tracce-inedite-esce-il-30-novembre/

Altri Album Dal Vivo.

bob malone mojo livejohn mellencamp plain spoken

https://discoclub.myblog.it/2018/09/06/ora-disponibile-anche-in-versione-dal-vivo-sempre-un-signor-musicista-bob-malone-mojo-live-live-at-the-grand-annex/

https://discoclub.myblog.it/2018/05/24/il-primo-vero-live-ufficiale-del-puma-john-mellencamp-plain-spoken-from-the-chicago-theatre/

little steven soulfire live 31-8rolling stones voodoo lounge uncut

https://discoclub.myblog.it/2018/09/12/il-disco-dal-vivo-dellestate-si-ed-anche-dellautunno-dellinverno-little-steven-and-the-disciples-of-soul-soulfire-live/

https://discoclub.myblog.it/2018/11/22/ed-anche-questanno-si-conferma-lequazione-natale-live-degli-stones-the-rolling-stones-voodoo-lounge-uncut/

Non ho più spazio sulla lavagna, comunque “tanta roba”, a dimostrazione che anche quest’anno, volendo cercare, esce ancora tanta buona musica, quindi se vi eravate persi qualcosa, buona lettura.

That’s all folks.

Bruno Conti

Correva L’Anno 1968 4. Tra Pop, Prog E Psichedelia, Ancora Oggi Un Gran Disco! Moody Blues – In Search Of The Lost Chord 50th Anniversary

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Moody Blues – In Search Of The Lost Chord 50th Anniversary – Universal 3CD/2DVD Box Set

Proseguono le celebrazioni per i cinquant’anni degli album del periodo d’oro dei Moody Blues, una delle migliori band britanniche della seconda metà degli anni sessanta: nel 2017 era toccato a Days Of Future Passed, il loro secondo album uscito nel 1967 (che molti considerano il primo, dato che il gruppo che aveva esordito nel 1965 con The Magnificent Moodies, e fautore di una musica tra rock, beat ed errebi bianco, era molto diverso nello stile da ciò che sarebbe diventato in seguito), festeggiato con una ristampa in due CD più un DVD che a dire il vero non offriva grosse novità https://discoclub.myblog.it/2018/04/28/una-celebrazione-elegante-e-di-classe-moody-blues-days-of-future-passed-live/ , e poi con un bellissimo live album registrato oggi dalla formazione attuale della band, che rivisitava il disco canzone per canzone in maniera sontuosa. Quest’anno è la volta di In Search Of The Lost Chord compiere mezzo secolo, ed i nostri hanno fatto le cose decisamente più in grande, mettendo a punto un bel cofanetto di tre CD e due DVD, anche se bisogna dire che il materiale più interessante è riservato alla parte video, essendo quella audio basata in gran parte sulla precedente ristampa del 2006 e quindi priva di veri e propri inediti (a parte qualche missaggio alternativo, come vedremo a breve).

In Search Of The Lost Chord è sicuramente il disco più famoso del quintetto di Birmingham (Justin Hayward, John Lodge, Ray Thomas, Mike Pinder e Graeme Edge) e per molti è anche il più bello: probabilmente è vero, anche se il sottoscritto tende a mettere sullo stesso piano anche Days Of Future Passed, On The Threshold Of A Dream e A Question Of Balance. In questo lavoro il sound del gruppo, già emerso sul disco precedente, raggiunge i suoi massimi livelli, una miscela estremamente melodica di pop, prog ed un leggero tocco psichedelico, un suono contraddistinto dall’uso insistito del mellotron, doppiato spesso dal flauto, con splendide armonie vocali ed una strumentazione stratificata nella quale troviamo tappeti di chitarre, tastiere di ogni tipo (pianoforte, organo, clavicembalo e naturalmente il già citato mellotron) ed anche tablas e sitar, ma con davanti a tutto un particolare gusto per le melodie orecchiabili, sognanti ed immediate. Prodotto come al solito da Tony Clarke, collaboratore dei Moodies fino alla fine degli anni settanta, In Search Of The Lost Chord vede solo la band in studio (mentre nell’album dell’anno prima un sostanziale contributo era stato dato dalla London Festival Orchestra) e dal punto di vista dei testi si può considerare una sorta di concept “allargato”, con brani che trattano i temi della coscienza, dell’immaginazione, dei sentimenti, della filosofia, della religione ed anche dell’esplorazione spaziale.

I brani più noti dell’album sono Ride My See-Saw (che apre il disco dopo l’introduzione parlata di Departure), una fulgida e corale pop song che ancora oggi occupa un posto d’onore nelle setlist dei concerti dei nostri, essendo diventato uno dei loro classici assoluti, e la lunga Legend Of A Mind, dedicata alla controversa figura della scrittore Timothy Leary (all’epoca favorevole all’uso delle sostanze psichedeliche per “aprire” la mente umana), un grande brano pieno di sfaccettature che è un perfetto viatico per la creatività della band. Qualcuno potrebbe asserire che questo sound è datato, ma io dico che la musica quando è bella è sempre attuale, ed è quindi un piacere ancora oggi ascoltare l’orecchiabile Dr. Livingstone, I Presume, tra folk, prog e rock, la splendida House Of Four Doors, deliziosa pop song divisa in due parti e caratterizzata da un motivo immediato, eccellenti armonie vocali e geniali cambi di ritmo e melodia, e la tenue e limpida Voices In The Sky, scelta all’epoca come secondo singolo. Completano un album che non ha perso un grammo della sua bellezza la squisita e leggermente psichedelica The Best Way To Travel, la sognante Visions Of Paradise, dominata dal flauto ed in cui compare anche il sitar, l’elettroacustica The Actor, dal crescendo ricco di pathos e deliziosi intrecci strumentali, e la conclusiva Om, una sorta di mantra pop ispirato dalle filosofie orientali in voga in quel periodo. Il cofanetto appena uscito (che comprende un bel libretto con foto, testi dei brani, note, un dettagliato saggio e lo spartito di Ride My See-Saw) offre sul primo CD l’album con il missaggio stereo originale, mentre sul secondo uno preparato ex novo per questo box (solito materiale per audiofili quindi).

Come bonus, sul primo CD troviamo A Simple Game, una bella canzone uscita solo come lato B, e quattro single mix in mono, unici “inediti” della parte audio, mentre sul secondo ancora A Simple Game, ma in una versione alternata cantata da Hayward (nell’originale la voce solista era di Pinder). Il terzo dischetto inizia con cinque pezzi registrati per la BBC, quattro da Lost Chord (Dr. Livingstone, I Presume, Voices In The Sky, The Best Way To Travel e Ride My See-Saw) e la stupenda Tuesday Afternoon, una delle più belle canzoni dei Moodies: tutti i brani sono eseguiti in maniera molto più diretta che in studio, specie Ride My See-Saw, decisamente più rock. Poi abbiamo cinque mix alternativi, tra cui Visions Of Paradise solo strumentale e The Best Way To Travel con più voci, e tre outtakes di quelle sessions, già però apparse su precedenti ristampe: l’intensa King And Queen, che nel disco originale ci sarebbe stata benissimo, l’orecchiabile e gradevolissima Gimme A Little Somethin’, ancora con le superbe armonie vocali del gruppo, e la fluida What Am I Doing Here?

Detto che il primo DVD, solo audio, ripropone di nuovo Lost Chord in un 5.1 Surround Mix, la vera chicca è contenuta nel dischetto video, che oltre a sette brani dell’album, dal vivo nel programma BBC Colour Me Pop, già editi, propone un mini-concerto mai visto prima e registrato alla tv francese. E lo show, dieci canzoni, è strepitoso, con i nostri amici, in forma smagliante e con un approccio molto rock, che ci regalano bellissime versioni del loro repertorio, con un solo pezzo dal nuovo album (Legend Of A Mind), tre da Days Of Future Passed (Fly Me High, Peak Hour e la leggendaria Nights In White Satin, ripresa anche alla fine), l’allora inedita A Beautiful Dream, una cover molto energica del classico di Nina Simone (e degli Animals) Don’t Let Me Be Misunderstood, e addirittura due brani tratti da The Magnificent Moodies, cioè la pop song I’ve Got A Dream (della famosa coppia di songwriters Greenwich/Barry) ed una cover del classico blues di Sonny Boy Williamson Bye Bye Bird. Come ciliegina, in fondo al DVD troviamo altre due versioni live inedite sempre alla tv francese (ma nell’ambito di un altro programma) di Dr. Livingstone e Ride My See-Saw.

In conclusione, se avete già la ristampa Deram del 2006 potete anche bypassare questo cofanetto, ma c’è da dire che il contenuto del secondo DVD può rappresentare un succoso incentivo all’acquisto.

Marco Verdi

Un Altro Ottimo Disco Per Questo “Fuorilegge” degli Anni Duemila. Whitey Morgan & The 78’s – Hard Times And White Lines

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Whitey Morgan & The 78’s – Hard Times And White Lines – Whitey Morgan/Thirty Tigers CD

Negli ultimi anni si è notata una rinascita di un filone all’interno del genere country che può essere equiparato al movimento degli Outlaws negli anni settanta, e che ha certamente le sue punte di diamante in Chris Stapleton e Jamey Johnson, con esponenti che rispondono ai nomi di Shooter Jennings (uno che un Outlaw originale ce l’aveva in casa), Cody Jinks, Sturgill Simpson (che però con l’ultimo disco ha deciso di esplorare altre strade) e Whitey Morgan. Proprio di quest’ultimo ci andiamo ad occupare oggi: country-rocker del pelo duro e con una grinta notevole, Morgan è uno dei migliori esponenti del genere venuti fuori nell’ultimo decennio, con già tre album di ottimo country elettrico (più uno acustico e cantautorale, Grandpa’s Guitar), un suono strettamente imparentato con il rock e con la musica del Sud. Ad ascoltarlo sembra un texano doc, ma in realtà viene dal profondo nord, esattamente da Flint, in Michigan (località nella quale ha registrato anche un eccellente live album, Born, Raised And Live From Flint, uscito nel 2014), una zona degli States che non è certo rinomata per la musica country. Hard Times And White Lines segue a tre anni di distanza il validissimo Sonic Ranch https://discoclub.myblog.it/2016/02/10/le-due-facce-moderno-outlaw-whitey-morgan/ , e si mantiene sullo stesso livello elevato, una musica grintosa, elettrica, forte e molto più rock che country, ricca di ritmo e feeling.

Morgan è accompagnato come sempre dai fidi 78’s (Joey Spina alle chitarre, Brett Robinson, bravissimo, alla steel, Alex Lyon al basso e Tony DiCello alla batteria), ed in questo disco è aiutato anche da altri sessionmen, tra i quali spiccano i nomi del bravo Jesse Dayton, già valido songwriter e chitarrista a proprio nome, del pianista ed organista Jim “Moose” Brown (di recente con Willie Nelson e Bob Seger), e soprattutto del noto polistrumentista Larry Campbell, qui impiegato alla steel e violino. Il suono di questo Hard Times And White Lines (ispirato dalle truckin’ songs, le canzoni per camionisti che occupano quasi un genere a parte nell’ambito del country made in U.S.A.) è davvero spettacolare, forte, nitido e potente, e le canzoni fanno il resto. Il disco si apre con Honky Tonk Hell, una possente ballata, lenta e cadenzata, che dà la misura dell’approccio musicale del nostro: un brano dalla struttura melodica chiaramente country ma suonata con piglio da vero rocker, ed un’intensità che si tocca quasi con mano, con chitarre elettriche e steel che vanno a braccetto. Con Bourbon And The Blues sembra quasi di sentire una outtake di Waylon degli anni settanta, una canzone in cui tutto, dalla melodia alla voce al ritmo, ricorda lo stile del grande texano: ottima ancora la steel ed anche il piano elettrico che aggiunge un sapore southern, e con la ciliegina di una splendida coda strumentale.

Ancora ritmo elevato con la goduriosa Around Here, un country-rock diretto e grintoso che conferma l’eccellente stato di forma del nostro anche dal punto di vista del songwriting, mentre Hard To Get High è una ballatona di stampo western, che non si muove da sonorità vigorose di chiaro stampo texano. La lenta ed evocativa Fiddler’s Inn fa venire in mente cowboys accampati al crepuscolo, con cavallo, falò, chitarra e whisky come unica compagnia (splendida anche qua la steel), ma Tired Of The Rain è ancora più intima e malinconica, con un feeling enorme, mentre con Wild And Reckless Whitey riprende in mano il pallino del puro country con una cristallina honky-tonk ballad alla George Jones. Nel CD trovano posto anche tre cover di varia estrazione, a partire dalla deliziosa What Am I Supposed To Do del poco conosciuto cantautore Don Duprie, una country song ariosa e solare dal motivo davvero bello ed immediato (anche quando non mostra i muscoli Morgan si conferma un musicista coi fiocchi), e seguita da una gustosa versione tra honky-tonk e rock di Carryin’ On di Dale Watson, uno che già di suo ha i cromosomi del countryman di razza. Ma la rilettura in un certo senso più inattesa è quella, decisamente robusta e bluesata, di Just Got Paid degli ZZ Top, che mantiene la tensione elettrica dell’originale aggiungendo un pizzico di country (ma neanche troppo), con strepitosi interventi chitarristici nel finale.

Gran bel disco, tra i migliori esempi di country elettrico usciti quest’anno.

Marco Verdi

The Best Of 2018: Una Panoramica Da Siti E Riviste Musicali Internazionali, Parte II

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Concludiamo, come promesso, la panoramica sui migliori album del 2018, estrapolati da una miriade di siti e riviste musicali, oltre che che da qualche celebre quotidiano internazionale. Come vi dicevo nel complesso anche quest’anno ho trovato queste classifiche sconcertanti, sempre per i miei gusti personali, visto che privilegiano certi tipi di musica che per il sottoscritto non sono entusiasmanti, e quindi ho preferito andare al contrario a pescare solo alcuni dei dischi presenti nelle varie liste, per segnalarveli. Per curiosità vi indico i tre dischi che in base alla somma dei punti delle suddette classifiche sono risultati i migliori dell’anno.

Al n°1 c’è il disco di Mitski Be A Cowboy, di cui fino a pochi giorni fa ignoravo l’esistenza, e che vedete effigiato all’inizio del Post. Si tratta di una cantautrice nippo-americana, nata in Giappone e che ha vissuto a lungo a New York, con altri quattro album al suo attivo, che incide per la etichetta indipendente Dead Oceans, casa anche, tra gli altri, di Phosphorescent, Tallest Man On Earth, Kevin Morby, Riley Walker Marlon Williams. Devo ammettere che il disco non è neppure male, forse nelle mie personali classifiche non rientrerebbe neppure nei primi cento posti, ma l’album è comunque molto piacevole, bella voce, arrangiamenti complessi ed eterei, canzoni che viaggiano sui milioni di visualizzazioni su YouTube, uno stile abbastanza particolare, presentato come Indie Rock, ma anche con riferimenti classici come Cat Stevens, i Kinks, Isao Tomita, la musica delle colonne sonore dei Toto, Nile Rodgers, I Massive Attack, oltre a colleghe come St. Vincent, o a icone del passato come Joni Mitchell e Stevie Nicks. O almeno questo è quanto dicono di lei. Giudicate voi. Al n°1 solo della classifica di Pitchfork, ma presente in ben 53 liste di fine anno.

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Al n°2 della classifica virtuale troviamo Janelle Monae Dirty Computer, e qui devo dire che fatico a trovare di mio gradimento questo nu soul (preferisco quello “vecchio” e classico) con elementi di art pop, dance, hip-hop, funky e R&B, oltre alla musica di Prince. Nell’album come ospiti appaiono Brian Wilson (?!?) e Stevie Wonder. Al n°1 nelle liste di NPR Music, Associated Press, oltre che nella classifica del critico del New York Times Jon Pareles, nonché in altre 69! Un bel mah mi sale sentito dal cuore!

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E al n°3 troviamo Kacey Musgraves Golden Hour, di cui avete letto la recensione del collega Marco Verdi https://discoclub.myblog.it/2018/05/22/dal-country-al-pop-senza-passare-dal-via-kacey-musgraves-golden-hour/. Piacevole e gradevole, come potete leggere, ma anche con qualche calo qualitativo e francamente nei primi tre dell’anno non mi pare ci rientri. Anche se è la n°1 di American Songwriter, Entertainment Weekly, Stereogum, People, e presente in una cinquantina di altre liste

E adesso ecco una carrellata di album apparsi nelle oltre 115 liste di fine anno, dischi che anche in base sempre ai gusti personali del sottoscritto mi sembra giusto segnalarvi, pescando tra decine di uscite francamente inutili: alcuni di questi titoli apparsi pure su questo Blog, altri comunque validi ed interessanti, il tutto rigorosamente alla rinfusa.

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Courtney Barnett – Tell Me How You Really Feel. La musicista australiana che nel corso dell’anno ha pubblicato anche un disco in coppia con Kurt Vile.

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Father John Misty – God’s Favorite Customer

https://discoclub.myblog.it/2018/05/30/un-altro-ottimo-lavoro-per-il-reverendo-josh-father-john-misty-gods-favorite-customer/

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Lucy Dacus – Historian Interessante secondo album per una nuova cantautrice americana, al primo posto nella classifica di fine anno di Paste.

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Paul Weller – True Meanings

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Kurt Vile – Bottle It In Oltre a quello con Courtney Barnett, anche un album da solo.

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Ben Howard – Noonday Dream

 

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Elvis Costello & The Imposters – Look Now

https://discoclub.myblog.it/2018/10/26/laltro-elvis-un-ritorno-alla-forma-migliore-per-mr-mcmanus-il-disco-pop-dellanno-elvis-costello-the-imposters-look-now/

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Lori McKenna – The Tree Uno dei dischi migliori dell’anno in ambito voci femminili, cantautrici classiche.

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Magpie Salute – High Water I

https://discoclub.myblog.it/2018/08/13/il-primo-disco-ufficiale-di-studio-ma-anche-il-precedente-non-era-per-niente-male-magpie-salute-heavy-water-i/

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Madisen Ward And The Mama Bear – The Radio Winners

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Kathryn Joseph – From When I Wake The Want Is Altra interessante voce femminile.

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Marianne Faithfull – Negative Capability

https://discoclub.myblog.it/2018/11/09/di-nuovo-questa-splendida-settantenne-che-non-ha-ancora-finito-di-stupire-marianne-faithfull-negative-capability/

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Lucero – Among The Ghosts

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Brandi Carlile – By The Way I Forgive You

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Nathalie Prass – The Future And The Past

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Nathan Salsburg – Third

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Mount Eerie – Now Only

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I’m With Her – See You Around Un piccolo dischetto veramente delizioso.

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Field Music – Open Here

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Damien Jurado – The Horizon Just Laughed

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https://discoclub.myblog.it/2018/11/05/per-contratto-dischi-brutti-non-ne-fa-anzi-e-vero-il-contrario-john-hiatt-the-eclipse-sessions/

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Ashley Monroe – Sparrow Oltre al disco con le Pistol Annies, due volte nelle classifiche di fine anno https://discoclub.myblog.it/2018/07/28/non-male-molto-raffinato-anche-se-di-country-se-ne-vede-poco-ashley-monroe-sparrow/

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Billy F. Gibbons – The Big Bad Blues E per finire una delle leggende del rock (blues)

https://discoclub.myblog.it/2018/10/10/bluesmen-a-tempo-determinato-parte-1-billy-f-gibbons-the-big-bad-blues/

Direi che per le classifiche internazionali di fine anno è tutto, magari qualcuno di questi dischi attirerà la vostra curiosità. Per concludere manca solo l’aggiunta finale alla mia lista dei preferiti e con il meglio del 2018 secondo Disco Club abbiamo finito.

Bruno Conti

Cofanetti Autunno-Inverno 11 & 12. Riprende Una Delle Migliori Serie Di Ristampe, E Non Più Solo Per La Bellezza Dei Manufatti! Paul McCartney – Wings Wild Life & Red Rose Speedway

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Wings – Wild Life – Capitol/Universal 2CD – 2LP – Deluxe 3CD/DVD Box Set

Paul McCartney & Wings – Red Rose Speedway – Capitol/Universal 2CD – 2LP with bonus tracks – 2LP with original double album – Deluxe 3CD/2DVD/BluRay Box Set

Paul McCartney & Wings – 1971-1973 Super Deluxe 7CD/3DVD/BluRay Box Set

Dopo una pausa più lunga del consueto, dovuta anche alla firma del contratto con la Capitol ed all’uscita del nuovo album Egypt Station, riprende la serie di ristampe d’archivio di Paul McCartney, una delle più celebrate per la bellezza delle sue edizioni Super Deluxe, manufatti curatissimi in ogni dettaglio e con dentro vere e proprie sciccherie per i fans (anche se va detto che non li regalano di certo). La critica più spesso rivolta a queste riedizioni è che all’impeccabilità della confezione si contrapponeva una scarsa quantità di bonus musicali, un appunto veritiero per molte delle ristampe già uscite fino ad oggi (tranne qualche eccezione, come ad esempio Ram), con la debacle finale di Flowers In The Dirt, che oltre a costare una cifra ben superiore ai cento euro, aveva diverse canzoni disponibili solo come download, una decisione che ha scatenato una specie di rivolta tra i fans di Paul. Ora, sarà che le critiche hanno colpito nel segno, sarà per un eterno duello con l’amico-rivale John Lennon (del quale è uscita una sontuosa edizione deluxe dell’album Imagine), ma le due nuove ristampe della serie, relative ai primi lavori dei Wings, Wild Life (1971) e Red Rose Speedway (1973), sono di gran lunga le migliori fino a questo momento.

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Infatti, oltre alle solite edizioni “basiche” di due CD (o due LP), i cofanetti offrono tre CD ed un DVD per quanto riguarda Wild Life, e ben tre CD, due DVD ed un BluRay per Red Rose Speedway: come se non bastasse, era in vendita solo sul sito di Paul (nel senso che al momento è esaurito, ma non è esclusa una seconda stampa, anche se il sottoscritto è riuscito ad accaparrarselo) un megabox intitolato Paul McCartney & Wings: 1971-1973, che comprendeva i due cofanettoni ed aggiungeva un altro libro fotografico con accluso CD dal vivo inedito dal titolo di Wings Over Europe, che documentava per la prima volta in via ufficiale il tour del 1972/73, che Paul ed il suo gruppo tennero in piccoli club ed università, concerti molto poco pubblicizzati ed in alcuni casi addirittura a sorpresa. L’ironia della sorte è che le migliori ristampe degli archivi di Macca si riferiscono a due album che non sono certo considerati dei capolavori, soprattutto Wild Life, che fu anche un incubo per la casa discografica per vari motivi: il poco appeal radiofonico dei brani, pubblicati senza curare troppo la produzione, la mancanza di un pezzo da pubblicare su singolo, e soprattutto il “nascondersi” di Paul dietro il nome della nuova band (che comprendeva anche la moglie Linda, il chitarrista dei primi Moody Blues Denny Laine ed il batterista Denny Seiwell), con l’aggravante della copertina del disco, nella quale l’ex Beatle era semplicemente uno dei quattro, e riconoscibile solo dopo un’occhiata più attenta.

Risentito oggi, Wild Life non è probabilmente il peggior lavoro di McCartney come si diceva all’epoca (secondo me “l’onore” spetta a Press To Play del 1986), ma non è certo un capolavoro, e mostra una preoccupante incertezza compositiva del nostro, dato che almeno due-tre brani potevano andare bene al massimo come lato B. Questa ristampa, che nel cofanetto si presenta al solito in maniera splendida (libro rilegato, foto inedite, note, testi, polaroid che sembrano vere e la riproduzione esatta di un quaderno di appunti di Linda), cerca di migliorare le cose anche dal punto di vista della musica, ed in parte ci riesce. Certo, brani come l’opening track Mumbo, potente rock song dal buon tiro ma caratterizzata dai vocalizzi incomprensibili di Paul (praticamente uno strumentale), o Bip Bop, che fa parte delle canzoncine “stupide” del nostro (pur essendo orecchiabile), restano nel campo delle bizzarrie; Love Is Strange, una delle rare cover di Macca (è infatti una hit minore del duo Mickey & Sylvia, ed è scritta con Bo Diddley), era inizialmente programmata come singolo portante, ma poi l’uscita è stata cancellata forse non a torto: il brano è anche gradevole, ha un mood quasi caraibico, ma è suonata come se fosse più un’improvvisazione in studio che una canzone fatta e finita. I Am Your Singer, in cui Paul duetta con Linda, è un riempitivo di poco conto, ma Wild Life è una rock ballad fluida ed intensa, suonata stavolta molto bene, ed era un potenziale classico minore (ma non è mai più stata ripresa negli anni a seguire).

Completano il disco originale la discreta Some People Never Know, una ballata elettroacustica dalla melodia limpida e tipica di Paul, la tenue Tomorrow, pop pianistico che è anche il pezzo con più agganci al passato del nostro (leggi Beatles), e l’intensa e drammatica Dear Friend, ancora eseguita al piano e leggermente orchestrata. Il secondo dischetto del box presenta gli stessi brani in versione “rough mix” (e con Love Is Strange solo strumentale), un’aggiunta tutto sommato non indispensabile dato che già i pezzi finiti sul disco non è che fossero curatissimi dal punto di vista tecnico. Il terzo CD contiene una manciata di home recordings di Paul e Linda inerenti a brani del disco e non (c’è anche una breve Good Rockin’ Tonight), registrazioni molto informali ed inoltre con una qualità sonora decisamente amatoriale (e ci sono anche le figlie della coppia che ridacchiano in sottofondo, specie durante Bip Bop). Ci sono fortunatamente anche brani incisi in studio, ed i più interessanti sono la soffusa When The Wind Is Blowing, uno slow con una melodia discreta ma privo di testo, il rock-blues sempre strumentale The Great Cock And Seagull Race, un brano dalle ottime potenzialità e guidato alla grande da piano e chitarra (doveva essere pubblicato, fu passato anche in radio ma poi non se ne fece niente), la versione “edit” di Love Is Strange che doveva uscire come singolo (ma come abbiamo visto non fu mai messa in commercio) e la “strana” e piuttosto caotica African Yeah Yeah. Infine, il singolo “politico” Give Ireland Back To The Irish, a causa del quale Paul venne criticato aspramente, sia per una presunta mancanza di spontaneità e per la banalità del testo (ma musicalmente il brano non era malaccio).

Red Rose Speedway fu invece visto all’epoca come un ritorno di Paul alla forma migliore, un giudizio forse anche influenzato dalle pesanti critiche riservate a Wild Life (ma anche Ram non fu inizialmente apprezzato, mentre oggi è giustamente considerato come uno dei più begli album “minori” di McCartney), dato che il disco è sì un deciso passo avanti, ma non ancora ai livelli abituali per l’ex Scarafaggio, livelli che verranno raggiunti comunque da lì a poco con lo splendido Band On The Run. Di sicuro gli executives della casa discografica dovevano essersi fatti sentire, dato che il disco stavolta è accreditato a Paul McCartney & Wings, il faccione di Paul è ben visibile in copertina, ma soprattutto il primo singolo estratto è ancora oggi una delle ballate più note di Paul: My Love, un pezzo che forse ha un arrangiamento un tantino melenso ma è dotato di una melodia indimenticabile e di sicuro impatto per le classifiche del 1973. Il disco in origine doveva essere un doppio, ma poi, forse su pressioni dell’etichetta, fu ridotto ad un più rassicurante LP singolo: oggi il box offre sia la versione originale (sul primo CD) che quella doppia (sul secondo), ed anche in vinile esce in due configurazioni diverse, entrambe doppie (una con il disco del 1973 più una selezione di bonus tracks presenti sul terzo CD, l’altra con il doppio album che sarebbe dovuto uscire: siete abbastanza confusi?). La versione ampliata presenta diciotto canzoni, contro le nove del disco dell’epoca; dei nove brani aggiunti, sei usciranno di lì a poco come lati B di vari singoli: la deliziosa e bucolica Country Dreamer, rara escursione di Paul appunto nel country, il reggae leggerino di Seaside Woman, cantato da Linda (il che non migliora la canzone), I Lie Around, gradevole e cadenzata rock song che non avrebbe sfigurato sull’LP originale, la vibrante e chitarristica The Mess, eseguita dal vivo (è giusto ricordare che qui i Wings sono in cinque, dato che si è aggiunto il chitarrista Henry McCullough, ex Grease Band), l’acustica e delicata Mama’s Little Girl ed il folk-rock di I Would Only Smile, scritta e cantata da Laine.

Tre brani sono inediti assoluti: Night Out, un rock’n’roll strumentale decisamente elettrico e grintoso, ma più una jam di due minuti che una vera canzone, l’eccellente rock-blues Best Friend, ancora dal vivo e che avrebbe meritato maggior fortuna, e la lenta Tragedy, tutto sommato non indispensabile. E poi ci sono i brani finiti sul disco del 1973: oltre alla già citata My Love i pezzi salienti sono la discreta Get On The Right Thing, dal ritornello accattivante, la solida rock ballad When The Night, il bel medley di undici minuti che comprende quattro mini-canzoni ed il delizioso country-pop di One More Kiss. Mentre le altre sono dignitose pop songs, ma che non troveremo mai su un Best Of di Paul (con una nota di biasimo particolare per l’ambizioso strumentale Loup (1st Indian On The Moon), dalle tentazioni prog ma senza né capo né coda). Il terzo dischetto inizia con due singoli del periodo (la filastrocca Mary Had A Little Lamb, scritta come risposta alle critiche per Give Ireland Back To The Irish, ed il trascinante rock’n’roll Hi Hi Hi, ancora oggi nei concerti di Paul) ed il loro lati B (la guizzante Little Woman Love ed il gradevole reggae C Moon). Detto della presenza della famosissima Live And Let Die, troviamo poi cinque missaggi differenti di brani ascoltati in precedenza, la stessa Live And Let Die in una diversa take (e senza orchestra), l’ottima versione di studio di The Mess, ed altri tre inediti assoluti: la pianistica 1882, proposta in ben tre letture (home recording, studio e live) e niente affatto male, la scanzonata e divertente Thank You Darling e la potente Jazz Street, uno strumentale che di jazz non ha nulla ma servirà come base di partenza per la futura 1985.

Per quanto riguarda entrambi i box, non ho ancora avuto tempo di vedere la parte video, ma se in Wild Life i contenuti si limitano a qualche rehearsal, un breve documentario di Paul e Linda in Scozia ed un filmato che mostra immagini dal party indetto per lanciare l’album, il primo DVD di Red Rose Speedway presenta vari videoclip di singoli dell’epoca, una Live And Let Die dal vivo a Liverpool ed uno special televisivo, mentre il secondo dischetto il raro The Bruce McMouse Show, uno strano cartone animato inframezzato da performance dal vivo dei Wings (ed il BluRay ha il medesimo contenuto). Ed eccoci all’interessantissimo dischetto live Wings Over Europe, come dicevo prima esclusivo del box 1971-1973, un documento di indubbio valore in quanto si occupa di un tour fino a questo momento mai preso in considerazione dalla discografia di Paul. Registrato in varie località del vecchio continente (ma la Gran Bretagna, così come l’Italia, erano state escluse), il CD ci fa vedere che i Wings erano già un’ottima live band (ad eccezione di Linda, che è sempre stata un elemento prettamente ornamentale), e ci presenta versioni di ottimo livello di highlights da Wild Life (Mumbo, Bip Bop, entrambe migliori che in studio, e la title track), Ram (gli scatenati rock’n’roll Smile Away e Eat At Home) ed un solo pezzo dal primo solo album di Paul, che però è la straordinaria Maybe I’m Amazed. Ci sono anche Big Barn Bed e My Love in anteprima da Red Rose Speedway, e purtroppo anche un doppio spazio per Linda con I Am Your Singer e Seaside Woman.

Non mancano versioni molto vitali dei singoli dell’epoca, soprattutto Give Ireland Back To The Irish e la coinvolgente Hi Hi Hi (mentre Mary Had A Little Lamb resta un brano minore), alcuni inediti già trovati nei due box recensiti poc’anzi (The Mess, 1882, Best Friend), una strepitosa cover di Blue Moon Of Kentucky, tra le migliori del CD, e la potente Soily, una vibrante rock song che vedrà la luce su un altro live del gruppo, Wings Over America, ma di cui ancora manca una versione in studio. E i Beatles? A quell’epoca purtroppo vigeva una sorta di embargo verso le canzoni dei Fab Four da parte di Macca (ed anche di John, che però non faceva tour), e la cosa più vicina a quel fantastico periodo è una tirata Long Tall Sally di Little Richard posta in chiusura, che il nostro aveva inciso anche con gli ex compagni di Liverpool. Una doppia (tripla, con il live) ristampa che ci offre quindi tantissimo materiale, forse non tutto di primissima qualità (soprattutto nel box di Wild Life), ma che ci fa sperare in un nuovo trend più “generoso” da parte di Paul per quel che riguarda le riedizioni future (con una speranza di chi scrive di vedere a breve una rivalutazione di Back To The Egg, da sempre uno dei miei preferiti).

Marco Verdi

P.S. Dal suo “amico” John e dal sottoscritto con tanti auguri di Buon Natale.

Bruno Conti

L’Eccezione Che Conferma La Regola: Non Tutte Le Orchestre Vengono Per Nuocere! Buddy Holly With The Royal Philarmonic Orchestra – True Love Ways

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Buddy Holly With The Royal Philarmonic Orchestra – True Love Ways – Decca/Universal CD

Sono sempre stato parecchio critico verso le operazioni di “lifting musicale”, in particolare quando vengono prese le tracce vocali di un artista scomparso alle quali viene aggiunto un accompagnamento strumentale inciso ex novo. Qualche eccezione la faccio anch’io, tipo quando si vuole in un certo modo omaggiare il proprio passato (come i Beatles con Free As A Bird e Real Love, costruite intorno a due nastri casalinghi di John Lennon) o quando un gruppo di canzoni viene lasciato in eredità (come nel caso dell’album postumo di Pops Staples Don’t Lose This uscito nel 2015 e formato da canzoni che il grande musicista aveva consegnato prima di morire alla figlia Mavis, con la raccomandazione di pubblicarle); già nel caso dei Queen, sia per l’album Made In Heaven che per i tre brani “inediti” usciti sulla compilation Queen Forever, siamo giusto a metà tra il tributo all’amico Freddie Mercury e la furba operazione commerciale. L’ultima moda in fatto di restauro musicale è prendere le registrazioni originali di grandi del passato, meglio se stelle del rock’n’roll, ed appiccicargli addosso nuove registrazioni a cura della Royal Philarmonic Orchestra: ha inaugurato il nuovo “trend”, tanto per cambiare, Elvis Presley con il terribile If I Can Dream, del quale mi sono sincerato di far sapere il mio pensiero su questo blog https://discoclub.myblog.it/2015/11/05/questanno-natale-bella-seduta-spiritica-elvis-presley-with-the-royal-philarmonic-orchestra-if-i-can-dream/ .

Eppure incredibilmente quel lavoro ha avuto anche successo, dato che sono poi usciti due seguiti (uno dei quali dedicato alle canzoni di Natale), e la moda si è estesa anche ad altri, come Roy Orbison, con ben due volumi a lui accreditati, secondo me sbagliando ancora di più in quanto la voce di Roy, già potente ed “operistica” di suo, il meglio lo ha sempre dato con arrangiamenti piuttosto sobri, e non seppellita da orchestrazioni ridondanti. Come se non bastasse, si è cominciato a pubblicare dei CD usando incisioni di artisti in quel momento ancora in vita (Aretha Franklin) o più o meno in attività (i Beach Boys), ma i risultati dal punto di vista artistico non sono migliorati granché, ed un certo sapore kitsch è sempre venuto prepotentemente a galla. Inizialmente non ero dunque propenso a considerare neanche questo True Love Ways, nuovo episodio della serie e dedicato stavolta al grande Buddy Holly, ma mi ci sono avvicinato dopo aver letto più di un commento positivo, e considerando anche il fatto che l’immagine del rocker texano scomparso tragicamente nel 1959 negli anni è stata gestita sempre in maniera molto rispettosa. E, dopo averlo ascoltato, posso infatti confermare che True Love Ways è un capitolo a parte, in quanto il lavoro di restauro è stato fatto con grande gusto e misura, e l’orchestra è sempre un passo indietro rispetto alla voce di Buddy e all’accompagnamento dei Crickets (Joe B. Mauldin e Jerry Allison).

Alle registrazioni originali sono state aggiunte anche nuove chitarre (John Parricelli e Kenny Vaughan), è stata rinforzata la sezione ritmica (con l’ausilio di Don Richardson e Steve Pierce al basso e Neal Wilkinson alla batteria) e si sono uniti anche interventi di pianoforte e sassofono. Ma il tutto è stato fatto con il massimo rispetto (dietro il progetto c’è l’ex moglie di Buddy, Maria Elena Holly) e cercando di non rovinare le sonorità originali, rendendo il risultato finale estremamente gradevole. La voce gentile di Holly viene anche valorizzata da questo restyling, al punto che in alcuni momenti sembra di ascoltare un disco inciso da poco, ed i brani contenuti nel CD brillano di una luce nuova: non è il caso di recensire le canzoni, i titoli fanno parte della storia della musica, pezzi che rispondono ai nomi di It Doesn’t Matter Anymore, Everyday, Raining In My Heart, la stessa True Love Ways, Words Of Love, Rave On, la stupenda Peggy Sue. Anche i pezzi più rock’n’roll, come That’ll Be The Day, Oh Boy e Maybe Baby, non perdono un’oncia della loro antica bellezza (e l’orchestra, ripeto, lavora di fino). D’altronde Holly era un grandissimo, e Dio solo sa cosa avrebbe potuto regalarci in seguito se solo non fosse salito su quel maledetto aereo: sono pronto a giurare (tanto non c’è la controprova) che negli anni sessanta avrebbe potuto essere tranquillamente un numero uno, dato che Elvis diventerà la parodia di sé stesso in film assurdi, Orbison calerà disco dopo disco fino a scomparire dai radar per tutti gli anni settanta, Jerry Lee Lewis avrà la carriera stroncata a causa del matrimonio con la cugina minorenne, e pure Chuck Berry a poco a poco si perderà. Se questa compilation servirà a far conoscere l’arte di Buddy Holly a generazioni più giovani (dato che, pur essendo una leggenda, per certi versi la sua figura è sempre stata un po’ di nicchia), l’operazione oltre che riuscita dal punto di vista artistico si potrà definire anche meritoria.

Un disco fatto bene non basta comunque a far cambiare idea al sottoscritto circa questo genere di iniziative, e sarò sempre pronto a “bastonare” futuri album non al livello di questo True Love Ways.

Marco Verdi

The Best Of 2018: Una Panoramica Da Siti E Riviste Musicali Internazionali, Parte I

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Come dicevo già lo scorso anno, ormai mi diventa sempre più difficile condividere le scelte di fine anno delle principali riviste e anche dei siti musicali internazionali più interessanti, anche Mojo Uncut, due riviste inglesi che un tempo leggevo con regolarità, ormai si sono  uniformati all’andazzo generale e salvo alcune firme che ancora cercano con competenza di trattare gruppi o cantautori che rientrano nei gusti musicali privilegiati sulle pagine virtuali di questo Blog (e dal sottoscritto e Marco Verdi pure sul Buscadero, a proposito se volete votare al Poll della rivista, questa è la pagina su cui si vota https://docs.google.com/forms/d/11_w_lkqKzGpF4oyTl7xWRWcxb-g3ZdSngR8hjatyYtQ/viewform?edit_requested=true ), sia con nuove uscite che con ristampe sfiziose. Quindi ormai impera, durante l’annata e anche nelle scelte di fine anno, un mondo dove dominano avant-garde metal, post punk, alternative rock e dance, electro e synthpop, art pop e art punk, noise rock, trap e rap, post rock, neo soul e neo psychedelia, in un fiorire di generi che quasi corrisponde ad ogni nuova singola uscita discografica, ma che maschera un appiattimento del livello qualitativo veramente preoccupante. Chi scrive non condivide questo “nuovo” mondo e cerca di parlare su questo Blog ancora di musica verace, magari classica, forse già sentita, ma sicuramente suonata e cantata da talenti che, salvo rare eccezioni, non si sono ancora venduti alla “musica di plastica” che purtroppo sembra prevalere al momento.

Chi legge il Blog con regolarità sa quali siano i generi musicali, per quanto ampi e diversificati, che trattiamo nei nostri post, per cui non mi dilungo ulteriormente nelle mie lamentazioni e passo a questa sorta di rassegna stampa globale, dove vado a pescare nominativi e dischi che ritengo interessanti, da segnalare per eventuali vostri ascolti, in quanto una delle funzioni, direi la principale, di queste liste è quella di scoprire album che magari possono essere condivisibili con i nostri gusti. Ma prima, per certificare comunque questo declino anche nelle due riviste effigiate ad inizio articolo, ecco almeno le prime 15 posizioni delle loro classifiche di gradimento di fine anno: con qualche video mirato e segnalando con un link quelli (pochi) di cui abbiamo parlato nel Blog

MOJO’s Top 15 Albums of 2018

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15. Tracey Thorn – Record

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14. Paul Weller – True Meanings

13. Kurt Vile – Bottle It In
12. Pusha-T – Daytona
11. Fatoumata Diawara – Fenfo (Something To Say)

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10. The Breeders – All Nerve

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9. Spiritualized – And Nothing Hurt

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8. Courtney Barnett – Tell Me How You Really Feel

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7. Ryley Walker – Deafman Glance

6. Idles – Joy as an Act of Resistance
5. Christine and the Queens – Chris
4. Janelle Monáe – Dirty Computer

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3. Rolling Blackouts Coastal Fever – Hope Downs

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2. Arctic Monkeys – Tranquility Base Hotel & Casino

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1. Kamasi Washington – Heaven and Earth

In questa lista finalmente qualche titolo in comune con le nostre scelte

UNCUT’S TOP 50 ALBUMS of 2018

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15. Elvis Costello & The Imposters – Look Now

https://discoclub.myblog.it/2018/10/26/laltro-elvis-un-ritorno-alla-forma-migliore-per-mr-mcmanus-il-disco-pop-dellanno-elvis-costello-the-imposters-look-now/

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14. Ry Cooder – The Prodigal Son

https://discoclub.myblog.it/2018/05/28/chitarristi-slide-e-non-solo-di-tutto-il-mondo-esultate-e-tornato-il-maestro-ry-cooder-prodigal-son/

13. Young Fathers – Cocoa Sugar

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12. Neko Case – Hell-On

https://discoclub.myblog.it/2018/06/14/alternativa-ma-non-troppo-anzi-sofisticata-ed-elegante-neko-case-hell-on/

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11. Richard Thompson – 13 Rivers

https://discoclub.myblog.it/2018/09/23/forse-sempre-uguale-ma-anche-unico-richard-thompson-13-rivers/
10. Sons of Kemet – Your Queen is a Reptile

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9. Christine and the Queens – Chris
8. Beak> – >>>

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7. Gruff Rhys – Babelsberg

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6. Janelle Monáe – Dirty Computer

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5. Yo La Tengo – There’s a Riot Going On

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4. Spiritualized – And Nothing Hurt

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3. Ty Segall – Freedom’s Goblin

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2. Rolling Blackouts Coastal Fever – Hope Downs

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1. Low – Double Negative

La copertina del disco dei Low a mio parere è veramente ma il disco è al solito intrigante nelle sue sonorità inconsuete e spiazzanti.

Al solito aggiungo la lista delle scelte del sito American Songwriter, uno dei pochi, se non l’unico, già dal nome, per affinità elettive, che guardo con regolarità e in cui spesso trovo segnalati artisti e dischi che poi mi viene voglia di approfondire, nella mia costante ricerca della buona musica. Anche in questo caso ci sono alcuni album di cui abbiamo parlato, o magari parleremo nei recuperi di fine/inizio anno, sul Blog.

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American Songwriter Top 15 Albums Of 2018

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Kacey Musgraves — Golden Hour

https://discoclub.myblog.it/2018/05/22/dal-country-al-pop-senza-passare-dal-via-kacey-musgraves-golden-hour/

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Pistol Annies — Interstate Gospel

Janelle Monáe — Dirty Computer

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Amanda Shires — To the Sunset

https://discoclub.myblog.it/2018/08/27/non-sara-brava-come-il-marito-ma-anche-lei-fa-comunque-della-buona-musica-amanda-shires-to-the-sunset/

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John Prine — The Tree of Forgiveness

https://discoclub.myblog.it/2018/04/23/diamo-il-bentornato-ad-uno-degli-ultimi-grandi-cantautori-john-prine-the-tree-of-forgiveness/

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Jeff Tweedy — WARM

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Eric Church — Desperate Man

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Charles Bradley — Black Velvet

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American Aquarium — Things Change

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Joshua Hedley — Mr. Jukebox

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Erin Rae — Putting on Airs

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The War and Treaty — Healing Tide

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Ruston Kelly — Dying Star

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Patrick Sweany — Ancient Noise

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Brothers Osborne — Port Saint Joe

I quindici titoli di questa lista sono tutti ottimi, con una menzione speciale per The War And Treaty. un disco prodotto da Buddy Miller.  che merita sicuramente un approfondimento e tutta la vostra attenzione, due voci formidabili e quindi due video per loro. Anche Ruston Kelly e i Brothers Osborne hanno fatto degli ottimi album,

Ma qui finiscono le buone notizie (ma di buona musica ce n’è ancora, anche parecchia, basta cercarla, e noi siamo qui per questo), e finisce anche il Post, nella seconda parte ho deciso di raccogliere una serie di titoli che appaiono qui e là nelle varie liste di fine anno di siti e riviste assortite, dove però il resto dei contenuti, come direbbero quelli che parlano bene, è da “far accapponare” i capelli.

Fine prima parte.

Bruno Conti